Cass. pen., sez. IV 31-10-2007 (04-10-2007), n. 40309 Impedimento dell’imputato o del difensore – Rinvio del dibattimento – Sospensione della prescrizione – Provvedimento formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A seguito di sentenza di annullamento con rinvio in data 11.11.2003 della 3^ sezione penale della Corte di Cassazione, il Giudice monocratico del Tribunale di Benevento, sezione distaccata di Guardia Sanframondi, con sentenza del 15.3.2004, dichiarava I.B. e F.G. responsabili della contravvenzione di cui all’art. 21, lett. R), in riferimento alla L. n. 157 del 1992, art. 30, lett. H), per avere esercitato l’attività venatoria con l’ausilio di un richiamo acustico a funzionamento elettronico riproducete il canto del tordo, fatto commesso il 12.11.2000, e condannava ciascuno alla pena di Euro 800,00 di ammenda, oltre statuizioni accessorie.
Il G.M. motivava la declaratoria di responsabilità, ritenuta da questa Corte insufficientemente spiegata con la sentenza oggetto di annullamento, precisando che non vi era dubbio che l’I. stesse esercitando la caccia, in quanto dalle testimonianze delle guardie venatorie era risultato che l’imputato era armato di fucile ed in possesso di tutta l’attrezzatura necessaria per l’esercizio della caccia, in zona dove era consentita. Inoltre, l’I. e il F. stavano assieme, e il richiamo acustico fu ritrovato dalle guardie venatorie nello stivale del F., il quale aveva tentato di allontanarsi, mentre il solo I. era sottoposto a controllo.
Da tali circostanze il giudice di merito ha dedotto il concorso degli imputati, uno dei quali, pur non avendo attrezzi per la caccia, utilizzava il richiamo proibito per aiutare il compagno, invece sicuramente dedito alla caccia.
Nella sentenza impugnata veniva anche precisato che il reato non era estinto per prescrizione essendovi stato un rinvio di 4 mesi e tre giorni per impedimento dell’imputato F..
Avverso la succitata sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati con unico atto, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:
1) Violazione del diritto di difesa per non avere ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini preliminari;
2) Nullità del capo di imputazione perchè generico;
3) Motivazione generica, illogica e contraddittoria perchè dalle circostanze esposte non si evinceva l’esercizio della caccia, nè l’uso dell’apparecchio acustico;
4) Erronea motivazione perchè l’"atteggiamento di caccia" costituisce una opinione inammissibile dei verbalizzanti;
5) Prescrizione del reato, essendo stato il rinvio per l’impedimento dell’imputato F. eccessivamente lungo, dovuto ad esigenze dell’ufficio, e non essendo comunque la sospensione estensibile all’altro imputato I.;
6) Omessa concessione della sospensione condizionale della pena.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In primo luogo, vanno dichiarati inammissibili i primi due motivi di ricorso, sui quali la Corte di Cassazione, sezione 3, si è già pronunciata, disattendendoli, con la sentenza dell’11.11.2003, ed in ordine ai quali sussiste quindi la preclusione del giudicato, e non possono essere più riproposti con il nuovo atto di impugnazione, depositato il 7.5.2004, a norma dell’art. 624 c.p.p. (Cass. 16.4.2004 n. 21769, riv. 228593).
Per ciò che concerne il terzo motivo di impugnazione, si osserva che la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto, pressocchè costantemente, che "l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali" (Cass. 24.9.2003 n. 18;
conformi, sempre a sezioni unite Cass. n. 12/2000; n. 24/1999; n. 6402/1997).
Più specificamente "esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità, la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Cass. sezioni unite 30.4.1997, Dessimone).
Il riferimento dell’art. 606 c.p.p., lett. e) alla "mancanza o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato" significa in modo assolutamente inequivocabile che in Cassazione non si svolge un terzo grado di merito, e che il sindacato di legittimità è limitato alla valutazione del testo impugnato.
