Corte Costituzionale, Sentenza n. 328 del 2006, in tema di organizzazione sanitaria

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

1. – La Provincia autonoma di Trento, con ricorso notificato il 31 agosto 2004 e depositato il successivo 2 settembre 2004, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato riguardo al decreto del Ministro della salute 31 maggio 2004, recante “Requisiti che devono possedere le società scientifiche e le associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 153 del 2 luglio 2004, in riferimento agli articoli 8, numero 1) e numero 29), 9 numero 10), e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e relative norme d’attuazione, agli artt. 2 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), agli artt. 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118 della Costituzione, all’art. 10 della legge costituzionale 19 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nonché ai principi di leale collaborazione e di certezza normativa.

2. – La Provincia premette di essere titolare di competenza legislativa concorrente in materia di sanità e di competenza legislativa primaria in materia di «formazione professionale» e di «ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto», in virtù degli artt. 9 numero 10) ed 8, numero 29) e numero 1), dello statuto speciale. Tuttavia, l’art. 117 della Costituzione avrebbe attribuito alle regioni a statuto ordinario una più ampia autonomia, essendo la materia dell’organizzazione sanitaria configurabile quale materia di competenza residuale ed essendo venuti meno i limiti delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali e dell’interesse nazionale: pertanto, ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, la ricorrente sostiene che, nelle materie predette, occorra fare riferimento, anche per la Provincia autonoma, al titolo V della Costituzione.

Secondo la ricorrente, l’atto impugnato – il quale stabilisce i requisiti essenziali che le società scientifiche devono possedere per svolgere le attività formative e di collaborazione con le istituzioni pubbliche competenti in materia di sanità (con particolare riferimento all’attività formativa nell’ambito del programma ECM ed all’attività di collaborazione nei confronti degli organi centrali e regionali e delle istituzioni e degli organismi che operano nei vari settori di attività sanitarie) – violerebbe le competenze costituzionali della Provincia autonoma di Trento in materia di “formazione professionale”, di “ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto” e di “tutela della salute”.

Ad avviso della Provincia il d.m. 31 maggio 2004 sarebbe illegittimo sotto svariati profili.

Il decreto sarebbe stato adottato in carenza di potere, non potendo l’art. 16-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), richiamato nella premessa dell’atto impugnato, costituirne idonea base legislativa. Questa norma, infatti, attribuisce alla Commissione nazionale per la formazione continua il compito di definire «i requisiti per l’accreditamento delle società scientifiche nonché dei soggetti pubblici e privati che svolgono attività formative» e di procedere «alla verifica della sussistenza dei requisiti stessi» (art. 16-ter, comma 2, ultima frase). L’atto impugnato, invece, istituisce un potere, quello di fissare i requisiti e di effettuare il “riconoscimento”, che si differenzierebbe, per soggetto e per oggetto, da quello esercitato in base all’art.16-ter del d.lgs. n. 502 del 1992, essendo attribuito al Ministro della salute e non alla Commissione nazionale per la formazione continua e riguardando non solo le attività formative ma anche la collaborazione con le istituzioni sanitarie (art. 1, comma 1, e art. 5, comma 2).

Secondo la ricorrente, qualora si ritenesse che l’oggetto dell’art. 16-ter cit. corrisponda all’oggetto del d.m. 31 maggio 2004, questo sarebbe comunque illegittimo in quanto privo di fondamento legislativo. Detta norma non sarebbe, infatti, applicabile alla Provincia autonoma di Trento, in quanto non richiamata dall’art. 19, comma 2, del d.lgs. n. 502 del 1992 fra quelle che costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale. In ogni caso, se la norma fosse ritenuta applicabile, non potrebbe più costituire idonea base normativa del potere esercitato dal Ministro, essendo detto potere regolamentare venuto meno a seguito della legge costituzionale n. 3 del 2001.

Ad avviso della ricorrente, l’atto violerebbe inoltre l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, in virtù del quale lo Stato può soltanto far sorgere, eventualmente, nelle materie di competenza provinciale, un obbligo di adeguamento: nella specie, la materia è stata disciplinata con norme direttamente applicabili nella Provincia, di rango regolamentare, in contrasto, quindi, anche con l’art. 117, sesto comma, della Costituzione, evocabile qualora si ritenesse che le competenze provinciali in materia di formazione e di organizzazione sanitaria debbano essere ricondotte a tale parametro costituzionale. La Provincia osserva, inoltre, che, nel caso in cui si ritenesse inapplicabile il decreto, la sola presenza della disciplina dallo stesso recata comporterebbe una situazione di incertezza di per sé lesiva del principio di certezza normativa.

La ricorrente lamenta altresì che il decreto, in quanto adottato senza il coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni, violi il principio di leale collaborazione, che richiede forme di raccordo sia quando, come nella specie, le competenze statali esercitate interferiscono con le competenze regionali, sia in virtù di quanto stabilito dall’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 281 del 1997, dato che il d.m. 31 maggio 2004, sostanzialmente, è un regolamento.

La Provincia ricorrente deduce, infine, l’illegittimità degli artt. 1, commi 1 e 2; 5; 6, commi 2, 3 e 4, e 7, comma 2, del decreto ministeriale impugnato, i quali attribuiscono ad organi statali funzioni amministrative non spettanti allo Stato, in contrasto con l’art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992. Tale ultima disposizione stabilisce, infatti, che «nelle materie di competenza propria della regione o delle province autonome la legge non può attribuire agli organi statali funzioni amministrative, comprese quelle di vigilanza, di polizia amministrativa e di accertamento di violazioni amministrative, diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e le relative norme di attuazione». Le predette norme determinerebbero la lesione anche dell’art. 118 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione, non sussistendo l’esigenza di un esercizio unitario della funzione amministrativa in esame che possa giustificare la chiamata in sussidiarietà e non potendosi, comunque, derogare al riparto delle competenze con un regolamento ed in assenza della necessaria previa intesa con la Provincia.

In conclusione, la ricorrente chiede che la Corte dichiari che non spetta allo Stato stabilire, in materia di competenza provinciale, norme sostanzialmente regolamentari, attribuendo poteri amministrativi ad organi statali, e conseguentemente annulli il decreto impugnato.

3. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale, nell’atto di costituzione e nelle memorie depositate nell’imminenza dell’udienza pubblica, ha dedotto l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.

Ad avviso della difesa erariale, il ricorso sarebbe inammissibile, sia in quanto diretto a censurare una norma primaria, rivendicando una competenza che l’art. 16-ter del d.lgs. n. 502 del 1992 ha attribuito allo Stato, sia perché diretto a censurare il modo di esercizio di una funzione statale, denunciabile innanzi al giudice amministrativo.

In via preliminare, la difesa erariale osserva che la questione posta con il conflitto deve essere decisa sulla base degli artt. 117 della Costituzione e 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, non essendo stato correttamente evocato né l’art. 8, numero 1) e numero 29), dello statuto speciale, in considerazione della valenza nazionale dei crediti formativi e della estraneità della fissazione dei requisiti per l’accreditamento delle società scientifiche alla materia dell’ordinamento del personale addetto agli uffici della Provincia e della formazione professionale; né l’art. 9 numero 10) del medesimo statuto speciale, dato che la formazione continua non riguarda soltanto i medici operanti all’interno del Servizio sanitario e che, comunque, non tutte le organizzazioni che collaborano con le istituzioni sanitarie sono incluse nell’organizzazione sanitaria.

Nel merito, il ricorso sarebbe infondato, in quanto l’atto impugnato – che non avrebbe, peraltro, natura regolamentare – non riguarderebbe né la formazione professionale, né l’ordinamento degli uffici della Provincia, ma piuttosto inciderebbe su una serie di materie di competenza esclusiva statale. In particolare, la determinazione dei requisiti essenziali che le società scientifiche devono possedere per svolgere le attività formative e di collaborazione con le istituzioni pubbliche competenti in materia di sanità rientrerebbe, in parte, nella materia dell’ordinamento civile, in quanto detti requisiti concorrerebbero a definire capacità e qualificazione delle società private; in parte, nella materia dei “livelli essenziali delle prestazioni”, costituendo una garanzia per i cittadini in relazione alle prestazioni rese dai sanitari; in parte nella materia della formazione superiore.

4. – All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle memorie scritte.
Considerato in diritto

1. – Il conflitto di attribuzione promosso dalla Provincia autonoma di Trento nei confronti dello Stato con il ricorso indicato in epigrafe concerne il decreto del Ministro della salute 31 maggio 2004 recante “Requisiti che devono possedere le società scientifiche e le associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie”, pubblicato nella G.U. n. 153 del 2 luglio 2004. Il decreto è stato impugnato in riferimento agli artt. 8, numero 1) e numero 29), 9, numero 10) e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e relative norme di attuazione, agli artt. 2 e 4 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), agli artt. 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118 della Costituzione, all’art. 10 della legge costituzionale 19 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nonché ai principi di leale collaborazione e di certezza normativa.

