Cass. pen., sez. II 29-02-2008 (19-02-2008), n. 9174 Sussistenza di una causa di estinzione del reato – Possibilità di pronuncia di sentenza assolutoria nel merito

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
Con sentenza del 23 aprile 2003, la Corte di appello di Milano, giudicando in sede di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione pronunciato da questa Corte con sentenza del 27 febbraio 2001, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di P. R. perchè, derubricato il reato di cui al capo 24) nella ipotesi di cui all’art. 81 cpv. c.p., art. 61 c.p., n. 7, art. 110 c.p., art, 319 c.p., comma 1 e comma 2, n. 1 (vecchia formulazione) e art. 321 c.p., concesse le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, i reati al medesimo ascritti sono estinti per intervenuta prescrizione.
Propone ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo violazione del principio di diritto in riferimento al già riscontrato vizio di motivazione della precedente sentenza annullata.
I giudici del rinvio, infatti avrebbero commesso lo stesso errore già censurato in sede di legittimità, ritenendo quanto al primo episodio corruttivo che il ristretto invito a partecipare ad alcune imprese rendesse l’appalto truccato, donde l’illecito: invece, avrebbero dovuto indicare la prova che altre imprese fossero effettivamente interessate a partecipare alla gara. Quanto al secondo episodio, invece, i rilievi svolti nella pronuncia di annullamento sarebbero rimasti senza risposta, perchè – si osserva – il raggruppamento di imprese non è illegittimo e l’aver affidato l’opera alla sola Emit, "non esclude – osserva il ricorrente – la liceità del raggruppamento e la cessione in sub-appalto dell’opera purchè vi sia l’accettazione dell’Ente appaltante".
Il ricorso è manifestamente infondato. Questa Corte ha infatti avuto modo di affermare in più occasioni che in presenza di una causa estintiva del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p. solo nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la sua rilevanza penale e la non commissione del medesimo da parte dell’imputato emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile; tanto che la valutazione da compiersi in proposito appartiene più al concetto di "constatazione" che a quello di"apprezzamento". Infatti, il concetto di "evidenza", richiesto dall’art. 129 c.p.p., comma 2, presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara, manifesta ed obiettiva, che renda superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richiede per l’assoluzione ampia, oltre la correlazione ad un accertamento immediato (Cass., Sez. 4, 6 giugno 2001, p.c. in proc. Pascarella; Cass., Sez. 6, 15 febbraio 1999, p.g. in proc. Di Pinto). Il che, evidentemente, proietta riverberi ancor più incisivi nella ipotesi in cui, come nella specie, la causa estintiva sopravvenga in sede di giudizio di rinvio disposto a seguito di annullamento di sentenza di condanna per vizio di motivazione, ed il giudice del rinvio abbia più che congruamente dato atto – in positivo – degli elementi che avevano suffragato il giudizio di responsabilità dell’imputato, soddisfacendo – contrariamente all’assunto del ricorrente – le lacune argomentative evidenziate nella pronuncia di annullamento.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro 1.000,00 alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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