CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE – SENTENZA 4 febbraio 2011, n.2747 LUI È PIÙ RICCO DI LEI: SÌ ALL’ASSEGNO DI DIVORZIO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

1.1. Con il primo motivo di ricorso il B. deduce la violazione dell’art. 5 della legge n. 898 del 1970 come modificata successivamente e la insufficiente motivazione della sentenza, per avere enunciato correttamente i principi che regolano l’assegno di divorzio, falsamente applicandoli per tre profili, in relazione alla esigenza assistenziale e adeguatrice che avrebbe dovuto soddisfare l’assegno rispetto alle condizioni di vita godute dalla controricorrente nei venti anni di vita coniugale comune delle parti:

a) la disparità di situazione economica delle parti rileva ai soli fini della quantificazione dell’assegno, mentre il diritto a questo sorge solo se chi lo richieda non ha mezzi adeguati a conservare il tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale o è impossibilitato a procurarseli per ragioni oggettive. Nel caso la Corte d’appello, ad avviso del ricorrente, ha riconosciuto un mantenimento ai sensi dell’art. 156 c.c. e non un assegno di divorzio per la T. , applicando in sostanza solo detta norma, che si fonda sulla contestuale differenza reddituale e patrimoniale delle posizioni delle parti, non considerando l’adeguatezza dell’attuale posizione della beneficiarla dell’assegno alle condizioni di vita avute nel corso della convivenza coniugale.

b) la decisione impugnata si fonda quindi solo sulle attuali differenze reddituali e patrimoniali delle parti, cui viene dato il massimo rilievo, non avendo la donna fornito alcuna prova del tenore economico e sociale di vita goduto nel corso della vita comune. Per il ricorrente, la Corte non avrebbe valutato il grande patrimonio immobiliare della T. ai fini della decisione, né avrebbe considerato la disponibilità per lei della prestigiosa abitazione in via …, oltre che dell’appartamento destinato a studio del figlio, ricavando invece dall’esame dei documenti prodotti in atti le sole risultanze di cui è cenno in sentenza, che avrebbero fatto presumere il livello elevatissimo del comune stato di vita.

c) manca ogni valutazione sulle condizioni economiche di chi deve erogare l’assegno, non essendosi considerata l’età del B. , oggi ottantenne e quasi cieco, con un patrimonio composto in parte da immobili pregiati ma non redditizi, per i quali nulla può corrispondere all’ex coniuge, che, durante il matrimonio, si è sempre mantenuta da sola con il proprio lavoro di imprenditrice immobiliare.

1.2. Il secondo motivo di ricorso del B. lamenta violazione degli artt. 115 c.p.c., 2697 e 2729 c.c., anche per insufficiente e contraddittoria motivazione, potendo il giudice decidere solo "iuxta alligata et probata", con il ricorso a presunzioni desunte da fatti risultanti da elementi di prova forniti dalle parti. In ordine al tenore di vita fruito nel corso della vita comune, la T. non ha potuto dare alcuna prova, essendo quella testimoniale da lei proposta palesemente inammissibile, perché mancante dell’elenco dei testi in violazione del principio di unitarietà di detta prova. In tale contesto, del tutto astratto e in contrasto con la realtà risulta il richiamo alla relazione del c.t.u. nominato nel 1998 nel giudizio di separazione, per cui la Corte perviene ad una idea di "potenziale" inadeguatezza delle entrate della controricorrente, con un giudizio non rispondente al vero e non fondato su circostanze attuali. La T. ancora svolge, secondo il ricorrente, l’attività imprenditoriale di consulenza e mediazione immobiliare, da sempre esercitata, e quindi è errata la determinazione della Corte su tale punto decisivo, in rapporto al riconoscimento dell’assegno di divorzio.

2.1. Il ricorso incidentale condizionato all’accoglimento di quello principale della T. denuncia in primo luogo carenze motivazionali della sentenza, per non avere considerato le risultanze probatorie sulla capacità economica delle parti, compromettendo in tal modo il buon esito del ragionamento condotto in ordine all’ari e al quantum debeatur a titolo di assegno di divorzio dal B. , pur avendo riconosciuto che la misura dell’assegno di cui alla sentenza – impugnata è insufficiente ad adeguare le attuali condizioni di vita della donna a quelle godute durante la convivenza con il B. in costanza di matrimonio.

Sempre in via incidentale, si deduce che la sentenza impugnata ha indebitamente affermato che la T. non avrebbe adempiuto all’onere di prova sul tenore di vita goduto nel corso della vita comune dei coniugi, dato che la ricostruzione in via presuntiva del contributo quasi totale del B. a tale pregresso livello elevatissimo di vita nel corso della convivenza emerge chiara dalla documentazione valutata dalla sentenza impugnata, che ben motiva su di essa.

3. Il primo motivo di ricorso principale è infondato in quanto la valutazione della Corte è interamente destinata a rilevare, attraverso presunzioni ricavate dalle circostanze di fatto emergenti dalla documentazione in atti, tra cui era anche la relazione del c.t.u. nominato nel corso del processo di separazione sulle condizioni reddituali e patrimoniali al 1998 delle parti, anche il livello e lo standard di vita da esse goduti nel corso della vita comune in costanza di matrimonio. Il livello elevatissimo e prestigioso dello stato economico-sociale della coppia nella convivenza coniugale, emerge già dalla caratteristica della loro casa familiare nel Palazzo B. di cui il ricorrente è usufruttuario, le cui eccezionali dimensioni spaziali e il cui arredo con opere d’arte di valore inestimabile già evidenziano un tono economico-sociale mai più raggiungibile dalla T. con il proprio patrimonio e i suoi redditi, anche se congrui e sufficienti ad una vita più che dignitosa, ma lontanissimi dal poter permettere uno stato di vita analogo o identico a quello avuto nella vita coniugale con le entrate provenienti in via prevalente dal patrimonio dell’uomo, che tali redditi ricavava dai suoi immobili.

Il B. godeva e gode di redditi patrimoniali che, pur se di livello ridotto rispetto a quelli potenzialmente ottenibili con una buona amministrazione del patrimonio immobiliare in parte di sua proprietà e nel resto in usufrutto, comunque comportano che, come all’epoca della convivenza matrimoniale con la controricorrente, all’attualità egli fruisce di entrate superiori di molte volte a quelle della T. , potendosi oggi presumere che ciascuna delle parti, per l’età da loro raggiunta comunque vicina o superiore agli ottanta anni, non svolga più alcuna attività lavorativa, fruendo invece ciascuno del ricavato dello sfruttamento del rispettivo patrimonio, con un raffronto che evidenzia la assoluta inferiorità di quello mobiliare e immobiliare della donna rispetto all’altro del B..

Ciò è rimasto accertato in sede di merito, anche a non considerare che nella ricostruzione dei fatti ad opera della T. la stessa ha rilevato, in rapporto agli appartamenti in Roma, che ella fruirebbe solo delle rendite di uno di essi, essendo gli altri privi di reddito, perché l’uno destinato ad uso studio del figlio ed essendo stato l’altro alienato per ragioni non da lei provocate e in sede di esecuzione coattiva in danno di un comproprietario.

In considerazione delle potenzialità economiche delle parti sia patrimoniali che reddituali, su cui deve fondarsi l’esame della domanda di assegno divorzile (cfr. Cass. 13 luglio 2007 n. 15610), la Corte d’appello ha correttamente presunto l’esistenza di un tenore di vita condotto nel matrimonio dalle parti non raggiungibile in alcun modo dalla T. , anche con le sue attuali entrate di discreto livello, con motivazione logicamente congrua e senza errori di diritto, essendo le condizioni socio-economiche del B. di livello così elevato da essere irraggiungibili, per cui l’assegno si è fissato in una misura che tendenzialmente vuole riequilibrare; ma solo in parte la situazione reddituale e patrimoniale della controricorrente, dovendosi di regola escludere che la esistenza di entrate sufficienti a fruire di un discreto livello di vita per chi richiede l’assegno di divorzio possa impedire il riconoscimento del diritto a quest’ultimo, allorché le eccezionali situazioni patrimoniali e reddituali della vita comune nel matrimonio siano state tali da imporre un’integrazione a titolo di assegno anche se questo non è sufficiente a coprire la differenza di livello ma consente almeno in parte di attenuarne gli effetti in relazione al raggiungimento di standard di vita più vicini a quelli già goduti.

