Corte Costituzionale, Sentenza n. 106 del 2011, istituzione delle professioni sanitarie infermieristiche e ostetriche e delle professioni riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 15 del 6-4-2011

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’articolo 2 della
legge della Regione Veneto 4 marzo 2010, n. 17 (Istituzione delle
direzioni aziendali delle professioni sanitarie infermieristiche e
ostetriche e delle professioni riabilitative, tecnico-sanitarie e
della prevenzione), promosso dal Presidente del Consiglio dei
ministri con ricorso notificato il 10-13 maggio 2010, depositato in
cancelleria il 20 maggio 2010 ed iscritto al n. 80 del registro
ricorsi 2010.
Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;
Udito nell’udienza pubblica dell’8 febbraio 2011 il Giudice
relatore Alessandro Criscuolo;
Uditi l’avvocato dello Stato Diana Ranucci per il Presidente del
Consiglio dei ministri e l’avvocato Ludovica Bernardi per la Regione
Veneto.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso consegnato per la notifica in data 8 maggio
2010, ricevuto dal destinatario il 13 maggio 2010 e depositato presso
la Cancelleria della Corte costituzionale il 20 maggio 2010, il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di
legittimita’ costituzionale, in via principale, della legge della
Regione Veneto 4 marzo 2010, n. 17, pubblicata nel Bollettino
Ufficiale Regionale del 9 marzo 2010, n. 21, recante «Istituzione
delle direzioni aziendali delle professioni sanitarie
infermieristiche e ostetriche e delle professioni riabilitative,
tecnico – sanitarie e della prevenzione» e, in particolare,
dell’articolo 2 della legge regionale citata, nonche’ delle
«disposizioni a tale norma inscindibilmente connesse», per violazione
degli articoli 81, quarto comma, 97 e 117, comma secondo, lettera l),
della Costituzione.
2. – Il ricorrente premette che, con la legge n. 17 del 2010, la
Regione Veneto si propone la valorizzazione e la responsabilizzazione
delle funzioni e del ruolo delle professioni sanitarie
infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico – sanitarie e
della prevenzione, con il fine di contribuire alla realizzazione del
diritto alla salute, all’integrazione socio sanitaria e al
miglioramento dell’organizzazione multi professionale del lavoro
(art. 1), attraverso l’istituzione di due nuove direzioni aziendali a
struttura complessa, le cui articolazioni sono definite dai dirigenti
generali delle aziende sanitarie regionali. L’istituzione di dette
due nuove direzioni aziendali e’ diretta a perseguire l’obiettivo del
miglioramento dei livelli assistenziali e delle prestazioni erogate,
tramite la pianificazione del fabbisogno di risorse, la valutazione
delle professionalita’ – con criteri predeterminati – e la
valorizzazione dei professionisti (art. 3).
Ad avviso del ricorrente, la legge Regionale in esame presenta
profili di illegittimita’ costituzionale in relazione all’art. 2 e
«alle disposizioni con esso inscindibilmente connesse», per
violazione dei suddetti parametri costituzionali.
In particolare, l’art. 2, al comma 1, prevede l’istituzione, da
parte delle Unita’ locali socio sanitarie (ULSS), nonche’ da parte
delle aziende ospedaliere, ospedaliere – universitarie integrate e da
parte degli istituti pubblici di ricovero e cura a carattere
scientifico (IRCSS), della direzione aziendale delle professioni
sanitarie infermieristiche ed ostetriche e della direzione aziendale
delle professioni riabilitative, tecnico – sanitarie e della
prevenzione. In ordine alla istituzione di queste due direzioni, non
soltanto non sarebbe chiarito in qual modo la Regione intenda coprire
i relativi posti, ma ancor piu’ non sarebbe previsto che
all’istituzione dei relativi posti si provveda attraverso le
modificazioni compensative della dotazione organica complessiva
aziendale, come indicate nell’art. 8, comma 2, del CCNL del 17
ottobre 2008, riguardante la dirigenza sanitaria, professionale,
tecnica ed amministrativa.
Diretta conseguenza di tale mancata previsione, per cui i posti
in organico delle nuove direzioni aziendali, potrebbero «ed anzi
dovrebbero, essere coperti tramite personale reclutato aliunde,
sarebbe la mancanza di garanzia circa l’invarianza della spesa, e
cio’ sotto un duplice profilo».
In primo luogo, ad avviso della difesa dello Stato, ne’ la norma
in esame, ne’ le altre ad essa connesse prevedono la copertura
finanziaria dei maggiori oneri di spesa che sicuramente derivano
dall’istituzione delle due nuove direzioni; in secondo luogo, fermo
restando che la legge non prevede la modalita’ per ricoprire i posti,
neanche e’ precisato il numero dei relativi dirigenti, per cui
sussiste incertezza sia sull’an sia sul quantum della dotazione
organica.
Sotto tale aspetto, la normativa regionale, prevedendo maggiori
costi senza la relativa copertura finanziaria, si porrebbe in
contrasto con l’art. 81, quarto comma, Cost., secondo cui ogni nuova
legge che comporti nuove e maggiori spese deve indicare i mezzi per
farvi fronte.
Al riguardo, il ricorrente richiama la sentenza della Corte
costituzionale, n. 141 del 2010, in cui e’ stato ribadito il
principio del necessario rispetto, da parte delle Regioni, del
precetto costituzionale indicato. Essa, in particolare, nel
dichiarare l’illegittimita’ costituzionale della legge della Regione
Lazio 6 aprile 2009, n. 9 (Norme per la disciplina dei distretti
socio-sanitari montani), istitutiva dei distretti socio – sanitari
montani, ha chiarito che il legislatore regionale «non puo’ sottrarsi
a quella fondamentale esigenza di chiarezza e solidita’ del bilancio
cui l’art. 81 Cost. si ispira (ex multis, sentenza n. 359 del 2007)»;
e che «la copertura di nuove spese deve essere credibile,
sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in equilibrato
rapporto con la spesa che si intende effettuare in esercizi futuri
(sentenza n. 213 del 2008)».
La difesa dello Stato, inoltre, aggiunge che, sempre ad avviso
della Corte costituzionale, in senso contrario non puo’ valere il
rilievo che le maggiori spese verranno concretamente disposte
mediante i successivi regolamenti attuativi della disciplina
legislativa in esame, giacche’ e’ proprio la legge regionale a
costituire la «loro fonte primaria».
La norma denunciata, inoltre, intervenendo nella materia
disciplinata dal contratto collettivo, violerebbe l’art.117, secondo
comma, lettera l), Cost., secondo cui appartiene alla competenza
esclusiva dello Stato la materia «giurisdizione e norme processuali;
ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa».
Cio’ in quanto la norma denunciata non indicherebbe le modalita’
di copertura della dotazione organica delle istituende direzioni
aziendali e, in particolare, non conterrebbe alcun rinvio alla
normativa statale di riferimento, costituita dall’art. 8, comma 2,
del CCNL 17 ottobre 2008 (riguardante la dirigenza sanitaria,
professionale, tecnica ed amministrativa).
La disposizione contrattuale, prosegue il ricorrente, dispone che
le aziende debbano provvedere all’istituzione dei posti della nuova
figura dirigenziale sulla base delle proprie esigenze organizzative,
mediante modifiche compensative della dotazione organica complessiva
aziendale, effettuate ai sensi delle norme vigenti in materia, senza
ulteriori oneri rispetto a quelli definiti dalle Regioni; dispone,
inoltre, che la trasformazione della dotazione organica avviene nel
rispetto delle relazioni sindacali di cui ai contratti collettivi
nazionali di lavoro.
La Presidenza del Consiglio, pertanto, sostiene che il mancato
riferimento al CCNL si porrebbe come diretta violazione dell’art.
117, secondo comma, lettera l), Cost.
Un ulteriore profilo di illegittimita’ del denunciato art. 2 e
«delle disposizioni a tale norma inscindibilmente connesse», sarebbe
ravvisabile nel fatto che detta disposizione non reca alcun
riferimento all’emanazione del regolamento previsto dall’art. 8,
comma 7, del menzionato CCNL del 17 ottobre 2008, adempimento
costituente condizione indefettibile e prioritaria rispetto alla
entrata a regime della istituzione della qualifica unica di dirigente
delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della
riabilitazione, della prevenzione e della professione ostetrica.
Il citato comma 7 dispone, infatti, che le aziende devono, prima
di procedere alla nomina dei dirigenti di nuova istituzione,
provvedere alla definizione delle attribuzioni della nuova qualifica
dirigenziale ed alla regolazione, sul piano funzionale ed
organizzativo, dei rapporti interni con altre professionalita’ della
dirigenza sanitaria sulla base dei contenuti professionali del
percorso formativo indicato nell’art. 6, comma 3, del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in
materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre
1992, n. 421).
Ad avviso del ricorrente, la mancata previsione, relativa a tale
adempimento, viola il principio di buon andamento della pubblica
amministrazione di cui all’art. 97 Cost., nonche’, intervenendo
ancora una volta in materia disciplinata dal contratto collettivo ,
viola l’art. 117, comma secondo, lettera l), Cost.
Alla luce di quanto premesso, il ricorrente chiede che sia
dichiarata la illegittimita’ costituzionale della legge della Regione
Veneto n. 17 del 2010, «nell’art. 2 e nelle disposizioni a tale norma
inscindibilmente connesse».
3. – Con atto depositato il 17 giugno 2010, la Regione Veneto si
e’ costituita in giudizio per contestare l’ammissibilita’ e la
fondatezza delle censure sollevate dal ricorrente.
In via preliminare, la resistente eccepisce il mancato rispetto
del termine perentorio di cui all’art. 31, quarto comma, della legge
11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento
della Corte costituzionale), cosi’ come sostituito dall’art. 9, comma
1, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento
dell’ordinamento della Repubblica alla L. Cost. 18 ottobre 2001, n.
3).
La Regione, infatti, pone in rilievo che il ricorso e’ stato
presentato agli ufficiali giudiziari per la notifica l’8 maggio 2010
e depositato presso la cancelleria della Corte costituzionale il 20
maggio 2010.
Pertanto, il detto deposito, compiuto a distanza di dodici giorni
dalla notifica del ricorso, sarebbe stato eseguito in violazione
della citata normativa, che fissa appunto un termine perentorio di
dieci giorni per tale adempimento.
Al riguardo, la resistente ricorda che – secondo i principi
fissati nelle sentenze n. 250 del 2009, n. 477 del 2002 e n. 69 del
1994, ed, inoltre, sanciti dal legislatore con l’art. 2, comma 1,
lettera e), della legge 28 dicembre 2005, n. 263 (Interventi
correttivi alle modifiche in materia processuale civile introdotte
con il d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni,
dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, nonche’ ulteriori modifiche al
codice di procedura civile e alle relative disposizioni di
attuazione, al regolamento di cui al R.D. 17 agosto 1907, n. 642, al
codice civile, alla legge 21 gennaio 1994, n. 53, e disposizioni in
tema di diritto alla pensione di reversibilita’ del coniuge
divorziato), – la notifica di un atto processuale si intende
perfezionata per l’istante, nel momento stesso in cui l’atto
processuale viene affidato all’ufficiale giudiziario e, per il
destinatario, nel momento in cui questi ne acquista legale
conoscenza: realizzandosi in tal modo una vera e propria «scissione
soggettiva del momento perfezionativo del procedimento notificatorio»
(in questo senso, da ultimo, Cass., sentenza 13 gennaio 2010, n.
359).
Sulla base di quanto appena evidenziato, la resistente ritiene
corretta l’interpretazione che assume quale dies a quo per la
decorrenza del termine, fissato per il successivo deposito dell’atto
processuale notificato, la data in cui la notifica stessa si e’
perfezionata per il richiedente, e non gia’ quella in cui, invece,
l’atto medesimo e’ pervenuto nella disponibilita’ del soggetto cui
era indirizzato.
La difesa della Regione sostiene che, nel momento in cui ha luogo
la materiale consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, il
notificante vede gia’ maturati, a suo vantaggio, tutti gli effetti
favorevoli prodotti dalla notificazione: in primis, quello di evitare
lo spirare di termini di decadenza o prescrizione che le norme
processuali abbiano fissato, ad esempio, per l’impugnazione di un
determinato provvedimento.
Ad avviso della resistente, dunque, il richiedente, nei cui
confronti la notifica si e’ perfezionata in virtu’ della consegna al
soggetto notificatore, deve essere tenuto a computare il decorso del
termine, ad esempio stabilito per il deposito dell’atto, appunto a
partire da tale data: non potendo invece pretendere di assumere quale
dies a quo quello in cui la notifica ha spiegato i propri effetti nei
confronti del destinatario della notifica stessa.
Cio’ posto, il ricorrente non ignora che la Corte costituzionale,
con la sentenza n. 318 del 2009, ha affermato che «l’anticipazione
del perfezionamento della notifica al momento della consegna
dell’atto all’ufficiale giudiziario (o all’agente postale) non ha
ragione di operare con riguardo ai casi in cui detto perfezionamento
assume rilievo non gia’ ai fini dell’osservanza di un termine in quel
momento pendente nei confronti del notificante, bensi’ per stabilire
il dies a quo inerente alla decorrenza di un termine successivo del
processo, qual e’ nella specie il deposito del ricorso notificato (ai
sensi del citato art. 31, comma 4). Pertanto, detto termine decorre
dal momento in cui l’atto perviene al destinatario».
La resistente sostiene che l’interpretazione fornita dalla Corte
costituzionale nella pronunzia citata sarebbe contraddittoria, in
quanto non potrebbe ritenersi la notifica perfezionata in momenti
diversi a seconda dei fini per cui essa e’ presa in considerazione.
In particolare, la difesa regionale osserva che, se il
notificante sceglie di avvalersi degli effetti che la «scissione
soggettiva del momento perfezionativo del procedimento notificatorio»
importa a suo vantaggio, soggiace – per coerenza logica – all’onere
di rispettare il termine processuale che da quel momento decorre: non
potendo invece assumere quale dies a quo il giorno in cui la notifica
si e’ perfezionata nei confronti di un soggetto diverso, al solo fine
di ottenere un maggior lasso di tempo per provvedere all’adempimento
cui e’ tenuto. La difesa regionale, dunque, ritiene che se il
richiedente fruisce di una disciplina di favore – tanto da vedere
perfezionata nei suoi confronti, la notifica con la semplice consegna
dell’atto all’ufficiale giudiziario – deve accettarne tutte le
conseguenze che vi si collegano, comprese quelle derivanti in ordine
al computo del termine per il successivo deposito dell’atto
processuale in giudizio.
Nel caso in esame, l’Avvocatura dello Stato, dopo aver consegnato
in data 8 maggio 2010 agli ufficiali giudiziari il ricorso proposto
contro la Regione Veneto, avrebbe avuto a disposizione un termine di
dieci giorni, spirante il 18 maggio 2010, per provvedere al suo
deposito, il che tuttavia non e’ avvenuto.
Alla luce delle esposte argomentazioni, dunque, la difesa della
Regione Veneto chiede che l’impugnazione sia dichiarata
improcedibile.
Inoltre, prima ancora di esaminare il merito delle censure
proposte con il ricorso, la difesa regionale eccepisce
l’inammissibilita’ delle censure perche’ formulate in modo generico,
non contenendo una puntuale enunciazione delle ragioni di
inconciliabilita’ con le norme della Costituzione. A tal proposito
sono richiamate le sentenze della Corte costituzionale nn. 341, 251,
232 del 2009.
In primo luogo, sarebbe indeterminato, o eccessivamente generico,
l’oggetto stesso dell’impugnazione, in quanto sarebbe posta in
discussione la legittimita’ costituzionale della legge n. 17 del
2010, «nell’art. 2 e nelle disposizioni a tale norma inscindibilmente
connesse», senza alcuna precisazione in grado di circostanziare
l’oggetto del decidere.
Di fatto il gravame investirebbe l’intera legge dal momento che
tutte le disposizioni, ad eccezione forse dell’art. 5
(sperimentazioni assistenziali), si ricollegherebbero all’istituzione
delle due nuove direzioni aziendali delle professioni sanitarie non
mediche.
Pertanto, dovrebbe ritenersi inammissibile il tentativo di
estendere l’impugnazione, mediante l’uso di una semplice formula di
stile, quale sarebbe quella che contiene il riferimento alle "norme
inscindibilmente connesse", anche a parti della normativa regionale
non colpite da alcuna critica e addirittura non menzionate nel
ricorso (sotto tale profilo, la difesa regionale richiama la
pronunzia della Corte costituzionale n. 201 del 2008).
La resistente menziona, inoltre, la decisione n. 284 del 2009, in
cui la Corte ha affermato che l’impugnazione proposta in via
principale deve necessariamente consentire di «individuare l’oggetto
delle singole questioni, i parametri evocati e gli specifici profili
di illegittimita’ costituzionale».
Quanto, poi, alla specifica impugnazione proposta contro l’art. 2
della legge n.17 del 2010, la resistente pone in evidenza come il
ricorso si limiti ad enunciare alcune presunte violazioni della Carta
costituzionale, senza corredare di motivazione i vizi indicati.
In particolare, in ordine all’asserito contrasto con l’art. 81,
quarto comma, Cost., non sarebbe chiarito perche’ l’istituzione delle
nuove direzioni aziendali comporti sicuramente maggiori oneri di
spesa, privi di adeguata copertura.
Un tale assunto, ad avviso della resistente, oltre ad essere
infondato nel merito, non sarebbe argomentato in modo concreto,
risolvendosi in una mera affermazione di carattere apodittico.
Con riferimento, poi, alla violazione degli artt. 97 e 117,
secondo comma lettera l) Cost., mancherebbe, ad avviso della difesa
regionale, una spiegazione soddisfacente circa le ragioni
dell’asserito contrasto, in relazione a ciascuno dei detti parametri.
In particolare, per quanto concerne l’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost., l’Avvocatura dello Stato si limiterebbe solo a
dichiarare che la legge regionale veneta interverrebbe in una materia
disciplinata dal contratto collettivo, invadendo cosi’ la sfera di
competenza legislativa esclusiva dello Stato indicata come
«giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale;
giustizia amministrativa».
Inoltre, la difesa regionale sostiene che non sarebbe specificato
quale passaggio della legge n. 17 del 2010 meriti una simile critica,
ed inoltre non sarebbe indicato il motivo per cui la legge stessa
verrebbe in conflitto con la specifica competenza riservata alla
potesta’ legislativa esclusiva.
Cio’ posto, la resistente esamina il merito delle censure.
In primo luogo, affronta l’asserita violazione, da parte
dell’art. 2 della legge n. 17 del 2010, dell’art. 81, quarto comma,
Cost.
La difesa regionale pone in evidenza che, nella prospettazione
dell’Avvocatura dello Stato, le maggiori spese deriverebbero, come
risulterebbe dal ricorso che sul punto non sarebbe affatto chiaro,
dalla necessita’ di provvedere alla copertura dei posti in organico
delle direzioni aziendali in questione, mediante reclutamento di
nuovo personale da inserire nelle strutture delle Aziende UULLSSSS,
delle Aziende ospedaliere e degli IRCCSS e, dunque, mediante
l’aumento dell’organico alle dipendenze del Servizio Sanitario
Regionale.
Pertanto, dal momento che la legge regionale non specificherebbe
come intenda procedere a dotare di organico le direzioni aziendali
appena istituite, ne’ prevederebbe che sia dato luogo a modifiche
compensative dell’organico gia’ esistente, violerebbe il parametro di
cui al citato art. 81, quarto comma, Cost., a tenore del quale ogni
legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per
farvi fronte.
La resistente ritiene le dette censure infondate e pone in
evidenza come l’assunto da cui muove il ricorrente sarebbe erroneo,
in quanto non risponderebbe al vero che la previsione delle nuove
direzioni aziendali possa comportare un aumento di spesa per gli enti
coinvolti, e quindi per la Regione Veneto.
La disciplina regionale censurata, ad avviso della difesa
regionale, avrebbe un carattere organizzativo o di principio, in
quanto si inquadrerebbe in un ambito normativo gia’ ricco di vincoli
rigorosi dettati a contenimento dei costi in materia sanitaria e,
pertanto, non sarebbe in grado di provocare alcun incremento dei
medesimi.
Sotto tale profilo la resistente pone in evidenza che la Regione
Veneto, proprio nello stesso giorno in cui e’ stata promulgata la
legge n. 17 del 2010, e’ intervenuta con l’art. 9 della legge
regionale n. 16 del 2010 (Interventi per la razionalizzazione della
spesa delle aziende e degli enti del servizio sanitario regionale),
il quale dispone che «la disciplina di cui all’art. 37, commi 2, 3, 4
e 5 della legge regionale 19 febbraio 2007, n. 2 (legge finanziaria
regionale per l’esercizio 2007) e’ confermata per il triennio 2010 –
2012».
Sarebbe stata, quindi, prorogata la vigenza di una disposizione
avente lo scopo di contingentare rigidamente i costi del personale
operante nel Servizio Sanitario della Regione Veneto e che, tra le
molteplici prescrizioni, prevede che per il triennio 2007 – 2009 le
Aziende e gli enti del Servizio Sanitario Regionale adottino «misure
di contenimento della spesa per il personale, complessivamente
inteso, idonee a garantire che la spesa stessa risulti compatibile
con gli obiettivi di bilancio assegnati dalla Regione a ciascuna
Azienda od ente» e che devono in ogni caso osservare il limite del
costo del personale sostenuto nell’anno 2006, fatti salvi i maggiori
oneri derivanti dall’applicazione dei contratti collettivi nazionali
di lavoro.
Mediante l’art. 37 della legge regionale n. 2 del 2007, dunque,
la Regione Veneto avrebbe inteso adeguarsi alle prescrizioni dettate
a livello statale dall’art. 1, comma 565, della legge 27 dicembre
2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriannuale dello Stato (finanziaria del 2007)»,
stabilendo che la spesa per il personale operante nel settore
sanitario debba non solo rimanere invariata, ma addirittura ridursi.
A riprova di quanto affermato, la difesa regionale indica, ed
allega, alcune delibere della Giunta regionale veneta con cui sono
state impartite delle direttive agli enti del SSR, al fine di farli
adeguare al previsto contingentamento dei costi; si tratta delle
delibere n. 855 del 2010, n. 4209 del 2009, n. 2061 e 886 del 2007.
La Regione Veneto ha, quindi, imposto ai direttori generali delle
aziende UULL SSSS, delle Aziende Ospedaliere e degli IRCSS operanti
nel suo territorio di procedere all’organizzazione degli uffici in
un’ottica di assoluta invarianza (e anzi di auspicabile contrazione)
dei costi economici ricollegabili al personale.
La resistente, inoltre, pone in rilievo come l’art. 3, comma 1,
del d.lgs. n. 502 del 1992 assegni a tali enti una marcata autonomia
stabilendo che «in funzione del perseguimento dei loro fini
istituzionali, le USL si costituiscono in Aziende con personalita’
giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale; la loro
organizzazione ed il funzionamento sono disciplinati con atto
aziendale di diritto privato, nel rispetto dei principi e criteri
dettati da disposizioni regionali. L’atto aziendale individua le
strutture operative dotate di autonomia gestionale o tecnico –
professionale, soggette a rendicontazione analitica».
Sarebbe, pero’, altrettanto vero che l’atto aziendale deve
soggiacere ai vincoli provenienti dalla Regione e, dunque, nel caso
della Regione Veneto, anche al principio per cui l’organizzazione
delle strutture delle Aziende UULLSS, delle Aziende Ospedaliere e
degli IRCCS deve attuarsi con l’osservanza di quanto stabilito
dall’art. 37 della legge regionale n. 2 del 2007 (prorogato dall’art.
9 della legge regionale n. 16 del 2010).
In altri termini, i singoli direttori generali responsabili degli
enti del Servizio Sanitario regionale godrebbero si’ di ampia
discrezionalita’ nell’individuare la piu’ appropriata articolazione
degli enti medesimi, ben potendo istituire nell’atto aziendale – ad
esempio – anche delle strutture nuove; tuttavia, alla condizione
imprescindibile che non vengano aggravati i costi del personale
fissati per legge.
Proprio per tale motivo la resistente precisa che gli atti
aziendali sono sottoposti al vaglio della Regione, per il tramite
della Segreteria Regionale Sanita’ Sociale, la quale avrebbe sempre
cura di ribadire, quale prescrizione generale, che «l’attivazione di
dipartimenti cosi’ come quella di tutte le nuove strutture complesse
e semplici deve avvenire in un contesto di iso – risorse, e cioe’ nel
limite delle unita’ di personale presenti in azienda al 31 dicembre
2006 e nel rispetto dei vincoli di spesa di cui all’art. 37, l.r. 19
febbraio 2007 n. 2 e relative deliberazioni attuative 3 aprile 2007,
n.886 e 3 luglio 2007 n. 2061» (a titolo semplificativo la resistente
allega alla memoria la nota inviata in data 3 dicembre 2009 al
Direttore Generale dell’Azienda ULSS 10 "Veneto Orientale").
Alla luce di questa ampia premessa la resistente ritiene, dunque,
che i direttori generali delle Aziende UULLSSSS, delle Aziende
Ospedaliere e degli IRCCS operanti nel Veneto siano tenuti a
istituire le nuove direzioni, senza alcuna variazione dei costi
complessivi sopportati dall’ente per il personale impiegato.
Da cio’ discenderebbe che, per mantenere inalterata la spesa
totale, gli enti in questione sarebbero obbligati ad attuare
modifiche compensative nel proprio organico, ovvero a procedere a
forme di turnover con le modalita’ stabilite dalla Giunta del Veneto
con le note prima citate.
Cio’ premesso, l’istituzione delle direzioni aziendali dedicate
al personale sanitario non medico sarebbe insuscettibile, per i
motivi sopra indicati, di comportare l’aggravio di spesa paventato
dal ricorrente, cosi’ da rendere inutile anche l’indicazione di una
copertura finanziaria.
Con riferimento, poi, all’assunto secondo cui la legge regionale
in esame non recherebbe alcuna indicazione circa le modalita’ secondo
cui dotare di organico le nuove direzioni, la resistente pone in
rilievo l’art. 4 della legge censurata, norma alla quale non sarebbe
attribuito alcun rilievo da parte del ricorrente.
Tale disposizione stabilisce che ai dirigenti delle nuove
direzioni aziendali gli incarichi sono conferiti secondo le modalita’
previste dalle leggi vigenti in materia di personale dirigente del
ruolo sanitario.
Per un verso, ad avviso della difesa regionale, la disposizione
in esame andrebbe intesa quale richiamo dei vincoli alla spesa del
personale nel comparto sanitario di cui si e’ gia’ detto:
evidenziandosi, cosi’, ad abundantiam, che l’attribuzione di
incarichi ai dirigenti delle professioni sanitarie non mediche
soggiacerebbe al contingentamento voluto dalla Regione Veneto e,
prima ancora, dallo Stato attraverso le fonti normative prima passate
in rassegna.
Sotto altro verso, la disposizione di cui all’art. 4 citato
varrebbe anche come rinvio alle fonti di origine statale dettate in
ordine alla istituzione della qualifica di dirigente delle
professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della
riabilitazione, della prevenzione nonche’ della professione
ostetrica.
Tra le dette fonti, andrebbe senza dubbio ricompresa la legge 10
agosto 2000, n. 251 (Disciplina delle professioni sanitarie
infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione,
nonche’ della professione ostetrica), la quale all’art. 6, comma 2,
prevede che «Le regioni possono istituire la nuova qualifica di
dirigente del ruolo sanitario nell’ambito del proprio bilancio,
operando con modificazioni compensative delle piante organiche su
proposta delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere».
Ma l’art. 4 della legge impugnata varrebbe anche quale rinvio ai
contratti collettivi intervenuti in materia ed in particolare
all’art. 8, comma 2, dell’accordo sottoscritto il 17 ottobre 2008,
la’ dove si legge che «le aziende provvedono all’istituzione dei
posti della nuova figura dirigenziale sulla base delle proprie
esigenze organizzative mediante modifiche compensative della
dotazione organica complessiva aziendale, effettuate ai sensi delle
norme vigenti in materia, senza ulteriori oneri rispetto a quelli
definiti dalle Regioni. La trasformazione della dotazione organica
avviene nel rispetto delle relazioni sindacali di cui ai
CC.CC.NN.L.».
Ad avviso della resistente, cio’ significa che, in forza
dell’art. 4 legge regionale n. 17 del 2010, la Regione Veneto ha
voluto vincolare le aziende UULLSS, le Aziende Ospedaliere e gli
IRCCS, sia pur utilizzando una formula breviloquente, al rispetto
delle modalita’ di reclutamento del personale delle nuove direzioni
gia’ previste dalla disciplina vigente sia di fonte normativa, sia di
origine pattizia.
In definitiva, essendo le modifiche compensative dell’organico
esistente l’unica via percorribile per procedere alla copertura dei
posti in questione, anche in base alle fonti contrattuali richiamate
dall’art. 4 della normativa regionale censurata, risulterebbe
evidente che nessuna nuova spesa puo’ derivare dall’applicazione di
quest’ultima, con conseguente inapplicabilita’ dell’art. 81, quarto
comma, Cost.
Con riferimento, poi, all’asserita violazione dell’art. 117,
secondo comma, lettera l), Cost., la resistente osserva che la
formulazione della questione di legittimita’ costituzionale sarebbe
tutt’altro che chiara, in quanto non si capirebbe perche’ la
disciplina impugnata – per il semplice fatto «di intervenire in
materia disciplinata dal contratto collettivo» – dovrebbe sconfinare
nella «materia giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile
e penale; giustizia amministrativa», in cui lo Stato ha una potesta’
legislativa esclusiva.
La Regione assume, al riguardo, che l’oggetto delle disposizioni
da essa emanate non sarebbe riconducibile al parametro costituzionale
che si ritiene violato da parte dell’Avvocatura generale dello Stato.
In particolare, la legge regionale n. 17 del 2010 e, nello
specifico, l’art. 2 della legge, ad avviso della difesa regionale,
non detta regole che incidono sulla giurisdizione, ne’ sullo
svolgimento dei processi civili o amministrativi, ne’ tanto meno
sull’ordinamento civile e penale. La normativa in parola, invece,
"tocca" la materia di legislazione concorrente indicata dall’art. 117
Cost. come tutela della salute, ovvero, in via gradata, quella delle
professioni.
A riprova di cio’, la resistente ritiene utile soffermarsi sulle
finalita’ della legge regionale indicate nell’art. 1, nonche’ «sugli
obiettivi delle direzioni» indicati nell’art. 3.
Dal combinato disposto di dette due disposizioni emergerebbe che
lo scopo della normativa regionale censurata sarebbe quello di
coinvolgere in modo ancora piu’ proficuo ed efficiente gli operatori
sanitari non medici nell’erogazione delle prestazioni latu sensu
assistenziali, cosi’ da migliorare il livello qualitativo di queste
ultime. Cio’ posto, il mancato espresso richiamo del CCNL del 17
ottobre 2008 non costituirebbe una violazione dei precetti
costituzionali.
La disciplina pattizia sarebbe stata tenuta ben presente dal
legislatore veneto, il quale ad essa si sarebbe collegato per il
tramite dell’art. 4 della legge regionale, oggetto di censura: ben
consapevole che il rinvio alle "leggi vigenti" sarebbe suscettibile
di ricomprendere anche i prodotti della contrattazione collettiva
nazionale, cui la dottrina tende ad attribuire, interpretando l’art.
2077 del codice civile, una efficacia normativa assimilabile a quella
delle disposizioni inderogabili di legge.
Da parte della Regione Veneto, in particolare, non si dubiterebbe
che l’istituzione delle direzioni aziendali e la copertura dei
relativi posti in organico debba avvenire per il tramite di quanto
disposto dall’art. 8 del CCNL del 17 ottobre 2008, e con l’osservanza
dei vincoli finanziari ivi previsti: cio’ significherebbe che le
Aziende UULLSS, le Aziende Ospedaliere e gli IRCCS sarebbero tenuti a
provvedere alle necessarie modifiche compensative delle dotazioni
organiche, senza variazioni di bilancio, per far fronte alle «proprie
esigenze organizzative».
La circostanza per cui il CCNL non sia stato espressamente citato
dalla legge regionale censurata resterebbe del tutto irrilevante,
tanto piu’ che esso ripropone dettati normativi gia’ contenuti in
leggi (in senso stretto) vigenti, tra le quali la legge 10 agosto
2000, n. 251, gia’ citata e qui rilevante in relazione all’art. 6,
comma 2.
L’asserita violazione dell’art. 97 Cost. consisterebbe nel fatto
che la disciplina in questione non reca alcun riferimento
all’emanazione del regolamento previsto dall’art. 8, comma 7, del
CCNL del 17 ottobre 2008, da intendersi, ad avviso del ricorrente,
una condizione indefettibile e prioritaria rispetto all’entrata a
regime della istituzione della qualifica unica di dirigente delle
professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della
riabilitazione, della prevenzione e della professione ostetrica.
Ferma restando l’estrema stringatezza della motivazione in ordine
alla violazione del parametro costituzionale citato, la resistente
osserva come la censura muova da un presupposto non condivisibile.
Essa, infatti, pone in rilievo che dalla lettura della citata
disposizione pattizia (che a sua volta rinvia all’art. 6, comma 3,
del d.lgs. n. 502 del 1992 ed al decreto del Ministro
dell’universita’, ricerca scientifica e tecnologica del 2 aprile
2001) sarebbe «agevole constatare che il CCNL 17 ottobre 2008 pone
direttamente in capo agli enti del Servizio Sanitario datori di
lavoro l’obbligo di provvedere all’adozione di una disciplina di
dettaglio, da racchiudersi in un apposito testo regolamentare»
Non si vedrebbe, dunque, il motivo per cui la Regione avrebbe
dovuto ripetere una simile previsione. Inoltre, l’emanazione del
regolamento sarebbe funzionale all’immissione nel nuovo ruolo della
dirigenza unica dei professionisti sanitari non medici: non certo,
invece, alla mera istituzione delle direzioni aziendali, che di per
se’ rappresentano soltanto le strutture complesse preposte
all’organizzazione e all’aggregazione dei professionisti medesimi.
Pertanto, prosegue la resistente, se e’ vero che, come stabilito
nell’accordo collettivo, e’ necessario provvedere all’adozione del
regolamento in questione prima di procedere all’assunzione dei
dirigenti di nuova istituzione, non altrettanto vale con riferimento
all’inserimento delle dette direzioni nell’ambito organizzativo delle
Aziende UULLSSSS, delle Aziende Ospedaliere e degli IRCSS: in
quest’ultimo caso, si tratta soltanto di una previsione da inserire
nell’atto aziendale di cui all’art. 3 del d.lgs. del 1992 n. 502, nel
rispetto di vincoli economici di cui si e’ gia’ detto.
La difesa regionale, infine, aggiunge che l’Avvocatura non
avrebbe in alcun modo motivato sulle ragioni per cui la mancata
menzione della previsione di cui all’art. 8, comma 2, dell’accordo
collettivo citato, di per se’ sola violerebbe il principio di buon
andamento della pubblica amministrazione.
Tale violazione, peraltro, non sussisterebbe anche per
l’insuperabile constatazione che la normativa regionale censurata non
reca previsioni incompatibili con quelle contemplate dall’art. 8 del
piu’ volte citato accordo collettivo, di cui, quindi, postula la
perdurante vigenza e cogenza.
4. – In data 17 gennaio 2011 la Regione Veneto ha depositato una
memoria illustrativa con la quale ha ribadito le argomentazioni
sostenute nell’atto di costituzione in giudizio.

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso
indicato in epigrafe, ha promosso questione di legittimita’
costituzionale della legge della Regione Veneto 4 marzo 2010, n. 17,
pubblicata sul Bollettino Ufficiale Regionale del 9 marzo 2010,
recante «Istituzione delle direzioni aziendali delle professioni
sanitarie infermieristiche e ostetriche e delle professioni
riabilitative, tecnico – sanitarie e della prevenzione».
Ad avviso del ricorrente, la legge censurata presenterebbe
«profili di illegittimita’ costituzionale nel suo articolo 2, e nelle
disposizioni con esso inscindibilmente connesse, per violazione degli
artt. 81, 117 comma II, lett. l), 97 della Costituzione».
In particolare, sarebbe prevista l’istituzione delle due suddette
direzioni aziendali non soltanto senza specificare in qual modo la
Regione intenda coprire i relativi posti, ma anche senza prevedere
che all’istituzione di tali posti si faccia luogo attraverso le
modificazioni compensative della dotazione organica complessiva
aziendale. Da cio’ deriverebbe che i posti in organico delle nuove
direzioni dovrebbero essere coperti mediante personale reclutato
aliunde, in assenza di garanzie circa l’invarianza della spesa, sia
perche’ non sarebbe prevista la copertura finanziaria dei maggiori
oneri derivanti dall’istituzione delle direzioni, sia perche’ non
sarebbe precisato il numero dei nuovi dirigenti, onde sarebbero
incerti l’an e il quantum della dotazione organica, con diretta
violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost.
La normativa denunciata, inoltre, intervenendo in materia
disciplinata dal contratto collettivo, violerebbe l’art. 117, secondo
comma, lettera l), Cost., e non recherebbe alcun riferimento
all’emanazione del regolamento previsto dall’art. 8, comma 7, del
CCNL del 17 ottobre 2008, in violazione dell’art. 97 Cost.
2. – La Regione Veneto eccepisce l’improcedibilita’ del ricorso,
stante il mancato rispetto del termine perentorio stabilito per il
deposito di esso dall’art. 31, quarto comma, legge 11 marzo 1953, n.
87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale), come sostituito dall’art. 9, comma 1, della legge 5
giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento
della Repubblica alla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3).
Infatti, il ricorso, presentato agli ufficiali giudiziari di Roma
per la notifica l’8 maggio 2010, risulta depositato presso la
cancelleria della Corte costituzionale il 20 maggio 2010.
Questo secondo adempimento, quindi, compiuto dalla difesa dello
Stato a distanza di dodici giorni dal primo, sarebbe tardivo, in
quanto eseguito in violazione del citato art. 31, quarto comma, che
stabilisce per il deposito del ricorso notificato il termine
perentorio di dieci giorni dalla notificazione. Cio’ perche’, ad
avviso della resistente, la decorrenza del detto termine andrebbe
calcolata a far tempo dalla data in cui l’atto e’ consegnato agli
ufficiali giudiziari, in forza dei principi stabiliti da questa Corte
con le sentenze n. 250 del 2009, n. 477 del 2002 e n. 69 del 1994, e
in base al disposto dell’art.149, terzo comma, del codice di
procedura civile (aggiunto dall’art. 2, comma 1, lettera e), legge 28
dicembre 2005, n. 263, recante «Interventi correttivi alle modifiche
in materia processuale civile introdotte con il d.l. 14 marzo 2005,
n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n.
80, nonche’ ulteriori modifiche al codice di procedura civile e alle
relative disposizioni di attuazione, al regolamento di cui al R.D. 17
agosto 1907, n. 642, al codice civile, alla legge 21 gennaio 1994, n.
53, e disposizioni in tema di diritto alla pensione di reversibilita’
del coniuge divorziato»), ai sensi del quale «La notifica si
perfeziona, per il soggetto notificante, al momento della consegna
del plico all’ufficiale giudiziario e, per il destinatario, dal
momento in cui lo stesso ha la legale conoscenza dell’atto». Sarebbe
contraddittorio che, nei confronti di uno stesso soggetto (cioe’ la
parte che richiede la notifica), quest’ultima «venga a perfezionarsi
in due distinti momenti, a seconda dei fini per cui essa e’ presa in
considerazione: quando provvede alla consegna all’Ufficiale
giudiziario, se si tratta di evitare una decadenza o una
prescrizione: quando ha luogo il recapito dell’atto al destinatario,
se si tratta di far decorrere il termine per il deposito dell’atto
medesimo nel processo».
2.1. – L’eccezione non e’ fondata.
Questa Corte, con sentenza n. 318 del 2009, ha affermato che il
principio generale relativo alla scissione dei momenti in cui la
notifica si perfeziona per il notificante e per il destinatario, con
conseguente anticipazione di tale perfezionamento a favore del primo
al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario (o
all’agente postale), e’ correlato all’esigenza di tutelare il diritto
di difesa del notificante, essendo altresi’ irragionevole che un
effetto di decadenza possa discendere dal ritardo nel compimento di
un’attivita’ riferibile a soggetti diversi dal medesimo notificante
(l’ufficiale giudiziario o l’agente postale) e percio’ destinata a
restare estranea alla sua sfera di disponibilita’.
Invece, la ratio del suddetto effetto anticipato (che, proprio
perche’ tale, ha anche carattere provvisorio, essendo destinato a
consolidarsi soltanto nel momento in cui il destinatario ha legale
conoscenza dell’atto) rimane estranea ai casi in cui il
perfezionamento della notificazione vale a stabilire il dies a quo
inerente alla decorrenza di un termine successivo del processo, qual
e’ nella specie quello per il deposito del ricorso notificato. In tal
caso non viene in rilievo alcuna esigenza di tutelare il diritto di
difesa del notificante; non e’ identificabile un momento analogo a
quello della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario o
all’agente postale; l’attivita’ da compiere non dipende da altri
soggetti; infine, il notificante ha interesse a verificare, allorche’
procede al deposito, che la notifica dell’atto sia stata raggiunta
nei confronti del destinatario.
Ne deriva che l’art. 31, quarto comma, della legge n. 87 del 1953
(e successive modificazioni) deve essere interpretato nel senso che
il dies a quo del termine ivi contemplato inizia a decorrere nel
momento in cui la notificazione si e’ perfezionata nei confronti del
notificante e del destinatario.
Nel caso di specie, come risulta dall’avviso di ricevimento,
prodotto dall’Avvocatura dello Stato e non contestato, il plico
contenente il ricorso pervenne al destinatario il 13 maggio 2010. Il
ricorso medesimo, con i relativi allegati, fu poi depositato nella
cancelleria di questa Corte il 20 maggio 2010.
Pertanto, l’adempimento risulta tempestivo.
3. – La Regione Veneto ha, poi, eccepito l’inammissibilita’ del
ricorso, per il carattere generico delle censure mosse con lo stesso.
In particolare, l’oggetto dell’impugnazione del Governo
risulterebbe indeterminato, essendo messa in discussione la
legittimita’ costituzionale della legge regionale n. 17 del 2010
«nell’art. 2 e nelle disposizioni a tale norma inscindibilmente
connesse», senza alcuna precisazione idonea a circostanziare il thema
decidendum.
Il gravame, quindi, di fatto investirebbe l’intera legge
regionale, in quanto tutte le sue disposizioni – ad eccezione, forse,
dell’art. 5, in tema di «sperimentazioni assistenziali» – si
ricollegherebbero direttamente all’istituzione delle due nuove
direzioni aziendali delle professioni sanitarie non mediche.
Tuttavia, in realta’, l’unica norma censurata sarebbe quella
dettata dall’art. 2 della legge de qua, mentre nessun contrasto con
la Costituzione sarebbe prospettato con riguardo alle altre
disposizioni della medesima legge. Pertanto, il tentativo di
estendere l’impugnazione, mediante una semplice clausola di stile (il
riferimento alle «norme inscindibilmente connesse»), anche a parti
della disciplina regionale non investite dalle censure sarebbe
inammissibile.
Inoltre, anche in relazione al citato art. 2 della legge
impugnata, la difesa dello Stato si limiterebbe ad enunciare alcune
presunte violazioni della Costituzione, senza motivarle.
Infatti, circa l’asserito contrasto con l’art. 81, quarto comma,
Cost., non sarebbe chiarito perche’ mai l’istituzione delle nuove
direzioni aziendali dovrebbe comportare maggiori oneri di spesa privi
di adeguata copertura. Tale censura si risolverebbe in una mera
affermazione di carattere apodittico.
Anche il motivo, per il quale la disciplina regionale
risulterebbe in contrasto con gli artt. 97 e 117, secondo comma,
lettera l), Cost., non sarebbe stato chiarito, in assenza di
un’adeguata spiegazione relativa alle asserite violazioni.
Neppure tale eccezione e’ fondata.
Il ricorso, in forma concisa ma chiara, illustra le ragioni delle
censure, ponendo l’accento sul fatto che il citato art. 2, pur
prevedendo l’istituzione di due direzioni aziendali, non soltanto non
specifica le modalita’ di copertura dei relativi posti ma non indica
in alcuna parte che a detta copertura si provveda mediante
modificazioni compensative della dotazione organica complessiva
aziendale. Diretta conseguenza di tale mancata previsione sarebbe il
difetto di garanzie circa l’invarianza della spesa, sia perche’ nella
legge non sarebbe individuata la copertura finanziaria dei maggiori
oneri di spesa derivanti dall’istituzione delle nuove direzioni, sia
perche’ non sarebbe neppur precisato il numero dei relativi
dirigenti.
Sono poi esposte, sia pure in termini sintetici, le ragioni di
censura riferite agli artt. 97 e 117, comma secondo, lettera l),
Cost.
Il ricorso, dunque, risulta sorretto da un sufficiente apparato
argomentativo.
Ne’ puo’ condividersi l’assunto secondo cui l’unica norma
censurata sarebbe quella dettata dall’art. 2 della legge regionale.
In effetti, come la stessa resistente rileva, tutte le disposizioni
di detta legge «si ricollegano direttamente all’istituzione delle due
nuove direzioni aziendali delle professioni sanitarie non mediche».
Ne deriva che le censure mosse all’art. 2 finiscono per estendersi,
in via consequenziale, all’intera legge regionale.
4. – La questione e’ fondata.
Si deve premettere che l’applicazione alle Regioni dell’obbligo
di copertura finanziaria delle disposizioni legislative e’ stata
sempre ribadita da questa Corte (ex plurimis, tra le piu’ recenti:
sentenze nn. 141 e 100 del 2010, nn. 386 e 213 del 2008, n. 359 del
2007), con la precisazione che il legislatore regionale non puo’
sottrarsi alla fondamentale esigenza di chiarezza ed equilibrio del
bilancio cui l’art. 81 Cost. s’ispira. Essa, inoltre, ha chiarito che
la copertura di nuove spese deve essere credibile, sufficientemente
sicura, non arbitraria o irrazionale, in adeguato rapporto con la
spesa che s’intende effettuare (sentenze n. 100 del 2010 e n. 213 del
2008).
La legge della Regione Veneto n. 17 del 2010, non e’ conforme a
tali principi e, quindi, al disposto del citato precetto
costituzionale.
Essa e’ composta da sette articoli. Il primo determina le
finalita’ della normativa, individuandole nel «contribuire alla
realizzazione del diritto alla salute, all’integrazione socio
sanitaria e al miglioramento dell’organizzazione multi professionale
del lavoro, attraverso l’istituzione delle direzioni aziendali delle
professioni sanitarie infermieristiche ed ostetriche e delle
professioni riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione». Il
secondo stabilisce, nel comma 1, che «Le aziende unita’ locali socio
sanitarie (ULSS), fermo restando quanto previsto dagli articoli 22,
23 e 24 della legge regionale 14 settembre 1994, n. 56 […], con
particolare riferimento alla gestione unitaria del distretto
socio-sanitario, dell’ospedale e del dipartimento di prevenzione,
nonche’ le aziende ospedaliere e ospedaliere – universitarie
integrate e gli istituti pubblici di ricovero e cura a carattere
scientifico (IRCSS) istituiscono quali strutture complesse la
direzione aziendale delle professioni sanitarie infermieristiche ed
ostetriche e la direzione aziendale delle professioni riabilitative,
tecnico-sanitarie e della prevenzione, di seguito denominate
Direzioni». Il comma 2 aggiunge che «I direttori generali delle
aziende ULSS, ospedaliere e ospedaliere – universitarie integrate e
degli IRCSS, nell’atto aziendale di cui all’art. 3, comma 1-bis, del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 […], e successive
modificazioni, definiscono l’articolazione delle direzioni in
relazione alla complessita’ dei processi strategici, organizzativi,
gestionali e formativi da garantire». L’art. 3 determina gli
obiettivi delle direzioni; l’art. 4 dispone che ai dirigenti gli
incarichi dirigenziali «sono conferiti secondo le modalita’ previste
dalle leggi vigenti in materia di personale dirigente del ruolo
sanitario»; l’art. 5 prevede le sperimentazioni assistenziali, con la
possibilita’ per le aziende ULSS, previa autorizzazione da parte
della Giunta regionale, di attivare «specifiche strutture
residenziali a prevalente gestione infermieristica e ambulatori
territoriali affidati a personale appartenente alle professioni
sanitarie di cui alla presente legge, nel rispetto di quanto previsto
dalla legge regionale 16 agosto 2002, n. 22 [….]; l’art. 6 detta
una norma di coordinamento con altra legge regionale»; infine, l’art.
7 demanda alla Giunta regionale la definizione delle linee guida per
l’elaborazione dell’atto aziendale di cui all’art. 2, comma 2, della
legge medesima.
Come si vede, nella legge in questa sede censurata nulla si dice
circa la consistenza delle direzioni e non si trova alcun cenno alla
copertura finanziaria.
Al riguardo, non puo’ porsi in dubbio che la normativa introdotta
comporti nuove spese, ancorche’ il suo carattere generico non ne
consenta una precisa determinazione. La legge censurata, nell’art. 2,
prevede l’istituzione di due «strutture complesse» (cosi’ definite
nell’art. 2, comma 1), in assenza pero’ di indicazioni circa il
relativo organico e la disponibilita’ dei mezzi necessari per il loro
funzionamento, nonche’ senza stabilire che alla detta istituzione si
debba provvedere mantenendo invariati i costi complessivi sopportati
dagli enti per il personale impiegato e per le strutture occorrenti
al fine di renderlo operativo.
La tesi della Regione Veneto, secondo cui la disciplina
introdotta con la legge regionale n. 17 del 2010 verrebbe ad
inserirsi in un quadro normativo gia’ ricco di vincoli rigorosi volti
al contenimento dei costi in materia sanitaria, onde non sarebbe in
grado di provocare alcun incremento dei medesimi, non puo’ essere
condivisa.
Invero, il detto assunto si pone in contrasto con l’art. 81 Cost.
che, dopo aver disposto nel terzo comma che con la legge di
approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e
nuove spese, aggiunge nel quarto comma che «Ogni altra legge che
importi nuove e maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi
fronte».
Esiste, dunque, uno stretto collegamento tra la legge, la nuova e
maggior spesa che essa comporta e la relativa copertura finanziaria,
che non puo’ essere ricercata in altre disposizioni, ma deve essere
indicata nella legge medesima, al fine di evitare che gli effetti di
essa (eventualmente in deroga alle altre disposizioni) possano
realizzare stanziamenti privi della corrispondente copertura.
Ne’ giova il richiamo della difesa regionale alle modifiche
compensative che gli enti, cui e’ demandata l’istituzione delle nuove
direzioni, dovrebbero eseguire nei propri organici, ovvero a forme di
turnover con le modalita’ stabilite dalla Giunta regionale.
Ribadito che nessun cenno al riguardo si trova nella normativa de
qua, e rilevato che le stesse modalita’ alternative prospettate dalla
Regione conferiscono un carattere d’incertezza alla copertura
finanziaria (che, invece, dovrebbe essere «credibile,
sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale», come dianzi
precisato), si deve ancora osservare che sia la legge statale 10
agosto 2000, n. 251 (Disciplina delle professioni sanitarie
infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione
nonche’ della professione ostetrica), nell’art. 6, comma 2, ultimo
periodo, sia l’art. 4 della legge in questa sede censurata, sia il
contratto collettivo nazionale di lavoro cui la difesa regionale si
richiama (in particolare, art. 8) si riferiscono, nella previsione
delle modifiche compensative della dotazione organica complessiva
aziendale, alle figure dirigenziali, onde restano indeterminate la
consistenza del restante personale, le modalita’ di formazione della
relativa dotazione organica e l’organizzazione delle nuove strutture.
In questo quadro, la normativa censurata viola il precetto
dettato dall’art. 81, quarto comma, Cost.; e la violazione si estende
all’intera legge, sia per la natura del vizio di legittimita’
riscontrato, sia perche’ tutte le disposizioni di essa presentano uno
stretto collegamento con l’art. 2, cui le censure del ricorrente
direttamente si riferiscono.
Pertanto, deve essere dichiarata l’illegittimita’ costituzionale
della legge della Regione Veneto n. 17 del 2010, per contrasto con il
parametro da ultimo citato.
Ogni altra questione resta assorbita.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l’illegittimita’ costituzionale della legge della
Regione Veneto 4 marzo 2010, n. 17 (Istituzione delle direzioni
aziendali delle professioni sanitarie infermieristiche e ostetriche e
delle professioni riabilitative, tecnico-sanitarie e della
prevenzione).
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 marzo 2011.

Il Presidente: De Siervo

Il redattore: Criscuolo

Il cancelliere: Melatti

Depositata in cancelleria il 1° aprile 2011.

Il cancelliere: Melatti

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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