Corte Costituzionale sentenza n. 37 SENTENZA 07 – 09 febbraio 2011 .

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 8 del 16-2-2011

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’articolo 1, commi
681 e 683, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2007), promosso dalla Corte dei conti – Sezione regionale
di controllo per la Regione Lombardia nel procedimento di controllo
relativo al Comune di Pessano con Bornago con ordinanza del 1° giugno
2009, iscritta al n. 202 del registro ordinanze 2010 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, 1ª serie speciale,
dell’anno 2010.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2010 il Giudice
relatore Paolo Maddalena.

Ritenuto in fatto

1. – La Corte dei conti – Sezione Regionale di controllo per la
Regione Lombardia, con ordinanza del 1° giugno 2009, ha sollevato, in
riferimento agli articoli 5, 81, 97, 114, 117 e 119 della
Costituzione, questione di legittimita’ costituzionale dei commi 681
e 683 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – legge finanziaria 2007) «nella parte in cui prevedono
che per il rispetto degli obiettivi del patto di stabilita’ interno
per l’anno 2007 gli enti devono conseguire un saldo finanziario "in
termini di cassa" pari a quello medio riferito agli anni 2003 – 2005,
calcolato secondo la procedura stabilita dalle norme in questione».
1.1. – Nell’ordinanza di rimessione si osserva, anzitutto, che la
Sezione regionale di controllo della Lombardia deve "rendere una
specifica pronuncia", in conformita’ a quanto dispone il comma 168
dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato –
legge finanziaria 2006), sulla base delle relazioni sui conti
consuntivi degli enti locali relativi all’esercizio finanziario 2007.
Si evidenzia, quindi, che, all’esito dell’istruttoria, in base alla
relazione dell’organo di revisione economico-finanziaria, «nel
contraddittorio con l’amministrazione interessata», e’ stato
accertato che il Comune di Pessano con Bornago ha conseguito un saldo
finanziario di cassa «tale che, secondo la disciplina relativa al
patto di stabilita’ interno per l’anno 2007», e cioe’ l’art. 1, commi
678 e seguenti, della legge n. 296 del 2006, detto ente non risulta
aver conseguito l’obiettivo stabilito dalla citata normativa.
1.2. – Cio’ premesso, la Corte rimettente sostiene di essere
legittimata a sollevare la questione, assumendo che la pronuncia resa
ai sensi dell’art. 1, comma 168, della legge n. 266 del 2005
«costituisce l’accertamento di un fatto giuridico (mancato rispetto
del patto di stabilita’ interno) non fondato sulla valutazione
dell’attivita’ gestoria dell’ente ma conseguente all’esame di
legalita’ e regolarita’ delle scritture contabili quali si riflettono
nel conto consuntivo dell’ente». Si osserva che il raffronto tra la
fattispecie ed il parametro normativo «non e’ finalizzato alla
adozione di effettive misure correttive (come avviene nella sede
dell’esame del bilancio preventivo)», bensi’, all’esito
dell’accertamento di una grave irregolarita’ di natura finanziaria e
contabile, all’adozione di misure sanzionatorie sulle quali la Corte
dei conti e’ tenuta a vigilare.
Del resto, argomenta ancora il rimettente, il rispetto dei
principi desumibili dall’art. 81 Cost. da parte degli enti
territoriali e’ condizionato dai limiti esterni «fissati dallo Stato
nell’esercizio di poteri che siano espressione della tutela
dell’unita’ economica della Repubblica e del coordinamento della
finanza pubblica» (art. 117 Cost.), i quali, tuttavia, devono essere
rispettosi delle norme costituzionali «sia quanto all’estensione del
potere sia quanto al merito del vincolo».
La Sezione regionale sostiene, quindi, che, alla luce
dell’interpretazione della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), fornita
dalla stessa giurisprudenza costituzionale, vi e’ «una linea di
tendenza di significativo ampliamento delle nozioni di giudice e di
giurisdizione». A tal riguardo, ponendosi in risalto che una siffatta
valutazione trova fondamento anche «sulla posizione istituzionale,
accompagnata da garanzie costituzionali, della Corte dei conti e dei
suoi magistrati», nell’ordinanza di rimessione si richiamano le
pronunce relative alle Sezioni riunite della stessa Corte dei conti
in sede di parificazione del bilancio dello Stato, giacche’ il
procedimento deve "svolgersi" con «le formalita’ della sua
giurisdizione contenziosa» (sentenze n. 121 del 1966 e n. 244 del
1995), nonche’ quelle sulle Sezioni del controllo in riferimento al
controllo preventivo di legittimita’ sugli atti dello Stato (sentenza
n. 226 del 1976), il quale, sebbene non possa reputarsi un giudizio
in senso tecnico-processuale, e’ funzione, sotto taluni e limitati
aspetti, assimilabile «alla funzione giurisdizionale, piuttosto che
assimilabile a quella amministrativa».
Ad avviso della Corte rimettente, assumerebbe, poi, fondamentale
importanza il principio – che si assume ispiratore della
giurisprudenza costituzionale nello specifico – rappresentato
dall’ampliamento della nozione di giudice in funzione dell’esigenza
«di ammettere al sindacato della Corte costituzionale leggi che, come
nella fattispecie in esame, piu’ difficilmente verrebbero per altra
via ad essa sottoposte». Proprio nella fattispecie, rileverebbe il
fatto che agli enti territoriali sarebbe altrimenti precluso
«l’accesso al giudizio di costituzionalita’ sui vincoli fissati dallo
Stato, vincoli che condizionano la costruzione dei bilanci degli enti
e limitano l’autonomia finanziaria».
Nell’ordinanza si sostiene, dunque, che le attribuzioni della
Corte dei conti in base al comma 168 dell’art. 1 della legge n. 266
del 2005 «possono essere lette in funzione di garanzia degli enti
territoriali nel disegno complessivo di riforma del titolo V della
Costituzione", la’ dove l’accertamento della sana gestione
finanziaria ed il rispetto degli obiettivi posti con il patto di
stabilita’ e’ "stato affidato ad una istituzione caratterizzata dalla
terzieta’» (sentenza n. 179 del 2007), potendo soltanto la Corte dei
conti «tutelare effettivamente la giustiziabilita’ costituzionale dei
diritti ed interessi degli enti territoriali, in ipotesi lesi da
norme statali della cui costituzionalita’ si dubita».
Si osserva ancora che il comma 168 citato ha espressamente
individuato nella Corte dei conti "la sede specifica" di verifica del
patto di stabilita’ da parte degli enti territoriali, dinanzi alla
quale, pertanto, Comuni e Province «possono illustrare le ragioni del
mancato rispetto dei parametri finanziari del patto», che il giudice
contabile valuta. Inoltre, sostiene la Sezione remittente, l’ambito
«del presente giudizio attiene […] al raffronto tra statuizioni di
bilancio dell’ente e vincoli posti espressamente da norme statali, e
non riguarda il controllo successivo sulla gestione del bilancio e
del patrimonio delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 3
quarto comma, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, per il quale il
giudice delle leggi ha escluso che la pronuncia della Corte dei conti
rivesta i caratteri del giudizio».
1.4. – Quanto alla non manifesta infondatezza, la Sezione di
controllo per la Regione Lombardia evidenzia, anzitutto, che la
normativa impugnata, relativa al patto di stabilita’ interno per
l’anno 2007, ha previsto che gli enti territoriali, per quell’anno,
siano tenuti «al rispetto di due vincoli: uno riferito alla gestione
di competenza e l’altro alla gestione di cassa».
Ad avviso della rimettente Corte dei conti, il vincolo di
competenza, seppur limitativo della possibilita’ di azione degli
amministratori locali, «non incide sulla loro liberta’ di scegliere
le attivita’ da intraprendere, impegnando le relative somme stanziate
nel bilancio di previsione», rispettando l’organizzazione del sistema
di bilancio e di contabilita’ degli enti territoriali, «ancora basata
sul criterio della competenza».
L’introduzione di «un limite alla gestione di cassa» puo’ invece
«impedire che vengano effettuati pagamenti in misura eccedente il
saldo finanziario, anche in presenza di debiti scaduti relativi ad
obbligazioni legittimamente assunte in esercizi precedenti».
In definitiva, si determina una situazione «nella quale gli
amministratori degli enti interessati debbono scegliere se rispettare
la disciplina relativa al patto e rendersi inadempienti in relazione
ad obbligazioni regolarmente assunte o adempiere a queste ultime e
non rispettare la disciplina del patto, commettendo una grave
irregolarita’ finanziaria, idonea ad incidere sulla gestione degli
anni successivi».
Una siffatta incongruenza sembrerebbe avvertita dallo stesso
legislatore, il quale, nell’ambito della manovra finanziaria per il
2009, ha previsto che «gli enti che non hanno rispettato il patto
relativo all’esercizio 2008 per soli motivi inerenti la cassa
relativa gli investimenti, in base ad alcuni specifici criteri, non
sono assoggettati alla disciplina sanzionatoria, prevista in linea
generale per il mancato rispetto del patto (comma 21-bis dell’art.
77-bis del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. in l. 6 agosto 2008, n.
133, introdotto dall’art. 2, comma 41, lett. f) della l. 22 dicembre
2008, n. 203)».
La disciplina legislativa denunciata verrebbe, quindi, a
confliggere con vari parametri costituzionali.
Sussisterebbe, anzitutto, un contrasto con gli artt. 81, 117 e
119 Cost..
Nell’ordinanza di rimessione si rileva che, anche dopo la riforma
costituzionale del 2001, lo Stato ha conservato il potere di
disciplinare in linea generale il sistema dei bilanci pubblici,
imperniato sul meccanismo della gestione di competenza, «e, piu’ in
generale, dell’ordinamento contabile degli enti territoriali che, per
contro, possono vantare autonomia di spesa».
Sicche’, «a fronte di un sistema imperniato sulla gestione di
competenza e su obbligazioni legittimamente assunte nei confronti di
terzi non e’ ne’ razionale ne’ legittimo stabilire le regole del
patto di stabilita’ in modo da imporre, in caso di lecita assunzione
di impegni di spesa in esercizi precedenti, la scelta fra pagare il
debito violando le disposizioni sul patto di stabilita’ o osservare
queste ultime e violare le regole sul pagamento dei debiti
(regolarmente) assunti».
Inoltre, il contrasto con l’art. 81, commi terzo e quarto, Cost.
verrebbe in rilievo in quanto l’ente, nel predisporre il bilancio,
«che e’ anche strumento di programmazione», e’ tenuto ad indicare «le
modalita’ di reperimento delle risorse necessarie per far fronte alle
spese». Pertanto, nel «bilancio comunale e provinciale dell’anno nel
quale vengono allocate (e accertate) le risorse necessarie per la
realizzazione della spesa di investimento vi e’ una destinazione
specifica ed una dimensione temporale dell’intervento. Cosi’ la spesa
di investimento, nell’esercizio nel quale viene effettuata e da’
luogo a pagamento, trova copertura nelle risorse gia’ stanziate in
esercizi precedenti, trattandosi di conseguenza necessaria delle
procedure amministrative avviate negli anni precedenti».
La Sezione di controllo prospetta, altresi’, la violazione degli
artt. 97 e 119 Cost..
Si ribadisce che «il mancato raggiungimento dell’obiettivo del
patto di stabilita’ secondo i parametri della gestione di cassa e’,
nella piu’ parte dei casi, conseguenza della discrasia temporale tra
la procedura formale di impegno delle risorse necessarie per il
finanziamento di un’opera pubblica, richiesta dall’attuale sistema di
contabilita’ degli enti territoriali, l’assunzione degli obblighi
contrattuali, l’esecuzione dei lavori e i pagamenti conseguenti agli
investimenti effettuati».
Soprattutto, ma non solo, nel caso di comuni di non elevate
dimensioni, con risorse finanziarie limitate, detti pagamenti
costituiscono «la gran parte della spesa in conto capitale senza che,
a fronte, vi siano, nell’anno, altri flussi di entrata in conto
capitale comparabili, dovendo gli enti programmare nel tempo le
proprie opere pubbliche ed il reperimento delle relative risorse».
Pertanto, l’ente pubblico «il quale voglia rispettare il Patto di
stabilita’ si trova […] nella impossibilita’ di pagare gli importi
dovuti in base alle obbligazioni assunte, potendo essere
assoggettato, cosi’, alle conseguenze dell’inadempimento e, quindi, a
spese aggiuntive sia in termini di interessi che di risarcimento del
danno», con ulteriori conseguenze pregiudizievoli quanto alla
realizzazione degli stessi lavori o alla lievitazione dei loro costi.
Donde la violazione degli anzidetti parametri, giacche’ la norma
impugnata contrasta «con i principi di economicita’, efficienza ed
efficacia dell’azione amministrativa per i motivi» innanzi esposti.
Peraltro, verrebbe violato anche il principio di ragionevolezza,
posto che l’ente si trova nella situazione di non rispettare,
«alternativamente, la disposizione della legge finanziaria che
prevede la disciplina del patto ovvero le disposizioni di
contabilita’ pubblica e del codice civile sull’adempimento delle
obbligazioni»; la’ dove, inoltre, il beneficio sarebbe solo
apparente, posto che «non si tratta di mancati pagamenti veri e
propri, ma soltanto di pagamenti differiti nel tempo che si
ripercuotono sui risultati dell’esercizio nel quale il debito viene
pagato», determinando pero’ l’aggravio della maturazione di interessi
passivi.
In definitiva, la scelta che gli amministratori pubblici sono
chiamati a compiere «fra rispetto del patto di stabilita’ o pagamento
delle obbligazioni legittimamente assunte presenta gravi riflessi
sulla complessiva funzionalita’ dell’ente pubblico che, in ogni caso,
subisce un danno o una limitazione nella sua capacita’ gestionale».
Secondo il rimettente, sarebbero violati anche gli artt. 5, 114,
117, commi secondo e terzo, Cost.
Posto che, dopo la riforma del Titolo V, parte seconda della
Costituzione, lo Stato nell’esercizio dei poteri di coordinamento
della finanza pubblica e del sistema contabile pubblico «deve agire
nel solco del principio della leale collaborazione, tenendo conto
delle esigenze e necessita’ degli enti territoriali», il legislatore
statale «non puo’ prevedere obblighi a carico dell’ente che
costringano gli amministratori ad adottare comportamenti gestionali
che, in qualunque modo, implichino la violazione di disposizioni di
legge». Come gia’ rilevato, gli enti territoriali potrebbero essere
posti nell’alternativa di «pagare i debiti in scadenza, riferiti ad
attivita’ legittimamente avviate ovvero rispettare la disciplina del
patto di stabilita’ interno».
In punto di rilevanza della questione, la Sezione di controllo
rimettente osserva che «l’accertamento del mancato rispetto del patto
di stabilita’ interno anche in relazione alla sola gestione di cassa
comporta per l’ente territoriale gravi conseguenze che si
ripercuotono nella gestione degli esercizi successivi», come
accadrebbe, dunque, al Comune di Pessano con Bornago che ha osservato
i limiti del patto di stabilita’ inerenti la gestione di competenza,
ma non quelli relativi alla gestione di cassa. Sicche’, ove le
disposizioni impugnate vengano dichiarate incostituzionali, «il
Comune di Pessano con Bornago risulterebbe aver rispettato la
disciplina inerente il patto di stabilita’ per l’anno 2007».
Altrimenti, lo stesso Comune dovrebbe «procedere al calcolo degli
obiettivi relativi al patto di stabilita’ per l’esercizio 2009
utilizzando parametri finanziari maggiormente gravosi, stabiliti dal
legislatore con lo scopo di penalizzare gli enti che nel 2007 non
hanno osservato la disciplina vincolistica (art. 77-bis del d.l. 25
giugno 2008, n. 112, conv. in l. 6 agosto 2008, n. 133)».
2. – E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha
concluso per una declaratoria di inammissibilita’ o, comunque, di
manifesta infondatezza della sollevata questione.
La difesa erariale osserva che le norme impugnate, lungi dal
penalizzare il rispetto dell’art. 81 Cost., sono invece finalizzate
proprio a garantirlo piu’ incisivamente, inducendo ad una «maggiore
programmazione degli impegni e dei pagamenti». In definitiva, i
limiti anche di cassa impongono all’ente locale di «temporizzare con
assoluta precisione le varie fasi di realizzazione degli interventi
impegnati, con particolare riferimento agli stati di avanzamento
lavori e ai relativi pagamenti; programmazione assolutamente carente
prima dell’introduzione delle regole sul patto di stabilita’ interno
in termini di cassa». Con cio’ l’ente potrebbe evitare anche "gli
inconvenienti" di assumere impegni contrattuali «in carenza di spazi
finanziari per i relativi pagamenti».
Peraltro, alla situazione che il rimettente assume essersi
verificata nell’anno 2007 si sarebbe potuto porre argine «attraverso
una limitazione dei pagamenti e degli impegni e un incremento degli
accertamenti e delle riscossioni di competenza dell’anno 2007».
Inoltre, osserva ancora la parte pubblica intervenuta, proprio
per evitare che il patto di stabilita’ potesse determinare una
limitazione dell’attivita’ gestionale dell’ente, il legislatore, a
decorrere dal 2007, e a seguito di «specifica richiesta degli enti
locali», […] ha sostituito «ai limiti di spesa in termini di
competenza e cassa i limiti ai saldi», che garantiscano «maggiore
elasticita’ rispetto al tetto di spesa».
Soggiunge la difesa erariale che «i problemi sollevati dalla
Corte dei conti appaiono essere del tutto teorici», non venendo
fornita alcuna indicazione sulla natura dei pagamenti ai quali era
tenuto il Comune nel 2007 e sulle complessive risorse finanziaria a
sua disposizione; ne’, del resto, si comprende dall’ordinanza di
rimessione «se il mancato rispetto del patto in termini di cassa sia
dipeso da una oggettiva difficolta’ a contenere il complesso dei
pagamenti nel limite fissato, ovvero da una non oculata scelta dei
pagamenti da effettuare nel rispetto delle regole stabilite dalla
legislazione vigente».
La parte pubblica intervenuta conclude rammentando che, proprio
per evitare negative ricadute per la mancata capacita’ degli enti di
programmare i saldi, l’articolo 9, comma 3-bis, del decreto-legge 29
novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie,
lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione
anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con
modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2, ha previsto la
possibilita’ per i creditori, in base a certificazione degli enti
territoriali, «di procedere alla cessione dei crediti certi, liquidi
ed esigibili, pro soluto a banche o intermediari finanziari».
3. – Con successiva memoria il Presidente del Consiglio dei
ministri, ribadendo le conclusioni gia’ rassegnate, ha rilevato che
la legge sul patto di stabilita’ e’ adempimento di obblighi
comunitari, sicche’ – escludendo la pertinenza del parametro di cui
all’art. 81 Cost., che non attiene ai procedimenti di pagamento –
essa deve essere scrutinata alla luce dell’art. 117, primo comma,
Cost. e una volta acclarata, come nella specie, la "legittimita’
comunitaria, non puo’ essere effettuata nessuna indagine ulteriore in
base a parametri diversi".

