Cass. pen., sez. V 26-09-07 (18-09-07), n.35543 Comunicazione,redatta all’esito di un’assemblea condominiale e affissa in un luogo accessibile ad un numero indeterminato di soggetti,con la quale alcuni condomini siano indicati come morosi nel pagamenti.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

OSSERVA
D.L., G.F., T.G., P.V., I.P., Ga.Gi., V. M., sono stati condannati dal Tribunale di Messina con sentenza del 27.2.2002 alla pena di Euro 50,00 di multa ciascuno, oltre risarcimento danni, riconoscendoli colpevoli del delitto di diffamazione in danno di Z.S., C.C. e Z.M., per avere, all’esito di un’assemblea condominiale, redatto e affisso una comunicazione scritta con la quale si rendeva noto che, a causa della perdurante morosità dei predetti nel pagamento di quote condominiali, gli stessi sarebbero stati esclusi da alcuni servizi (uso dell’ascensore, citofono ecc.).
La Corte di appello di quella stessa città, con sentenza 30.1.2006, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, ha assolto I. e Ga. per non aver commesso il fatto, ha dichiarato NDP nei confronti del T. per essere il reato estinto per morte del predetto e ha confermato nel resto.
Propongono ricorso per Cassazione D., P. e V., deducendo erronea applicazione dell’art. 595 c.p., atteso che la stessa Corte di appello ha chiarito che le espressioni denigratorie ("veramente deprecabile ecc.") non erano imputabili ai ricorrenti, ma solo all’amministratore del condominio; dunque gli stessi avrebbero dovuto essere assolti perchè il fatto non sussiste, per non averlo commesso o perchè non costituisce reato. Senza tali frasi, la condotta sarebbe infatti stata penalmente irrilevante in quanto sarebbe consistita in una attività volta a comunicare ai condomini assenti il deliberato assembleare. La punibilità invero resta esclusa in considerazione del fatto che i condomini, portando a conoscenza degli interessati, le decisioni assunte, soddisfacevano un oggettivo interesse alla comunicazione.
Deducono inoltre: 1) carenze motivazionali, in quanto, riconosciuta la difformità tra il deliberato assembleare e il comunicato affisso, la Corte di merito avrebbe dovuto trame le logiche conseguenze, mandando assolti i ricorrenti, 2) erronea applicazione degli artt. 74 e 185 c.p., essendo la mancanza di responsabilità civile conseguenza dell’evidente irrilevanza penale della condotta dei ricorrenti;
comunque gli stessi non avrebbero mai potuti essere ritenuti responsabili civilmente nei confronti di Z.S. e di C., non contemplati nella deliberazione assembleare, 3) inosservanza dell’art. 62 bis c.p. e mancanza di motivazione in ordine alla negazione delle dette circostanze e del beneficio della non menzione.
Tanto premesso va chiarito che la sentenza impugnata ha precisato che, anche senza l’inserimento della espressione "veramente deprecabilè, riferita alla morosità del gruppo familiare dello Z., la semplice affissione del contenuto del deliberato assembleare nella bacheca dell’immobile integra l’elemento oggettivo del delitto contestato, atteso che proprio nel verbale della assemblea erano contenute – a quanto si apprende – espressioni di forte censura nei confronti dei morosi.
L’assunto è corretto, atteso che la verità del fatto denigratorio non ne legittima sempre la diffusione inter alios. Invero il requisito della rilevanza sociale (che insieme con quello della continenza e della verità della notizia, è ritenuto, come è noto, dalla giurisprudenza indispensabile perchè la condotta denigratoria sia scriminata ai sensi dell’art. 51 c.p.) va parametrato all’ambito di oggettivo, potenziale interesse della notizia stessa. Così, mentre – ad esempio – una informazione di carattere politico è, almeno in astratto, rilevante erga omnes (e, per tal motivo, può essere diffusa, anche se sfavorevole a taluno, attraverso i media), una notizia relativa alle vicende condominiali non può andare oltre il ristretto perimetro rappresentato dalla cerchia dei condomini ed, eventualmente, dei terzi che con il condominio sono in rapporti.
Si vuol significare: l’efficacia scriminante del diritto di cronaca e di critica non riguarda solo la attività di scrittori, giornalisti, anchorman televisivi ecc, ma anche quella del comune cittadino cui, indubbiamente, la Costituzione lo riconosce; tuttavia la rilevanza della notizia non sempre è assoluta, ma a volte riferibile a un ristretto ambito nel quale la sua diffusione è funzionale al corretto svolgimento delle relazioni interpersonali e dei rapporti sociali. Così, come correttamente rileva la Corte di appello, se la censura relativa alla condotta dei condomini morosi e ai conseguenti provvedimenti assunti e da assumere fosse rimasta confinata nell’ambito condominiale (es. mediante l’invio del verbale agli aventi diritto assenti e/o l’affissione del comunicato in ambiente accessibile solo ai condomini), la diffusione della relativa informazione sarebbe stata certamente scriminata. Tuttavia, poichè la predetta notizia è stata portata – mediante affissione nella bacheca collocata "in luogo aperto a un numero indeterminato di persone" (cfr. sentenza pag. 2) – potenzialmente a conoscenza anche di soggetti nei cui confronti nessun valore funzionale poteva avere, va da sè che l’elemento oggettivo del delitto ex art. 595 c.p. deve ritenersi compiutamente integrato, non ricorrendo alcuna ragione socialmente valida per ritenere scriminato il comportamento diffamatorio.
Il consenso (implicitamente o esplicitamente) prestato all’affissione in bacheca del documento non può poi non comportare che anche della lesione della reputazione dei congiunti del condomino i ricorrenti debbano essere ritenuti responsabili (ovviamente anche sul piano risarcitorio).
Quanto al trattamento sanzionatolo, è di tutta evidenza che la Corte di appello, rilevandone la riconoscibile esiguità, lo ha ritenuto del tutto adeguato, negando, sia pure per implicito, la concessione del chiesto beneficio (che pure ha considerato, come emerge dalla menzione fattane nel riepilogo dei motivi di appello) nonchè il riconoscimento delle attenuanti generiche, la cui funzione, come è noto, è quella di adeguare la pena al reale disvalore sociale della condotta.
Per tutte le ragioni sopra esposte, i ricorsi, in quanto manifestamente infondati, vanno dichiarati inammissibili.
I ricorrenti, conseguentemente, vanno condannati, solidalmente, alle spese del grado e, singolarmente, al versamento di somma a favore della Cassa ammende. Si stima equo determinare detta somma in Euro 500,00.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese del procedimento e ciascuno al versamento della somma di Euro cinquecento alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *