Cass. pen., sez. I 29-02-2008 (18-02-2008), n. 9199 Reato di reingresso nel territorio dello Stato dopo l’espulsione – Condotte tipiche – Necessità della permanenza nel territorio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO E DIRITTO
Il Tribunale di Trieste assolveva H.A. dal delitto di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13, in quanto, pur essendo rientrato nel territorio italiano senza avere alcuna autorizzazione e dopo essere stato espulso, aveva dimostrato, esibendo un titolo di viaggio, che si trovava in Italia in transito provenendo dalla Francia e per recarsi a Zagabria; pertanto, poichè la norma punisce chi rientra in Italia e non chi vi transita per recarsi in altro Stato, la sua condotta non era punibile.
Avverso la decisione presentava ricorso il P.G. deducendo erronea interpretazione della legge penale osservando che la motivazione adottata dal tribunale era errata e arbitraria in quanto la norma incriminatrice non distingueva tra chi era in transito e chi si fermava nel territorio, limitandosi a punire chi rientrava nel territorio dopo esserne stato espulso, prima che fossero decorsi 5 anni.
La Corte ritiene che il ricorso debba essere accolto. Il reato contestato all’imputato prescinde completamento dai motivi per i quali costui sia rientrato nel territorio e dallo scopo perseguito e per la sua sussistenza non è prevista la permanenza nel territorio.
La motivazione adottata dal tribunale per assolvere è quella oggetto di discussione in relazione al delitto di cui all’art. 12, comma 1, cit. legge, che punisce chi favorisce l’ingresso e la permanenza del cittadino extracomunitario clandestino del territorio, in relazione alla quale fattispecie alcune decisioni sostengono che favorire il transito non è reato e che sarebbe richiesto il requisito della permanenza (Sez. 1, 20 dicembre 2006 n. 7349, rv. 236237; Sez. 1, 15 giugno 2007 n. 33232, rv. 237960). Si sostiene infatti che colui che compie atti diretti all’ingresso illegale in altro Stato non risponde di ogni azione che consenta l’introduzione nel territorio di quello Stato, ma solo di quella azione che mira a realizzare lì la destinazione finale del viaggio, mentre se la destinazione finale è il proprio paese di origine il reato non sussiste.
La fattispecie oggi all’esame della Corte è del tutto diversa e poichè la norma non richiede la permanenza nel territorio, deve affermarsi che qualunque condotta di reingresso in Italia in violazione di un ordine di espulsione costituisce il reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13.
Deve dunque annullarsi la sentenza impugnata, con rinvio ad altro Giudice.
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata e rinvia per il giudizio alla Corte d’appello di Trieste.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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