Considerato in diritto

1. – La Corte dei conti – Sezione Regionale di controllo per la
Regione Lombardia, con ordinanza del 1° giugno 2009 – emessa nel
procedimento di controllo del Comune di Pessano con Bornago, ai fini
della verifica del patto di stabilita’ interno dei comuni della
Provincia di Milano, operata in base alla disciplina recata
dall’articolo 1, commi da 166 a 174, della legge 23 dicembre 2005, n.
266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006) – ha sollevato, in
riferimento agli articoli 5, 81, 97, 114, 117 e 119 della
Costituzione, questione di legittimita’ costituzionale dei commi 681
e 683 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – legge finanziaria 2007) «nella parte in cui prevedono
che per il rispetto degli obiettivi del patto di stabilita’ interno
per l’anno 2007 gli enti devono conseguire un saldo finanziario "in
termini di cassa" pari a quello medio riferito agli anni 2003 – 2005,
calcolato secondo la procedura stabilita dalle norme in questione».
1.1. – Le disposizioni denunciate – nel testo vigente al momento
dell’emissione dell’ordinanza di rimessione, per effetto delle
modifiche recate dall’articolo 1, comma 379, della legge 24 dicembre
2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008) – stabiliscono
quanto segue:
il comma 681: «Per il rispetto degli obiettivi del patto di
stabilita’ interno gli enti devono conseguire un saldo finanziario in
termini di cassa e di competenza, per l’esercizio 2007, e di sola
competenza mista, per gli esercizi 2008, 2009 e 2010, pari al
corrispondente saldo medio del triennio 2003-2005 migliorato della
misura annualmente determinata ai sensi del comma 678, lettera c),
ovvero dei commi 679 e 679-bis. Per il solo anno 2008 gli enti che
nel triennio 2003-2005 hanno registrato un saldo medio di competenza
mista positivo e maggiore del saldo medio di cassa possono conseguire
l’obiettivo di miglioramento in termini di saldo finanziario di
competenza mista o, in alternativa, in termini di cassa e di
competenza. Le maggiori entrate derivanti dall’attuazione dei commi
142, 143 e 144 concorrono al conseguimento degli obiettivi del patto
di stabilita’ interno»;
il comma 683: «Ai fini del comma 686, il saldo finanziario e
quello medio del triennio 2003-2005 sono calcolati, per l’anno 2007,
sia per la gestione di competenza sia per quella di cassa e, per gli
anni 2008, 2009 e 2010, per la sola gestione di competenza mista,
quale differenza tra le entrate finali e le spese finali al netto
delle entrate derivanti dalla riscossione di crediti e delle spese
derivanti dalla concessione di crediti. Nel saldo finanziario non
sono considerate le entrate in conto capitale riscosse nel triennio
2003-2005, derivanti dalla dismissione del patrimonio immobiliare e
mobiliare destinate, nel medesimo triennio, all’estinzione anticipata
di prestiti. Per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti
nel saldo finanziario non sono considerate le spese in conto capitale
e di parte corrente, autorizzate dal Ministero, necessarie per
l’attivazione di nuove sedi di uffici giudiziari, ivi incluse quelle
relative al trasloco».
