Cass. pen., sez. I 30-10-2007 (24-10-2007), n. 40222 Cause di improcedibilità dell’azione penale – Riconducibilità nella nozione di cause di non punibilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

OSSERVA
Con istanza datata 12.1.2007 P.A., sottoposto a custodia in carcere con provvedimento del 18.12.2006 per estorsione aggravata e partecipazione ad associazione di tipo mafioso, chiedeva la retrodatazione della decorrenza della custodia – e conseguente scarcerazione per superamento del termine massimo trattandosi di reati omogenei e connessi a quelli che avevano formato oggetto di precedente ordinanza coercitiva emessa in diverso procedimento il 26.1.2004, tutti desumibili dai medesimi elementi probatori già allora acquisiti e commessi nel medesimo arco di tempo (entro il (OMISSIS)).
Quanto al reato associativo, aveva riportato condanna, ormai irrevocabile, il 22.1.2004 – data di cessazione della permanenza iniziata nel 1998 – onde la nuova contestazione dell’art. 416 bis c.p., veniva ad essere interamente compresa nell’arco temporale della precedente, il che rendeva illegittima la cattura per lo stesso fatto, dovendo essere disposto il proscioglimento a norma dell’art. 649 c.p.p.. Con ordinanza del 7.3.2007 il G.I.P. del Tribunale di Napoli ha respinto l’istanza, osservando che non ricorrevano le condizioni per la retrodatazione della decorrenza del termine massimo della custodia ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3.
Una precedente ordinanza applicativa della custodia cautelare era intervenuta in procedimento concluso con sentenza di patteggiamento divenuta irrevocabile il 14.12.2004, ben prima che venisse disposta, il 18.12.2006, la misura coercitiva qui in esame, onde restava inoperante la normativa sulla contestazione "a catena", che presuppone la contemporanea pendenza dei procedimenti. Quanto all’altro provvedimento cautelare del 26.1.2004, emesso in un diverso e non precisamente individuato procedimento, mancando tra i fatti oggetto di detta ordinanza e quelli contestati nel 2006 la connessione qualificata restava del pari esclusa l’operatività dell’art. 297 c.p.p., comma 3. Il P. ha proposto appello, censurando il totale difetto di motivazione in ordine alla richiesta relativa al reato associativo e ribadendo, quanto alle estorsioni, che le richieste cautelari erano state indebitamente frazionate nel tempo dal P.M., già in possesso degli elementi per un’unica contestazione al momento del più remoto provvedimento coercitivo.
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Napoli, costituito ex art. 310 c.p.p., ha respinto l’appello, condividendo, quanto al diniego dell’applicazione dell’art. 297 c.p.p., comma 3, i rilievi del G.I.P.; ha inoltre osservato che le deduzioni di parte erano generiche e prive di "concrete allegazioni in merito alla dimostrazione della contestualità delle acquisizioni processuali".
Ha altresì ritenuto "improprio ed irricevibile" il motivo concernente "la richiesta di proscioglimento ai sensi dell’art. 649 c.p.p., non essendo il Tribunale del riesame investito della cognizione del merito del procedimento principale". Ricorre per Cassazione il P., denunciando l’omessa motivazione in ordine alla richiesta di scarcerazione per il reato associativo, in ordine al quale non aveva preteso il proscioglimento, ma il riconoscimento dell’improcedibilità per duplicazione di giudizio, cui conseguiva l’illegittimità di un nuovo provvedimento coercitivo. Analogo vizio ravvisava quanto all’altra richiesta ex art. 297 c.p.p., comma 3.
Il ricorso è fondato. Quanto alla prima questione, il ricorrente con l’istanza introduttiva e con l’appello ha sostenuto che il delitto associativo qui contestato sarebbe interamente compreso, nei suoi estremi materiali e temporali, nell’ambito della condanna irrevocabile subita per lo stesso titolo di reato il 22.1.2004. Se così fosse, non potrebbe procedersi per lo stesso fatto a norma dell’art. 649 c.p.p. e la misura custodiale sarebbe stata adottata in assenza di una delle condizioni di applicabilità previste dall’art. 273 c.p.p., comma 2, là dove stabilisce che nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di "una causa di non punibilità", locuzione quest’ultima idonea a ricomprendere anche le cause di improcedibilità dell’azione penale, come è dato argomentare anche da quanto previsto dall’art. 129 c.p.p., comma 1, che, nello stabilire l’obbligo della immediata declaratoria di determinate "cause di non punibilità", ha riguardo anche alla mancanza di una condizione di procedibilità (cfr., per l’enunciazione del principio, Cass., Sez. 1, 9.5/8.6.1994, Tarek; con riferimento alla querela, Cass., Sez. 4, 4.7/3.9.1997, Min. Tesoro in proc. Cavallini; alla presenza nel territorio dello Stato dello straniero autore di delitto comune all’estero, Sez. 1, 11.7730.10.2003, Mohamad; alla mancata autorizzazione alla riapertura delle indagini dopo archiviazione, Sez. 4, 4.7/19.8.2005, Fatane).
Particolarmente autorevole l’affermazione delle Sezioni Unite di questa Corte (22.3/1.6.2000, Finocchiaro) circa l’illegittimità dell’ordinanza impositiva di misura cautelare adottata nei confronti della stessa persona e fondata sullo "stesso fatto" contemplati da non rimosso, anteriore provvedimento di archiviazione.
Tanto considerato, la richiesta di scarcerazione in ordine all’addebito di cui all’art. 416 bis c.p., per essere il fatto identico a quello già giudicato, e pertanto non più suscettibile di indagine e provvedimenti cautelari, non è stata verificata nel suo fondamento materiale, avendola il G.I.P. presa in considerazione sotto il diverso profilo della "contestazione a catena" e il Tribunale ritenuta inammissibile fraintendendone il significato; si rende perciò necessario l’annullamento, con rinvio per nuovo esame in osservanza del principio di diritto sopra enunciato.
Quanto alle residue imputazioni, il G.I.P. ha solo apoditticamente escluso la connessione qualificata fra le estorsioni qui contestate e quelle oggetto di precedente ordinanza cautelare e ritenuto decisiva la circostanza che si tratti di provvedimenti cautelari emessi in procedimenti diversi; il Tribunale ha soltanto aggiunto che le deduzioni erano generiche quanto alla desumibilità dagli atti, al momento della emissione della prima ordinanza, dei fatti successivamente contestati (il che non può dirsi, avendo l’interessato rinviato alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ed alle intercettazioni telefoniche già acquisite in occasione del primo provvedimento).
In sostanza, non è stato fatto puntuale riferimento ai criteri ed alle distinzioni operate dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (Sez. Un. 19.12.2006/10.4.2007, Librato), nè sono state operate le conseguenti verifiche in fatto; anche sotto questo profilo va quindi disposto annullamento con rinvio, rimandando ai principi giurisprudenziali ora richiamati in tema di "contestazione a catena" (quando nei confronti di un imputato sono emesse in procedimenti diversi più ordinanze cautelari per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata, la retrodatazione prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, opera per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza. Nel caso in cui le ordinanze cautelari adottate in procedimenti diversi riguardino invece fatti tra i quali non sussiste la suddetta connessione e gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, i termini della seconda ordinanza decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima solo se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del pubblico ministero).
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Prima Penale, annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Napoli.
Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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