Cass. pen., sez. II 19-10-2007 (10-10-2007), n. 38903 Prelievo di materiali organici (nella specie: tracce di saliva) – Reperti legittimamente prelevati – Limiti alla utilizzazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

OSSERVA
Il 20 aprile 2007 il Tribunale per i minorenni di Palermo ha rigettato la richiesta proposta nell’interesse di M.A., indagato per il reato di cui all’art. 635 c.p., avverso il decreto di perquisizione e sequestro emesso dal Pubblico Ministero presso il menzionato ufficio.
Ricorrono i difensori, deducendo due motivi.
Con il primo evidenziano insussistenza degli indizi di colpevolezza, motivazione carente nonchè illogica. Assumono non sussistere i presupposti della perquisizione personale e locale da eseguire salvo che l’indagato non avesse consentito all’effettuazione del "tampone boccale" (in modo più chiaro "prelievo di tracce biologiche").
Ricordano che l’atto è stato compiuto alle (OMISSIS) del (OMISSIS) e, quindi, fuori dell’orario consentito ai sensi dell’art. 251 c.p.p. e che, su richiesta del difensore presente, gli ufficiali di polizia giudiziaria s’erano astenuti dal proseguire. Ritornati dopo poche ore, gli stessi – precisano i ricorrenti – hanno proceduto alla perquisizione ed al sequestro degli oggetti (effetti personali) indicati in verbale. Assumono che il decreto è motivato con riferimento a mere congetture del Pubblico Ministero e non concernerebbe le "cose pertinenti il reato", cioè quelle necessarie all’accertamento dei fatti. Aggiungono che il richiamo contenuto nel provvedimento del Pubblico Ministero alle "tracce biologiche" si riferirebbe unicamente a quelle rinvenute sul luogo del fatto e non al bene personalissimo costituito dal profilo biologico di M..
La giurisprudenza avrebbe esteso il divieto di prelievo coattivo anche ad acquisizioni non invasive della sfera fisica dell’individuo:
ne deriverebbe il divieto di procedere a perquisizione.
Con il secondo motivo lamentano la violazione degli artt. 247, 253 e 355 c.p.p. e difetto di motivazione. Il Procuratore della Repubblica avrebbe omesso d’indicare beni rilevanti a fini probatori e l’oggetto specifico della misura, essendosi limitato a menzionare "beni su cui è possibile effettuare la ricerca del profilo genetico": tale indeterminatezza rimette alla discrezionalità della polizia giudiziaria l’individuazione della res; in tal caso sarebbe necessaria la convalida, richiesta dagli stessi operanti.
Asseriscono che sarebbe assente nell’originario provvedimento la motivazione sul tema delle finalità probatorie. Criticano l’espressione del Tribunale secondo cui l’indagato non avrebbe contestato l’effettiva valenza probatoria dei beni assoggettati a sequestro, rilevando che nessuna norma la prevede.
Erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto che le garanzie difensive sono state rispettate, mentre vi sarebbe stata la loro violazione.
Il ricorso è infondato.
E’ noto che fin dal 1996 la Corte Costituzionale con la sentenza n. 238 è intervenuta sul tema dei prelievi a fini peritali dichiarando "l’illegittimità costituzionale dell’art. 224 c.p.p., comma 2 (seconda proposizione), nella parte in cui consente misure restrittive della libertà personale finalizzate alla esecuzione della perizia, ed in particolare il prelievo ematico coattivo, senza determinare la tipologia delle misure esperibili e senza precisare i casi ed i modi in cui esse possono essere adottate".
Rilevava il Giudice delle leggi che, quando il soggetto non acconsente spontaneamente al prelievo per eseguire la perizia su tracce organiche, occorre sottoporre l’individuo a prelievo, imponendogli una restrizione alla sfera corporale tale da poter compromettere l’integrità fisica, la salute o la dignità.
Tale specifica attività d’indagine, invasiva della sfera più intima della persona, non è stata, però disciplinata dal legislatore con precise statuizioni, che impongano precisi limiti e prevedano le conseguenze del rifiuto. V’è soltanto la generica disposizione dell’ultima parte dell’art. 224 c.p.p. secondo cui il giudice "adotta tutti gli altri provvedimenti che si rendono necessari per l’esecuzione delle operazioni peritali". Mancando, dunque, la tipizzazione dei "casi e modi" in cui la libertà può essere compressa, questa norma è stata dichiarata incostituzionale nella parte in cui delega alla piena discrezionalità del giudice la scelta dei criteri e dei modi d’applicazione, poichè l’art. 13 Cost. prevede, al contrario, una riserva di legge ordinaria, che deve indicare i "modi" della limitazione della libertà personale in senso puntuale e positivo e non tramite un rinvio alla discrezionalità del giudice, che eserciterebbe il suo potere in assenza di criteri di riferimento normativo.
Svolta tale indispensabile premessa, va, però, affermato che, fino al sopravvenire di una normativa, che applichi il dettato dell’art. 224 c.p.p. ultima parte, è inibita l’interferenza nella sfera fisica dell’individuo, per eseguire prelievi al fine di espletare accertamenti peritali; è legittima, invece, la raccolta di qualsiasi altro elemento probatorio, che sia espletata nell’osservanza delle norme processuali vigenti in tema di limitazione della libertà individuale, con riferimento sia a quella personale che domiciliare, quando venga posta in essere tramite il corretto uso del potere – dovere di perquisizione e sequestro, anche se sia finalizzata alla raccolta delle c.d. tracce biologiche, quali capelli, sangue, cute, saliva e sperma.
Ne deriva che nella specie il provvedimento adottato dal Pubblico Ministero con cui si disponevano tali mezzi di ricerca della prova, proprio perchè specificamente previsti e disciplinati dalla legge ordinaria, è legittimo, non avendo comportato alcun’intrusione corporale vietata.
Consegue che l’astratta censura sollevata dai difensori sulla violazione della libertà personale, che sarebbe stata realizzata con la perquisizione ed il sequestro è infondata.
Va rigettato anche l’altro motivo attinente alla mancanza di motivazione dell’ordinanza impugnata a proposito dell’asserita assenza d’indizi ed alla pretesa necessità di convalidare il sequestro eseguito dalla polizia giudiziaria.
La nozione di cosa pertinente al reato, infatti, non può essere ristretta alle res che siano state utilizzate per commettere il reato o che ne siano il prezzo, il prodotto o il profitto e che siano, pertanto legate da un rapporto strumentale o consequenziale, ma va estesa anche a quelle che sono indispensabili sia alla verifica di tutte le modalità di preparazione ed esecuzione del reato, sia alla conservazione delle sue tracce o all’identificazione del colpevole, compreso l’accertamento del movente.
E’, quindi, legittimo e motivato il provvedimento che dispone la perquisizione ed il sequestro, senza l’indicazione dettagliata delle cose da ricercare ed acquisire, quando – come nella specie – contenga la puntuale indicazione del reato per il quale si procede e degli oggetti individuati dallo scopo di espletare la comparazione tra le tracce relative al profilo genetico raccolte in sede di perquisizione con quelle ematiche rinvenute sul luogo di perpetrazione del delitto.
La sussistenza di un minimum di discrezionalità operativa deve essere consentita alla polizia giudiziaria, purchè sia specificamente indicata la finalizzazione degli oggetti da sequestrare e l’ambito d’esecuzione della ricerca.
Siffatta soluzione interpretativa d’altronde s’inserisce in modo congruo nell’ambito delle garanzie assicurate dalla legge processuale all’indagato o al terzo, che possono immediatamente richiedere la restituzione delle cose che ritengano essere estranee al rapporto di pertinenzialità o al tema d’indagine.
In questo senso va intesa la motivazione del provvedimento del Tribunale; la stessa risulta congrua, laddove ha osservato che il ricorrente nulla ha opposto in ordine all’effettiva utilità dei beni a fini comparativi ed alla loro valenza probatoria.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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