1.2. – Ad avviso del rimettente, le norme censurate violerebbero,
anzitutto, gli artt. 81, 117 e 119 Cost., giacche’, lo stabilire un
limite ai pagamenti che di anno in anno le amministrazioni
territoriali possono legittimamente effettuare «si pone in contrasto
con le regole di fondo del sistema contabile e, conseguentemente, con
le disposizioni costituzionali che regolano l’esercizio del potere da
parte dello Stato», non risultando, «a fronte di un sistema
imperniato sulla gestione di competenza e su obbligazioni
legittimamente assunte nei confronti di terzi […] ne’ razionale ne’
legittimo stabilire le regole del patto di stabilita’ in modo da
imporre, in caso di lecita assunzione di impegni di spesa in esercizi
precedenti, la scelta fra pagare il debito violando le disposizioni
sul patto di stabilita’ o osservare queste ultime e violare le regole
sul pagamento dei debiti (regolarmente) assunti». In particolare,
poi, la violazione dell’art. 81, commi terzo e quarto, Cost.,
sussisterebbe in quanto nel «bilancio comunale e provinciale
dell’anno nel quale vengono allocate (e accertate) le risorse
necessarie per la realizzazione della spesa di investimento vi e’ una
destinazione specifica ed una dimensione temporale dell’intervento.
Cosi’ la spesa di investimento, nell’esercizio nel quale viene
effettuata e da’ luogo a pagamento, trova copertura nelle risorse
gia’ stanziate in esercizi precedenti, trattandosi di conseguenza
necessaria delle procedure amministrative avviate negli anni
precedenti».
Si deduce, inoltre, il contrasto con gli artt. 97 e 119 Cost.,
oltre che con il «principio di ragionevolezza», giacche’ la scelta
che gli amministratori pubblici sono chiamati a compiere «fra
rispetto del patto di stabilita’ o pagamento delle obbligazioni
legittimamente assunte presenta gravi riflessi sulla complessiva
funzionalita’ dell’ente pubblico che, in ogni caso, subisce un danno
o una limitazione nella sua capacita’ gestionale». E con gli artt. 5,
114, 117, commi secondo e terzo, Cost., non potendo il legislatore
statale «prevedere obblighi a carico dell’ente che costringano gli
amministratori ad adottare comportamenti gestionali che, in qualunque
modo, implichino la violazione di disposizioni di legge», come
avviene la’ dove gli enti territoriali potrebbero essere posti
nell’alternativa di «pagare i debiti in scadenza, riferiti ad
attivita’ legittimamente avviate ovvero rispettare la disciplina del
patto di stabilita’ interno».
2. – La questione e’ inammissibile per difetto di legittimazione
del rimettente a sollevarla.
2.1. – Il contesto normativo entro il quale la Sezione di
controllo per la Regione Lombardia della Corte dei conti opera nella
fattispecie e’ segnato dall’art. 1, commi 166-169, della legge 23
dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006).
Per quanto specificamente interessa, il comma 166 dispone: «Ai
fini della tutela dell’unita’ economica della Repubblica e del
coordinamento della finanza pubblica, gli organi degli enti locali di
revisione economico-finanziaria trasmettono alle competenti sezioni
regionali di controllo della Corte dei conti una relazione sul
bilancio di previsione dell’esercizio di competenza e sul rendiconto
dell’esercizio medesimo».
A sua volta il comma 167 stabilisce: «La Corte dei conti
definisce unitariamente criteri e linee guida cui debbono attenersi
gli organi degli enti locali di revisione economico-finanziaria nella
predisposizione della relazione di cui al comma 166, che, in ogni
caso, deve dare conto del rispetto degli obiettivi annuali posti dal
patto di stabilita’ interno, dell’osservanza del vincolo previsto in
materia di indebitamento dall’articolo 119, ultimo comma, della
Costituzione, e di ogni grave irregolarita’ contabile e finanziaria
in ordine alle quali l’amministrazione non abbia adottato le misure
correttive segnalate dall’organo di revisione».
Infine, con il comma 168 si prevede: «Le sezioni regionali di
controllo della Corte dei conti, qualora accertino, anche sulla base
delle relazioni di cui al comma 166, comportamenti difformi dalla
sana gestione finanziaria o il mancato rispetto degli obiettivi posti
con il patto, adottano specifica pronuncia e vigilano sull’adozione
da parte dell’ente locale delle necessarie misure correttive e sul
rispetto dei vincoli e limitazioni posti in caso di mancato rispetto
delle regole del patto di stabilita’ interno».
Quello configurato dalle norme appena richiamate costituisce una
tipologia di controllo sulla quale questa Corte ha avuto modo di
soffermarsi, segnatamente, con la sentenza n. 179 del 2007.
Con tale pronuncia si e’ posto in evidenza che le norme anzidette
introducono un nuovo tipo di controllo affidato alla Corte dei conti,
dichiaratamente finalizzato ad assicurare, in vista della tutela
dell’unita’ economica della Repubblica e del coordinamento della
finanza pubblica, la sana gestione finanziaria degli enti locali,
nonche’ il rispetto, da parte di questi ultimi, del patto di
stabilita’ interno e del vincolo in materia di indebitamento posto
dall’ultimo comma dell’art. 119 Cost.
Esso assume, quindi, anche i caratteri propri del controllo sulla
gestione in senso stretto e concorre, insieme a quest’ultimo, alla
formazione di una visione unitaria della finanza pubblica, ai fini
della tutela dell’equilibrio finanziario e dell’osservanza del patto
di stabilita’ interno, che la Corte dei conti puo’ garantire in
un’ottica "collaborativa". Pertanto, nell’esercizio di tale
controllo, detta Corte si limita alla segnalazione all’ente
controllato delle rilevate disfunzioni e rimette all’ente stesso
l’adozione delle misure necessarie.
2.3. – Cio’ premesso, giova rammentare che, in precedenza, questa
Corte ha ammesso la legittimazione della Corte dei conti a sollevare
questioni di legittimita’ costituzionale, nell’esercizio della sua
funzione di controllo, in due ambiti specifici.
Il primo ambito e’ quello del giudizio di parificazione del
bilancio dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 213 del 2008 e n. 244
del 1995), riguardo al quale la Corte ha affermato che tale giudizio
si svolge nelle forme della giurisdizione contenziosa, limitando la
legittimazione alla proposizione di questioni aventi come parametro
costituzionale di riferimento l’art. 81 Cost.
Il secondo ambito e’ quello del controllo preventivo di
legittimita’ (sentenze n. 384 del 1991 e n. 226 del 1976), in ordine
al quale la Corte ha rilevato che la funzione ivi svolta dalla Corte
dei conti e’ analoga alla funzione giurisdizionale. Si tratta,
infatti, di un tipo di controllo esterno, neutrale e volto a
garantire la legalita’ degli atti ad esso sottoposti. La
legittimazione dell’organo come giudice a quo e’ stata altresi’
giustificata anche in ragione dell’esigenza di ammettere al sindacato
costituzionale leggi che piu’ difficilmente verrebbero ad esso
sottoposte per altra via.
Appare evidente che, per i motivi sopra esposti, il tipo di
controllo in esame non puo’ essere considerato "attivita’
giurisdizionale", trattandosi di un controllo diretto non a dirimere
una controversia, ma ad assicurare, in via collaborativa, la sana
gestione degli enti locali, nonche’ il rispetto da parte di questi
ultimi del patto di stabilita’ interno e del vincolo in materia di
indebitamento di cui all’art. 119 Cost.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l’inammissibilita’ della questione di legittimita’
dell’articolo 1, commi 681 e 683, della legge 27 dicembre 2006, n.
296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), sollevata, in
riferimento agli articoli 5, 81, 97, 114, 117 e 119 della
Costituzione, dalla Corte dei conti – Sezione Regionale di controllo
per la regione Lombardia, con l’ordinanza in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2011.

Il Presidente: De Siervo

Il redattore: Maddalena

Il cancelliere: Fruscella

Depositata in cancelleria il 9 febbraio 2011.

Il cancelliere: Fruscella

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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