Corte cost. 28-12-2007 (12-12-2007), n. 460 (ord.) Processo penale – Sentenza di proscioglimento – Appello del pubblico ministero

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ORDINANZA
Nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), e dell’art. 10 della stessa legge, promossi, nell’ambito di diversi procedimenti penali, con ordinanze del 2 maggio 2006 dalla Corte d’appello di Genova, del 25 maggio e del 16 giugno 2006 dalla Corte d’appello di Bologna, del 26 aprile, del 2 maggio e del 1° giugno 2006 dalla Corte d’appello di Ancona, del 16 maggio 2006 dalla Corte d’assise d’appello di Salerno, del 12 giugno 2006 dalla Corte d’appello di L’Aquila, del 10 ottobre 2006 dalla Corte d’appello di Ancona, del 4 luglio 2006 dalla Corte d’appello di Catania, del 30 marzo, del 6 (nn. 2 ordd.) e del 7 aprile e del 7 giugno 2006 dalla Corte d’appello di Napoli, del 23 gennaio 2007 dalla Corte d’appello di Perugia e dell’8 agosto 2006 (nn. 2 ordd.) dalla Corte d’appello di Trieste rispettivamente iscritte ai nn. 10, 35, 42, 49, 50, 53, 68, 173, 216, da 266 a 269, 272, 273, 618, 659 e 660 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 7, 8, 9, 14, 16 nell’edizione straordinaria del 26 aprile 2007, e nn. 17, 36 e 38, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Udito nella camera di consiglio del 12 dicembre 2007 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che, con diciotto ordinanze di analogo tenore, le Corti d’appello di Genova (r.o. 10 del 2007), di Bologna (r.o. nn. 35 e 42 del 2007), di L’Aquila (r.o. n. 173 del 2007), di Ancona (r.o. nn. 49, 50, 53 e 216 del 2007), di Catania (r.o. n. 266 del 2007), di Napoli (r.o. nn. 267, 268, 269, 272 e 273 del 2007), di Trieste (r.o. nn. 659 e 660 del 2007), di Perugia (r.o. 618 del 2007) e la Corte d’assise d’appello di Salerno (r.o. n. 68 del 2007) hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 97, 111, primo, secondo, sesto e settimo comma, e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui non consente al pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento se non nel caso previsto dall’art. 603, comma 2, cod. proc. pen., quando cioè sopravvengano o si scoprano nuove prove dopo il giudizio di primo grado e sempre che tali prove risultino decisive, e dell’art. 10 della medesima legge;
che, sotto il profilo della rilevanza, i rimettenti premettono che in forza dell’art. 10 della legge n. 46 del 2006 – il cui art. 1, sostituendo l’art. 593 cod. proc. pen., ha sottratto al pubblico ministero il potere di appellare le sentenze di proscioglimento – i giudizi dovrebbero essere definiti con ordinanze non impugnabili di inammissibilità;
che tutti i rimettenti dubitano della legittimità costituzionale della disciplina censurata in riferimento al precetto dell’art. 111, secondo comma, Cost., in forza del quale ogni processo deve svolgersi «nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità davanti ad un giudice terzo e imparziale»;
che, secondo i giudici a quibus, i limiti all’appellabilità delle sentenze di proscioglimento introdotti dalla legge n. 46 del 2006 solo apparentemente soddisferebbero l’esigenza di parità tra le parti garantita dalla disposizione costituzionale, in quanto la preclusione all’appello è destinata ad incidere esclusivamente sulla parte (il pubblico ministero) che ha effettivo interesse all’impugnazione di tali sentenze, determinando irragionevolmente una squilibrio fra accusa e difesa, in danno esclusivo della parte pubblica;
che l’introduzione di così significative limitazioni al potere di appello del pubblico ministero non risponderebbe, infatti, a nessuna delle esigenze in vista delle quali la Corte costituzionale ha in passato ritenuto possibile la previsione di limiti di appellabilità (esigenze che si compendiano nella peculiare posizione istituzionale del pubblico ministero, nella funzione allo stesso affidata, ovvero in esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia), e non troverebbe, a giudizio dei rimettenti, giustificazione alcuna nella tutela di altri princîpi costituzionali;
che, a questo riguardo, taluni rimettenti escludono che le modifiche all’art. 593 cod. proc. pen. siano imposte dalla necessità di dare attuazione all’art. 2 del Protocollo addizionale n. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98;
che, in particolare, alcuni rimettenti (Corte d’appello di Bologna, r.o. n. 35 e n. 42 del 2007; Corte d’appello di Catania, r.o. n. 266 del 2007) ritengono che il secondo comma dell’art. 2 di tale Protocollo addizionale introduca un’eccezione al principio del doppio grado di giurisdizione di merito proprio per l’ipotesi – che il legislatore avrebbe avuto di mira – di condanna in secondo grado a seguito di appello avverso sentenza di proscioglimento in primo grado; mentre altri rimettenti (Corte d’appello di Trieste, r.o. n. 659 e 660 del 2007) sottolineano come la Corte costituzionale abbia ripetutamente ribadito che il doppio grado di giurisdizione di merito non forma oggetto di garanzia costituzionale e che la formulazione di detto art. 2, nel demandare al legislatore interno ampi spazi per la disciplina dell’esercizio del diritto all’impugnazione, non esclude che il principio si sostanzi nella previsione del solo ricorso per cassazione;
che dalla constatazione della mancata previsione costituzionale del principio del doppio grado di giurisdizione di merito muove la Corte d’assise d’appello di Salerno (r.o. n. 68 del 2007), per rilevare come non sia ragionevole «una soluzione che privi solo una delle due parti del secondo grado di merito davanti al giudice d’appello», atteso che «all’imputato è tuttora consentito proporre appello avverso le sentenze di condanna»;
che tutti i rimettenti, ad eccezione della Corte d’appello di Trieste (r.o. n. 659 e 660 del 2007), evocano a parametro anche l’art. 3 Cost., sotto il profilo del difetto di ragionevolezza;
che, per le Corti d’appello di Napoli (r.o. n. 267, n. 268, n. 269, n. 272 e n. 273 del 2007), di Ancona (r.o. n. 49, 50, 53 e 216 del 2007), di Bologna (r.o. n. 35 e n. 42 del 2007), di Catania (r.o. n. 266 del 2007) e per la Corte d’assise d’appello di Salerno (r.o. n. 68 del 2007), la scelta legislativa di sopprimere il potere di appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento si paleserebbe altresì intrinsecamente contraddittoria rispetto al mantenimento del potere di appello del pubblico ministero contro le sentenze di condanna;
che le Corti d’appello di Napoli (r.o. n. 272 e n. 273 del 2007), di Perugia (r.o. n. 618 del 2007), di Catania (r.o. n. 266 del 2007) e di L’Aquila (r.o. n. 173 del 2007) denunciano l’irragionevolezza della disciplina anche in relazione al potere, mantenuto invece in capo alla parte civile, di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento;
che la Corte d’appello di Catania (r.o. n. 266 del 2007) evidenzia un ulteriore profilo di violazione dell’art. 3 Cost., rilevando come la disciplina censurata «realizzi ingiustificate disparità di trattamento tra imputati e/o persone offese, laddove contempla un’ipotesi residuale di appello contro la sentenza di proscioglimento da parte del pubblico ministero […] per il caso in cui, successivamente al giudizio di primo grado, siano sopravvenute o scoperte nuove prove e queste appaiano decisive», trattandosi di evento «del tutto accidentale e imponderabile»;
che le Corti d’appello di Ancona (r.o. n. 49, 50, 53 e 216 del 2007) e di Catania (r.o. n. 266 del 2007) prospettano altresì la violazione dell’art. 24 Cost., per la lesione del diritto di difesa garantito da tale norma costituzionale anche alle parti offese;
che, nella medesima prospettiva, la Corte d’appello di Genova (r.o. n. 10 del 2007) lamenta la congiunta lesione degli artt. 3 e 24 Cost., in quanto «le norme impugnate non consentono con previsione irragionevolmente discriminatoria la uguale difesa in sede penale dei diritti della persona offesa dal reato»;
che le Corti d’appello di Genova (r.o. n. 10 del 2007), di Bologna (r.o. n. 35 e n. 42 del 2007), di Catania (r.o. n. 266 del 2007) e di Perugia (r.o. n. 618 del 2007) ritengono, inoltre, violato il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, poiché la mancata previsione dell’appello avverso le sentenze di proscioglimento inciderebbe sui poteri della pubblica accusa, rendendoli inidonei all’assolvimento dei compiti previsti dall’art. 112 Cost.;
che le Corti d’appello di Napoli (r.o. n. 267, n. 268, n. 269, n. 272 e n. 273 del 2007), di Trieste (r.o. n. 659 e 660 del 2007), di L’Aquila (r.o. n. 173 del 2007), di Bologna (r.o. n. 35 e n. 42 del 2007), di Perugia (r.o. n. 618 del 2007) e di Genova (r.o. n. 10 del 2007, sia pure senza alcuna motivazione) denunciano altresì il contrasto della disciplina censurata con l’art. 111, secondo comma, secondo periodo, Cost. sotto il profilo della ragionevole durata del processo: ciò sul rilievo che la soppressione dell’appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento, il contestuale ampliamento dei motivi di ricorso per cassazione e il rinvio al giudice di primo grado in caso di annullamento da parte della Corte di cassazione determinerebbero un aumento dei gradi di giudizio ed una conseguente dilatazione dei tempi processuali, con rischio di prescrizione dei reati;
che la violazione di tale parametro è prospettata anche in relazione alla disciplina transitoria;
che le Corti d’appello di Bologna (r.o. n. 35 e n. 42 del 2007) e di Perugia (r.o. n. 618 del 2007) sollevano questione di costituzionalità anche in riferimento all’art. 97 Cost.; mentre la sola Corte d’assise d’appello di Salerno (r.o. 68 del 2007) dubita della legittimità costituzionale della disciplina censurata in riferimento altresì all’art. 25 Cost., per violazione del principio di legalità sostanziale, che garantisce che, alla commissione di un reato, segua «l’inflizione di una pena»;
che la Corte d’appello di Genova (r.o. 10 del 2007) – premesso che la novella del 2006, modificando l’art. 593 cod. proc. pen., ha determinato uno «sconfinamento nel merito» dei poteri demandati alla Corte di cassazione, il quale tuttavia lascia fuori dal controllo della Suprema Corte taluni gravi «errori di giudizio» – ritiene che «l’aver negato al pubblico ministero il diritto di critica argomentata della decisione finale, quando la decisione possa essere ex post considerata oggettivamente errata e ingiusta, viol[i] i principi codificati negli artt. 3, 24, primo comma, 111, primo, secondo, sesto e settimo comma, della Costituzione»;
che, infine, la Corte d’appello di Bologna (r.o. n. 35 e n. 42 del 2007) evidenzia un ulteriore profilo di censura, specificamente riferito alla disciplina transitoria contenuta nei commi 1, 2 e 3 dell’art. 10 della legge n. 46 del 2006, lamentando come la previsione della declaratoria di inammissibilità degli appelli proposti prima dell’entrata in vigore della legge privi «di uno specifico mezzo di gravame la parte che vi aveva riposto congruo affidamento» e sottragga «ad uno solo dei contendenti, mentre è in corso il contraddittorio processuale, un’arma sin lì giudicata pienamente conforme con il principio del giusto processo, e sin lì garantita ad entrambe le parti», con conseguente violazione dell’art. 3 Cost.
Considerato che il dubbio di costituzionalità sottoposto a questa Corte ha per oggetto la preclusione – conseguente alla sostituzione dell’art. 593 del codice di procedura penale ad opera dell’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento) – dell’appello delle sentenze dibattimentali di proscioglimento da parte del pubblico ministero e l’immediata applicabilità di tale regime, in forza dell’art. 10 della legge, ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima;
che, stante l’identità delle questioni proposte, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia;
che, successivamente alle ordinanze di rimessione, questa Corte, con sentenza n. 26 del 2007, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale sia dell’art. 1 della citata legge n. 46 del 2006, «nella parte in cui, sostituendo l’art. 593 del codice di procedura penale, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall’art. 603, comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova è decisiva»; sia dell’art. 10, comma 2, della stessa legge «nella parte in cui prevede che l’appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile»;
che, alla stregua della richiamata pronuncia di questa Corte, gli atti devono essere pertanto restituiti ai giudici rimettenti per un nuovo esame della rilevanza delle questioni.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
ordina la restituzione degli atti alle Corti d’appello di Genova, di Bologna, di L’Aquila, di Ancona, di Catania, di Napoli, di Trieste, di Perugia e alla Corte d’assise d’appello di Salerno.

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