Cass. pen., sez. II 20-02-2008 (05-02-2008), n. 7916 – Consulenza tecnica di ufficio disposta in giudizio civile non ancora definito – Acquisibilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza del 18.2.2004 il Tribunale di La Spezia condannava R.P., ritenuto il vincolo della continuazione fra i diversi reati e concesse le circostante attenuanti generiche equivalenti all’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11, alla pena di mesi dieci di reclusione ed Euro 500,00, di multa, avendolo ritenuto responsabile dei reati di appropriazione indebita aggravata ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 11, e falso in scrittura privata, per essersi appropriato di somme consegnategli, nella sua qualità di procacciatore di affari, da soggetti assicurati e che avrebbe dovuto trasmettere alla compagnia di assicurazione, e per aver falsificato la firma dell’assicurato C.M.; lo condannava altresì al risarcimento del danno da liquidarsi dinanzi al giudice civile competente in favore della parte civile Inter. Ass. s.r.l.
Con sentenza del 17.6.2005 la Corte di Appello di Genova confermava la decisione impugnata.
Avverso tale sentenza l’imputato R.P. propone ricorso per cassazione lamentando la violazione di legge sotto diversi profili.
Col primo motivo di gravame il ricorrente lamenta, in relazione al reato di cui all’art. 646 c.p., e art. 61 c.p., n. 11, inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e delle norme processuali (segnatamente art. 192 c.p.p.); mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
In particolare rileva il ricorrente che la Corte territoriale aveva fondato erroneamente la propria decisione sul contenuto della deposizione del teste M.R., consulente tecnico d’ufficio in diverso giudizio civile, pur in assenza dei documenti contabili dallo stesso menzionati; ed aveva ritenuto altresì erroneamente che tale carenza documentale era superata dall’acquisizione nel giudizio di primo grado, sull’accordo delle parti, della relazione di consulenza tecnica dallo stesso redatta, atteso che mai la difesa di esso imputato aveva prestato il proprio consenso alla relativa produzione.
Il rilievo non è fondato.
In proposito osserva innanzi tutto il Collegio che la consulenza tecnica d’ufficio, disposta in un giudizio civile non ancora definito con sentenza passata in giudicato, può essere acquisita nel processo penale ai sensi dell’art. 234 c.p.p., che regola l’assunzione della prova documentale; la predetta consulenza, infatti, secondo la normativa processualcivilistica dell’istruzione probatoria, non appartiene alla categoria dei mezzi di prova, avendo essa la finalità di aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze; la sua acquisizione nel giudizio penale, pertanto, non avviene secondo la disciplina dell’art. 238 c.p.p., – che si riferisce ai verbali delle prove assunte nel giudizio civile – bensì secondo le regole poste per l’assunzione della prova documentale, dovendo essere considerata quale documento per essere stata formata fuori del procedimento penale ed essendo rappresentativa di situazioni e di cose (Cass. Sez. 3^, 25.2 / 23.5.2003 n. 22821, rv 225229).
E pertanto l’acquisizione di tale documento nel procedimento penale può essere ritualmente disposta a prescindere dal consenso prestato dalle parti.
Da ciò consegue ulteriormente, con riferimento alla fattispecie in esame, che la mancata acquisizione dei documenti contabili cui ha fatto riferimento il teste M.R. deve ritenersi senz’altro superata dalla acquisizione, ai sensi dell’art. 234 c.p.p., della relazione di consulenza tecnica d’ufficio dallo stesso effettuata nel diverso giudizio civile.
Alla stregua di quanto sopra il ricorso sul punto non può trovare accoglimento.
Col secondo motivo di gravame il ricorrente lamenta la inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (segnatamente artt. 69, 133 e 165 c.p.); mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
In particolare rileva il ricorrente che erroneamente la Corte territoriale aveva confermato la quantificazione della pena operata dal primo giudice ed il giudizio di equivalenza delle concesse attenuanti generiche con la contestata aggravante stigmatizzando la condotta processuale di esso imputato che aveva negato la propria colpevolezza, non considerando che il comportamento difensivo costituisce esercizio legittimo del diritto di difesa, di talchè da tale comportamento non può essere desunta alcuna conseguenza in tema di immeritevolezza di qualsivoglia beneficio.
Anche il suddetto motivo è infondato.
Rileva in proposito il Collegio che la Corte territoriale ha ritenuto sul punto di riportarsi al giudizio espresso dal giudice di primo grado in ordine alla quantificazione della pena, "considerato corretto ed adeguato". Orbene, devesi in proposito evidenziare che il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve far riferimento alle sentenze di primo e di secondo grado, le quali, per come a più riprese rilevato dalla giurisprudenza, si integrano a vicenda sotto il profilo motivazionale confluendo in un risultato organico ed inscindibile. Posto ciò occorre evidenziare che nel caso di specie il giudice di primo grado, espressamente richiamato dalla Corte territoriale nell’impugnata sentenza, aveva fatto riferimento ai parametri indicati dall’art. 133 c.p., di talchè deve ritenersi che lo stesso abbia considerato tutti gli aspetti indicati in tale norma o, comunque, quelli ritenuti rilevanti o determinanti.
E pertanto, alla stregua delle considerazioni in precedenza svolte, non può dubitarsi che i giudici di merito abbiano adeguatamente assolto all’obbligo della motivazione in ordine alla quantificazione della pena, trattandosi di valutazione rientrante nella discrezionalità degli stessi e che non postula una analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto.
Per quel che riguarda la censura relativa al giudizio di equivalenza delle concesse attenuanti generiche con la contestata aggravante, rileva il Collegio che sul punto il ricorso si appalesa chiaramente inammissibile per la estrema genericità di tale censura, come pure inammissibile per lo stesso motivo deve ritenersi il rilievo concernente la sospensione condizionale della pena inflitta; ciò in quanto requisito fondamentale dei motivi di impugnazione è loro specificazione consistente non solo nella precisa e determinata indicazione dei punti e delle questioni da sottoporre al giudice del gravame ma anche nella specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto o diritto su cui la proposta impugnazione trova fondamento; da ciò consegue che la mancanza di tali requisiti rende l’atto di impugnazione inidoneo ad introdurre il nuovo grado di giudizio non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi proposti ed esercitare quindi il proprio sindacato.
Col terzo motivo di gravame il ricorrente lamenta, in relazione al reato di falsità in scrittura privata, carenza di condizione di procedibilità per sopravvenuta remissione della querela e contestuale accettazione (art. 336 c.p.p., e segg.; artt. 129, 425 e 529 c.p.p.).
Sul punto il ricorso è fondato.
Ed invero la remissione di querela, intervenuta in pendenza del ricorso per cassazione e ritualmente accettata, determina l’estinzione del reato e, purchè il ricorso sia stato tempestivamente proposto, va rilevata e dichiarata anche dal giudice di legittimità.
Alla stregua di quanto sopra, risultando sia la remissione di querela da parte di C.M. in data 3.10.2005, sia l’accettazione della stessa in pari data da parte di R.P., il quale tra l’altro ha dichiarato di accettare le eventuali spese che il procedimento penale avrebbe richiesto, in accoglimento sul punto del proposto gravame, va annullata la sentenza impugnata con riferimento al reato di falso di cui al capo b) della rubrica, e va eliminata la pena di mesi uno di reclusione ed Euro 100,00, di multa irrogata a titolo di continuazione.
Va confermata nel resto l’impugnata sentenza.
Il ricorrente va condannato altresì al pagamento delle spese processuali ed a quelle sostenute dalla parte civile Inter. Ass. s.r.l., che si liquidano in complessivi Euro 3.000,00, oltre IVA e CPA.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in ordine al reato di falso di cui al capo b) della rubrica per intervenuta remissione della querela, ed eliminata la relativa pena a titolo di continuazione di mesi uno di reclusione ed Euro 100,00, di multa.
Rigetta nel resto il ricorso. Condanna l’imputato al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione di quelle sostenute dalla parte civile Inter. Ass. s.r.l. liquidate in complessivi Euro 3.000,00, oltre IVA e CPA.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *