Cass. pen., sez. V 28-02-2008 (08-02-2008), n. 9084 Consigliere comunale che all’esito di una seduta consiliare rivolga all’indirizzo di un collega di partito l’espressione è un Giuda – Esercizio del diritto di critica politica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

MOTIVI DELLA DECISIONE
La Corte di appello di Milano, con sentenza del 4 maggio 2006, ha confermato la sentenza in data 16.7.2004 del Tribunale di Como con la quale G.P. è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia nonchè al risarcimento del danno (liquidato in Euro 5.000,00) in favore della parte civile, per il delitto di cui all’art. 595 c.p., comma 3 commesso in danno di A.A..
I giudici del merito hanno accertato che all’esito di una seduta del 14.10.2002 del Consiglio Comunale di Como, in occasione della quale doveva essere decisa la costruzione di nuovi supermercati nell’ex area (OMISSIS), l’imputato, che all’epoca dei fatti ricopriva la carica di consigliere comunale, aveva rivolto all’indirizzo del collega A., suo compagno di partito in Forza Italia, uscendo dalla sala consiliare e rivolgendosi alla postazione della stampa, la frase "E’ un Giuda".
L’epiteto traeva origine dal fatto che nel corso della seduta l’A. aveva votato contro la delibera proposta da Forza Italia, mentre nella pre-riunione del partito, svoltasi come al solito prima della seduta, non aveva sollevato obiezioni. Il giornalista M.E., de "(OMISSIS)", presente in postazione stampa all’uscita del G. dalla sala consiliare, aveva pubblicato il successivo 17 ottobre un articolo dal titolo "Forza Italia liquida A.: Giuda inaffidabile" riportando, tra le altre critiche mosse al consigliere di Forza Italia da alcuni suoi colleghi di partito, anche quella del G.. La penale responsabilità dell’imputato è stata affermata per il ritenuto carattere oggettivamente offensivo dell’espressione usata e per l’insussistenza dell’esimente di cui all’art. 51 c.p..
Contro la sentenza della Corte territoriale l’imputato ha proposto ricorso per cassazione con il quale denuncia: a1) erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione. Deduce che l’A. ha violato il regolamento interno al partito e tale comportamento è stato letto come grave tradimento politico. Andava applicata l’esimente di cui all’art. 599 c.p. per avere egli agito nello stato d’ira provocato dal fatto ingiusto della persona offesa e subito dopo che ne aveva avuto conoscenza. a2) In ogni caso ha esercitato il diritto di critica politica nei riguardi del comportamento legittimamente censurabile da parte del gruppo politico di appartenenza. Invoca la giurisprudenza di questa Sezione che in fattispecie analoga ha di recente ritenuto applicabile l’art. 51 c.p. (Sez. 5, Sentenza n. 29935 del 2006). La frase rivolta contro l’A. intendeva esclusivamente qualificare come "grave tradimento" la scelta politica di quest’ultimo senza alcun intento offensivo. a3) Deduce che non e emersa chiaramente nel corso del procedimento la fattispecie del delitto di diffamazione a mezzo stampa perchè egli non ha reso dichiarazioni o interviste al giornalista. Quest’ultimo ha captato quanto affermato dall’imputato il quale non ha inteso rivolgersi al M. in quanto giornalista e allo scopo di far divulgare la propria dichiarazione. Manca l’aggravante di cui all’art. 595 c.p., comma 3. a4) sussiste l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 2. a5) lamenta l’eccessività del danno liquidato.
Osserva la Corte che il secondo motivo di ricorso è fondato ed il suo accoglimento è assorbente rispetto a tutte le altre censure, conseguendone l’esclusione dell’antigiuridicità della condotta.
La sentenza impugnata, infatti, ha affermato che nella concreta fattispecie non può essere invocata "l’esimente di cui all’art. 51 c.p. posto che l’espressione usata dal G. nei confronti dell’ A., trascende, per il significato proprio attribuitole dal sentire comune di "traditore", di "colui che tradisce i compagni", il momento della pura critica politica all’operato della persona offesa, intaccandone invece, del tutto gratuitamente, la personalità morale", invocando in proposito un precedente di questa Corte (cfr. Cass. 761/98) già richiamato anche dal primo giudice.