Secondo la ricorrente, il decreto recherebbe norme sostanzialmente regolamentari, applicabili anche nella Provincia di Trento, in ordine ai requisiti essenziali che le società scientifiche devono possedere per svolgere le attività formative e di collaborazione con le istituzioni pubbliche competenti in materia di sanità, attribuendo poteri amministrativi di verifica dei predetti requisiti, di riconoscimento delle associazioni scientifiche e di revoca del medesimo al Ministro della salute e, quindi, determinerebbe la lesione delle proprie competenze costituzionali in materia di “formazione professionale”, di “ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto” e di “tutela della salute”.

L’illegittimità dell’atto impugnato è dedotta sotto vari profili.

Ad avviso dell’istante, l’atto sarebbe stato adottato in carenza di potere, non potendo l’art. 16-ter del d.lgs. n. 502 del 1992 costituirne idonea base legislativa. Inoltre, in violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, lo Stato avrebbe emanato norme regolamentari immediatamente applicabili nella Provincia autonoma di Trento in materie di competenza provinciale, nelle quali potrebbe intervenire solo con legge facendo sorgere, eventualmente, un mero obbligo di adeguamento delle Province.

In subordine, l’atto impugnato violerebbe il principio di leale collaborazione, in quanto adottato comunque senza il coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni.

Gli artt. 1, commi 1 e 2; 5; 6, commi 2, 3 e 4; 7, comma 2, del decreto attribuirebbero, infine, ad organi statali funzioni amministrative non spettanti allo Stato, in violazione dell’art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992, dell’art. 118 della Costituzione nonché del principio di leale collaborazione, dato che non sussisterebbe l’esigenza di un esercizio unitario delle funzioni amministrative in esame idonea a giustificare la chiamata in sussidiarietà ed in quanto, in ogni caso, il riparto delle competenze non potrebbe essere derogato con un regolamento ed in mancanza della necessaria previa intesa con la Provincia.

2. – L’Avvocatura generale dello Stato, in linea preliminare, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, in primo luogo in quanto diretto ad impugnare una norma primaria attributiva della competenza in contestazione allo Stato e cioè l’art. 16-ter del d.lgs. n. 502 del 1992, al quale il decreto impugnato ha dato applicazione; in secondo luogo, poiché esso censura il modo di esercizio della funzione statale disciplinata dal predetto art. 16-ter e quindi è volto a far valere un vizio denunciabile innanzi al giudice amministrativo.

Entrambe le eccezioni non sono fondate e vanno rigettate.

La ricorrente denuncia, infatti, l’illegittimità del decreto impugnato proprio in ragione del fatto che esso sarebbe stato adottato in carenza di potere, deducendo che il predetto art. 16-ter non costituisce idoneo fondamento legislativo del medesimo, e sostenendo la lesività della disciplina regolamentare contenuta in detto decreto in quanto priva di base legislativa (sentenza n. 266 del 2001).

Pertanto, risulta chiaro che il ricorso non è affatto volto a censurare l’art. 16-ter citato e che la ricorrente ha dedotto un vizio denunciabile innanzi a questa Corte.

3. – Nel merito, il ricorso è fondato.

Il decreto del Ministro della salute 31 maggio 2004 detta i requisiti per il “riconoscimento” delle società scientifiche (dei medici-chirurghi, dei veterinari, degli odontoiatri, dei farmacisti nonché degli psicologi, dei biologi, dei fisici e dei chimici) <> (art. 1, commi 1 e 2) e delle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie (infermieristiche, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione), che intendano svolgere attività di collaborazione con le istituzioni sanitarie ed attività di aggiornamento professionale <>; attribuisce, inoltre, al medesimo Ministro della salute il compito sia di verificare la sussistenza dei predetti requisiti, ai fini del <> (art. 6), sia di controllarne la permanenza, in funzione dell’eventuale revoca del predetto riconoscimento (art. 7).

L’art. 16-ter del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), richiamato nella premessa dell’atto impugnato, attribuisce ad una commissione appositamente istituita, la Commissione nazionale per la formazione continua – la cui composizione è determinata, per legge, in maniera tale da garantire che uno dei quattro vicepresidenti sia nominato dalla Conferenza permanente dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano e che sei dei venticinque membri siano designati dalla Conferenza permanente Stato-Regioni-Province autonome (comma 1) – il compito di definire <> e di procedere <> (ultimo periodo).

La lettera della norma rende palese che essa non costituisce idonea base legislativa del potere esercitato dal Ministro della salute con il decreto impugnato, essendo il potere disciplinato dalla medesima norma diverso per soggetto e per oggetto. In primo luogo, infatti, il citato art.16-ter costituisce fondamento non di un potere ministeriale, ma di un potere attribuito ad una apposita commissione – la Commissione nazionale per la formazione continua – la cui composizione è peraltro stabilita dalla legge in maniera tale da garantire una adeguata rappresentanza delle autonomie regionali e provinciali (comma 1). Detto potere consiste nella definizione dei requisiti – e nella verifica della loro sussistenza – <> delle società scientifiche nonché dei soggetti pubblici e privati che svolgono attività formative, riconducibili alla c.d. formazione continua (art. 16-bis, art. 16-ter ed art. 16-quater) e cioè ad interventi di approfondimento e di aggiornamento professionale su personale già in servizio presso le strutture sanitarie. Pertanto, siffatto potere non può ritenersi coincidente con quello esercitato con il decreto ministeriale impugnato, diretto a definire i requisiti – e verificarne la sussistenza – <> delle società scientifiche e delle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie che intendano svolgere non solo attività di aggiornamento professionale, ma anche, più ampiamente, attività di collaborazione con le istituzioni sanitarie.

La diversità del “riconoscimento” oggetto del decreto impugnato rispetto all’ “accreditamento” di cui all’art. 16-ter del d.lgs. n. 502 del 1992 – espressamente riconosciuta dalla difesa erariale nell’atto di costituzione – risulta peraltro dallo stesso decreto impugnato, il quale, mentre assegna al Ministro della salute il potere di effettuare il predetto “riconoscimento”, secondo un procedimento puntualmente disciplinato all’art. 6, rinvia alla <>.

3.1. – Una volta accertato che l’atto impugnato è privo di idonea base legislativa, occorre verificare se esso incida su sfere di competenza provinciale.

L’oggetto del decreto impugnato è costituito dalla definizione dei requisiti per il riconoscimento delle società scientifiche e delle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie che intendano svolgere attività di collaborazione con le istituzioni sanitarie ed attività di aggiornamento professionale e, quindi, non è riconducibile in termini esclusivi ad un’unica materia, incidendo contestualmente su più settori. In particolare, con riferimento all’aggiornamento professionale, esso contiene profili inerenti alla “formazione professionale”: l’aggiornamento professionale dei medici e degli esponenti delle professioni sanitarie attiene, infatti, alla formazione sul lavoro, successiva e quindi estranea alla formazione universitaria, in quanto finalizzata all’esercizio della professione medica e, più in generale, sanitaria (sentenze n. 406 del 2001, n. 354 del 1994 e n. 316 del 1993).

Siffatta materia, tuttavia, neppure è idonea ad assorbire l’intera disciplina di cui al decreto impugnato.

L’atto, in specie nella parte in cui definisce i requisiti che le predette società ed associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie – che chiedono il riconoscimento – devono possedere per poter svolgere attività di collaborazione con le istituzioni sanitarie, incide, infatti, sulla materia sanità, con profili che attengono, in particolare, all’organizzazione sanitaria, e non già – come sostenuto dalla difesa erariale – alla determinazione di livelli essenziali delle prestazioni sanitarie, essendo tale titolo di legittimazione dell’intervento statale invocabile solo <> (sentenze n. 285, n. 120 del 2005 n. 423 del 2004), di cui nella specie non si tratta.

Entrambe le materie richiamate sono attribuite dallo statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige alla competenza della Provincia autonoma di Trento: l’art. 8, numero 29), stabilisce, infatti, la competenza legislativa primaria della Provincia nell’“addestramento e formazione professionale”; l’art. 9, numero 10), le assegna una competenza legislativa concorrente in tema di “igiene e sanità, ivi compresa l’assistenza sanitaria ed ospedaliera”; l’art. 16 dispone che “nelle materie e nei limiti entro cui la regione o la provincia può emanare norme legislative, le relative potestà amministrative […] sono esercitate rispettivamente dalla regione o dalla provincia”.

Nelle stesse materie, tuttavia, l’art. 117 e l’art. 118 della Costituzione, a seguito della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, delineano forme più ampie di autonomia rispetto a quelle già attribuite dallo statuto.

La “formazione professionale” è, infatti, materia riconducibile alla competenza residuale delle Regioni (quarto comma), soggetta ai limiti generali stabiliti dal primo comma dell’art. 117 della Costituzione, fra i quali non vi è, ad esempio, quello delle norme fondamentali di riforma economico-sociale (sentenza n. 274 del 2003), né quello dell’interesse nazionale, indicati dallo statuto speciale. La sanità, d’altro canto, è ripartita fra la materia di competenza regionale concorrente della “tutela della salute” (terzo comma), la quale deve essere intesa come <> (sentenze n. 181 del 2006 e n. 270 del 2005), e quella dell’organizzazione sanitaria, in cui le Regioni possono adottare <> (sentenza n. 510 del 2002). Soprattutto, la più ampia autonomia riconosciuta dalle norme del titolo V della parte seconda della Costituzione alle regioni ad autonomia ordinaria nelle indicate materie di competenza residuale e/o concorrente, rispetto a quella attribuita alla Provincia dalle norme statutarie nelle corrispondenti materie, è confortata dalla considerazione che in esse l’art. 117, sesto comma, della Costituzione impedisce, in ogni caso, allo Stato di adottare regolamenti e che, ai sensi dell’art. 118 della Costituzione, le funzioni amministrative, attribuite ai Comuni, possono essere conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato <> solo <>.

Pertanto – ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 – la particolare «forma di autonomia» espressa dalle norme del titolo V della parte seconda della Costituzione in favore delle Regioni ad autonomia ordinaria si applica anche alle Province autonome ed in specie alla Provincia di Trento in quanto «più ampia» rispetto a quella prevista dai rispettivi statuti.

3.2. – Alla luce delle suesposte considerazioni, deve ritenersi che il decreto impugnato, dettando norme regolamentari che si pongono all’incrocio delle suddette materie di competenza residuale e concorrente della Provincia, vulneri le rispettive sfere di competenza provinciale, definite in particolare dall’art. 117, terzo, quarto e sesto comma, della Costituzione.

Inoltre, l’atto, attribuendo poteri amministrativi nelle predette materie di competenza provinciale ad un organo statale, nella parte in cui assegna al Ministro della salute il potere di verificare la sussistenza dei requisiti richiesti per il riconoscimento delle società scientifiche e delle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie che intendano svolgere attività di collaborazione con le istituzioni sanitarie ed attività di aggiornamento professionale, nonché quello di deliberare il riconoscimento ed, eventualmente, di revocarlo, contrasta anche con l’art. 118 della Costituzione. Infatti, indipendentemente dalla valutazione in ordine alla idoneità del decreto a determinare l’“attrazione in sussidiarietà” della funzione, non è in alcun modo dimostrata la necessità dell’esercizio unitario della medesima e non è stato rispettato il principio della leale collaborazione, essendo stato adottato l’atto impugnato senza il necessario coinvolgimento delle autonomie regionali e provinciali (ex plurimis, sentenze n. 270 e n. 242 del 2005).

Pertanto, in accoglimento del ricorso proposto dalla Provincia autonoma di Trento, deve essere dichiarato che non spettava allo Stato dettare norme regolamentari relative ai requisiti essenziali che le società scientifiche devono possedere per svolgere le attività formative e di collaborazione con le istituzioni pubbliche competenti in materia di sanità ed attribuire poteri amministrativi di verifica dei predetti requisiti, di riconoscimento delle associazioni scientifiche e di revoca del medesimo riconoscimento al Ministro della salute. Conseguentemente, deve essere disposto l’annullamento del decreto del Ministro della salute 31 maggio 2004, recante “Requisiti che devono possedere le società scientifiche e le associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 153 del 2 luglio 2004.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spettava allo Stato, e per esso al Ministero della salute, stabilire, con norme regolamentari, i requisiti che devono possedere le società scientifiche e le associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie che intendano svolgere le attività formative e di collaborazione con le istituzioni pubbliche competenti in materia di sanità ed attribuire i relativi poteri amministrativi di verifica dei predetti requisiti, di riconoscimento e di revoca ad un organo statale;

annulla, per l’effetto, il decreto del Ministro della salute 31 maggio 2004, recante “Requisiti che devono possedere le società scientifiche e le associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 153 del 2 luglio 2004, di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 ottobre 2006.

Depositata in Cancelleria il 13 ottobre 2006.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *