Cass. pen., sez. II 13-02-2008 (05-02-2008), n. 6828 Contestazione cosiddetta a catena – Fatti definiti con sentenza irrevocabile – Eccezioni riguardanti il computo dei termini di custodia cautelare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
Il difensore di O.A. ricorre avverso l’ordinanza sopra indicata che ha rigettato l’appello proposto avverso l’ordinanza del Gip del Tribunale di Napoli in data 12.9.06 con cui è stata respinta la richiesta di declaratoria di perdita di efficacia della misura della custodia cautelare in carcere emessa in data 28.1.05 per decorrenza dei termini di durata massima. Il tribunale ha rigettato la richiesta di retrodatazione della misura alla data del 7.8.02 ex art. 297 cod. proc. pen. rilevando che i reati di cui alle due ordinanze custodiali non sono uniti dal vincolo della continuazione essendo fatti diversi (seppur di natura estorsiva), temporalmente e territorialmente fra loro distanti. Ha inoltre accertato che "gli elementi indiziari acquisiti solo con l’ulteriore sviluppo delle investigazioni non erano desumibili dagli atti al momento di emissione della prima ordinanza e mancava quindi la concreta possibilità di procedere unitariamente". Il giudice del riesame in conclusione rileva il difetto dei presupposti di applicazione dell’art. 297 cod. proc. pen., come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte "con sentenza 14535 resa all’udienza del 19.12.06 e depositata il 10.4.07 nell’ipotesi di ordinanze cautelari emesse in procedimenti diversi per fatti non legati da connessione qualificata.
Il ricorrente deduce violazione di legge e difetto di motivazione rilevando che il Tribunale ha omesso di considerare una terza ordinanza di custodia, quella in data 25.11.02 (la prima è, come detto, in data 9.8.02, l’ultima del 28.1.05) ordinanza emessa per fatti analoghi commessi tra il marzo ed aprile 2002, in relazione ai quali (come peraltro ricordato dalla stessa ordinanza oggi oggetto di ricorso) intervenne a seguito di giudizio abbreviato sentenza di condanna della Corte di Appello di Napoli in data 11.2.04 alla pena di anni 5 di reclusione con esclusione dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7. Deduce anche che il Tribunale ha omesso in concreto di indicare quali elementi di novità sono stati considerati nella ordinanza del 28.1.05 ed ha omesso di valutare "tutti gli elementi indicati dalla difesa alle udienza dinanzi al Tribunale del Riesame previo deposito di atti processuali a supporto della richiesta di retrodatazione dei termini di custodia cautelare".
Rileva trattarsi di fatti conosciuti dal titolare dell’azione penale sin dall’emissione della prima ordinanza, fatti fondati su precedenti propalazioni di collaboratori di giustizia e formanti due distinti procedimenti.
Nella fattispecie, come correttamente accertato dal giudice di merito e non contestato dal ricorrente, trova applicazione il principio di legittimità che statuisce nell’ipotesi in cui in diversi procedimenti sono emesse più ordinanze cautelari per fatti diversi, non legati da connessione qualificata e gli elementi posti a fondamento della seconda ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, i termini di custodia cautelare della seconda ordinanza decorrono dal momento in cui è stata eseguita o notificata la prima, se i due procedimenti sono in corso dinanzi alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del pubblico ministero. In questo caso infatti si ha una situazione che può essere assimilata a quella dei procedimenti diversi uniti da connessione qualificata che avrebbero potuto essere riuniti.
Peraltro le doglianze proposte in ricorso sono inammissibili.
Il primo motivo è manifestamente infondato avendo riferimento a fatti ormai definiti con sentenza irrevocabile in ordine ai quali non possono proporsi eccezioni di computo di termini di custodia cautelare, ma unicamente eventuali eccezioni di identità di giudicato, essendo invece non controverso trattarsi di fatti diversi.
Il secondo motivo di gravame è genericamente proposto in quanto non indica gli elementi omessi nell’accertamento di merito operato dal Tribunale. I motivi di ricorso non possono limitarsi al semplice richiamo privo di esplicita esposizione delle circostanze di fatto asseritamene esposte al giudice della cautela, allo scopo di dedurre, con riferimento ad essi, la mancanza di motivazione della ordinanza che si intende impugnare. Requisito, infatti, dei motivi di impugnazione e di ricorso è la loro specificità, consistente nella precisa e determinata indicazione dei punti di fatto e delle questioni di diritto da sottoporre al giudice del gravame.
Conseguentemente, la mancanza di tali requisiti rende l’atto di impugnazione inidoneo ad introdurre il nuovo grado di giudizio ed a produrre effetti diversi dalla dichiarazione di inammissibilità.
Alla declaratoria di inammissibilità, pronunciata a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3 segue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00. Inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis, citato art. 94.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende. Si provveda a i sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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