Nella specie, la sentenza impugnata è congruamente e logicamente motivata, ben descrivendo la dinamica dei fatti in base alle attendibili dichiarazioni delle guardie venatorie D.M.G. e B.C., e precisando come vi sia il concorso tra la persona che deteneva il richiamo acustico proibito (il F.) e la persona che esercitava inequivocabilmente la caccia (l’I.), sia perchè i due stavano assieme, sia per il tentativo di fuga del F. al momento del controllo dell’ I..
In tal modo, il giudice di merito ha congruamente e logicamente ottemperato alla osservanza dei motivi di annullamento con rinvio della precedente sentenza del 28.3.2003, avendo questa Corte specificato che bisognava spiegare in che cosa consisteva l’atteggiamento di caccia dell’ I., e quali erano le cause del ritenuto concorso tra i due imputati.
In presenza di una motivazione logica e congrua, le censure dei ricorrenti, peraltro esclusivamente di merito, sono inammissibili.
Il quarto motivo di ricorso è generico, e anche errato in fatto, ancor prima che in diritto, in quanto il giudice di merito non si è limitato a ritenere l’"atteggiamento di caccia" dell’ I., come nella prima sentenza annullata, ma ha spiegato che l’imputato era munito di fucile e aveva tutto l’occorrente per l’esercizio della caccia.
In ordine al quinto motivo di impugnazione, il ricorrente non contesta che con la sospensione del termine di prescrizione ex art. 159 c.p., alla data di emissione della sentenza impugnata del 15.3.2004, la prescrizione non era decorsa (in quanto sarebbe scaduta dieci giorni dopo), ma che il rinvio di mesi quattro e giorni tredici dell’udienza in cui l’imputato F. era impedito è stato eccessivo, e non se ne poteva far ricadere le conseguenze sull’istante. Inoltre, si assume che la sospensione non è estensibile al coimputato I..
Osserva il Collegio che, come ritenuto costantemente da questa Corte, "il rinvio del dibattimento disposto per impedimento dell’imputato o del difensore e su loro richiesta non necessita di un formale provvedimento di sospensione della prescrizione; infatti, la sospensione del corso della prescrizione è normativamente ancorata all’ipotesi di sospensione del procedimento penale, equiparabile, a tal fine, al rinvio, con la conseguenza che essa è produttiva di effetti per tutti coloro che hanno commesso il reato, ex art. 161 c.p., comma 1, e quando si procede congiuntamente per reati connessi, per tutti gli imputati, ex art. 161 c.p., comma 2, non necessita di un formale provvedimento di sospensione e comprende tutto il periodo durante il quale il dibattimento è rinviato per impedimento o su richiesta dell’imputato o del difensore" (Cass. 4.4.2005 n. 12453, riv. 231694).
Nè a diverse conclusioni si può pervenire per lo ius superveniens, e cioè la formulazione dell’art. 159 c.p., comma 1, n. 3, come modificato dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 6, comma 3, il quale dispone che il rinvio per impedimento delle parti non può essere differito oltre il sessantesimo giorno della prevedibile cessazione dell’impedimento, trattandosi di norma processuale, correlata all’art. 420 ter c.p.p., per la quale vige il principio tempus regit actum.
Nè il reato si può ritenere prescritto alla data della presente sentenza, in quanto, come è stato affermato dalla sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite n. 32 del 22.11.2000, l’inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p., tra cui la prescrizione del reato, maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (conforme Cass. 12.11.1999 n. 14013).
Infine, del tutto generica – e quindi, si ribadisce, in violazione dell’art. 581 c.p.p., lett. e) – è la censura relativa alla mancanza di motivazione relativa alla omessa concessione della sospensione condizionale della pena agli imputati, non indicandosi alcuna ragione per la quale tale beneficio doveva essere concesso, nè precisandosi se se vi sia agli atti la relativa richiesta, unico caso in cui vi sarebbe stato obbligo di motivazione.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna in solido dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione delle cause di inammissibilità.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale

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