È quindi da negare che nel caso si sia applicato l’art. 156 c.c., essendosi pervenuti ad accertare l’esistenza del diritto all’assegno, per la necessità di adeguare la situazione economico-sociale della donna a quella fruita da lei nel matrimonio, riequilibrata parzialmente e solo tendenzialmente, con il disposto assegno di divorzio.

Si deve negare che precluda il riconoscimento del diritto all’assegno una capacità di produzione del reddito sufficiente ad una vita dignitosa o agiata di chi chiede l’assegno, ma in ogni caso di gran lunga inferiore alle entrate prodotte e producibili, sia all’epoca della vita comune durante il matrimonio che all’attualità, con il patrimonio in proprietà o in usufrutto dell’altra parte, la cui redditività nella concreta fattispecie non può che essere grandemente aumentata rispetto al 1998, in ragione del notorio incremento dei canoni di locazione tra gli anni novanta e l’attualità.

Erroneamente il ricorrente afferma che il rigetto della domanda di assegno sarebbe stato giustificabile, per non essersi provata la condizione della vita della coppia durante i venti anni di loro convivenza nel matrimonio, dovendosi correttamente presumere, come già deciso dalla Corte di merito, ancora esistente la capacità economica dell’uomo all’attualità, perché le entrate di lui sono tutte comunque derivanti da redditi immobiliari come lo erano all’epoca della vita comune, comportando quindi per lui la necessità di contribuire al riequilibrio degli insufficienti redditi dell’ex moglie per raggiungere i precedenti standard di vita già goduti, con un assegno di divorzio determinato nella stessa misura già erogata dal ricorrente come contributo al mantenimento della moglie sin dall’epoca della separazione, con conseguente rigetto del primo motivo del ricorso principale del B. .

Quanto detto copre anche le censure di cui al secondo motivo di ricorso principale, relative alle attuali condizioni di salute del B. , non potendo le stesse incidere sulla capacità reddituale dell’uomo, collegata soltanto al rilevante e grande patrimonio immobiliare di cui è proprietario o usufruttuario, in una situazione economica che, per tale profilo, non è diversa da quella in cui l’uomo era durante la vita matrimoniale, al cui adeguamento è destinato l’assegno posto a suo carico, essendo rimasto accertato che la posizione reddituale e patrimoniale della controricorrente non è adeguata a farle condurre un tenore di vita analogo a quello goduto manente matrimonio, per il quale comunque è stato ritenuto allo stato impossibile che la donna possa procurarsi redditi adeguati.

La soluzione della Corte d’appello è quindi logica e priva di errori di diritto, non potendo negarsi, ogni volta che vi sia una grande differenza nei patrimoni e nei redditi dei divorziandi, l’assegno di divorzio, solo perché in alcun caso i redditi del richiedente potrebbero essere correttamente adeguati al tenore di vita troppo elevato fruito nel matrimonio, risultato cui sul piano logico, certamente in violazione delle norme in materia, si dovrebbe giungere sulla linea indicata dalla logica del ricorso principale, che fonda sulla mancata prova del tipo di vita condotta dalla coppia durante la convivenza l’unico elemento per cui negare la fondatezza della domanda di assegno, non tenendo conto delle altre circostanze esaminate dalla Corte d’appello.

Va respinto il motivo di ricorso allorché nega la natura assistenziale e integrativa dell’assegno di divorzio nella concreta fattispecie, applicabile comunque, pure in caso di differenza del patrimonio e dei redditi tra le parti non superabile per la grande doviziosità del patrimonio di chi è obbligato all’assegno, sussistente anche manente matrimonio, con la conseguente necessità di un intervento assistenziale e integrativo, corrispondente sella specie all’assegno di divorzio nella misura fissata dalla sentenza oggetto del presente ricorso.

In conclusione, pertanto, il ricorso principale del B. deve rigettarsi perché infondato e quello incidentale condizionato all’accoglimento di esso della T. va dichiarato assorbito: per la soccombenza, le spese della presente fase di legittimità devono porsi a carico del B. e si liquidano nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale; condanna il ricorrente a pagare alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 4.200,00 (quattromila duecento/00), di cui Euro 4.000,00 (quattromila/00) per onorari, oltre alle spese generali e accessorie come per legge. Dispone, ai sensi dell’art. 52, 1^ e 5^ comma, del D.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, che siano omesse le generalità delle parti, in caso di divulgazione o diffusione del presente provvedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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