Corte Costituzionale, Sentenza n. 331 del 2006 PARLAMENTO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso del 24 aprile – 7 maggio 2002, pervenuto alla cancelleria della Corte il successivo 9 maggio, la Corte d’appello di Milano, sezione seconda civile, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla deliberazione adottata dall’Assemblea, in conformità alla proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere (doc. IV-quater, n. 102), nella seduta del 26 gennaio 2000, secondo la quale le dichiarazioni del deputato U. B., oggetto del procedimento civile per risarcimento danni promosso da E. C., concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

1.1. – La ricorrente riferisce di essere investita dell’appello proposto dal deputato U. B. avverso la sentenza con cui il Tribunale di Milano lo ha condannato al risarcimento dei danni cagionati all’onore della giornalista E. C., con frasi pronunciate il 16 settembre 1996 durante una conferenza stampa presso la sede della L. N. di Milano.

L’appellante ha dedotto, tra l’altro, che il giudice di primo grado, cui la deliberazione di insindacabilità della Camera dei deputati era stata ritualmente comunicata, avrebbe dovuto uniformarvisi, salva la possibilità di esperire il conflitto di attribuzione davanti a questa Corte.

Ciò premesso, la Corte d’appello di Milano assume che nella specie difettino i presupposti di applicabilità dell’art. 68, comma primo, della Costituzione e che, pertanto, la Camera dei deputati, con la deliberazione impugnata, abbia illegittimamente interferito nelle attribuzioni dell’autorità giudiziaria.

In particolare, non sussisterebbe quel collegamento con l’attività parlamentare indicato da questa Corte, anche nelle sentenze n. 51 e n. 52 del 2002, quale condizione necessaria ai fini dell’operatività della guarentigia dell’insindacabilità rispetto ad opinioni manifestate extra moenia.

Invero, le affermazioni del deputato B., descritte nella relazione del consulente tecnico d’ufficio e riportate nella relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere, rese nel corso di una conferenza stampa presso la sede della L. N. di Milano, esulerebbero completamente dall’esercizio della funzione parlamentare, consistendo in invettive personali e contestazioni specifiche in ordine alla professionalità della giornalista.

1.2. – La ricorrente chiede, dunque, alla Corte di dichiarare che non spettava alla Camera dei deputati deliberare che i fatti per i quali pende l’anzidetto giudizio civile di risarcimento danni concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni e, conseguentemente, di annullare la deliberazione in tal senso adottata dall’Assemblea.

2. – Il conflitto è stato giudicato ammissibile con ordinanza n. 194 del 2003.

A cura della Corte d’appello di Milano, la predetta ordinanza è stata notificata alla Camera dei deputati, unitamente al ricorso introduttivo, in data 25 giugno 2003; gli atti sono stati inviati a mezzo del servizio postale, pervenendo nella cancelleria di questa Corte il 15 luglio 2003.

3. – Con atto depositato il 15 luglio 2003 si è costituita in giudizio la Camera dei deputati, che ha concluso, in via preliminare, per la improcedibilità o inammissibilità del ricorso.

3.1. – Secondo la difesa della Camera il potere di sollevare il conflitto di attribuzione si sarebbe consumato con la pronuncia della sentenza che ha definito il primo grado del giudizio: la delibera di insindacabilità censurata è stata adottata dalla Assemblea e comunicata all’autorità giudiziaria quando il procedimento pendeva ancora innanzi al Tribunale di Milano e la determinazione di questi di rinunziare ad avvalersi del rimedio offerto dal sistema costituzionale si riverberebbe con effetto preclusivo nelle successive fasi processuali.

3.2. – In via subordinata, la Camera dei deputati ha chiesto di dichiarare l’inammissibilità del ricorso in relazione all’omessa indicazione del contenuto delle dichiarazioni del parlamentare incriminate, indicazione non surrogabile dal rinvio alla relazione del consulente tecnico d’ufficio e alla relazione della Giunta per le autorizzazioni, ovvero in relazione alla mancata o inadeguata esposizione delle ragioni del conflitto.

In particolare, per ciò che attiene a tale ultimo profilo, alla luce della giurisprudenza della Corte, la pretesa inesistenza del nesso tra opinioni espresse ed attività funzionale non può essere fondata sulla mera constatazione che le frasi incriminate furono enunciate fuori della sede parlamentare, né sul semplice travalicamento del limite della continenza, essendo piuttosto necessario che il ricorrente chiarisca compiutamente le ragioni per cui ritiene che nelle frasi considerate non sia individuabile un intento divulgativo di precedente attività parlamentare.

3.3. – Ulteriore ragione di inammissibilità sarebbe rappresentata dalla sopravvenienza, nelle more del giudizio, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti della alte cariche dello Stato), il cui art. 3, comma 1, avrebbe introdotto nuovi criteri di valutazione in ordine alla estensione della garanzia dell’insindacabilità e alla ponderazione del collegamento tra dichiarazioni extra moenia ed attività parlamentare.

3.4. – Nel merito, la parte costituita ha chiesto alla Corte di dichiarare l’infondatezza del ricorso, evidenziando come proprio la fisionomia del luogo “esterno” nel cui ambito sarebbero state espresse le opinioni deponga a favore della riconducibilità all’attività politico-parlamentare.

Infatti, la conferenza stampa era stata organizzata dalla L. N., presso la sede del partito, a fini di divulgazione di iniziative – in specie la manifestazione sul fiume Po, preludio alla costituzione del cd. “governo della Padania” – assunte intorno a temi da sempre al centro dell’azione politica del partito e del suo Segretario, nonché oggetto di specifico dibattito nella sede parlamentare (si vedano, le interrogazioni n. 3/240 del 19 settembre 1996 e n. 4/9418 del 28 aprile 1997, nonché l’interpellanza n. 2/978 del 18 marzo 1998).

Quanto alle frasi rivolte alla giornalista, come esattamente osservato nella delibera di insindacabilità, l’on.B. avrebbe inteso fornire una risposta di carattere politico ad un attacco, altrettanto politico, che, a suo giudizio, gli proveniva dalla stampa, in relazione alla diffusione di dati inesatti circa la manifestazione sul fiume Po, sulla quale la conferenza verteva.

Le preoccupazioni manifestate dall’on.B. in ordine alla gestione del sistema dell’informazione pubblica troverebbero puntuale riscontro in atti tipici posti in essere nella sede parlamentare (specificamente, le interpellanze n. 2/45 del 5 luglio 1994, n. 2/272 del 25 ottobre 1994, n. 2/327 del 4 giugno 1997, n. 2/462 del 23 dicembre 1997; le interrogazioni n. 4/36 del 21 aprile 1994, n. 4/991 del 21 luglio 1994, n. 4/1763 del 14 ottobre 1994, n. 3/386 del 14 dicembre 1994, n. 4/4131 del 27 aprile 1995, n. 4/1196 del 20 giugno 1996, n. 2/2884 dell’8 agosto 1996, n. 4/15021 del 21 gennaio 1998, n. 4/11071 del 26 maggio 1998, n. 4/25871 del 1 ottobre 1999, n. 3RI/4466 del 19 ottobre 1999).

La difesa della Camera ha richiamato, inoltre, le interrogazioni n. 2/391 del 10 febbraio 1997, n. 4/8845 del 10 dicembre 1997, n. 3/114 del 21 maggio 1997, n. 3RI/1085 del 15 marzo 1997, a dimostrazione della particolare attenzione riservata dal gruppo L. N. alle esigenze della popolazione allocata nella cd. Padania e, più in generale, ad illustrazione delle finalità al tempo perseguite dal partito «nonostante le interferenze anche di apparati pubblici».

4. – In prossimità dell’udienza la parte costituita ha depositato una memoria, nella quale ha ribadito le eccezioni di inammissibilità e improcedibilità precedentemente svolte.

Considerato in diritto

1. – Il conflitto di attribuzione sollevato dalla Corte d’appello di Milano, sezione seconda civile, nei confronti della Camera dei deputati investe la deliberazione con cui l’Assemblea, nella seduta del 26 gennaio 2000 (doc. IV-quater n. 102), su conforme proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere, ha dichiarato, a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, l’insindacabilità delle opinioni espresse dal parlamentare U. B. il 16 settembre 1996, nel corso di una conferenza stampa presso la sede della L. N., in ordine alle quali pende il giudizio civile per risarcimento danni promosso dalla giornalista E. C..

La conferenza stampa concerneva una manifestazione lungo il fiume Po, preludio alla costituzione del cd. “governo della Padania”; il deputato, alla giornalista che gli domandava se nell’occasione avessero dato il voto anche i bambini, rispondeva: «Guardi che la nazione padana non ha molta tolleranza per chi viene dal di fuori a sporcare la nostra gente. Stia attenta all’onestà…ha capito? Ma che giornale radio, cosa vuole giornaleradiare. Lei è lì per motivi politici, perché ha trovato la via giusta che l’ha portata lì. È una leccapiedi del sistema e non è arrivata certo perché era brava, ma perché ha trafficato per arrivare lì. Si vergogni, stia zitta […]».

2. – Il ricorso è stato dichiarato ammissibile con l’ordinanza n. 194 del 2003, ritualmente notificata e depositata.

3. – La Camera dei deputati ha eccepito, in linea preliminare, l’improcedibilità o l’inammissibilità del ricorso.

3.1 – Secondo la difesa della Camera il potere di sollevare il conflitto si sarebbe consumato con la pronuncia della sentenza di condanna da parte del giudice di primo grado, al quale la deliberazione di insindacabilità era stata comunicata.

L’eccezione non è fondata, in quanto il giudice d’appello, in forza dell’effetto devolutivo dell’impugnazione, può affrontare ogni questione non preclusa che ritenga rilevante ai fini del decidere e la legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) non fissa alcun termine decadenziale per la proposizione del ricorso (sentenze n. 235 del 2005, n. 116 del 2003).

3.2 – In via subordinata, la Camera dei deputati ha prospettato una carente esposizione delle ragioni del conflitto, anche in relazione alla omessa riproduzione delle frasi pronunciate dal parlamentare.

Neppure tale eccezione è fondata.

È ben vero che nell’atto introduttivo le dichiarazioni in ordine alle quali pende il giudizio civile non sono riportate in modo testuale e che, a colmare la lacuna, non possono soccorrere gli atti del procedimento irritualmente trasmessi dal Tribunale. Tuttavia, la Corte d’appello di Milano, sul punto, ha fatto esplicito richiamo alla relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere, ove si rinviene l’integrale descrizione delle opinioni manifestate dal deputato; tale documento è allegato al ricorso.

A tal proposito, proprio nell’ordinanza n. 129 del 2005, evocata dalla Camera a sostegno della doglianza, questa Corte, come già in altra occasione (ordinanza n. 264 del 2000), ha affermato che «è nel solo atto introduttivo e negli eventuali documenti ad esso allegati che devono essere rinvenuti gli elementi identificativi della causa petendi e del petitum relativi al conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato».

Inoltre, ai sensi dell’art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, il ricorso di cui all’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, deve contenere l’esposizione sommaria delle ragioni di conflitto.

La ricorrente, una volta enucleato il caso concreto, con il riferimento al contesto in cui la vicenda si è consumata ed al carattere meramente denigratorio delle dichiarazioni riprodotte nella relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere, ha escluso la sussistenza del nesso funzionale. A conforto di tale assunto, ha citato talune delle pronunce di questa Corte in cui si trova ribadito che la garanzia costituzionale dell’insindacabilità opera solo per quelle manifestazioni verbali che, stante la sostanziale corrispondenza di significato, rappresentino la divulgazione all’esterno di un’opinione già espressa nell’esercizio dell’attività parlamentare.

Ne consegue che l’atto introduttivo contiene gli elementi indispensabili per l’identificazione della causa petendi. In senso opposto, non può sostenersi, come vorrebbe la Camera, che la Corte d’appello di Milano ha omesso di motivare compiutamente circa l’inesistenza dell’intento divulgativo di precedente attività parlamentare, tanto più che né nella delibera di insindacabilità, né nella relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere è fatta menzione di atti tipici compiuti dal deputato rispetto ai quali si sarebbe potuto operare una verifica.

3.3 – In relazione, infine, al rilievo concernente la sopravvenienza, nelle more del giudizio, della legge 20 giugno 2003 n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti della alte cariche dello Stato) e la conseguente necessità di permettere al giudice una nuova valutazione in ordine alla esistenza dei presupposti per l’elevazione del conflitto, è sufficiente osservare che, contrariamente all’assunto della difesa di parte costituita, l’art. 3, comma 1, della medesima legge non ha carattere innovativo: già questa Corte ha affermato che, nonostante la nuova, più ampia formulazione lessicale, la norma costituisce attuazione del disposto dell’art. 68 della Costituzione (sentenze n. 235 del 2005, n. 120 del 2004).

4. – Nel merito, il ricorso è fondato.

La Corte è chiamata ad accertare se le frasi pronunciate dal deputato durante la conferenza stampa presso la sede del partito costituiscano opinioni espresse nell’esercizio della funzione parlamentare e siano, pertanto, riconducibili alla previsione di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Al riguardo, è consolidato l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ai fini della sussistenza del nesso funzionale, non basta che le dichiarazioni rese extra moenia si inseriscano in un contesto genericamente politico, occorrendo piuttosto che le dichiarazioni stesse costituiscano, in ragione di una identità sostanziale di contenuto, la riproduzione all’esterno di attività svolte nella qualità di membro delle Camere (sentenze n. 260 del 2006, n. 10 e n. 11 del 2000).

Nella relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere è chiaramente esposto che la proposta favorevole all’insindacabilità «è fondata sulla considerazione del contesto complessivo di carattere politico-parlamentare, nell’ambito del quale i fatti si sono svolti». Secondo la Giunta, infatti, il deputato, «con frasi e con toni provocatori, certamente non condivisibili per quanto attiene alla forma, intendeva fornire una risposta di carattere politico ad un attacco altrettanto politico, che a suo giudizio gli proveniva dalla stampa nel suo complesso, nel momento in cui la medesima aveva diffuso dati a suo giudizio inesatti con riferimento ad una manifestazione di estrema importanza per il movimento politico […] atteso che “l’indipendenza della Padania” costituisce a tal punto un fine del movimento che a lui fa capo da figurare addirittura nel nome del relativo gruppo parlamentare».

Siffatte argomentazioni, fatte proprie dall’Assemblea con la deliberazione impugnata, non sono condivisibili. L’intento politico delle espressioni incriminate e la collocazione del tema trattato durante la conferenza stampa nel novero delle finalità del partito di appartenenza del deputato, in virtù del principio sopra richiamato, sono elementi estranei all’oggetto delle guarentigie parlamentari ed attengono piuttosto alla verifica, rimessa all’autorità giudiziaria, della compatibilità con i limiti del diritto di critica politica.

Peraltro, questa Corte ha ripetutamente chiarito che il nesso funzionale non può risolversi in un generico collegamento con un contesto politico indeterminabile, del tutto avulso dall’esercizio di funzioni parlamentari suscettibili di essere concretamente individuate (sentenza n. 137 del 2001).

Neppure negli atti ispettivi evocati dalla difesa della Camera dei deputati è rintracciabile un valido fondamento della declaratoria di insindacabilità.

Gli atti di funzione posteriori allo svolgimento dei fatti non hanno rilievo ai fini del presente giudizio (sentenze n. 258 e n. 260 del 2006, n. 347 del 2004). Né un tal rilievo hanno gli atti attribuibili a deputati diversi dall’autore delle esternazioni, seppur appartenenti al medesimo gruppo parlamentare (sentenze n. 249 e 260 del 2006).

L’unica interpellanza presentata dall’onorevoleB. in un momento anteriore alla manifestazione delle opinioni in questione (n. 2/272 del 25 ottobre 1994) riguarda, in termini generali, la gestione del sistema dell’informazione pubblica e le modalità di nomina dei direttori di rete della RAI, ma non mostra alcuna corrispondenza di contenuto rispetto alle espressioni specificamente rivolte dal deputato alla giornalista.

5. – Si deve, pertanto, concludere che la Camera dei deputati, nel valutare l’insindacabilità delle opinioni oggetto del procedimento civile pendente innanzi alla Corte d’appello di Milano, ha violato l’art. 68, primo comma, della Costituzione, interferendo illegittimamente nelle attribuzioni dell’autorità giudiziaria. Ne consegue che deve essere disposto l’annullamento della deliberazione oggetto del conflitto.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spettava alla Camera dei deputati deliberare, a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, l’insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato U. B., per le quali è in corso davanti alla Corte d’appello di Milano il giudizio civile indicato in epigrafe;

annulla, per l’effetto, la deliberazione di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 26 gennaio 2000 (doc. IV-quater, n. 102).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 ottobre 2006.

Depositata in Cancelleria il 19 ottobre 2006.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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