Cass. pen., sez. I 22-02-2008 (08-02-2008), n. 8258 Misure alternative alla detenzione – Giudizio prognostico – Criteri di formulazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
Con ordinanza in data 31.5.2007 il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha respinto la istanza di affidamento in prova al servizio sociale presentata da A.F., condannato alla pena complessiva di tre anni e quattro mesi di reclusione per i reati di violenza sessuale commessi fra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) in danno di una cugina minorenne, di soli (OMISSIS) anni all’inizio dei fatti, giudicati con sentenza 20.3.2002 della Sezione Minorenni della Corte di Appello di Roma, irrevocabile il 20.5.2003 e, in continuazione, con sentenza 13.10.2004, irrevocabile il 10.1.2007, della Corte di Appello di Roma.
Il Tribunale di Sorveglianza, premesso che si trattava di gravi e ripetuti abusi commessi approfittando dello stato di prostrazione della ragazza e con la minaccia di fare scoppiare uno scandalo mettendo in giro la voce che era una ragazza facile e che per tali fatti l’A. era stato anche condannato al risarcimento dei danni in favore della vittima che si era costituita parte civile per mezzo dei suoi genitori, ha poi ritenuto che non fosse scongiurato il pericolo concreto di ripetizione di episodi collegati ad una distorta visione dei rapporti interpersonali ed in particolare di quelli attinenti alla sfera sessuale, mancando la prova che il soggetto avesse compreso il disvalore dei pregressi comportamenti e di sapersi relazionare, con il dovuto rispetto delle persone e della loro dignità, coi problemi attinenti alla sfera sessuale, poichè si trattava di un giovane che aveva esclusivo interesse per le proprie attività lavorative, non si era neppure presentato all’udienza davanti al Tribunale, non aveva risarcito la parte lesa, esprimendo soltanto una generica disponibilità a farlo tramite la assistente sociale, e non aveva acquisito consapevolezza della gravità della sua condotta riassunta nella affermazione difensiva per cui aveva "sempre pensato che la ragazza fosse consenziente". Da ciò il Tribunale ha tratto il convincimento che l’A. non avesse acquistato la consapevolezza della necessità di avviare una riflessione sull’origine della sua devianza, nel tentativo di superare le sue problematiche negandone la gravità.
Ha proposto ricorso per Cassazione la difesa dell’ A. lamentando inosservanza dell’art. 47 dell’Ordinamento Penitenziario poichè il condannato, che aveva commesso il reato quando era appena maggiorenne e non aveva altre condanne nè pendenze ed era stato ritenuto idoneo all’affidamento in prova dai servizi sociali in quanto lavorava ed era correttamente inserito nel contesto sociale, nient’altro poteva fare per dimostrare la sua revisione critica, che poi doveva essere il risultato e non il presupposto della "prova", considerato anche che non aveva potuto risarcire il danno poichè la vittima si era allontanata dal luogo di residenza e non era più rintracciabile.
Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
Il ricorso è in effetti fondato.
Il Tribunale di Sorveglianza ha respinto la richiesta di applicazione della misura alternativa valutando, nella sostanza, negativamente la mancata ammissione dei fatti per cui l’A. aveva riportato condanna, ritenuta indicativa di mancanza di revisione critica e di ravvedimento e quindi di meritevolezza.
E evidente sotto tale profilo che nell’applicazione di una misura alternativa alla detenzione il Tribunale di Sorveglianza deve tenere conto del grado di consapevolezza e di rieducazione che il condannato ha raggiunto, nonchè della evoluzione della sua personalità successivamente al fatto, al fine di consentire una ulteriore evoluzione favorevole ed un ottimale reinserimento sociale, però è altrettanto evidente che la concessione di una misura alternativa alla detenzione non presuppone la confessione del condannato, il quale ha il diritto di non ammettere le proprie responsabilità pur attivandosi per partecipare all’opera di rieducazione.
In tale ambito potrebbe eventualmente essere valutato negativamente il rifiuto del condannato di affrontare un problema grave quale è l’accusa di abusi sessuali e quindi di partecipare all’opera di rieducazione, anche al di fuori della confessione che non può essere pretesa, però si tratterebbe pur sempre di uno degli aspetti da prendere in esame, unitamente alla personalità del soggetto quale era al momento della commissione del reato e quale è attualmente, ai precedenti e alle pendenze penali, agli eventuali progressi compiuti dal condannato nel percorso rieducativo ed alla condotta di vita precedente e successiva alla condanna (v. Cass. Sez. 1, 29.11.1999 n. 5061), il tutto alla luce della osservazione e delle valutazioni offerte dal Servizio sociale, al fine di accertare la meritevolezza della misura richiesta e la idoneità della stessa a contribuire alla rieducazione del condannato, ma anche a controllare la sua pericolosità sociale, se ancora sussistente.
Tale mancata indagine comporta assenza di motivazione del provvedimento impugnato per avere omesso una valutazione imposta dal parametro normativo quale emergente dalla interpretazione giurisprudenziale ormai consolidata. E ciò tanto più che la relazione sociale ha affermato che l’A. aveva accettato la condanna con maturità e senso civico ed appariva opportuno che scontasse la pena nella forma dell’affidamento in prova per non pregiudicare il suo complessivo recupero. Sotto tale profilo la motivazione del provvedimento impugnato è meramente apparente anche perchè non da conto del contenuto della osservazione del servizio sociale che era a ciò deputato ed il cui parere doveva essere pertanto, se non determinate, comunque di grosso peso, il che costituisce vizio del provvedimento rilevabile nel giudizio di legittimità, a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in considerazione dell’obbligo generale di motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali.
Ed anche con riguardo al mancato risarcimento del danno alla vittima del reato, se è vero che la ingiustificata indisponibilità del condannato a risarcire la vittima del reato dei danni arrecatele costituisce elemento in senso negativo legittimamente valutabile dal Tribunale per rifiutargli l’affidamento in prova al servizio sociale (v. Cass. N. 39474 del 2007, rv. 237740; Cass. N. 30785 del 2001, rv.
219606), peraltro nel caso in esame non si può sostenere che vi sia stato un tale rifiuto poichè l’A. si è dichiarato disposto a risarcire il danno giustificando la sua mancata iniziativa con la mancata conoscenza del luogo in cui si è trasferita la vittima; per cui ben avrebbe potuto il Tribunale disporre, così come espressamente previsto dall’art. 47 dell’Ordinamento Penitenziario, comma 7, e come proprio di tutti i sistemi di "probation" (v. anche, per le stesse finalità, D.Lgs. n. 272 del 1998, art. 27, comma 2, lett. d, e D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 35, relativi rispettivamente ai procedimenti per i minorenni e del giudice di pace), le modalità attraverso cui il condannato si sarebbe dovuto adoperare in favore della vittima, così saggiando concretamente la sua disponibilità, visto anche che i mezzi economici non gli mancano.
Da ciò discende l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame della istanza al Tribunale di Sorveglianza di Roma, il quale si atterrà ai principi di diritto sopra indicati.
P.Q.M.
LA CORTE SEZIONE PRIMA – Annulla la ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Roma.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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