Cass. pen., sez. II 18-03-2008 (04-03-2008), n. 12105 Estensione alle prove derivanti dall’atto inutilizzabile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza del 24.10.2003, il Tribunale di Milano, nell’ambito di più vasto procedimento assolse F.A. dal delitto di cui all’art. 321 c.p., in relazione all’art. 319 c.p., in concorso necessario con G.V. per non aver commesso il fatto e – esclusa la circostanza aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, e concesse le attenuanti generiche – dichiarò non doversi procedere nei confronti dello stesso per il delitto di cui all’art. 321 c.p., in relazione all’art. 319 c.p., in concorso necessario con S.R..
Avverso tale pronunzia il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Milano propose gravame ma la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 22.9.2005, confermò la decisione di primo grado.
Ricorre per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Milano deducendo:
1. omessa motivazione in relazione alla conferma dell’assoluzione di F.A. (e G.V., giudicato a parte);
infatti nell’appello il Procuratore generale aveva segnalato che, anche a voler condividere il giudizio di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, la sussistenza di numerose conversazioni fra F. e G. ed il tenore del colloquio fra F. e tale C. avevano avuto ingresso nel procedimento attraverso le dichiarazioni di G. e quelle rese da F. all’udienza 13.5.2003; a fronte della richiesta di utilizzare siffatte dichiarazioni la Corte territoriale si era limitata ad osservare che la ribadita valutazione di inutilizzabilità delle intercettazioni escludeva di dover ritornare sull’argomento, così omettendo di pronunziare sulla questione;
l’inutilizzabilità infatti, a differenza della nullità non si estenderebbe agli atti conseguenti; la Corte territoriale avrebbe altresì trascurato che i numerosi contatti, personali oltre che telefonici, fra F. e G. non avevano alcuna plausibile spiegazione lecita e si è limitata apoditticamente a ritenere prudenti e corrette le valutazioni del Tribunale; sarebbe altresì inesistente la motivazione sulla ritenuta inattendibilità di M. e CA. (che avevano confermato le accuse contro G.; l’unica sentenza acquisita era stata riformata in appello proprio riguardo alla posizione di G.; la Corte territoriale avrebbe altresì trascurato gli elementi dedotti nell’appello a sostegno dell’attendibilità di M. e CA.;
2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata esclusione delle attenuanti generiche per il reato di corruzione commesso da F. nei confronti del poliziotto S.; la Corte territoriale ha escluso che le condotte attribuite a F. ed in relazione alle quali era intervenuta assoluzione dal reato di cui all’art. 416 bis c.p., potessero essere valutate ai fini del diniego delle attenuanti generiche, non considerando che l’assoluzione era intervenuta ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, e che risultavano stretti collegamenti fra F., SA. ed altri associati e dimostravano la volontà di F. di avvalersi della forza di intimidazione che il solo nome di MI. evocava per non pagare i debiti; l’art. 133 c.p., impone di valutare la capacità a delinquere dell’imputato, nella quale rientrerebbero le condotte sopra indicate; in ordine alla gravità dei fatti la Corte territoriale ha osservato che nella corruzione di S. era stato determinante l’apporto di SA. con la conseguenza che il ruolo di F. sarebbe stato di minore gravità, rimettendosi alla sola valutazione del Tribunale, senza esaminare direttamente le risultanze, dalle quali emergeva invece che era stato F. a porre in contatto SA. e S. e che il pagamento era avvenuto nell’ufficio di F.; infine F. non era neppure incensurato.
Il primo motivo di ricorso è fondato.
La Corte territoriale ha omesso di pronunziare in ordine alla specifica censura mossa nell’appello del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Milano.
Infatti, a pag. 116 della sentenza impugnata si da atto che nell’appello del Procuratore generale si sosteneva che le intercettazioni telefoniche, ancorchè dichiarate inutilizzabili sarebbero entrate nel processo a seguito delle dichiarazioni rese da G., dell’intercettazione 26 ottobre 1992, ritenuta utilizzabile in altro procedimento contro F..
