CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE – 22 marzo 2011, n. 11251. In tema di abuso dei mezzi di correzione.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I.F., cittadina nigeriana, ricorre per cassazione a mezzo del suo difensore contro la sentenza indicata in epigrafe, con la quale è stata confermata la decisione in data 21/2/2007 del G.I.P. del Tribunale di Macerata, che l’aveva dichiarata colpevole del reato di abuso di mezzi di correzione o di disciplina ex art. 571 c.p., in danno della figlia A.I., che oltre ad essere stata aggredita verbalmente dalla madre, presentava segni di percosse alle gambe e ferite sul cuoio capelluto, provocate verosimilmente dal taglio indiscriminato di capelli con forbici da cucina.
Nell’unico motivo a sostegno della richiesta di annullamento dell’impugnata decisione la ricorrente denuncia la contraddittorietà della motivazione e la mancata valutazione degli elementi di valenza risolutiva ai fini dell’esclusione dell’ipotesi criminosa contestata, evidenziando come mancasse innanzi tutto il requisito della abitualità, essendosi trattato nel caso in esame di un fatto meramente occasionale, e come tale fatto andasse riportato nella giusta dimensione di un incidente di percorso nel naturale rapporto genitore e figlia, che aveva visto la sua genesi nell’esigenza della madre di tagliare personalmente i capelli alla figlia e di usare la maniera forte per fronteggiare l’isterico e ingiustificato rifiuto della piccola. Ad avviso della difesa i giudici del merito avevano inoltre omesso di valutare il contesto culturale di provenienza dell’imputata, proveniente da un paese, come la Nigeria, con regole educative del tutto diverse dalle nostre.
Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza della censura. Ed invero in tema di abuso di mezzi, di correzione e di disciplina, di cui all’art. 571 c.p., la giurisprudenza di questa Sezione – qui ampiamente condivisa – è orientata nel senso che, mentre non possono ritenersi preclusi quegli atti di minima valenza fisica o morale, che risultino necessari per rafforzare la proibizione, non arbitraria, nè ingiusta, di comportamenti oggettivamente pericolosi o dannosi, rispecchianti la inconsapevolezza o la sottovalutazione del pericolo, la disobbedienza gratuita, oppositiva e insolente, integra la fattispecie criminosa de qua l’uso in funzione educativa del mezzo astrattamente lecito, sia esso di natura fisica, psicologica o morale, che trasmodi nell’abuso sia in ragione dell’arbitrarietà o intempestività della sua applicazione, sia in ragione dell’eccesso nella misura (Cass. Sez. 6^ 7/11/97 – 26/3/98 n. 3789 Rv. 211942). Tale reato non ha natura necessariamente abituale, sicchè ben può ritenersi integrato da un unico atto espressivo dell’abuso, ovvero da una serie di comportamenti lesivi dell’incolumità fisica e della serenità psichica del minore, che, mantenuti per un periodo di tempo apprezzabile e complessivamente considerati, realizzano l’evento, quale che sia l’intenzione correttiva o disciplinare del soggetto attivo (Cass. Sez. 6^ 16/2 – 13/5/10 n. 18289 Rv. 247357).
Nel caso in esame i giudici del merito correttamente si sono ispirati a tali principi, laddove hanno evidenziato come la condotta ascritta all’imputata non poteva essere scriminata dall’esigenza di tosare la figlia recalcitrante, essendo risultato che all’isterica opposizione della bambina aveva fatto riscontro altrettanta isterica reazione della madre, che, indipendentemente dal luogo di provenienza e dall’ambito culturale della genitrice, aveva inteso proseguire nelle sue operazioni particolarmente pericolose, proprio per affermare la propria autorità sulla piccola, abusando dei mezzi di correzione e disciplina.
Segue alla declaratoria di inammissibilità la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della cassa delle ammende della somma, ritenuta di giustizia ex art. 616 c.p.p., di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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