Cass. pen., sez. VI 19-03-2008 (03-03-2008), n. 12308 Avvenuta lettura in udienza – Mancanza o incompletezza nella sentenza depositata – Nullità della sentenza – Esclusione – Correzione dell’errore materiale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza emessa il 27.3.2006 dal Tribunale di Trani sezione distaccata di Ruvo di B.P.G. era condannato alla pena di otto mesi di reclusione ed Euro 800,00 di multa (oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile) per i reati di percosse (capo A) in danno della moglie S. F. e di violazione degli obblighi di assistenza familiare (abbandono del domicilio coniugale ex art. 570 c.p., comma 1: capo B
omessa somministrazione dei mezzi di sussistenza al figlio minore per mancato versamento ex art. 570 c.p., comma 2, n. 2 dell’assegno mensile di L. 500.000 nei mesi di ottobre-novembre 1999: capo C).
Adita dall’impugnazione dell’imputato, la Corte di Appello di Bari con l’epigrafata sentenza del 30.3.2007, nel prendere atto della sospensione del corso della prescrizione per un periodo di 5 mesi e 25 giorni verificatasi nel giudizio di primo grado, ha rilevato – da un lato – la sopravvenuta estinzione per prescrizione dei reati di percosse (capo A) e di abbandono del domicilio domestico (capo B), commessi nell’ottobre 1998, e per l’effetto – in assenza di condizioni avvaloranti l’incolpevolezza dell’imputato – ha dichiarato improcedibili tali reati per detta causa estintiva. La Corte – da un altro lato – ha ritenuto di dover confermare, respingendo i corrispondenti motivi di appello, l’affermata responsabilità del B. per il reato sub C) di omesso versamento dell’assegno mensile di mantenimento per il figlio minore A., reato commesso (rectius esauritosi) il 30.11.1999. Valutato il delinearsi di relazione di continuità criminosa ex art. 81 cpv. c.p. in rapporto ad omologo reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2 sanzionato con decreto penale di condanna al pagamento della multa di Euro 1.285,00, emesso il 24.5.2005 dal g.i.p. del Tribunale di Trani e divenuto irrevocabile, la Corte di Appello ha determinato l’incremento di pena nella misura di Euro 500,00.
Avverso l’illustrata sentenza di secondo grado propone personalmente ricorso per cassazione B.G., lamentando la violazione della legge processuale penale in riferimento all’art. 544 c.p.p., comma 1 e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. f) per incompletezza o indecifrabilità del dispositivo della sentenza nella parte relativa all’entità della sanzione inflitta dalla Corte di Appello di Bari, della cui menzione non vi è traccia alcuna.
Il ricorso è giuridicamente infondato.
Effettivamente il dispositivo della sentenza oggi impugnata, depositata con i motivi della decisione il 24.4.2007 e notificata per estratto al contumace imputato B., è incompleto per un verosimile refuso o errore di stampa. Benchè nella parte motiva della sentenza sia ben chiarita la misura della pena (Euro 500,00) inflitta al B. a titolo di aumento per la continuazione con il reato giudicato con decreto penale di condanna del g.i.p. del Tribunale di Trani del 24.2.2005, il dispositivo non reca l’indicazione della pena predetta (alle parole "…aumenta la pena inflitta di…" non segue la specificazione della divisata pena pecuniaria, ma altre parole non funzionali al predicato verbale).
Tuttavia il delineato errore o refuso non diviene causa di nullità della sentenza, poichè dagli atti del giudizio di appello trasmessi a seguito dell’impugnazione a questa Corte (atti ostensibili, vertendosi in tema di presunto error in procedendo) emerge l’assoluta correttezza e completezza del dispositivo letto in udienza dal presidente del collegio giudicante il 30.3.2007, nel quale si statuisce testualmente: "…ritenuta la continuazione col più grave reato oggetto del decreto penale di condanna del g.i.p. del Tribunale di Trani in data 24.2.2005, aumenta la pena con lo stesso inflitta di Euro cinquecento/00 di multa". Non si è, dunque, in presenza di alcuna causa di invalidità dell’impugnata sentenza, atteso che la difformità tra il dispositivo letto in udienza (presente il difensore di fiducia del ricorrente) e quello risultante dalla sentenza in seguito depositata con la motivazione da unicamente luogo ad un errore materiale, emendabile in ogni tempo anche di ufficio con la procedura di correzione degli errori materiali prevista dagli artt. 130 e 547 c.p.p.. In vero, sebbene l’art. 547 c.p.p. non ribadisca espressamente il possibile ricorso a tale specifica forma di correzione, al pari di quanto era previsto dall’art. 476 c.p.p. 1930, comma 1, n. 3) ("quando il dispositivo della sentenza è difforme da quello letto all’udienza ed esistente negli atti"), non sembra revocabile in dubbio l’applicabilità della procedura correttiva, che – alla luce del combinato disposto dell’art. 546 c.p.p., comma 3 e art. 547 c.p.p. – diviene non percorribile soltanto nel caso in cui la "mancanza" (o incompletezza) del dispositivo sia totale e assoluta. Ciò che, per quanto chiarito, deve escludersi nel caso di specie a fronte dell’esistenza in atti del dispositivo realmente oggetto del dictum (lettura in pubblica udienza) dell’organo giudicante. Di guisa che non emerge alcuna incertezza sul reale contenuto della decisione e non risulta vulnerato alcun interesse difensivo dell’imputato, essendosi determinata una mera assenza grafica del dispositivo traslitterato nella sentenza poi depositata, agevolmente sanabile appunto con l’anzidetta procedura correttiva ex art. 130 c.p.p. (cfr. Cass. Sez. 4^, 28.10.2003 n. 49485, Rossi, m. 227071).
Nondimeno l’infondatezza del ricorso proposto dal B. non può far velo al dato storico di immediata rilevabilità dell’ormai intervenuta estinzione del reato ascritto al ricorrente per decorso del termine massimo di prescrizione previsto per la fattispecie contestata (pari a sette anni e sei mesi), ancorchè si tenga conto del periodo di sospensione del relativo decorso in misura di 5 mesi e 25 giorni già rilevato dalla Corte di Appello di Bari.
Termine che, essendo stato commesso il reato il 30.11.1999, è definitivamente spirato alla data del 25.6.2007. Per tanto va dichiarata, previo annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza, ferme restando le residue statuizioni civili, la sopravvenuta causa estintiva in ossequio all’obbligo di immediata declaratoria di cui all’art. 129 c.p.p., comma 1, in carenza – per le ragioni diffusamente esposte dalle due concordi decisioni di merito – di elementi idonei ad escludere la responsabilità penale dell’imputato.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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