Peraltro, nell’affrontare tali censure, a pag. 171 della sentenza impugnata, ci si limita ad affermare che "la ribadita valutazione d’inutilizzabilità delle intercettazione esclude di dover tornare sull’argomento".
L’affermazione per un verso non prende in considerazione la specifica censura mossa dall’appellante e per altro verso, laddove dovesse interpretarsi nel senso che dalla dichiarata inutilizzabilità delle intercettazioni dovesse conseguire l’inutilizzabilità delle dichiarazioni sul contenuto delle stesse, non è condivisibile.
Questa Corte ha infatti affermato (ed il Collegio condivide l’assunto) che "Il principio fissato dall’art. 185 c.p.p., comma 1, secondo cui la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo, non trova applicazione in materia di inutilizzabilità, riguardando quest’ultima solo le prove illegittimamente acquisite e non altre, la cui acquisizione sia avvenuta in modo autonomo e nelle forme consentite". (Cass. Sez. 2 sent. n. 6316 del 14.11.1997 dep. 9.12.1997 rv 209149, già citata nel ricorso. In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto l’utilizzabilità ai fini cautelari delle dichiarazioni rese da soggetti -vittime di estorsioni – che avevano confermato il contenuto delle conversazioni intercorse fra loro e gli estorsori, delle cui trascrizioni avevano avuto lettura essendo state esse registrate nel corso di intercettazioni telefoniche inutilizzabili).
Le ulteriori affermazioni contenute nella sentenza impugnata in ordine alle doglianza sulla attendibilità delle dichiarazioni di M. e CA. sul punto specifico, sono generiche.
Infatti la Corte territoriale si è limitata a definire "assolutamente prudenti e corrette" le argomentazioni del primo giudice in tema di attendibilità di M. e CA. (p. 172 sentenza impugnata) senza esaminare l’aspetto specifico della doglianza e senza indicare le ragioni che imponevano di disattenderla.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata limitatamente alla assoluzione di F.A. dall’imputazione di corruzione nei confronti di G.V., con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano per un nuovo giudizio.
Il giudice di rinvio si atterrà al principio di diritto sopra enunciato e risponderà specificamente alle doglianze del Procuratore generale della Repubblica appellante.
Il secondo motivo di ricorso è invece infondato e proposto per motivi non consentiti.
Va premesso che "ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime". (Cass. Sez. 2^, sent. n. 4790 del 6.1.1996 dep. 10.5.1996 rv 204768).
E’ vero che, nel caso in esame appare errato l’argomento svolto nella sentenza impugnata secondo cui, essendo intervenuta assoluzione dal reato associativo, le condotte ascritte a F. non potrebbero essere valutate ai fini del diniego delle attenuanti generiche.
Infatti una condotta, qualora accertata, se pur non idonea ad integrare la partecipazione ad un sodalizio penalmente illecito, può riverberare sulla valutazione della personalità dell’imputato ai sensi dell’art. 133 c.p..
Tuttavia, nella specie, la Corte territoriale ha ulteriormente motivato in ordine alla ritenuta meritevolezza delle attenuanti generiche sull’assunto che negli ultimi trenta anni, a parte un episodio di assegno a vuoto, depenalizzato, e le ipotesi di corruzione per le quali si procede non erano stati accertati altri illeciti, mentre la contravvenzione (se pur in materia di armi) per la quale era stato condannato risaliva al 1971.
Sulla scorta di tali elementi la Corte d’appello ha concluso che non si era in presenza di una personalità di cui potesse affermarsi una spiccata capacità o propensione a delinquere, tanto più che i rapporti con personaggi pericolosi non erano stati mantenuti e comunque non erano in relazione all’agevolazione dell’attività del sodalizio mafioso.
In siffatta motivazione non si ravvisa una manifesta illogicità, ma un apprezzamento di merito che sembra rientrare nel senso comune e nei "limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 5^, sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass. Sez. 2^, sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
Il secondo motivo di ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Annulla l’impugnata sentenza, limitatamente al reato di corruzione nei confronti di G.V., con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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