Sennonchè, il precedente richiamato si riferiva a frase ben diversa da quella pronunciata dall’imputato trattandosi dell’accusa ad un avversario politico, di essersi venduto "per trenta denari", come il Giuda personaggio dei Vangeli, accusa correttamente ritenuta da questa Corte come costituente a tutt’oggi un’attribuzione di caratteristiche infamanti (Sez. 5, Ordinanza n. 761 del 1998; nello stesso senso e più di recente v. Sez. 5, Sentenza n. 4991 del 2007 in relazione all’appellativo "Giuda Iscariota" e all’accusa di essersi venduto per "trenta denari").
Più di recente, per contro, questa Sezione (Sent. n. 19509 del 2006 – Pres. Calabrese – est. Amato, in fattispecie nella quale l’imputato si era rivolto con la frase "fatti processare buffone …" al Presidente del Consiglio all’epoca in carica) ha ribadito che "il diritto di critica si concreta nella espressione di un giudizio o di un’opinione che, come tale, non può essere rigorosamente obiettiva.
Ove il giudice pervenga, attraverso l’esame globale del contesto espositivo, a qualificare quest’ultimo come prevalentemente valutativo, i limiti dell’esimente sono costituiti dalla rilevanza sociale dell’argomento e dalla correttezza di espressione (Cass. Sez. 5, 24/11/1993, n. 11211, Paesini, in tema di diffamazione a mezzo stampa. V. pure: sez. 5, 16/11/2004, n. 6416, P.C. in proc. Ambrogio;
sez. 5, 27/06/84, n. 7674, Nenci). Il diritto di critica riveste necessariamente connotazioni soggettive ed opinabili quando si svolge in ambito politico, in cui risulta preminente l’interesse generale al libero svolgimento della vita democratica. Ne deriva che, una volta riconosciuto il ricorrere della polemica politica ed esclusa la sussistenza di ostilità e malanimo personale, è necessario valutare la condotta dell’imputato alla luce della scriminante del diritto di critica di cui all’art. 51 c.p. (sez. 5, 28/11/05, n. 15236, Ferrara ed altri)".
All’uopo giova anche il richiamo alla decisione del 1 luglio 1997 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Oberschich e/Austria), "che ha ritenuto la violazione dell’art. 10 della Convenzione da parte dell’Austria, in un caso in cui il direttore di un giornale aveva pubblicato un commento su un discorso tenuto dal Leader del partito liberale austriaco e capo del governo della Carinzia, nel quale veniva definito "idiota". La Corte ha affermato in proposito:
che la libertà di espressione non vale solo per le "informazioni" e le "idee" recepite favorevolmente, ma anche per quelle che indignano od offendono; che se si tratta di un uomo politico, che è un personaggio pubblico, i limiti alla protezione della reputazione si estendono ulteriormente, nel senso che il diritto alla tutela della reputazione deve essere ragionevolmente bilanciato con l’utilità della libera discussione delle questioni politiche; che se l’espressione "idiota" può essere offensiva dal punto di vista obiettivo, è anche vero che essa appare proporzionata all’indignazione suscitata dallo stesso ricorrente" (Sez. 5^, Sent. n. 19509 del 2006).
Ora, alla luce dei principi innanzi richiamati con una recente pronuncia questa Sezione (Sez. 5, Sentenza n. 29935 del 2006) ha ritenuto che la definizione delle persone offese come "giuda" non fosse da intendere come attacco personale ma come atto politico dell’imputato, il quale "aveva inteso portare a conoscenza degli elettori la scelta, altrettanto politica delle … parti civili, di dissociarsi dalla linea ufficiale del gruppo, ponendosi anche nelle condizioni di una successiva espulsione dal partito. In tale cornice la comunicazione riguardava un tradimento a connotato chiaramente politico e del tutto scevro da profili di corruttela, dai quali il termine giuda, nell’uso comune, è ormai disancorato".
Trattasi di fattispecie del tutto sovrapponibile a quella oggetto del presente giudizio, avendo i giudici del merito – testualmente – ricostruito l’episodio nel senso che "l’epiteto traeva origine dal fatto che nel corso della seduta l’A. aveva votato contro la delibera proposta da Forza Italia, mentre nella pre-riunione del partito, svoltasi come al solito prima della seduta, non aveva sollevato obiezioni". Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per avere agito l’imputato nell’esercizio del diritto di critica politica.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non costituisce reato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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