Corte Costituzionale sentenza n. 49 SENTENZA 07 – 11 febbraio 2011 .

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Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 8 del 16-2-2011

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 2, commi 1,
lettera b), e 2, del decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220
(Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva), convertito,
con modificazioni, con legge 17 ottobre 2003, n. 280, promosso dal
Tribunale amministrativo regionale del Lazio nel procedimento
vertente tra Cirelli Andrea e la Federazione Italiana Pallacanestro
(FIP) ed altri con ordinanza dell’11 febbraio 2010, iscritta al n.
194 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visti gli atti di costituzione della FIP, del Comitato Olimpico
Nazionale Italiano (CONI) nonche’ l’atto di intervento della
Associazione Sportiva Agora’ e del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 14 dicembre 2010 il Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano;
Uditi l’avvocato Luciano de Luca per l’Associazione Sportiva
Agora’, Guido Valori per la FIP, Alberto Angeletti e Luigi Medugno
per il CONI e l’avvocato dello Stato Carlo Sica per il Presidente del
Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Nel corso di un giudizio avente ad oggetto la impugnazione,
proposta da persona tesserata, in qualita’ di dirigente sportivo,
presso la Federazione italiana pallacanestro (FIP) della sanzione
disciplinare della inibizione allo svolgimento di ogni attivita’
endofederale per la durata di anni 3 e mesi 4, irrogata nei suoi
confronti con decisione della Camera di conciliazione e arbitrato per
lo sport del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), e di
numerosi altri atti ad essa prodromici, il Tribunale amministrativo
regionale del Lazio, con ordinanza depositata in data 11 febbraio
2010, ha sollevato, in riferimento agli artt. 24, 103 e 113 della
Costituzione, questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 2,
commi 1, lettera b), e 2, del decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220
(Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva), convertito,
con modificazioni, con legge 17 ottobre 2003, n. 280.
1.1. – Il giudice rimettente, prima di illustrare i profili di
rilevanza e di non manifesta infondatezza della presente questione,
riferisce ampiamente in merito alle vicende del giudizio a quo, nei
termini qui di seguito riassunti.
Nel marzo del 2007 il ricorrente in tale giudizio, team manager
della squadra di pallacanestro Benetton Treviso, fu deferito dal
Procuratore federale della FIP di fronte agli organi della giustizia
federale in quanto, al fine di consentire il tesseramento per la
predetta compagine di un giocatore, avrebbe confezionato un falso
atto di risoluzione contrattuale relativo alla posizione di altro
giocatore della medesima squadra. Per tali fatti, costituenti
illecito sportivo, egli, oltre ad essere stato licenziato dalla
Benetton Treviso, veniva sanzionato dal giudice sportivo di primo
grado con la inibizione da qualsiasi attivita’ federale per la durata
di anni 2. Essendo stato tale provvedimento impugnato, sia dalla FIP
che dal tesserato, di fronte alla Corte federale, questa, in
accoglimento del gravame proposto dalla Federazione, aggravava la
sanzione irrogata protraendo la durata della inibizione sino a
complessivi anni 3 e mesi 4. In relazione a tale provvedimento il
tesserato proponeva istanza di conciliazione di fronte alla Camera di
conciliazione e arbitrato per lo sport che, pero’, fallito il
tentativo di conciliazione, confermava, in sede contenziosa, il
precedente provvedimento.
A questo punto il dirigente sportivo inibito, articolando tre
motivi di censura (ampliati, in seguito, con altri due motivi
aggiunti), impugnava di fronte al TAR del Lazio sia la decisione
assunta in sede conciliativa che quelle prese nelle precedenti fasi
giustiziali nonche’ i provvedimenti con i quali egli era stato
deferito agli organi della giustizia sportiva. Impugnava, altresi’,
le disposizioni, di natura statutaria e regolamentare, le quali,
disciplinando le modalita’ di funzionamento della giustizia sportiva,
prevedono che i tesserati federali debbano adire gli organi della
suddetta giustizia nelle materia di cui all’art. 2 del decreto-legge
n. 220 del 2003, comminando a loro volta, in caso di violazione di
tale dovere, ulteriori sanzioni disciplinari.
1.2. – Nel giudizio di fronte al TAR, si costituivano la FIP ed
il CONI eccependo ambedue, in via preliminare, il difetto di
giurisdizione del giudice adito, e il secondo, sempre
preliminarmente, la propria carenza di legittimazione passiva, la’
dove, nel merito, ambedue sostenevano la infondatezza del ricorso.
1.3. – Dopo che il ricorrente aveva depositato presso la
segreteria del TAR copia della sentenza del Tribunale di Bologna che
lo aveva assolto dal reato di frode sportiva usando la formula
«perche’ il fatto non sussiste», il TAR, in data 28 gennaio 2010,
tratteneva la causa per la decisione.
2. – Il giudice a quo Ritiene di dovere preliminarmente esaminare
l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalle parti
resistenti costituite, secondo le quali le sanzioni sportive
sarebbero impugnabili, ai sensi dell’art. 2, primo comma, lettera b),
del decreto-legge n. 280 del 2003, solo di fronte agli organi della
giustizia sportiva.
A tale proposito, rileva di avere piu’ volte affermato la propria
giurisdizione in materia di sanzioni disciplinari sportive diverse da
quelle tecniche – cioe’ da quelle preordinate ad assicurare la
regolarita’ della competizione e la rispondenza del risultato ai
valori sportivi in essa espressi – in considerazione del fatto che il
principio, espresso dal decreto-legge n. 220 del 2003, secondo il
quale l’ordinamento sportivo e’ disciplinato autonomamente da quello
statale, trova una espressa deroga in caso di rilevanza per
quest’ultimo di situazioni giuridiche, costituenti diritti soggettivi
e interessi legittimi, connesse con il primo. E’ il caso delle
controversie che abbiano ad oggetto rapporti giuridici patrimoniali
fra societa’ sportive ed atleti, devolute al giudice ordinario,
ovvero il caso di controversie relative ai provvedimenti del CONI o
delle Federazioni sportive, devolute al giudice amministrativo.
2.1. – Tale impostazione e’ compendiata dal rimettente nel
principio secondo il quale la giustizia sportiva si occupa della
applicazione delle regole sportive, quella statale entra in gioco ove
la controversia concerna la lesione di diritti soggettivi o interessi
legittimi.
In particolare, per cio’ che concerne la giurisdizione
disciplinare, il TAR ha piu’ volte affermato che l’art. 2, comma 1,
lettera b), del decreto-legge n. 220 del 2003, il quale riserva al
giudice sportivo le questione relative a «comportamenti rilevanti sul
piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative
sanzioni sportive», non opera la’ dove la sanzione non si esaurisca
nell’ambito sportivo, refluendo, invece, anche nell’ordinamento dello
Stato.
In applicazione di tale tesi il TAR, prosegue l’ordinanza di
rimessione, ha affermato la propria giurisdizione in relazione a
ricorsi proposti da dirigenti, societa’ sportive e giudici di gara in
relazione alle note sanzioni disciplinari emesse dalla Corte federale
della Federazione italiana giuoco calcio al termine della stagione
calcistica 2005/2006, mentre la ha declinata in occasione della
impugnazione del provvedimento con il quale un arbitro di calcio non
era stato iscritto nei ruoli degli arbitri della Serie A e B in
considerazione della asserita carenza delle necessarie qualita’
tecniche.
2.2. – Tale impostazione, ad avviso del rimettente, si fonda
anche sulla necessita’ di dare dell’art. 2, comma 1, lettera b), del
decreto-legge n. 220 del 2003 una lettura costituzionalmente
orientata, in accordo col principio, piu’ volte espresso dal giudice
delle leggi, secondo il quale l’interprete deve, fra piu’ letture
possibili di una norma, privilegiare quella idonea a fugare i dubbi
di costituzionalita’, dovendosi dichiarare la illegittimita’
costituzionale di una disposizione legislativa solo la’ dove sia
impossibile dare di essa una interpretazione che preservi i valori
costituzionali ad essa sottesi.
Aggiunge il rimettente che anche nel caso esaminato nel giudizio
a quo vi erano argomenti che, alla luce della pregressa
giurisprudenza, consentivano di affermare che il legislatore, col
decreto-legge n. 220 del 2003 avesse voluto si’ garantire il previo
esperimento di tutti i rimedi propri della giustizia sportiva, ma
senza che cio’, una volta esauriti quelli, escludesse, per le
sanzioni rilevanti anche nell’ordinamento generale, la possibilita’
di adire il giudice dello Stato.
2.3. – Tale «parabola argomentativa» – riferisce sempre il
rimettente TAR – pero’ non e’ stata, di recente, condivisa dal
Consiglio di Stato che, partendo dal rilievo che frequentemente i
provvedimenti disciplinari adottati in ambito sportivo incidono,
almeno indirettamente, su situazioni giuridiche rilevanti per
l’ordinamento generale, si e’ interrogato se, in tali evenienze,
debba prevalere il valore della autonomia dell’ordinamento sportivo
ovvero il diritto di azione e di difesa in giudizio. Rispondendo a
tale quesito, pur consapevole delle perplessita’ di ordine
costituzionale che ne potrebbero derivare, il Consiglio di Stato ha
ritenuto di dover privilegiare la prima delle due possibili
alternative, affermando che, visto il tenore letterale degli artt. 2
e 3 del decreto-legge n. 220 del 2003, deve concludersi che il
legislatore, nel demandare alla giustizia sportiva la cognizione sui
comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e sulle conseguenti
sanzioni, non ha attribuito importanza al fatto che queste ultime
possano anche produrre effetti incidenti sul piano morale o
patrimoniale.
3. – Ritiene, pertanto, il rimettente, tenuto conto del ricordato
recente arresto del Consiglio di Stato, di dovere aderire alla
impostazione di quest’ultimo, sollevando, pero’, questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera b), e, in
parte qua, anche del comma 2 del decreto-legge n. 220 del 2003,
convertito con modificazioni, con legge n. 280 del 2003, per
contrasto con gli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione, nella parte
in cui riserva al giudice sportivo la competenza a decidere in via
definitiva le controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari
non tecniche inflitte ad atleti, tesserati, associazioni e societa’
sportive, sottraendole al giudice amministrativo, anche se i loro
effetti superano l’ambito dell’ordinamento sportivo, incidendo su
diritti ed interessi legittimi.
Riscontrata la rilevanza della questione nel giudizio a quo,
atteso che l’esame della impugnazione del ricorrente postula la
giurisdizione del giudice adito, il rimettente, aderendo alla
ricordata opzione ermeneutica del Consiglio di Stato, volta a
privilegiare il tenore letterale dell’art. 2 del citato decreto-legge
n. 220 del 2003, a scapito di una lettura sistematica di esso, in
passato adottata dallo stesso rimettente, che valorizzi anche il
regime derogatorio previsto nella parte finale del comma 2 del
medesimo decreto-legge, afferma la non manifesta infondatezza della
questione.
3.1. – Ritiene il rimettente che la tesi ora seguita violi in
primo luogo l’art. 24 della Costituzione che garantisce il diritto,
in ogni stato e grado del procedimento, di agire in giudizio a tutela
dei propri diritti ed interessi legittimi. Violati sarebbero,
altresi’, gli artt. 103 e 113 della Costituzione, che consentono
l’impugnativa degli atti amministrativi di fronte agli organi della
giustizia amministrativa, non potendosi dubitare, proprio per la
riserva di giurisdizione contenuta nell’art. 3 del decreto-legge n.
220 del 2003, della riconducibilita’ al genere degli atti
amministrativi dei provvedimenti emessi dal CONI e dalle Federazioni
sportive.
Ne’ la disciplina censurata puo’ ritenersi giustificata dalla
esigenza di assicurare, in considerazione della peculiarita’ degli
interessi in gioco, una giustizia rapida che l’ordinamento statuale
non sarebbe in grado di assicurare, dato che lo stesso legislatore
del 2003, consapevole di cio’, ha esteso al contenzioso sportivo la
disciplina acceleratoria del processo dettata per altre materie in
cui e’ riscontrabile la medesima esigenza di speditezza. Aggiunge il
rimettente che, se cio’ non fosse stato ritenuto sufficiente, il
legislatore, senza giungere a violare il diritto di difesa, avrebbe
potuto introdurre ulteriori strumenti di velocizzazione del processo.
Precisa il rimettente che la illegittimita’ costituzionale non
viene da lui ravvisata nella cosiddetta pregiudiziale sportiva, che
e’, anzi, una logica conseguenza della autonomia dell’ordinamento
sportivo, ma nella preclusione del ricorso alla giurisdizione
ordinaria una volta esauriti i gradi di quella sportiva. Parimenti
estraneo alla problematica in esame e’ il caso della sanzione
tecnica, irrogata nel corso od in conseguenza della competizione
sportiva: in tal caso, infatti, manca lo stesso presupposto per poter
invocare la tutela dell’art. 24 della Costituzione, cioe’ la lesione
di posizioni giuridiche rilevanti. Invero, alle regole tecniche non
puo’ attribuirsi la valenza di norme di relazione da cui scaturiscono
diritti soggettivi e contrapposti obblighi per quanti operano
nell’ordinamento sportivo. Dovendosi altresi’ escludere che le
decisioni assunte dai giudici di gara abbiano valenza
provvedimentale, non e’ ravvisabile in capo ai destinatari di esse
una posizione di interesse legittimo. In definitiva sia la violazione
delle regole tecniche proprie di una disciplina sportiva che le
sanzioni da essa derivanti appartengono all’«irrilevante giuridico»,
per il quale la «giustiziabilita’ puo’ essere […] riservata agli
organi della giustizia sportiva».
A tale approdo, rileva il rimettente, era, peraltro, gia’
pervenuto il giudice ordinario allorche’ aveva affermato, sia pure
anteriormente alla entrata in vigore del decreto-legge n. 220 del
2003, che l’ordinamento generale, pur riconoscendo l’autonomia di
quello sportivo, per un verso pretende che le norme fondamentali di
questo si armonizzino con le proprie e per altro verso assicura la
tutela delle posizioni giuridiche che gravitano nella sua orbita,
esulando da essa le disposizioni, meramente tecniche, che
l’ordinamento speciale ha elaborato ai fini della acquisizione del
risultato della competizione sportiva.
3.2. – Ritiene il TAR del Lazio che tale caratteristica, cioe’
l’esaurire la loro efficacia all’interno dell’ordinamento sportivo,
non sia propria anche dei provvedimenti con i quali sono inflitte
sanzioni disciplinari per violazioni di regole non tecniche, posto
che queste, dirette a modificare in modo sostanziale, sebbene non
irreversibile, lo status dell’affiliato, ridondano in danno della sua
sfera giuridica rilevante per l’ordinamento generale.
Ne’ puo’ invocarsi al proposito l’autonomia dell’ordinamento
sportivo, essendo giustificabile la intangibilita’ di questo solo in
quanto gli atti e le pronunce ad esso riferibili esauriscano i loro
effetti all’interno del medesimo.
Cio’ non avviene ove le valutazioni e gli apprezzamenti espressi
investano con immediatezza i diritti fondamentali del loro
destinatario, influendo negativamente sulla sua onorabilita’, cosi’
come si verifica nel caso di specie, la’ dove il danno sofferto dal
ricorrente starebbe non tanto nella misura interdittiva a lui
applicata, quanto nel giudizio di riprovevolezza morale che ad essa
sottende.
3.3. – Pertanto il TAR del Lazio ha sollevato, in relazione agli
artt. 24, 103 e 113 della Costituzione, questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 2, commi 1, lettera b), e, in parte qua, 2,
del decreto-legge n. 220 del 2003, convertito, con modificazioni, con
legge n. 280 del 2003, nella parte in cui riserva al giudice sportivo
la cognizione sulle controversie relative alle sanzioni disciplinari
non tecniche inflitte ad atleti, tesserati associazioni e societa’
sportive, sottraendola al giudice amministrativo, anche la’ dove esse
incidano su diritti ed interessi legittimi che, per l’ordinamento
generale, il rimettente TAR e’ chiamato a tutelare.
4. – Si e’ costituito in giudizio il CONI chiedendo che la
questione di legittimita’ costituzionale sia dichiarata inammissibile
ovvero, in subordine, infondata.
4.1. – Ad avviso della difesa del CONI, l’ordinanza di rimessione
presenta profili di inammissibilita’ connessi alla mancata
valutazione della natura della decisione, oggetto di impugnazione di
fronte al TAR, della Camera di conciliazione ed arbitrato dello
sport. Infatti, se tale decisione fosse qualificata come lodo
arbitrale rituale, tenuto conto della compromettibilita’ degli
interessi sostanziali coinvolti dalla decisione, resterebbe salva la
possibilita’ per il destinatario di essa di giovarsi delle forme di
gravame consentite dal codice di rito in relazione a siffatta
tipologia di decisioni.
Prosegue la difesa del CONI rilevando che il descritto difetto
motivazionale della ordinanza di rimessione neppure potrebbe essere
ovviato dal riferimento, peraltro non contenuto nella ordinanza del
TAR del Lazio, all’indirizzo giurisprudenziale, da tale parte
definito consolidato, in base al quale le decisioni assunte in seno
alla Camera di conciliazione ed arbitrato dello sport, sebbene
assunte nel contraddittorio delle parti, avrebbero la natura di
provvedimenti amministrativi, sicche’ non sarebbe ad esse applicabile
la normativa in tema di impugnazione dei lodi arbitrali. Tale
orientamento, infatti, e’ sorto in materia di ricorsi avverso la
mancata ammissione a campionati, e si fonda sulla non suscettibilita’
degli interessi in tali casi coinvolti ad essere oggetto di clausola
compromissoria, dato che essi – stante il potere «pacificamente
pubblicistico» spiegato dal soggetto che ha denegato la ammissione –
sarebbero qualificabili sotto la specie degli interessi legittimi.
Poiche’ tale vincolo negativo non sussisterebbe in materia
disciplinare, il ricordato orientamento giurisprudenziale (a
prescindere dai dubbi espressi sulla sua correttezza) non sarebbe
pertinente al caso in questione.
4.2. – Nell’esaminare, a questo punto, la normativa concernente
la giustiziabilita’ delle sanzioni disciplinari irrogate in ambito
sportivo, la suddetta difesa Osserva che la loro sottrazione alla
cognizione della autorita’ giudiziaria statuale concerne le sole
sanzioni irrilevanti per l’ordinamento generale, posto che la
autonomia dell’ordinamento sportivo, sancita dal decreto-legge n. 220
del 2003, non e’ assoluta, ma, a mente del comma 2 dell’art. 1 del
citato decreto-legge, trova una deroga ogni qual volta la sanzione ha
una attitudine lesiva che trascende i limiti dell’ordinamento
sportivo. Esemplificando, la difesa dell’Ente sostiene che esulano
dalla soglia di indifferenza connessa a tale ordinamento le sanzioni
che incidono direttamente sullo status di tesserato rescindendo il
legame associativo, come nel caso della radiazione, mentre sono
comprese in essa quelle da cui non puo’ derivare alcuna lesione
rilevante per l’ordinamento generale (sanzioni pecuniarie, inibizione
allo svolgimento di attivita’ endofederale, penalizzazioni sportive).
Emblematica sarebbe, in tal senso, la stessa vicenda oggetto del
giudizio a quo, posto che la inibizione inflitta comporta solo il
divieto di svolgere attivita’ in ambito federale, senza incidere sul
rapporto di lavoro, unico rilevante sul piano generale, che lega il
dirigente alla societa’ sportiva. Parimenti irrilevanti per
l’ordinamento generale sono le sanzioni pecuniarie, posto che le
federazioni sportive per la loro esazione non possono ricorrere a
strumenti apprestati dell’ordinamento statuale ma solo a quelli
previsti da quello speciale.
Ritiene, infine, la difesa del CONI che sara’, di volta in volta,
compito dell’organo giudicante valutare se i termini della
controversia a lui devoluta siano tali da coinvolgere direttamente
posizioni giuridiche tutelate dall’ordinamento generale, ritenendo
solo in questo caso la propria giurisdizione, declinandola nel caso
opposto. Cosi’ intesa la disciplina contenuta nel decreto-legge n.
220 del 2003 non da’ piu’ adito a dubbi di legittimita’
costituzionale, risultando non tutelate solo le posizioni giuridiche
prive di rilevanza in ambito statuale.
Va tuttavia precisato, prosegue la esponente difesa, che il
coinvolgimento della posizione giuridica rilevante deve essere
diretto e non, come in passato sostenuto dal TAR del Lazio, anche
indiretto, atteso che questa opzione ermeneutica avrebbe l’effetto di
rendere lettera morta la riserva di giurisdizione disciplinare in
favore degli organi della giustizia sportiva posta dal legislatore,
dato che, come certamente non e’ sfuggito a quest’ultimo, ogni
sanzione sportiva e’ di per se’ astrattamente idonea a determinare
effetti riflessi proiettati anche al di fuori dell’ordinamento
sportivo.
Che le uniche sanzioni disciplinari destinate a incidere
direttamente su posizioni giuridiche rilevanti per l’ordinamento
generale siano quelle coinvolgenti lo status del destinatario e’
desumibile anche dal fatto che, in sede di conversione in legge del
decreto-legge n. 220 del 2003, il Parlamento elimino’ dal comma 1
dell’art. 2 l’intera lettera c), la quale riservava all’autonomia
dell’ordinamento sportivo anche le questioni concernenti
«l’ammissione e l’affiliazione alle Federazioni sportive di societa’,
associazioni sportive e di singoli tesserati», restituendo, quindi,
agli organi dello Stato le eventuali controversie su di esse.
4.3. – Osserva, conclusivamente, la difesa del CONI che, nel
corso del giudizio a quo, la disciplina dei rimedi giustiziali propri
dell’ordinamento sportivo ha subito una sensibile revisione: infatti,
attraverso la sostituzione della Camera di conciliazione ed arbitrato
dello sport con il Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport, si
e’ inteso accentuare sensibilmente i profili arbitrali di tale organo
giudicante, dotato espressamente di competenza arbitrale e le cui
decisioni, definite lodi e alle quali si perviene a seguito di un
iter procedurale ampiamente ricalcato su quello previsto dal codice
di rito per i giudizi arbitrali, sono, se assunte riguardo a
controversie «rilevanti per l’ordinamento giuridico dello Stato»,
suscettibili del mezzo di gravame di cui all’art. 828 cod. proc. civ.
Privo, invece, di siffatta connotazione arbitrale sarebbe,
invece, l’altro organo ora previsto al vertice della giustizia
sportiva, l’Alta Corte di giustizia sportiva, che, in quanto
destinato a giudicare su materie sottratte ai poteri di disposizione
delle parti o in assenza di regolamentazione pattizia e poiche’
munito di un’investitura di fonte regolamentare e formato da soggetti
non scelti dalle parti, deve essere considerato «depositario di
funzioni decisorie di natura amministrativa», tali, pertanto, da
consentire la qualificazione in termini di provvedimento
amministrativo degli atti da essa assunti, con le derivanti
conseguenze in termini di regime impugnatorio.
Da tali novita’ ordinamentali la costituita difesa fa discendere
la inattualita’ della questione proposta dal TAR del Lazio ed il
rischio che un suo eventuale accoglimento renderebbe l’ordinamento
sportivo privo della necessaria riserva di giurisdizione riguardo
alle sanzioni disciplinari che non producono effetti esterni
all’ordinamento stesso.
5. – Si e’, altresi’, costituita in giudizio la FIP, la quale ha
concluso nel senso della inammissibilita’ della questione di
legittimita’ costituzionale o, comunque, della sua infondatezza.
5.1. – Quanto alla inammissibilita’, la difesa della FIP Osserva
che, in realta’, il dubbio di legittimita’ costituzionale dedotto dal
TAR non si alimenta tanto del tenore testuale della disposizione
censurata quanto deriva dalla interpretazione che di essa ne e’ stata
data dal Consiglio di Stato con la nota decisione n. 5782 del 2008,
interpretazione, ricorda la esponente difesa, che lo stesso TAR aveva
in passato disatteso, ritenendo, invece, che ne fosse consentita
un’altra che facesse salva la giurisdizione statuale ogniqualvolta
gli effetti che discendono dalla sanzione disciplinare non
esauriscano i loro effetti all’interno dell’ordinamento sportivo ma
li proiettino anche all’esterno di esso.
Essendo chiaro che, nel caso di specie, il rimettente avrebbe
avuto tutti gli strumenti per verificare l’ambito di efficacia della
sanzione disciplinare irrogata al ricorrente nel giudizio a quo, si
afferma la inammissibilita’ della questione, essendo stata questa
sollevata non tanto per dirimere un effettivo dubbio di
costituzionalita’, quanto per ottenere l’avallo della Corte ad una
determinata interpretazione normativa.
Ritiene, peraltro, la difesa della FIP che nella fattispecie,
avendo il ricorrente in sostanza chiesto al TAR di pronunziarsi sulla
sussistenza o meno dei presupposti sostanziali per la irrogazione
della sanzione disciplinare, sarebbe evidente il tentativo di
trasformare, attraverso la allegazione di effetti indiretti della
sanzione, il giudice statale in un giudice (del fatto) sportivo; ma
proprio la mancanza di una posizione giuridica tutelata
nell’ordinamento generale viene a giustificare, in questo caso, la
declinatoria di giurisdizione.
5.2. – Prosegue la Federazione Osservando che, comunque, la
questione, ove se ne riscontrasse la rilevanza, sarebbe infondata.
Infatti l’art. 2 del decreto-legge n. 220 del 2003 va letto
congiuntamente all’art. 1 che, nel garantire la autonomia
dell’ordinamento sportivo, precisa che siffatta tutela si esplica in
termini assoluti solo nelle materie il cui rilievo e’ esclusivamente
interno a tale ordinamento. Invece, la’ dove entrano in gioco diritti
ed interessi protetti dall’ordinamento generale, la garanzia
dell’ordinamento particolare cede di fronte a quelle apprestate ai
soggetti dall’ordinamento generale.
Non essendo sempre possibile individuare le due diverse tipologie
di interessi in gioco, il legislatore ha ritenuto di selezionare due
blocchi di regole che attengono in maniera esclusiva all’ordinamento
sportivo, non potendo questo sopravvivere se non puo’, per un verso,
autonomamente regolamentare la propria attivita’ e non ha, per altro
verso, gli strumenti per ottenere, attraverso i procedimenti
disciplinari, il rispetto dei principi di lealta’ sportiva.
In questo senso al concetto di autonomia si ricollega quello
della autodichia, dovendo un ordinamento, legittimato ad emanare
regole, essere in grado di istituire organi che valutino le relative
controversie. In tal senso il legislatore statuale ha riservato alla
esclusiva giurisdizione sportiva le questioni di cui alle lettere a)
e b) dell’art. 2 del decreto-legge n. 220 del 2003, ma tale
esclusivita’ non sarebbe assoluta, in quanto il giudice statuale e’
comunque chiamato a conoscere, anche in questi casi, sui diritti e
sugli interessi protetti dallo Stato.
Dalla applicazione dei criteri che precedono consegue la
infondatezza del dubbio di legittimita’ costituzionale dell’art. 2
del decreto-legge n. 220, atteso che la riserva di giurisdizione
nelle materie di cui alle lettere a) e b) del medesimo non comporta
la sottrazione allo Stato delle sue prerogative riguardanti le
posizioni giuridiche soggettive protette dall’ordinamento generale,
in quanto per queste ultime rimane salva la giurisdizione del giudice
statale.
5.3. – La problematica, in sostanza, consisterebbe nella
delimitazione, rimessa all’apprezzamento del giudice, del concetto di
cosa sia giuridicamente rilevante, cosi’ esulando dalla
costituzionalita’ della norma ora in questione. Ove sia rinvenibile
tale rilevanza, sussisterebbe l’esigenza di tutela giurisdizionale
che legittima il ricorso al giudice statale, ove, invece, sia
richiesta la tutela di una posizione di mero fatto, difettando una
vera e propria domanda giudiziale, non vi puo’ essere radicamento
della giurisdizione statale.
Applicando tali principi all’ipotesi di sanzione disciplinare
irrogata in ambito sportivo, se la impugnazione di questa e’ solo
finalizzata al riesame delle medesima questione gia’ decisa dal
giudice sportivo, essa, senza che rilevino – per quanto gravi possano
essere – gli eventuali effetti indiretti del provvedimento impugnato,
e’ insindacabile dal giudice ordinario.
6. – E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello
Stato, che ha concluso per la inammissibilita’ della questione o,
comunque, per la sua non fondatezza.
6.1. – Riguardo alla inammissibilita’, la difesa erariale Osserva
che il TAR rimettente Ritiene che la lesione subita dal ricorrente
nel giudizio a quo e’ data dalle pregiudizievoli valutazioni
personali contenute negli atti impugnati, tali da fondare un giudizio
negativo sulle qualita’ morali dello stesso, Atteso, pero’, che nel
giudizio a quo e’ solamente richiesto l’annullamento degli atti
impugnati, senza alcun profilo risarcitorio, mancherebbe nel caso di
specie – o quantomeno non ne e’ adeguatamente chiarita dal rimettente
la sussistenza – quel riflesso nell’ordinamento generale della
sanzione sportiva che ne giustificherebbe il sindacato da parte del
giudice statale: di tal che la questione sarebbe irrilevante nel
giudizio a quo.
Essa sarebbe, comunque, anche infondata. Il legislatore del 2003
si sarebbe, infatti, limitato a precisare, riportandosi ad un
consolidato orientamento precedentemente formatosi sia in dottrina
che in giurisprudenza, quali sono gli atti delle associazioni
sportive indifferenti per l’ordinamento statale e che, pertanto,
sfuggono alla giurisdizione di questo. Fra questi gli atti con i
quali viene sanzionato il comportamento del tesserato sul piano
disciplinare.
Tale scelta risponderebbe ad un generale criterio di
ragionevolezza, rispettando l’autonomia dell’associazionismo
sportivo.
La diversa opinione formulata dal rimettente, secondo la quale,
ferma restando la distinzione fra sanzioni tecniche e sanzioni
ordinarie, sarebbero rilevanti per l’ordinamento generale le sanzioni
disciplinari ordinarie incidenti su di un interesse patrimoniale o
morale del destinatario di esse, sarebbe tale che travolgerebbe anche
la stessa distinzione, essendo evidente che anche da una sanzione
tecnica possono derivare rilevanti conseguenze sia di carattere
patrimoniale che di carattere morale.
Il criterio distintivo deve, invece, costruirsi sul tipo di
situazione soggettiva coinvolta, risultando indifferente al diritto
statuale quella che non giunga alla soglia di diritto soggettivo o di
interesse legittimo.
Data tale indifferenza non vi sarebbe contrasto fra la norma
censurata ed i parametri costituzionali evocati.
Parametri che, riguardo agli artt. 103 e 113 della Costituzione,
appaiono altresi’ non pertinenti alla fattispecie, atteso che i
provvedimenti resi dalle Federazioni sportive, organismi di diritto
privato che nella materia giustiziale non operano su delega del CONI,
non sono sussumibili sotto la specie del provvedimento
amministrativo, sicche’ neppure sarebbero suscettibili di essere
annullati dal Tribunale rimettente.
7. – E’, altresi’, intervenuta nel giudizio di legittimita’
costituzionale la Associazione sportiva Agora’, la quale, in punto di
fatto, riferisce di avere impugnato di fronte al TAR del Lazio il
provvedimento, reso nei suoi confronti dalla Camera di conciliazione
ed arbitrato per lo sport del CONI in data 24 dicembre 2004, con il
quale era stata confermata una sanzione disciplinare, consistente
nella squalifica dalle competizioni per la durata di un anno e 8
mesi, a lei inflitta dalla Commissione d’appello della Federazione
italiana wushu kung fu.
Avendo il TAR rigettato la richiesta di sospensione cautelare del
provvedimento impugnato, argomentando, fra l’altro sulla base della
dubbia ammissibilita’ del ricorso per difetto di giurisdizione, la
Agora’ ha eccepito la illegittimita’ costituzionale dell’art. 2,
comma 1, lettere a) e b), del decreto-legge n. 220 del 2003. Avendo,
quindi, appreso che il medesimo TAR, in altro giudizio, ha sollevato
la questione di costituzionalita’ della norma citata mentre il
giudizio che la vede ricorrente e’ stato rinviato a data da
destinarsi, la Agora’ e’ intervenuta nel presente giudizio,
ritenendosi a cio’ legittimata, anche sulla base di taluni precedenti
della Corte costituzionale, in quanto titolare di una posizione
qualificata rispetto alla definizione di esso – attese le conseguenze
decisive che la sua definizione avra’ nell’ambito della controversia
promossa di fronte al TAR – tale da farle affermare la sussistenza di
un interesse diretto ad intervenire nel presente giudizio
strettamente funzionale all’esercizio del diritto di difesa
all’interno di un processo pendente.
Riguardo al merito della questione, la interveniente si associa
ai dubbi sulla legittimita’ costituzionale della disposizione
censurata formulati dal rimettente, Osservando che detta disposizione
suscita altresi’ dubbi in ordine alla sua rispondenza al canone della
ragionevolezza.
8. – Nell’imminenza della udienza, la difesa della FIP ha
depositato una memoria illustrativa, in larga parte confermativa
delle precedenti difese.
8.1. – Riguardo all’intervento della Associazione sportiva
Agora’, la difesa federale ne rileva l’inammissibilita’, in quanto
spiegato da soggetto estraneo al giudizio a quo, non titolare di una
posizione sostanziale connessa in modo immediato e diretto a quella
dedotta nel giudizio principale.
La FIP insiste poi per la inammissibilita’ dell’incidente di
costituzionalita’ sollevato dal TAR del Lazio, in quanto la questione
difetterebbe del requisito della rilevanza. Infatti, per un verso,
essa avrebbe potuto essere risolta verificando se l’oggetto della
domanda proposta di fronte al rimettente fosse tra le questioni cui
l’ordinamento dello Stato attribuisce tutela e, per altro verso, e’
lo stesso ricorrente, non avendo dedotto alcun atto lesivo di un
proprio diritto ne’ avendo formulato alcuna domanda risarcitoria, a
confinare la questione nel giuridicamente irrilevante.
Precisa, tuttavia, la FIP che la questione sarebbe, comunque,
infondata. Ricordato che sin dal 2004 la Corte di cassazione ha
individuato, con riferimento al contenzioso di carattere sportivo, la
categoria del giuridicamente indifferente, si Osserva come, con
recentissima ordinanza delle Sezioni unite civili, la Corte
regolatrice sia tornata sull’argomento ribadendo che la sussistenza o
meno di una situazione astrattamente tutelabile non integra una
questione di giurisdizione ma attiene al merito della controversia,
costituendo uno dei presupposti della domanda giudiziale.
Nel caso di specie il ricorrente, come detto, non ha dedotto la
lesione di una situazione giuridica protetta, lamentando solo la
adozione del provvedimento disciplinare ai suoi danni in assenza del
necessario presupposto fattuale, costituito dalla ricorrenza
dell’illecito sportivo. Mancando, pertanto, ad avviso della difesa
della FIP, una posizione giuridica assunta come lesa, non sarebbe
possibile affermare la giurisdizione. Ne’ avrebbe senso fondare la
giurisdizione sugli effetti indiretti (del provvedimento
sanzionatorio), posto che cosi’ verrebbe disancorata la domanda dalla
esistenza del diritto, facendosi cosi’ discendere una «molteplicita’
di possibili situazioni protette» da un «mero fatto».
Tale conclusione, fra l’altro, tradirebbe il senso del d.l. n.
220 del 2003, in base al quale, invece, esiste un’area giuridicamente
neutra e, in quanto tale, sottratta al sindacato del giudice statale.
Il TAR, viceversa, prima di interrogarsi sulla esistenza della
posizione tutelabile, si domanda se vi e’ la sua giurisdizione. Anzi,
precisa la FIP, il TAR individua solo una posizione indirettamente
tutelata per chiedersi se su di essa vi sia la giurisdizione.
In tal modo, attesa la diversa opinione gia’ espressa dal
Consiglio di Stato, il TAR, in realta’, chiede alla Corte l’avallo
alla sua interpretazione.
Peraltro, conclude la memoria, ove si esaminino le deroghe al
principio della autonomia dell’ordinamento sportivo contenute
nell’art. 1 del d.l. n. 220 del 2003 nonche’ l’art. 3 del medesimo
d.l., il quale assegna al TAR del Lazio la cognizione sulle
controversie, escluse quelle di natura patrimoniale, esulanti dalla
autonomia sportiva, risultera’ chiaro che, la’ dove la vicenda, pur
originata all’interno dell’ordinamento sportivo, abbia ad oggetto la
lesione di diritti o interessi legittimi – lesione da verificare caso
per caso – sara’ assicurata la tutela giurisdizionale statale.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio dubita, in
riferimento agli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione, della
legittimita’ costituzionale dell’art. 2, commi 1, lettera b), e 2,
del decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220 (Disposizioni urgenti in
materia di giustizia sportiva), convertito, con modificazioni, con
legge 17 ottobre 2003, n. 280, nella parte in cui riserva al solo
giudice sportivo la competenza a decidere le controversie aventi ad
oggetto sanzioni disciplinari, diverse da quelle tecniche, inflitte
ad atleti, tesserati, associazioni e societa’ sportive, sottraendole
al sindacato del giudice amministrativo, anche ove i loro effetti
superino l’ambito dell’ordinamento sportivo, incidendo su diritti
soggettivi ed interessi legittimi.
1.1. – Prima di ogni altra considerazione giova premettere che il
decreto-legge n. 220 del 2003 e’ stato oggetto di talune
modificazioni, ancorche’ non riguardanti le disposizioni censurate, a
seguito della entrata in vigore del decreto legislativo 2 luglio
2010, n. 104 (Attuazione dell’art. 44 della legge 18 giugno 2009, n.
69, recante delega al Governo per il riordino del processo
amministrativo).
In particolare, all’art. 3, comma 1, le parole «e’ devoluta alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo» sono state
sostituite, dal comma 13 dell’art. 3 dell’allegato 4 del d.lgs. n.
104 del 2010, dalle parole «e’ disciplinata dal codice del processo
amministrativo»; mentre i successivi commi 2, 3 e 4 sono stati
abrogati dal numero 29 del comma 1 dell’art. 4 dell’allegato 4 del
d.lgs. n. 104 del 2010.
Tali modificazioni, in realta’, non mutano la disciplina
normativa in questione, posto che il codice del processo
amministrativo contiene disposizioni che, di fatto, riproducono
quelle modificate o abrogate, cosi’ lasciando in sostanza inalterato
il complessivo quadro normativo.
Esse, pertanto, non incidono sul presente giudizio di
legittimita’ costituzionale.
2. – Deve essere prioritariamente esaminata la ammissibilita’
dell’intervento in giudizio spiegato dalla Associazione sportiva
Agora’. Esso, conformemente alla consolidata giurisprudenza di questa
Corte, deve essere dichiarato inammissibile.
La detta Associazione sportiva fonda la propria legittimazione ad
intervenire in giudizio sulla circostanza che, essendo anch’essa
destinataria di un provvedimento disciplinare, emesso dalla Camera di
conciliazione ed arbitrato per lo sport, oggetto di impugnazione di
fronte al TAR del Lazio, e’ parte di un giudizio amministrativo
-rinviato a data da destinarsi in attesa della definizione del
presente incidente di legittimita’ costituzionale – il cui esito e’
subordinato alla odierna decisione. Questa Corte ribadisce che e’ sua
costante giurisprudenza che possono partecipare al giudizio di
legittimita’ costituzionale le sole parti del giudizio principale ed
i terzi portatori di un interesse qualificato, immediatamente
inerente al rapporto sostanziale dedotto nel giudizio e non
semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma oggetto di
censura. L’inammissibilita’ dell’intervento di soggetti diversi
rispetto a quelli sopra elencati non viene meno in forza della
pendenza di un procedimento analogo a quello principale, quand’anche
sospeso in via di fatto nell’attesa della pronuncia di questa Corte,
posto che la contraria soluzione risulterebbe elusiva del carattere
incidentale del giudizio di legittimita’ costituzionale, implicando
l’accesso delle parti prima che, nell’ambito della relativa
controversia, sia stata verificata la rilevanza e la non manifesta
infondatezza della questione (da ultimo sentenza n. 288 del 2010 e,
in precedenza, fra le molte, ordinanza collegiale allegata alla
sentenza n. 245 del 2007).
3. – Stante la sua preliminarita’, va a questo punto esaminata la
eccezione di inammissibilita’ della questione, per difetto di
motivazione sulla sua rilevanza, formulata dalla difesa del CONI con
riferimento alla mancata adeguata valutazione da parte del rimettente
della natura del provvedimento emesso dalla Camera di conciliazione e
arbitrato per lo sport. Se, infatti, questo fosse considerato un lodo
arbitrale, data la soggezione di tali atti a ipotesi tipizzate di
motivi di impugnazione, secondo la disciplina all’uopo dettata dal
codice di rito civile, il ricorso di fronte al giudice a quo sarebbe
inammissibile e, non ricorrendo, secondo quanto riferito dal
rimettente, alcuna delle ipotesi in questione, la sollevata questione
di legittimita’ costituzionale si paleserebbe altresi’ irrilevante.
3.1. – L’eccezione non e’ fondata.
E’, infatti, evidente che il giudice rimettente, sia pure per
implicito, si e’ conformato all’orientamento del tutto consolidato
nella giurisprudenza amministrativa di primo e di secondo grado, come
testimoniato dalla ampia messe di precedenti giurisprudenziali
riscontrabili in argomento, secondo il quale, ancorche’ adottate nel
contraddittorio delle parti, le decisioni assunte dalla Camera di
conciliazione e arbitrato per lo sport (organismo, peraltro, oramai
soppresso in quanto sostituito in seno al CONI dal neo istituito
Tribunale nazionale arbitrale dello sport) hanno la natura di
provvedimenti amministrativi, di talche’ non e’, in linea di
principio, implausibile che il giudice amministrativo affermi la sua
giurisdizione (che e’ di natura esclusiva) nei confronti di ogni tipo
di decisione della Camera di conciliazione ed arbitrato. Al riguardo,
si deve sottolineare che questa Corte ha piu’ volte affermato che il
difetto di giurisdizione per essere rilevabile deve essere
macroscopico (da ultimo, sent. n. 34 del 2010).
3.2. – Deve essere, parimenti, disattesa la eccezione di
inammissibilita’ formulata sulla base dell’assunto secondo il quale
il giudice rimettente piu’ che esporre un reale dubbio di
costituzionalita’ ricerca, da parte di questa Corte, un improprio
avallo alla interpretazione da lui in passato seguita e, ora,
sconfessata dal giudice del gravame.
Invero il TAR del Lazio, pur avendo riferito i profili della
propria precedente posizione, si da’ carico del fatto che essa e’
stata motivatamente disattesa sia dal Consiglio di giustizia
amministrativa della Regione siciliana (sentenza n. 1048 del 2007),
sia dallo stesso Consiglio di Stato (sentenza n. 5782 del 2008), il
quale, pur ritenendola l’unica possibile, si pone peraltro in termini
problematici rispetto alla compatibilita’ costituzionale della
propria interpretazione. Pertanto, di fronte alla opposta tesi,
argomentatamente sostenuta dal giudice del gravame, che e’, riguardo
al caso, anche giudice di ultima istanza di merito (la cui decisione
non e’ piu’ scalfibile neppure a seguito di ricorso ex ultimo comma
dell’art. 111 cost. ove ricorra un’ipotesi di carenza assoluta di
giurisdizione), non restava al rimettente, proprio in quanto aderiva
all’interpretazione del Consiglio di Stato, che sollevare il presente
dubbio di costituzionalita’, in tal senso portando a compimento
l’iter esegetico lumeggiato dallo stesso Consiglio di Stato.
4. – Venendo al merito della questione, essa deve essere
dichiarata non fondata, nei sensi di cui in motivazione.
4.1. – Va, innanzitutto, ricordato che il decreto-legge n. 220
del 2003 e’ stato emanato in una situazione che fu espressamente
definita dal relatore, durante i lavori parlamentari che hanno
portato alla approvazione della legge di conversione, un «vero e
proprio disastro incombente sul mondo del calcio». Con esso si e’
affrontata una questione particolarmente delicata, vale a dire il
rapporto tra l’ordinamento statale e uno dei piu’ significativi
ordinamenti autonomi che vengono a contatto con quello statale, cioe’
l’ordinamento sportivo.
La singolarita’ della situazione e la connessa difficolta’ di una
actio finium regundorum tra queste due realta’ e’ individuabile gia’
dall’impostazione iniziale del decreto-legge il quale, nell’affermare
che la normativa riconosce e favorisce «l’autonomia dell’ordinamento
sportivo nazionale», chiarisce che esso e’ «articolazione
dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato
Olimpico Internazionale». Si afferma cioe’, reiterando concetti gia’
espressi in altri testi normativi (quali gli artt. 2 e 15 del d.lgs.
23 luglio 1999, n. 242, recante «Riordino del Comitato olimpico
nazionale italiano – C.O.N. I., a norma dell’articolo 11 della L. 15
marzo 1997, n. 59»), che questo ordinamento autonomo costituisce
l’articolazione italiana di un piu’ ampio ordinamento autonomo avente
una dimensione internazionale e che esso risponde ad una struttura
organizzativa extrastatale riconosciuta dall’ordinamento della
Repubblica.
Anche prescindendo dalla dimensione internazionale del fenomeno,
deve sottolinearsi che l’autonomia dell’ordinamento sportivo trova
ampia tutela negli artt. 2 e 18 della Costituzione, dato che non puo’
porsi in dubbio che le associazioni sportive siano tra le piu’
diffuse «formazioni sociali dove [l’uomo] svolge la sua personalita’»
e che debba essere riconosciuto a tutti il diritto di associarsi
liberamente per finalita’ sportive.
4.2. – Per cio’ che concerne lo specifico esame delle
disposizioni su cui verte la questione di costituzionalita’ sollevata
dal rimettente TAR, si Osserva che al comma 1 dell’art. 2 del
predetto decreto-legge e’ stato previsto, peraltro dando veste
normativa ad un gia’ affermato orientamento giurisprudenziale, che e’
riservata all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni
concernenti, oltre che l’Osservanza e l’applicazione delle norme
regolamentari, organizzative e statutarie finalizzate a garantire il
corretto svolgimento delle attivita’ sportive – cioe’ di quelle che
sono comunemente note come regole tecniche – anche «i comportamenti
rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione
delle relative sanzioni disciplinari». Viene, altresi’, precisato, al
successivo comma 2, che in siffatte materie i soggetti
dell’ordinamento sportivo (societa’, associazioni, affiliati e
tesserati) hanno l’onere di adire (si intende: ove vogliano censurare
la applicazione delle predette sanzioni) «gli organi di giustizia
dell’ordinamento sportivo», secondo le previsioni dell’ordinamento
settoriale di appartenenza.
Al contenuto di tale disposizione fa riferimento il successivo
art. 3 del decreto-legge n. 220, il quale, nel testo vigente al
momento della proposizione della questione di legittimita’
costituzionale, individua, in sostanza, una triplice forma di tutela
giustiziale. Una prima forma, limitata ai rapporti di carattere
patrimoniale tra societa’ sportive, associazioni sportive, atleti (e
tesserati), e’ demandata alla cognizione del giudice ordinario. Una
seconda, relativa ad alcune delle questioni aventi ad oggetto le
materie di cui all’art. 2, nella quale, in linea di principio, la
tutela, stante la irrilevanza per l’ordinamento generale delle
situazioni in ipotesi violate e dei rapporti che da esse possano
sorgere, non e’ apprestata da organi dello Stato ma da organismi
interni all’ordinamento stesso in cui le norme in questione sono
state poste (e nel cui solo ambito esse, infatti, godono di pacifica
rilevanza), secondo uno schema proprio della cosiddetta giustizia
associativa.
4.2.1. – E’ opportuno – prima di valutare la portata della terza
forma di tutela, di carattere residuale e rimessa al giudice
amministrativo – soffermarsi sulla seconda, interna all’ordinamento
sportivo, perche’ si viene a lambire la questione di
costituzionalita’ avanzata dal rimettente. Quest’ultimo Osserva che
«la giustizia sportiva costituisce lo strumento di tutela
[definitivo] per le ipotesi in cui si discute dell’applicazione delle
regole sportive».
Piu’ oltre, sempre nell’ordinanza, si afferma che «tali sono,
indiscutibilmente, le norme meramente tecniche, e fra esse
sicuramente rientrano quelle che l’ordinamento sportivo ha elaborato
ed elabora ai fini dell’acquisizione dei risultati delle competizioni
agonistiche».
Ne’ puo’, in questi casi, in cui, per la tutela della situazione
di cui si lamenta la violazione, e’ escluso un intervento della
giurisdizione statale, invocarsi la violazione dell’art. 24 Cost.,
dato che e’ proprio la situazione che si pretende lesa che non assume
la consistenza del diritto soggettivo o dell’interesse legittimo.
Infatti il rimettente Osserva che «Alle regole tecniche che vengono
in gioco non puo’ essere attribuita natura di norme di relazione
dalle quali derivino diritti soggettivi […] ma non sono
configurabili neanche posizioni di interesse legittimo».
Si tratta di conclusioni coerenti con quelle cui la Corte
regolatrice e’ pervenuta in due sentenze, entrambe assunte,
trattandosi di questioni attinenti alla giurisdizione, a Sezioni
Unite, la prima antecedente alla legge in esame (sentenza n. 4399 del
1989) e la seconda successiva alla sua entrata in vigore (sentenza n.
5775 del 2004). In quest’ultima, che ha una struttura argomentativa
analoga alla prima, si afferma che tali questioni «non hanno
rilevanza nell’ordinamento giuridico generale e le decisioni adottate
in base [alle regole promananti dall’associazionismo sportivo] sono
collocate in un’area di non rilevanza per l’ordinamento statale,
senza che possano essere considerate come espressione di potesta’
pubbliche ed essere considerate alla stregua di decisioni
amministrative. La generale irrilevanza per l’ordinamento statuale di
tali norme e della loro violazione conduce all’assenza della tutela
giurisdizionale statale».
Se queste sono le conclusioni cui e’ giunto il giudice della
giurisdizione esaminando la questione dal punto di vista sostanziale,
cioe’ del grado di consistenza oggettiva che tali situazioni vengono
ad avere se valutate nell’ambito dell’ordinamento generale, analoghe
sono quelle cui il medesimo giudice giunge affrontando la questione
sotto l’aspetto processuale del diritto di agire in giudizio per la
loro eventuale tutela. Nella recente ordinanza n. 18052 dell’agosto
2010 le Sezioni Unite ritengono inammissibile il regolamento
preventivo di giurisdizione concernente la possibilita’ di sottoporre
al giudice statale una controversia relativa al ridimensionamento
degli iscritti nei ruoli dei direttori di gara, altrimenti riservata
all’autonomia dell’ordinamento sportivo, in quanto «costituisce […]
accertamento rimesso al giudice del merito la configurabilita’ o meno
di una situazione giuridicamente rilevante per l’ordinamento statale
e, come tale, tutelabile».
In altre parole, la valutazione tra l’irrilevante giuridico, che
non da’ accesso alla giurisdizione statale, e cio’ che invece e’ per
quest’ultima rilevante non puo’ che essere rimessa al giudice di
merito, che assumera’ le sue decisioni secondo quanto prevede il
diritto positivo.
Cio’, del resto, e’ conforme ad un risalente insegnamento di
questa Corte, la quale, gia’ nella sentenza n. 87 del 1979,
pronunciandosi con riferimento ad una questione relativa all’art.
2059 cod. civ., affermava la subordinazione logica del diritto di
azione alla sia pur astratta configurabilita’ di una posizione
soggettiva sostanziale giuridicamente rilevante.
4.3. – L’ulteriore forma di tutela giustiziale ha il carattere
dalla tendenziale residualita’, in quanto e’ relativa a tutto cio’
che per un verso non concerne i rapporti patrimoniali fra societa’,
associazioni sportive, atleti (e tesserati) – demandati, come si e’
detto, al giudice ordinario – e, per altro verso, pur scaturendo da
atti del CONI e delle Federazioni sportive, non rientra fra le
materie che, ai sensi dell’art. 2 del decreto-legge n. 220 del 2003,
sono riservate – in quanto, come detto, non idonee a far sorgere
posizioni soggettive rilevanti per l’ordinamento generale, ma solo
per quello settoriale – all’esclusivo interesse degli organi della
giustizia sportiva. Si tratta cioe’ (per riprendere la originaria
formulazione legislativa) di «ogni altra controversia» che e’
«devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo».
Se si segue l’iter parlamentare del decreto-legge n. 220 del
2003, si constata che e’ lo stesso legislatore ad indicare alcune
delle «situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento
sportivo» per le quali Ritiene si verifichi il caso della «rilevanza
per l’ordinamento della Repubblica».
Al riguardo, e’ sufficiente Osservare che, secondo la primigenia
versione del decreto-legge n. 220 del 2003, fra le materie che,
essendo inserite al comma 1 dell’art. 2, potevano considerarsi
sottratte alla cognizione del giudice statale, erano anche le
questioni aventi ad oggetto l’ammissione e l’affiliazione alle
federazioni di societa’, associazioni o singoli tesserati nonche’
quelle relative alla organizzazione e svolgimento delle attivita’
agonistiche ed alla ammissione ad esse di squadre ed atleti. La
circostanza che, in sede di conversione del decreto-legge, il
legislatore abbia espunto le lettere c) e d) del comma 1 dell’art. 2,
ove erano indicate le summenzionate materie, fa ritenere che su di
esse vi sia la competenza esclusiva del giudice amministrativo
allorche’ siano lesi diritti soggettivi od interessi legittimi.
Appare chiaro, anche attraverso l’esame dei ricordati lavori
preparatori della legge n. 280 del 2003 di conversione del
decreto-legge n. 220, che siffatta modificazione, per sottrazione,
dell’originario testo normativo sia giustificata dalla considerazione
che la possibilita’, o meno, di essere affiliati ad una Federazione
sportiva o tesserati presso di essa nonche’ la possibilita’, o meno,
di essere ammessi a svolgere attivita’ agonistica disputando le gare
ed i campionati organizzati dalle Federazioni sportive facenti capo
al CONI – il quale, a sua volta, e’ inserito, quale articolazione
monopolistica nazionale, all’interno del Comitato Olimpico
Internazionale – non e’ situazione che possa dirsi irrilevante per
l’ordinamento giuridico generale e, come tale, non meritevole di
tutela da parte di questo. Cio’ in quanto e’ attraverso siffatta
possibilita’ che trovano attuazione sia fondamentali diritti di
liberta’ – fra tutti, sia quello di svolgimento della propria
personalita’, sia quello di associazione – che non meno significativi
diritti connessi ai rapporti patrimoniali – ove si tenga conto della
rilevanza economica che ha assunto il fenomeno sportivo, spesso
praticato a livello professionistico ed organizzato su base
imprenditoriale – tutti oggetto di considerazione anche a livello
costituzionale.
L’intervento del legislatore della conversione e’, quindi,
apparso coerente con quanto disposto all’art. 1, comma 2, del
decreto-legge n. 220 del 2003, la’ dove, in fine, viene espressamente
precisato che l’autonomia dell’ordinamento sportivo recede allorche’
siano coinvolte situazioni giuridiche soggettive che, sebbene
connesse con quello, siano rilevanti per l’ordinamento giuridico
della Repubblica.
4.4. – Si puo’ passare, ora, alla questione di costituzionalita’
sollevata dal TAR Lazio.
Quest’ultimo dubita della piu’ volte citata disposizione
legislativa nella parte in cui riserverebbe al solo giudice sportivo
la competenza a decidere le controversie aventi ad oggetto sanzioni
disciplinari, diverse da quelle tecniche, inflitte ad atleti,
tesserati, associazioni e societa’ sportive, sottraendole al
sindacato del giudice amministrativo. Chiarisce che i dubbi di
costituzionalita’ «non attengono alla previsione della c.d.
pregiudiziale sportiva», dato che Ritiene che essa sia «corretta e
logica conseguenza della riconosciuta autonomia dell’ordinamento
sportivo», ma «alla generale preclusione […] ad adire il giudice
statale una volta esauriti i gradi della giustizia sportiva».
Afferma, altresi’, che della disposizione sospettata di
illegittimita’ costituzionale potrebbe darsi (anzi, in passato e’
stata data) altra interpretazione, ma che una recente pronuncia del
Consiglio di Stato (Sez. VI, sent. n. 5782 del 25 novembre 2008), che
ha fatto seguito ad altra analoga del Consiglio di giustizia
amministrativa della Regione siciliana (sent. n. 1048 dell’8 novembre
2007), gli impone di tralasciare la precedente interpretazione e di
adeguarsi a quella fatta propria dal giudice del gravame che, a suo
giudizio, presenta aspetti di contrasto con gli artt. 24, 103 e 113
Cost.
Deve, al riguardo, considerarsi che anche se, come si e’ innanzi
visto, il rimettente estende il giudizio agli artt. 103 e 113 della
Costituzione, in realta’ la censura non attiene ad aspetti specifici
relativi alle suddette disposizioni costituzionali, in quanto si
incentra su un unico profilo. Esso e’ chiaramente definito laddove il
rimettente afferma che dai parametri costituzionali di cui si invoca
l’applicazione «si evince che a nessuno puo’ essere negata la tutela
della propria sfera giuridica dinanzi ad un giudice statale,
ordinario o amministrativo che sia».
Anche piu’ oltre nell’ordinanza si sottolinea che il dubbio di
costituzionalita’ sorge ove la normativa censurata consente una
«deroga al principio costituzionale del diritto ad ottenere la tutela
della propria posizione giuridica di diritto soggettivo o di
interesse legittimo dinanzi ad un giudice statale» e che il «limite
del rispetto del diritto di difesa […] finisce per essere
irrimediabilmente leso proprio dalla preclusione del ricorso al
giudice statale».
Quindi, anche se nell’ordinanza si fa riferimento ai sopracitati
tre articoli della Costituzione, la censura ha un carattere unitario,
compendiabile nel dubbio che la normativa censurata precluda «al
giudice statale» (espressione piu’ volte utilizzata) di conoscere
questioni che riguardino diritti soggettivi o interessi legittimi. La
prospettazione della violazione anche degli artt. 103 e 113 cost.
viene formulata in quanto essi, a parere del giudice a quo,
rappresentano il fondamento costituzionale delle funzioni
giurisdizionali del giudice amministrativo che il rimettente, ai
sensi di quanto dispone la normativa di cui deve fare applicazione,
individua come il giudice naturale delle suddette controversie.
Peraltro, con la loro evocazione, non si prospettano illegittimita’
costituzionali diverse da quelle formulate con riferimento all’art.
24 Cost.
4.5. – Si deve, preliminarmente, condividere l’assunto del
rimettente, che richiama un costante insegnamento di questa Corte,
per cui «le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime
perche’ e’ possibile darne interpretazioni incostituzionali, ma
perche’ e’ impossibile darne interpretazioni costituzionali» (ex
multis: sent. n. 403 del 2007, sent. n. 356 del 1996, ord. n. 85 del
2007).
Proprio in aderenza a questo principio, si Osserva che e’ la
stessa sentenza del Consiglio di Stato, dal rimettente ritenuta
diritto vivente, a fornire, nel percorso argomentativo seguito (ed a
prescindere da quanto in precedenza affermato in quella stessa
sentenza), una chiave di lettura che fuga i dubbi di
costituzionalita’.
Nella sentenza si afferma, infatti, proprio con riferimento
all’art. 1 del d.l. n. 220 del 2003 che «tali norme debbano essere
interpretate, in un’ottica costituzionalmente orientata, nel senso
che laddove il provvedimento adottato dalle Federazioni sportive o
dal C.O.N. I. abbia incidenza anche su situazioni giuridiche
soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, la domanda
volta ad ottenere non la caducazione dell’atto, ma il conseguente
risarcimento del danno, debba essere proposta innanzi al giudice
amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, non operando
alcuna riserva a favore della giustizia sportiva, innanzi alla quale
la pretesa risarcitoria nemmeno puo’ essere fatta valere». Si
precisa, altresi’, che «Il Giudice amministrativo puo’, quindi,
conoscere, nonostante la riserva a favore della giustizia sportiva,
delle sanzioni disciplinari inflitte a societa’, associazioni ed
atleti, in via incidentale e indiretta, al fine di pronunciarsi sulla
domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione».
Quindi, qualora la situazione soggettiva abbia consistenza tale
da assumere nell’ordinamento statale la configurazione di diritto
soggettivo o di interesse legittimo, in base al ritenuto diritto
vivente del giudice che, secondo la suddetta legge, ha la
giurisdizione esclusiva in materia, e’ riconosciuta la tutela
risarcitoria.
In tali fattispecie deve, quindi, ritenersi che la esplicita
esclusione della diretta giurisdizione sugli atti attraverso i quali
sono state irrogate le sanzioni disciplinari – posta a tutela
dell’autonomia dell’ordinamento sportivo – non consente che sia
altresi’ esclusa la possibilita’, per chi lamenti la lesione di una
situazione soggettiva giuridicamente rilevante, di agire in giudizio
per ottenere il conseguente risarcimento del danno.
E’ sicuramente una forma di tutela, per equivalente, diversa
rispetto a quella in via generale attribuita al giudice
amministrativo (ed infatti si verte in materia di giurisdizione
esclusiva), ma non puo’ certo affermarsi che la mancanza di un
giudizio di annullamento (che, oltretutto, difficilmente potrebbe
produrre effetti ripristinatori, dato che in ogni caso interverrebbe
dopo che sono stati esperiti tutti i rimedi interni alla giustizia
sportiva, e che costituirebbe comunque, in questi casi meno gravi,
una forma di intromissione non armonica rispetto all’affermato
intendimento di tutelare l’ordinamento sportivo) venga a violare
quanto previsto dall’art. 24 Cost. Nell’ambito di quella forma di
tutela che puo’ essere definita come residuale viene, quindi,
individuata, sulla base di una argomentata interpretazione della
normativa che disciplina la materia, una diversificata modalita’ di
tutela giurisdizionale.
E’ utile, al riguardo, sottolineare quanto questa Corte ha gia’
avuto modo di affermare nella sentenza n. 254 del 2002, quando ha
esaminato una questione relativa all’esonero di responsabilita’ che
l’allora vigente normativa concedeva ai gestori del servizio
telegrafico, e cioe’ che «appartiene alla sfera della
discrezionalita’ legislativa apportare una deroga al diritto comune
della responsabilita’ civile che realizzi un ragionevole punto di
equilibrio tra le esigenze proprie» dei due portatori di interesse
che si contrappongono.
Tra l’altro, le ipotesi di tutela esclusivamente risarcitoria per
equivalente non sono certo ignote all’ordinamento. Infatti – ed il
riferimento e’ pertinente in quanto si verte in tema di giurisdizione
esclusiva -, e’ proprio una disposizione del codice civile, vale a
dire l’art. 2058, richiamata dall’art. 30 del recente d.lgs. 2 luglio
2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009,
n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo
amministrativo), a prevedere il risarcimento in forma specifica come
un’eventualita’ («qualora sia in tutto o in parte possibile»),
peraltro sempre sottoposta al potere discrezionale del giudice
(«tuttavia il giudice puo’ disporre che il risarcimento avvenga solo
per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta
eccessivamente onerosa per il debitore»).
In questo caso, secondo il diritto vivente cui il rimettente fa
riferimento, il legislatore ha operato un non irragionevole
bilanciamento che lo ha indotto, per i motivi gia’ evidenziati, ad
escludere la possibilita’ dell’intervento giurisdizionale
maggiormente incidente sull’autonomia dell’ordinamento sportivo.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la
questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 2, commi 1,
lettera b), e 2, del decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220
(Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva), convertito,
con modificazioni, con legge 17 ottobre 2003, n. 280, sollevata dal
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, in riferimento agli
artt. 24, 103 e 113 della Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2011.

Il Presidente: De Siervo

Il redattore: Napolitano

Il cancelliere: Melatti

Depositata in cancelleria l’11 febbraio 2011.

Il cancelliere: Melatti

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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