Cass. pen., sez. VI 17-12-2007 (10-12-2007), n. 46845 Mandato d’arresto europeo – Consegna per l’estero – Requisiti – Doppia punibilità – Richiesta ai fini dell’esecuzione di una pena detentiva

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Bologna disponeva la consegna all’autorità giudiziaria della Repubblica della Romania del cittadino italiano P.L., condannato con sentenza definitiva in data 4 maggio 2005 del Tribunale di Valcea alla pena di anni cinque di reclusione per i reati di truffa e appropriazione indebita commessi in (OMISSIS).
Nei confronti del P. era stato emesso mandato di arresto europeo (MAE) in data 6 luglio 2007 dal medesimo Tribunale di Vallea.
Rilevava la Corte territoriale che dalla predetta sentenza rumena si ricavava che il P., quale amministratore unico della società S.C. Luigi Impex s.r.l., operante in Romania, aveva emesso per conto di detta società, in pagamento di fornitori, numerosi assegni privi di copertura e, a partire dal 24 aprile 2003, anche in violazione della proibizione di emettere assegni imposta alla predetta società;
e inoltre si era appropriato di somme di denaro di pertinenza della società, in quanto versate da clienti di questa.
Entrambi i fatti, puniti rispettivamente dall’art. 215 x.p. rumeno, commi 1, 3, 4 e art. 266 c.p. rumeno, comma 1, n. 2, erano corrispondenti a fattispecie penali previsti dall’ordinamento italiano.
In particolare per il primo fatto era configurabile l’ipotesi di truffa, "non essendosi trattato soltanto di emissione di assegni a vuoto", e corrispondendo comunque esso alla fattispecie considerata dalla L. n. 69 del 2005, art. 8, comma 1, lett. v); per il secondo quella di appropriazione indebita.
Ricorre per cassazione il P., a mezzo del difensore avv. Mario Secondo Ugolini, che deduce:
1. Violazione della L. n. 69 del 2005, artt. 7 e 8, mancando il requisito della doppia punibilità con riferimento al fatto di emissione di assegni a vuoto, fattispecie depenalizzata nell’ordinamento italiano a norma della L. 15 dicembre 1990, n. 386.
Non poteva poi trovare applicazione della L. n. 69 del 2005, art. 8 (Consegna obbligatoria), ostandovi la disciplina transitoria di cui all’art. 40, comma 3, trattandosi di fatto commesso prima della entrata in vigore della medesima legge 2. Violazione della norma processuale penale in tema di notificazione, dato che le notifiche relative al processo svoltosi in Romania avrebbero dovuto tenere conto della residenza in Italia comunicata dal P. al Consolato italiano.
3. Violazione di legge in relazione alla traduzione italiana della sentenza rumena, non solo difettosa quanto alla sua comprensibilità ma anche sfornita di attestazione notarile circa la autenticità della traduzione stessa.
4. Difetto di motivazione in ordine alla richiesta di sospensione della esecuzione ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 23, comma 3, stante il concreto pericolo di violenze fisiche e vessazioni che correrebbe il P. ove sottoposto a detenzione in (OMISSIS).
5. Difetto di motivazione circa la richiesta di espiazione della pena in territorio italiano, espressamente formulata.
6. Sussistenza della ipotesi di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. c), essendo il comportamento addebitato al P. a lui estorto.
DIRITTO
1. Il secondo, il terzo, il quarto e il sesto motivo appaiono manifestamente infondati o per altro verso inammissibili.
1.1. Quanto al secondo motivo, va affermato, in adesione alla costante giurisprudenza di questa Corte, che non possono essere dedotte nell’ambito della presente procedura questioni attinenti a vizi relativi al procedimento esperitosi davanti all’autorità giudiziaria dello Stato membro di emissione, fatta eccezione di violazioni di diritti minimi dell’accusato come contemplati dall’art. 6 della CEDU (v. art. 18, comma 1, lett. g), della L. n. 69 del 2005), che nella specie non risultano menomamente evocati.
1.2. Quanto al terzo motivo, la traduzione italiana della sentenza rumena appare perfettamente comprensibile, salvo marginali aporie che non inficiano il senso complessivo della decisione.
Essendo stata tale traduzione trasmessa in via ufficiale, non è poi dato comprendere il senso del rilievo circa la mancanza di un’attestazione notarile di conformità. 1.3. Quanto al quarto motivo, gli allegati pericoli per la incolumità del P., ove consegnato all’autorità dello Stato emittente, appaiono fondati su mere asserzioni prive di rilievo giuridico.
1.4. Quanto al sesto motivo, l’allegato stato di necessità, che avrebbe indotto il ricorrente a commettere i fatti addebitatigli, riguarda aspetti che fuoriescono dall’ambito di cognizione dell’autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione.
2. Il primo motivo di ricorso è fondato.
Dal MAE e dalla ulteriore documentazione trasmessa dall’autorità giudiziaria rumena si ricava che il primo fatto addebitato al P. riguarda l’emissione di assegni privi di provvista e, a partire dal 24 aprile 2003, anche in violazione della proibizione di emettere assegni imposta alla predetta società.
Tale condotta, che non risulta accompagnata da alcun elemento indicativo della messa in opera di artifizi o raggiri, non può essere qualificata come truffa, al contrario di quanto ritenuto, peraltro senza particolare motivazione, dalla Corte di appello, essendo invece sanzionabile nell’ordinamento italiano solo in via amministrativa, a norma della L. 15 dicembre 1990, n. 336, come modificata dal D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507.
Ne discende che, in mancanza del presupposto della doppia punibilità, imposto dalla L. n. 69 del 2005, art. 7, la consegna deve essere rifiutata. vale precisare che, contrariamente a quanto opinato dalla Corte di appello, non è predicabile nel caso in esame la disposizione dell’art. 8, comma 1, lett. v), della detta legge, che, implicando artifizi o raggiri, richiama proprio la fattispecie della truffa, prevista e punita dall’art. 640 c.p., la quale, come detto, in mancanza dei riferiti elementi costitutivi, non ricorre nella specie.
La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio su detto capo.
3. E’ fondato anche il quinto motivo.
Il ricorrente aveva espressamente sollecitato la Corte di appello (v. fol. 113) a disporre che la pena irrogata fosse eseguita in Italia.
Ricorrendo il requisito della cittadinanza italiana in capo alla persona da consegnare, la domanda doveva essere esaminata, trattandosi di ipotesi espressamente prevista dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. r).
Da questa disposizione (che si conforma alla previsione dell’art. 4 n. 6 della decisione-quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002), sorgono certamente, come evidenziato anche dalla dottrina, problemi interpretativi che non risultano ancora definitivamente esplorati dalla giurisprudenza di questa Corte (per una prima presa di posizione in argomento, v. Cass., sez. 6^, 6 marzo 2007, Foresta, condivisa da Cass., sez. 6^, 3 maggio 2007, Melina). in via generale l’esecuzione nello Stato di una sentenza straniera passa attraverso la procedura del "riconoscimento" segnata dall’art. 731 c.p.p., che presuppone sia l’iniziativa del Ministro della giustizia sia l’esistenza di un accordo internazionale.
Tuttavia, nell’ambito della disciplina interna del MAE, conformata alla riferita decisione-quadro, che è vincolante per gli Stati membri dell’Unione Europea e che sconta il mutuo riconoscimento delle decisioni penali (v. in particolare i Considerando n. 2 e 6), l’esecuzione della sentenza estera trova una regolamentazione del tutto peculiare.
L’iniziativa, in primo luogo, non spetta al Ministro ma alla corte di appello investita della procedura del MAE; nè essa è condizionata dall’esistenza di un particolare "accordo internazionale", che non sia quello, ove possa in tal modo essere qualificato, costituito dalla stessa decisione-quadro; infine, la sentenza estera non deve essere formalmente "riconosciuta", discendendo la sua esecutività direttamente dalla legge interna di conformazione alla decisionequadro.
Resta da stabilire se e quali siano eventualmente i poteri valutativi della corte di appello ai fini della messa in esecuzione in Italia della sentenza promanante dall’autorità giudiziaria dello Stato membro di emissione.
A prima vista, potrebbe dirsi che la norma attribuisca alla corte di appello un potere valutativo discrezionalmente esercitabile, come rivelerebbe l’inciso "sempre che la corte di appello disponga…", cui è subordinato il rifiuto della consegna.
Ma una simile conclusione appare dissonante con la previsione della L. n. 69 del 2005, art. 19, comma 1, lett. c), secondo cui, in caso di MAE "processuale" emesso a carico di un cittadino italiano (o di un residente in Italia) "la consegna è subordinata alla condizione che la persona, dopo essere stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro di esecuzione per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà personale eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro di emissione".
Dunque, se il cittadino italiano consegnato in forza di un MAE "processuale", dopo essere stato processato e condannato all’estero, deve essere inderogabilmente rinviato in Italia per ivi scontare la pena, appare conseguente ritenere che il cittadino raggiunto da un MAE "esecutivo" non possa essere consegnato allo Stato membro emittente, dovendo anch’esso scontare la pena in Italia.
Tuttavia, sia nell’una che nell’altra ipotesi, appare che l’esecuzione della pena in Italia, anzichè nello Stato membro di emissione, è influenzata dalle indicazioni provenienti dallo stesso soggetto interessato, non essendovi ragioni di ordine pubblico interno per ritenere che nel contesto dell’Unione europea la pena inflitta dall’autorità giudiziaria dello Stato membro debba essere inderogabilmente eseguita in Italia, ove il condannato cittadino italiano non lo richieda. Quest’ultimo, infatti, potrebbe avere residenza, interessi, o affetti radicati nell’ambito territoriale dello Stato di emissione, sicchè, in tale situazione, sembra ragionevole tenere conto delle opzioni dal medesimo esplicitate ai fini della individuazione dell’ambito territoriale nel quale deve avere luogo la esecuzione della pena.
Nel caso in esame, il P. aveva, come detto, espresso la richiesta di potere scontare la pena in Italia.
Sennonchè, per effetto del parziale annullamento della sentenza impugnata, esclusasi, come sopra statuito, la consegna per la ipotesi di cui alla fattispecie di emissione di assegni a vuoto, la pena residua per il reato di appropriazione indebita, è pari, a quanto si desume dalla sentenza del Tribunale di Valcea, a un anno e sei mesi di reclusione (fol. 94); sicchè è in relazione a detta ridotta pena, da cui va detratto il tempo della custodia cautelare sofferta, che l’interessato deve ora nuovamente esercitare l’opzione circa il luogo di esecuzione.
Ai fini della formazione di un valido titolo esecutivo, inoltre, la Corte territoriale non solo dovrà determinare esattamente la pena da porre in esecuzione, ma anche qualificarne il titolo giuridico, in conformità, come previsto dalla norma sopra richiamata, al diritto interno, in particolare applicando in via analogica i criteri fissati dall’art. 735 c.p.p..
La sentenza impugnata va pertanto annullata su tale punto con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna, che si atterrà ai principi sopra precisati.
4. in sede di rinvio, la Corte territoriale valuterà anche la rilevanza della documentazione prodotta dalla difesa alla odierna udienza circa l’avviata procedura di revoca della sentenza del Tribunale di Valcea, eventualmente richiedendo allo Stato membro di emissione, ove ne ravvisi l’esigenza, informazioni integrative, a norma della L. n. 69 del 2005, art. 16.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente alla ipotesi di truffa, qualificato il fatto come emissione continuata di assegni senza provvista e in difetto di autorizzazione, perchè non previsto dalla legge italiana come reato.
Annulla la stessa sentenza relativamente al reato residuo e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Bologna per nuovo giudizio.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.
Riserva il deposito della motivazione.

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