Cass. civ., sez. Unite 15-06-2006, n. 13911 (ord.) GIURISDIZIONE CIVILE – GIURISDIZIONE ORDINARIA E AMMINISTRATIVA – Azione di risarcimento del danno contro l’agire illegittimo della P.A. – Riparto di giurisdizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 24 gennaio 2003 I. S. e M. T. L. convenivano in giudi­zio dinanzi al tribunale di Chiavari il Comune di Lavagna e la cooperativa edilizia Solidarietà s.r.l.

Premesso che erano proprietari di un fabbricato ad uso officina in Lavagna; che il sindaco del Comune, con ordinanza n. 697 del 6 novembre 1987, aveva disposto, nell’ambito di un PEEP, lo sgombero e la demolizione del locale, e che il provvedimento veniva eseguito dalla delegata cooperativa Solidarietà; che tali provvedimenti venivano annullati con decisione del t.a.r. Liguria del 14 dicembre 1993, sulla considerazione che una parte dell’immobile non era contemplata nel procedimento di attuazione del PEEP, e che alla prima occupazione d’urgenza non era seguita la presa di possesso del bene; che il Consiglio di Stato, con la decisione in data 28 febbraio 2002, passata in giudicato, aveva confermato tale sentenza; chiedevano che i convenuti fos­sero condannati al risarcimento dei danni cagionati dal comportamento dell’amministrazione, non più sostenuto da alcun valido provvedimento.

Costituitisi in giudizio, i convenuti eccepivano il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, soste­nendo che la fattispecie rientrerebbe nell’ipotesi di cui all’art. 34 del d.l.vo n. 80 del 1998, il quale at­tribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice am­ministrativo le controversie in materia di edilizia e di urbanistica.

Gli attori hanno, quindi, proposto ricorso per regolamento di giurisdizione, al quale hanno resistito con controricorso il Comune e la cooperativa Solidarietà.

§ 2. Le ragioni svolte dalle parti sulla questione di giurisdizione

2.1. I ricorrenti sostengono che la controversia è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario in quanto: a) il PEEP, sul quale si basa parte della pro­cedura espropriativa, è stato annullato con decreto del Presidente della Repubblica; b) in ogni caso, parte del fabbricato era stato demolito dalla cooperativa al di fuori delle previsioni del PEEP; e) che, conseguente­mente, la fattispecie deve essere inquadrata nei termi­ni della ed. occupazione appropriativa, e non di dan­no da provvedimento illegittimo, ipotesi in cui sussisterebbe la giurisdizione esclusiva del giudice ammini­strativo, ai sensi dell’art. 35, comma 4°, della legge 21 luglio 2000, n. 205.

2.2. I controricorrenti sostengono che la giurisdi­zione appartiene al giudice amministrativo per le se­guenti considerazioni: con deliberazione della Giunta Provinciale è stata disposta l’espropriazione dell’area sulla quale si trovava il fabbricato demolito. Tale provvedimento, come pure gli atti propedeutici, non è stato impugnato dagli interessati, che si sono limitati a proporre op­posizione alla stima, il cui giudizio è ancora penden­te; l’ordinanza di sgombero veniva annullata dal Consiglio di Stato perché non era stata ritenuta preci­sa la descrizione dell’immobile ivi contenuta;

e) la dichiarazione di pubblica utilità esiste perché contenuta nel PEEP, atto che non è stato impu­gnato dai ricorrenti;

d) il giudizio è stato introdotto nella vigenza della legge 21 luglio 2000, n. 205, il cui art. 7, comma 3°, lett.jb;, che ha sostituito l’art. 34, 1° e 2° comma, del d.l.vo 31 marzo 1998, n. 80, attribuisce al­la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle ammi­nistrazioni .pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati in materia urbanistica ed edilizia; tale materia concerne tutti gli aspetti dell’uso del territorio;

l’accertata illegittimità del provvedimento di sgombero e di demolizione non inficia il procedimen­to espropriativi per cui non può trattarsi, né di occupazione usurpativa, né di occupazione appropriativa, in quanto l’immobile non incorpora un’opera pubblica, costituendo area acquisita per l’utilizzo dell’indice di fabbricabilità;

l’accertata illegittimità dell’ordinanza potrebbe, al più, portare al risarcimento del danno da atto illegittimo e la relativa domanda deve essere proposta dinanzi al giudice amministrativo, che ha giu­risdizione esclusiva ai sensi dell’art. 35, 4° e 5° comma, del d.l.vo n. 80 del 1998, così come sostituito dall’art. 7, comma 3°, della legge n. 205 del 2000.

§3. Motivi della decisione

3.1. Le Sezioni Unite sono chiamate a pronunciarsi sulla questione di giurisdizione in tema di responsabi­lità civile della p.a. connessa ad attività provvedimentale.

L’argomento, a partire dal D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, ha dato origine, com’è noto, ad un vasto dibattito in dottrina ed in giurisprudenza, in particolare dopo le decisioni di parziale illegittimità costituzionale pronunciate dal giudice delle leggi con le sentenze 6 luglio 2004 n. 204 e 28 luglio 2004 n. 281, sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in relazione alla legge 21 luglio 2000, n. 205 ("’Disposizioni in materia di giustizia amministrativa"): decisioni alle quali si è di recente aggiunta la sentenza 3 maggio 2006 n. 191, con cui è stato dichiarato in parte illegittimo l’art. 53, comma 1, del D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 327 ("Testo unico delle disposizioni legislative in materia di espropriazioni per pubblica utilità").

Orbene, due sono gli aspetti di questo tema, cui le sezioni unite sono chiamate a dare risposta: come, dopo la legge 205 del 2000, è ripartita tra giudice ordina­rio e giudice amministrativo la tutela giurisdizionale intesa a far valere la responsabilità della p.a. da at­tività provvedimentale illegittima; se la parte si può limitare a chiedere il risarcimento del danno, senza dover anche chiedere l’annullamento e quale sia il re­gime di tale diversa forma di tutela giurisdizionale, una volta che la si ammetta.

E, per una corretta impostazione del problema – sia sulle modifiche del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, intervenute ne­gli anni dal 1992 al 2000, sia sugli effetti della dichiarazione di incostituzionalità degli artt. 33, commi 1 e 2, e 34, comma 1, d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80, co­me novellati dall’art. 7 1. 21 luglio 2000, n. 205 – è opportuno prendere l’avvio dalle considerazioni svolte dalla Corte costituzionale, nella sentenza 204, sui la­vori preparatori della Costituzione.

3.2. In quella sede, come ha osservato la Corte, si ribadì l’ indispensabile riassorbimento nella Costituzione dei principi fondamentali della l. 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E", ispirati al principio dell’unità del­la giurisdizione, ma vi emerse il contrasto tra la tesi – perdente – a favore del giudice unico ("l’esercizio del potere giudiziario in materia civile, penale e am­ministrativa appartiene esclusivamente ai giudici ordinari") e quella vincente, per il mantenimento di giudi­ci diversi da quelli ordinari, quali Consiglio di Stato e Corte dei conti ("una divisione dei vari ordini di giudici ? ognuno dei quali fa parte a sé").

La regola tradizionale del riparto della giurisdizione – se si tratta di diritti soggettivi la giurisdi­zione è del giudice ordinario, se é fatto valere un in­teresse legittimo la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo – trova il proprio antecedente storico e logico negli artt. 2 e 4 1. 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E, tuttora vigenti. Se la legge è uguale per tutti, anche per la p.a., il cittadino che ha subito un pregiudizio ad un suo diritto può rivolgersi al giudice ordinario e il giudice si limiterà a conoscere gli ef­fetti dannosi dell’atto amministrativo, senza sindacare le scelte discrezionali, del tutto autonome, della p.a.

La legge del 1865 realizza così il principio dell’unità della giurisdizione, ma questa regola si ri­velerà non idonea ad assicurare una tutela adeguata al cittadino, sia per la grande quantità di controversie che la legge abolitiva del contenzioso riservava all’autorità amministrativa, così sottraendola al sin­dacato giurisdizionale, sia per una certa timidezza del giudice ordinario nel dare applicazione ai principi sanciti dall’allegato E della legge del 1865.

ÿ in questa situazione che, nel 1889, si registra la scelta per l’introduzione del sindacato sugli atti amministrativi da parte di un organo consultivo, il Consiglio di Stato, la cui natura giurisdizionale viene poi esplicitamente affermata con la legge n. 642 del 1907 istitutiva della V Sezione del Consiglio di Stato.

L’area delle situazioni tutelabili davanti a un giudice è in tal modo ampliata. L’assetto così realizzato trova conferma nel t.u 26 giugno 1924, n. 1054 sul Consiglio di Stato.

Questo assetto non viene d’altro canto inciso dalla introduzione della "giurisdizione esclusiva".

La giurisdizione sui diritti è devoluta al Consiglio di Stato in casi tassativamente enumerati, a conferma della regola generale posta alla base del ripar­to.

Si tratta di una giurisdizione esclusiva, obiettivamente diversa, allora, da quella voluta dal legislatore in questi ultimi anni.

Limitata a pochi "casi di confine", la sua introdu­zione è spiegata con la difficoltà di distinguere nell’aggrovigliato intreccio tra diritti soggettivi e in­teressi legittimi, anche se la sua introduzione stava ad indicare un chiaro recupero della logica propria del contenzioso amministrativo abolito nel 1865.

Tale è l’assetto cristallizzato nella Costituzione del 1948, che all’art. 24 dà riconoscimento sostanziale alla tutela sia del diritto soggettivo che dell’inte­resse legittimo e mentre all’art. 103, primo comma, li­mita la giurisdizione del giudice amministrativo in te­ma di diritti soggettivi alle "particolari materie" in­dicate dalla legge, nell’art. 113 rimette alla legge di indicare il giudice che può annullare l’atto ammini­strativo e le conseguenze dell’annullamento.

Questo assetto continua a riflettersi nella legi­slazione successiva, sino al d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80.

Invero, come nei nove "particolari" casi enucleati nell’art. 8 r.d. 30 settembre 1923, n. 2840 (ribaditi negli artt. 29 del t.u. 1054 del 1924 e 7 della l. 1034 del 1971) così in quelli successivamente introdotti (tra gli altri: art. 11 l. 1185/1967; art. 16 l. 10/1977; art. 35 1. 47/1985; art. 11 l. 210/1985; artt. 11 e 15 l. 241/1990; art. 33.1. l.287/1990; art. 7.11. d.lgs. 74/1992; art. 4.7. 1. 109/1994; art. 2.25. l. 481/1995; art. 1.26. l. 249/1997), sono sempre rimaste riservate al giudice ordinario le questioni attinenti ai diritti patrimoniali conseguenziali, compreso il risarcimento del danno.

Ma, vale la pena dì notarlo, è in questo assetto normativo che la giurisprudenza ha nel tempo elaborato,

e con costanza applicato, i principi dell’irrisarcibilità dell’ interesse legittimo, della degradazione del diritto ad interesse e della pregiudizialità amministrativa.

Sicché non sarà senza ragione, se questo assetto normativo ed il bagaglio dei concetti che sono valsi a dargli spiegazione, apparirà richiedere modifiche, una volta che si affermerà, con il d. lgs. SO del 1998, la contraria regola della risarcibilità dell’interesse le­gittimo.

3.3. Facendo un passo indietro e tornando al riparto delle giurisdizioni, va detto che il dibattito re­stava aperto, non tanto sull’ubi consistam del riparto, non più contestato, quanto sull’esatta individuazione dei rispettivi territori, dei diritti e degli interes­si, che non vivevano in mondi separati, poiché gli uni e gli altri costellavano il rapporto tra privato e p.a., vagando da un rapporto di coesistenza ad uno di successione, in situazioni dal confine incerto, a volte dubbio, di "facile trapasso" (Cass., sez. un., 5 dicem­bre 1987 n. 9095 e 9096).

Il sistema – al di là di qualche decisione provoca­toria della Cassazione, rimasta isolata (Cass., sez. I, 3 maggio 1996 n. 4083), o di eccezioni di incostituzio­nalità, poi disattese (Corte cost., 8 maggio 1998 n. 165) – è durato dal 1865 fino al 1992 (un periodo lungo ben 127 anni).

A metterlo in crisi sono stati i principi comunitàri in tema di appalti pubblici di lavori o forniture.

L’introduzione di una fattispecie di risarcibilità degli interessi legittimi lesi, in violazione del di­ritto comunitario, viene alla luce con l’art. 13 1. 19 febbraio 1992, n. 142 (legge comunitaria del 1991).

In attuazione della direttiva del consiglio Ce n. 665/89 del 21 dicembre 1989, si riconosceva, in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, la possibilità di ottenere, dopo L’annullamento dell’atto lesivo da parte del giudice amministrativo, il risarcimento del danno dal giudice ordinario.

Tuttavia, l’itinerario da percorrere apparve subito particolarmente gravoso, in quanto si obbligava il pri­vato ad adire prima il giudice amministrativo per l’an­nullamento e, poi, il giudice ordinario per il risarci­mento del danno, così mettendo in discussione il prin­cipio di effettività della tutela giurisdizional/e san­cito dall’art. 24 della Costituzione.

Il legislatore italiano, in un primo tempo, estese la norma anche agli appalti dei settori esclusi (art. 11 l. 19 dicembre 1992, n. 489) e poi agli appalti di servizi (art. 11, lett. i), l. 22 febbraio 1994, n. 146: legge comunitaria per il 1993), ma, per negare la valenza dirompente sul precedente riparto, si preferì considerarla una norma di settore e non di portata generale" (Cass., sez. un., 20 aprile 1994 n. 3732). Di qui un deciso cambiamento di rotta con la soppressione del richiamo dell’art. 13 della legge 142 del 1992 contenuto nel terzo comma dell’art. 32 l. 11 febbraio 1994, n. 109, per effetto della novella introdotta dal d.l. 3 aprile 1995, n. 101, convertito con modifiche nella l. 2 giugno 1995, n. 216.

La rivoluzionaria disposizione" è stata infine espressamente abrogata dall’ultimo comma dell’art. 35 d. lgs. 80 del 1998 (divenuto ultimo comma dell’art. 7 1. 205 del 2000), insieme con ogni altra disposizione che prevede la devoluzione al giudice ordinario delle controversie sul risarcimento del danno conseguente all’annullamento di atti amministrativi".

Si può dunque dire, per un verso, che la disposizione introdotta con la l. 142 del 1992 ha contribuito a smantellare il precedente sistema orientato ad evita­re il risarcimento del danno da lesione dell’interesse legittimo; e per altro verso che per il suo mezzo sono state poste le premesse perché la Corte costituzionale sìa stata indotta a riconoscere nella concentrazione delle tutele dinanzi allo stesso giudice una piena at­tuazione dell’art. 24 della Costituzione.

3.4. ÿ nel quadro sino ad ora descritto che il le­gislatore di fine secolo introduce una nuova specie di giurisdizione esclusiva, separata anche dalla giurisdi­zione di legittimità e ancorata a "settori" dell’ordinamento pubblico, con rilevante presenza di un pubblico interesse.

Il Governo con il d. lgs. 80 del 1998 – anche supe­rando i limiti della delega conferita dall’art. 11, comma 4, lett. g), l. 15 marzo 1997, n. 59 – e, dopo la dichiarazione di incostituzionalità (Corte cost., 17 luglio 2000, n. 292), il Parlamento con la 1. 205 del 2000, attribuiscono i ”settori particolari" degli ap­palti e servizi pubblici nonché dell’edilizia e urbani­stica ad una "nuova*’ giurisdizione esclusiva del giudi­ce amministrativo, estesa anche ai diritti patrimoniali conseguenzialì e al risarcimento del danno.

Il legislatore, inoltre, estende la nuova giurisdi­zione non solo alle vecchie ipotesi di "servizi pubbli­ci, edilizia ed urbanistica", ma a qualsiasi fattispe­cie di giurisdizione esclusiva vecchia o nuova.

Si porta a compimento l’indirizzo che vede nella giurisdizione esclusiva "il ramo più fertile e cioè più proiettato nel futuro della giurisdizione amministrati­va ".

Nel contempo, la risarcibilità dell’interesse le­gittimo, già prevista dal d. lgs. 80 del 1998 (ma ri­condotta dalle sentenze della Corte costituzionale 292 del 2000 e 281 del 2004 nei limiti della delega confe­rita con la 1. 59 del 1997) è estesa all’intero ambito delle situazioni giuridiche giustiziabili davanti al giudice amministrativo.

3.5. In conclusione, l’ordinamento ha ora accolto il principio della risarcibilità della lesione dell’interesse legittimo in conseguenza dell’illegitti­mità dell’atto amministrativo, prevedendo – in attuazione della regola della concentrazione – che il giudi­ce amministrativo può conoscere di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno e disporlo.

3.6. Il tessuto normativo che è alla base della so­luzione da adottare si può così sintetizzare.

L’art. 35 del d. lgs. 80 del 1998, come sostituito dall’art. 7, lettera e), della legge 205 del 2000, nel comma 1 stabilisce che "Il giudice amministrativo, nel­le controversie devolute alla sua giurisdizione esclu­siva, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto".

Il citato articolo, nel comma 4 (sostituendo il primo periodo del terzo comma dell’art. 7 della legge n. 1034 del 1971), prevede che "Il tribunale ammini­strativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizio-ne, conosce anche di tutte le questioni relative al­l’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri di­ritti patrimoniali consequenziali".

A sua volta, il comma 2 disciplina le modalità di determinazione della somma dovuta, disponendo che " . . il giudice amministrativo può stabilire i criteri in base ai quali l’amministrazione pubblica o il ge­store del pubblico servizio devono proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, con il ricorso previsto dall’art. 27, primo comma, numero 4), del testo unico approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, può essere chiesta la determinazione della somma dovuta."

3.7. La dichiarazione di incostituzionalità non ha colpito la normativa appena ricordata; ha invece ri­guardato l’art. 7 della l. 205 del 2000 per la mancata esclusione dall’ambito della giurisdizione esclusiva delle controversie "nelle quali può essere del tutto assente ogni profilo riconducibile alla pubblica ammi­nistrazione-autorità", con il ritorno alla dicotomia "diritti soggettivi – interessi legittimi", ripudiando il diverso criterio dei "blocchi di materie" che mirava a trasformare il giudice amministrativo nel "giudice dell’ amministrazione".

Si afferma in proposito che la giurisdizione esclu­siva introdotta dalla l. 205 del 2000 appare configge­re con i parametri costituzionali ed è qualitativamente diversa dalla precedente, che riguardava specifiche controversie "connotate non già da una generica rile­vanza pubblicistica, bensì dall’intreccio di situazioni soggettive qualificabili come interessi legittimi e co­me diritti soggettivi".

Si precisa che l’adozione, da parte del legislatore del 1998-2000, di un’idea di giurisdizione esclusiva, ancorata alla pura e semplice presenza, in un certo settore dell’ordinamento, di un rilevante pubblico in­teresse, avrebbe presupposto la modifica dell’art. 103 Cost., mai approvata, nel senso che "la giurisdizione amministrativa ha ad oggetto le controversie con la pubblica amministrazione nelle materie indicate dalla legge" (Atto Camera 7465, XIII Legislatura). Viceversa, il vigente art. 103, comma 1, Cost. non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell’attribuzione al giudice ammini­strativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare «particolari materie», nelle quali, «la tutela nei con­fronti della pubblica amministrazione» investe «anche» diritti soggettivi". Il collegamento delle "materie" assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle situazioni soggetti­ve è espresso dall’art. 103 Cost. laddove statuisce che quelle materie devono essere "particolari" rispetto a quelle già devolute alla giurisdizione generale di le­gittimità, in cui la p.a. agisce come autorità nei con­fronti della quale è accordata tutela al cittadino da­vanti al giudice amministrativo.

In conclusione, il legislatore ordinario ben può ampliare l’area della giurisdizione esclusiva, ma con riguardo a "materie particolari" in cui la giurisdizio­ne naturale sugli interessi attrae la cognizione dei diritti concorrenti e strettamente connessi. Ciò com­porta che la mera partecipazione della p.a. al giudizio non è sufficiente per radicare la giurisdizione del giudice amministrativo – "il quale davvero assumerebbe le sembianze di giudice «della» pubblica amministrazio­ne: con violazione degli artt. 25 e 102, secondo comma, Cost." – e, inoltre, non è sufficiente "il generico co­involgimento di un pubblico interesse nella controver­sia perché questa possa essere devoluta al giudice am­ministrativo".

Sono, pertanto, sottratte alla funzione unificante della Corte di cassazione le sole pronunce che investa­no i diritti soggettivi nei confronti dei quali, nel rispetto della "particolarità" della materia nel senso sopra chiarito, il legislatore ordinario abbia legitti­mamente previsto la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo su diritti e interessi, nonché quelle che riguardano le forme di tutela che il giudice ammi­nistrativo ritenga di accordare all’interesse legitti­mo.

3.8. Si tornerà sulle conseguenze che, dalle precedenti affermazioni di principio, la Corte ha tratto a proposito del modo in cui il legislatore ha configurato le materie di giurisdizione esclusiva delineate negli artt. 33 e 34 del d. lgs. 80 del 1998 modificati dalla l. 205 del 2000: punto sul quale la Corte si è ancora soffermata nella sentenza 191 del 2006 a proposito del ruolo che, nel campo dell’espropriazione, assumono comportamenti volti alla anticipata realizzazione di opere, pur sempre dichiarate di pubblica utilità.

3.9. Qui interessa soffermarsi sul punto che la di­chiarazione di incostituzionalità non ha investito le disposizioni contenute nell’art. 35 del d. lgs, 80 come riformulate dall’art. 7, lett. e), della l. 205 del 2000.

La Corte ha osservato che "il potere riconosciuto al giudice amministrativo di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto non costituisce sotto alcun profilo una nuova «materia» attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei con­fronti della pubblica amministrazione".

Su questa parte della motivazione della sentenza 204, la Corte è tornata nella sentenza 191 di questo anno.

Ha in particolare considerato come sia da escludere che "per ciò solo che la domanda proposta dal cittadi­no abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del dan­no, la giurisdizione competa al giudice ordinario": ed ha osservato che dove la legge – come fa l’art. 35 del d. lgs. n. 80 del 1998 – costruisce il risarcimento del danno, ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, come strumento di tutela affermandone – come è stato detto – il carattere «rimediale», essa non viola alcun precetto costituzio­nale e, anzi, costituisce attuazione del precetto dell’art. 24 Cost. laddove questo esige che la tutela giurisdizionale sia effettiva e sia resa in tempi ra­gionevoli".

In altri termini" – ha osservato la Corte – al precedente sistema che, in considerazione della natura

intrinseca di diritto soggettivo della situazione giuridica conseguente all’annullamento del provvedimento amministrativo, attribuiva al giudice ordinario «le controversie sul risarcimento del danno conseguente all’annullamento di atti amministrativi» (così l’art, 35, comma 5, del d. lgs. n. 80 del 1998, come modificato dell’art. 7, lett. e della legge n. 205 del 2000) il legislatore ha sostituito (appunto con l’art. 35 cit.) un sistema che riconosce esclusivamente al giudice naturale della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica poteri idonei ad assicurare piena tutela, e quindi anche il potere di risarcire, sia per equivalente sia in forma specifica, il danno sofferto per l’illegittimo esercizio della funzione".

13.10. Il lungo cammino sin qui percorso nel rico­struire la vicenda normativa è valso a rendere intelli­gibile quale si debba oggi considerare il punto d’arrivo nella ricerca della soluzione del primo degli aspetti segnalati all’inizio, ovverosia in base a quali criteri si trovi oggi ad essere stabilito il riparto tra le giurisdizioni.

Rilevano a questo fine due momenti ed in particola­re la situazione soggettiva del cittadino considerata nel suo aspetto statico e gli effetti che l’ordinamento ricollega all’azione amministrativa una volta che que­sta sia esercitata.

La tutela giurisdizionale contro l’agire illegitti­mo della pubblica amministrazione spetta al giudice or­dinario, quante volte il diritto del privato non sop­porti compressione per effetto di un potere esercitato in modo illegittimo o, se lo sopporti, quante volte l’azione della pubblica amministrazione non trovi rispondenza in un precedente esercizio del potere, che sia riconoscibile come tale, perché a sua volta delibe­rato nei modi ed in presenza dei requisiti richiesti per valere come atto o provvedimento e non come mera via di fatto.

A questo fine, si ritiene che vada richiamato il principio di diritto affermato dalla Corte costituzio­nale nella sentenza 204 del 2000, secondo cui la giuri­sdizione del giudice amministrativo resta in ogni caso delimitata dal collegamento con l’esercizio in concreto del potere amministrativo secondo le forme tipiche pre­viste dall’ordinamento: ciò sia nella giurisdizione esclusiva che nella giurisdizione di annullamento.

Il che non si verifica quando l’amministrazione agisca in posizione di parità con i soggetti privati, ovvero quando l’operare del soggetto pubblico sia ascrivibile a mera attività materiale, con la consapevolezza che si verte in questo ambito ogni volta che l’esercizio del potere non sia riconoscibile neppure come indiretto ascendente della vicenda.

Esemplificando, l’amministrazione deve essere convenuta davanti al giudice ordinario in tutte le ipotesi in cui l’azione risarcitoria costituisca reazione alla lesione di diritti incomprimibili, come la salute (Cass. 7 febbraio 1997 n. 1187; 8 agosto 1995 n. 8681; 29 luglio 1995 n. 8300; 20 novembre 1992 n. 12386; 6 ottobre 1979 n. 5172) o l’integrità personale.

Deve ancora essere convenuta davanti al giudice or­dinario, quante volte la lesione del patrimonio del privato sia l’effetto indiretto di un esercizio ille­gittimo o mancato di poteri, ordinati a tutela del privato (Cass. 29 luglio 2005 n. 15916; 2 maggio 2003 n. 6719): qui si è nell’ambito delle controversie meramen­te risarcitorie già contemplate nell’art. 33, comma 2, d. lgs, 80 del 1998, nel testo anteriore alla riformu­lazione attuatane con la sentenza 204 del 2004, la cui previsione non è più necessaria, nella misura in cui in esse è ravvisabile, più in generale, la reazione a meri comportamenti lesivi dell’amministrazione.

Nel settore delle occupazioni illegittime, sono poi chiaramente ascrivibili alla giurisdizione ordinaria le forme di occupazione "usurpativa", caratterizzate dal tratto, che la trasformazione irreversibile del fondo si produce in una situazione in cui una dichiarazione di pubblica utilità manca affatto.

E alla stessa conclusione si deve pervenire nel caso in cui il decreto di espropriazione è pur stato emesso, e però in relazione a bene, la cui destinazione ad opera di pubblica utilità la si debba dire mai avve­nuta giuridicamente od ormai venuta meno, per mancanza iniziale o sopravvenuta scadenza del suo termine d’efficacia.

Dove per contro la situazione soggettiva, nei termini che si sono indicati, si presenta come interesse legittimo, la tutela risarcitoria ne va chiesta al giu­dice amministrativo.

Conviene a tale riguardo soffermarsi su alcune fat­tispecie la cui classificazione ha sin qui dato luogo a discussione ed il cui tratto peculiare si rinviene nel­la circostanza che oggetto della domanda non è l’annullamento di un atto, ma appunto solo il risarci­mento del danno.

Riconducibili alla giurisdizione del giudice ammi­nistrativo appaiono i casi in cui la lesione di una si­tuazione soggettiva dell’interessato è postulata come conseguenza d’un comportamento inerte, si tratti di ri­tardo nell’emissione di un provvedimento risultato fa­vorevole o di silenzio.

Ciò che viene qui in rilievo è bensì un comporta­mento, ma il comportamento si risolve nella violazione di una norma che regola il procedimento ordinato all’esercizio del potere e perciò nella lesione di una situazione di interesse legittimo pretensivo (Ad. pi. 15 settembre 2005 n. 7), non di un diritto soggettivo.

Presenta analogie con questa situazione, quella valutata dalla Corte costituzionale nella sua più recente decisione, dove parimenti l’accesso al giudice amministrativo non è segnato da una domanda di annullamento, ma si considera che ad attrarre la fattispecie nell’orbita della sua giurisdizione possa valere la presenza di un concreto riconoscibile atto di esercizio del potere: quel potere, in particolare, che si è manifestato nella dichiarazione dì pubblica utilità.

3.11. Resta da affrontare quello che all’inizio si è indicato come secondo aspetto problematico della tu­tela del cittadino di fronte all’attività provvedimentale illegittima della pubblica amministrazione, ov­verosia la possibilità di domandare la sola tutela risarci toria.

Da quando nell’ordinamento si è preso a considerare risarcibile la lesione di un interesse legittimo, è emerso il tema se il privato si possa limitare a riven­dicare per il diritto o l’interesse leso la sola tutela risarcitoria e quale possa essere il trattamento pro­cessuale di tale domanda.

3.12, Sino alla più recente sentenza della Corte costituzionale, si erano manifestate sul punto due posizioni ermeneutiche in assoluto contrasto tra loro.

Secondo una prima, più diffusa opinione, "tutta amministrativa", il d. lgs. 80 del 1998 e la l. 205 del 2000 avrebbero attribuito, in via generale, al giudice amministrativo la cognizione delle pretese di risarci­mento del danno da atti illegittimi della p.a., in sede di giurisdizione esclusiva (in virtù del comma 1 dell’art. 35) o di legittimità (in virtù del comma 4), che entrambe hanno ora assunto il connotato di giuri­sdizione "piena".

In tal senso è apparso orientarsi il Consiglio di Stato, secondo cui la ratio della riforma iniziata con il d.lgs. 80 del 1998 e completata con la legge 205 del 2000 è stata quella di concentrare davanti ad un unico giudice, quello amministrativo, in coerenza con l’art. 24 Cost., ogni forma di tutela, anche ri­sarcitola, nei confronti della p.a., quando viene in gioco la lesione di interessi legittimi (Cons. Stato, sez. VI, 18 giugno 2002 n. 3338/ Ad. plen. 26 marzo 2003 n. 4/ Ad plen, 30 agosto 2005 n. 8).

In particolare, alcune pronunce (Ad plen. 4 del 2003) hanno fatto propria la tesi per cui le norme ri­chiamate avrebbero previsto, come necessaria condizione per l’accesso alla tutela risarcitoria, che nel termine di decadenza per l’impugnazione fosse anche esperita con esito favorevole l’azione di annullamen­to, ancorché la tutela risarcitoria possa essere richiesta non insieme, ma successivamente.

Ciò in ragione del principio della ed. pregiudi­ziale amministrativa.

L’annullamento avrebbe dovuto essere richiesto in via principale nel termine di decadenza, perché al giu­dice amministrativo non è consentita la cognizione incidentale della illegittimità degli atti ammini­strativi né esso è munito del potere di disapplica­zione.

Consegue che, se la tutela di annullamento non è richiesta nel termine per l’impugnazione del provvedi­mento, questo diviene inoppugnabile, precludendo l’ac­cesso non solo alla tutela risarcitoria erogabile dal giudice amministrativo, ma anche a quella che potesse essere chiesta al giudice ordinario, facendo valere l’atto illegittimo come elemento costitutivo dell’il­lecito civile (secondo la sent. 500 del 1999 delle S.U.).

Il Consiglio di Stato aveva peraltro ammesso che l’azione risarcitoria potesse essere proposta in ta­luni casi davanti al giudice amministrativo come do­manda autonoma (Cons. Stato, sez. VI, 18 giugno 2002 n. 3338) .

E ciò, oltre che nei casi di danno da ritardo, in quelli in cui l’annullamento del provvedimento vi sia già stato, ad opera dello stesso giudice amministrativo (ad esempio in epoca in cui la giurisdizione ammini­strativa non era ancora una giurisdizione "piena") od a seguito di annullamento su ricorso amministrativo o straordinario o di annullamento di ufficio.

Nello scenario così delineato, la giurisdizione del giudice amministrativo sulle pretese risarcitorie del cittadino che si assume leso in una posizione giu­ridica sostanziale (di diritto o di interesse legittimo) dall’ esercizio illegittimo della funzione amministra­tiva non dovrebbe concorrere con una, sia pur residuale, giurisdizione del giudice ordinario. Ovvio che il giudice amministrativo, nato come giudice dell’atto e non del rapporto, avrà non poche difficoltà a distinguere il dan­no specie sotto il profilo della determinazione del quantum del danno risarcibile: dovrà mutuare le regole civi-listiche sul concetto stesso di danno come fatto, sul nesso di causalità, anche ipotetico (si pensi all’art. 1221 ce), sui criteri di valutazione ex art. 1223, 1225, 1226, 1227 co 1 (concorso di cause) e co. 2 (danni evitabili con l’ordinaria diligenza) ce.

Una diversa ricostruzione, "tutta civilistica", è stata prospettata da parte della dottrina, muovendo dai principi affermati dalla sent. 500 del 1999 delle S.U.

Punto di partenza ne è la qualificazione della pretesa risarcitoria come diritto soggettivo, sia nei confron­ti del privato che della p.a., in una concezione che nega rilevanza ai successivi interventi normativi, i quali non potrebbero scalfire, con il mero collegamento processua­le, la tutela sostanziale riconosciuta al diritto sogget­tivo, nei confronti di chiunque azionato.

Si è mossi dalla considerazione che, secondo la Corte costituzionale, il potere riconosciuto al giu­dice amministrativo di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto non costituisce sotto alcun profilo una nuova «materia» attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da uti­lizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della p.a.".

Il profilo di connessione processuale non avrebe escluso tuttavia che la tutela sia apprestata ad una posizione sostanziale avente natura di diritto sog­gettivo: il diritto al risarcimento del danno ingiusto.

Il danno ingiusto, determinato dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante (sia esso diritto soggettivo o interesse legittimo: sent. 500 del 1999), sarebbe fonte di una obbligazione di risarci­mento (ex art. 2043 ce. o ex art. 1218 ce. secondo il possibile diverso atteggiarsi della responsabilità della p.a.) mentre la parte che chiede il risarcimento aziona sempre un diritto soggettivo.

La sentenza 204 del 2004 della Corte costituzionale avrebbe, quindi, solo negato che il novellato art. 35 abbia istituito una nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo avente ad oggetto il diritto al risarcimento del danno.

Il punto rilevante, nella decisione della Corte, sarebbe stato là dove si è rilevato che l’attribuzione dell’ulteriore strumento della tutela risarcitoria, venuto ad aggiungersi a quello classico della tutela di annulla­mento, è valsa a configurare la giurisdizione del giudice amministrativo, in attuazione del precetto dell’art. 24 Cost., come giurisdizione atta a garantire piena ed effettiva tutela alle situazioni soggettive ad essa devolute, per evitare al cittadino di doversi rivolgere a due diversi ordini di giudici, cioè a quello amministrativo per conseguire prima l’annullamento e poi a quello ordinario per ottenere il risarcimento del danno, come diritto patrimoniale consequenziale.

ÿ stato messo in dubbio che la Corte abbia inte­so riferirsi soltanto alla giurisdizione esclusiva (art. 35, comma 1), ovvero anche a quella generale di legittimità (art. 35, comma 4), ma si è considerato corretto attribuire ampia valenza alla ravvisata esten­sione dei poteri del g.a. in entrambe le giurisdizioni, che risultano quindi connotate da pienezza.

La Corte non si sarebbe peraltro in alcun modo espressa sulla natura del risarcimento del danno.

Se, quindi, si tiene ferma la qualificazione del diritto al risarcimento del danno ingiusto come dirit­to soggettivo, resterebbe valido il principio di or­dine generale secondo cui il giudice dei diritti sog­gettivi è il giudice ordinario (art. 2 della l.a.c.a).

Di qui la conseguenza che il giudice della tutela risarcitoria sarebbe stato, di regola, il giudice ordi­nario.

A questa regola l’art. 35, commi 1 e 4, avrebbe apportato deroga (secondo il criterio della connes­sione), col consentire che il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, possa disporre, anche attraverso la reinte­grazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto e che nell’esercizio della sua giurisdizione (di legittimità) possa conoscere di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno e agli altri diritti patrimoniali consequenziali.

Non sarebbe stato tuttavia corretto sostenere che si tratti di una concentrazione necessaria, con attrazione inscindibile della tutela risarcitoria al segui­to di quella di annullamento, in presenza di un atto amministrativo da impugnare.

La concentrazione sarebbe infatti funzionale, in termini di pienezza ed effettività della tutela, alle esigenze del cittadino che chiede giustizia nei con­fronti della p.a., e pertanto non la si potrebbe rite­nere doverosa e tale da dover essere praticata come unica via esclusiva.

Né, d’altra parte, sarebbe desumibile dal testo normativo – così come interpretato costituzionalmente – che al riconoscimento, in positivo, al giudice ammi­nistrativo del potere di disporre il risarcimento del danno ingiusto (comma 1) e di conoscere delle questioni relative all’eventuale risarcimento del danno (comma 4), si unisca, in negativo, la totale sottrazione di eguale potere al giudice ordinario.

Il giudice amministrativo avrebbe potuto cono­scere di questioni relative al risarcimento del danno e, cioè, di questioni attinenti ad un diritto sogget­tivo la cui cognizione è di regola attribuita al giudice ordinario, nel caso in cui il cittadino si fosse avvalso della facoltà di richiedere a tale giudice la tutela risarcitoria congiuntamente a quella di annul­lamento. In questa ipotesi, come è stato osservato, le norme in esame realizzerebbero una deroga alla giurisdizione per ragioni di connessione.

Si è ancora notato che la prevista concentrazione troverebbe giustificazione nel tipo di tutela che, ol­tre a quella di annullamento, il giudice amministrativo può somministrare: una "tutela ulteriore" che è di completamento rispetto a quella primaria della quale postula l’esito positivo, nel senso che serve a rimuovere i pre­giudizi che l’annullamento non ha potuto eliminare.

ÿ per effetto della dipendenza della tutela ulte­riore da quella di annullamento che il giudice ammini­strativo può prendere in esame questioni relative al risarcimento (ed agli altri diritti patrimoniali con­sequenziali) solo se gli è richiesto e ritiene di concedere l’annullamento dell’atto lesivo.

Quanto alle conseguenze della omessa richiesta della tutela di annullamento nel termine di decaden­za, con conseguente inoppugnabilità dell’atto, si è rilevato che la decadenza preclude la via della tutela di annullamento e, di conseguenza, della tutela risarei-toria di completamento (da erogare nelle peculiari forme di cui all’art. 35, comma 2) .

Non sarebbe invece precluso il ricorso alla sola tutela risarcitoria.

Si è rilevato, infatti, che in un sistema in cui al cittadino sono riconosciuti sia la tutela di annul­lamento, sia quella risarcitoria (e questa nella du­plice connotazione di tutela di completamento che al g.a. è dato somministrare ex art, 35, comma 2, e di tutela risarcitoria secondo le regole del diritto ci­vile), non necessariamente le due forme di tutela debbono essere spese entrambe.

Se il danneggiato dall’esercizio illegittimo del potere amministrativo non si vuole avvalere, non avendone interesse, della tutela costitutiva di annul­lamento del provvedimento lesivo della sua posizione giuridica sostanziale, ma ritiene, invece, conforme al suo concreto interesse avvalersi della sola tutela ri­sarcitoria, potrà farlo, in via autonoma, davanti al giudice ordinario.

Quest’ultimo non dovrà giudicare in via inciden­tale della legittimità dell’atto, in funzione della sua disapplicazione (art. 4, comma 1, l.a.c.a.), ma dovrà va­lutare il provvedimento solo come fatto, come elemen­to costitutivo dell’illecito.

Non si porrebbe un problema di pregiudizialità in senso tecnico, poiché tale problema si poneva solo quando, prima della sentenza n. 500 del 1999, era ne­cessario attendere l’annullamento per poter risarcire il danno arrecato dal sacrificio di situazioni di diritto degradato ad interesse. Una volta riconosciuto che la lesione dell’interesse protetto obbliga anche la p.a. al risarcimento del danno, è venuto meno il nesso di dipendenza della risarcibilità dal previo an­nullamento dell’atto.

Nelle ipotesi in cui l’annullamento non fosse sta­to chiesto, potrebbe eventualmente porsi un problema attinente al merito della decisione, sotto il profilo se nel danno risarcibile rientri la situazione deter­minata dal provvedimento di cui non si sia voluto do-mandare l’annullamento.

Nelle ipotesi in cui l’annullamento sia stato già disposto dallo stesso giudice amministrativo (in epoca in cui la giurisdizione amministrativa non era ancora una giurisdizione "piena"), a seguito di ricorso straordinario, o d’ufficio, ovvero nel caso in cui manchi l’atto, come avviene per il danno da ritardo, si sarebbe potuto egualmente adire per la tutela ri-sarcitoria il giudice ordinario, poiché l’estensione della cognizione del giudice amministrativo alle que­stioni relative al risarcimento postula che la relati­va tutela sia stata richiesta congiuntamente a quella di annullamento.

3.13. La sopravvenuta decisione della Corte costi­tuzionale spiana la strada e indirizza la scelta verso la concentrazione della tutela risarcitoria presso il giudice amministrativo, ma lascia impregiudicato il punto del trattamento processuale della tutela risarci­toria.

3.14. Le Sezioni unite – nell’esercizio della fun­zione di riparto della giurisdizione (artt. 31,41, 360 n. 1, 362 c.p.c; art. 37, secondo comma, L. 11 marzo 1953, n. 87) ad esse attribuito dal nuovo codice di ri­to (dopo la soppressione del Tribunale dei conflitti, istituito con L. 31 marzo 1877, n. 3761, ed. legge Mancini-Peruzzi) – ritengono che sia necessario accede­re ad una soluzione, che, mentre tiene conto dei principi costituzionali che legano la tutela giurisdiziona­ le offerta dai due ordini di giudici alle situazioni soggettive, alla luce del criterio enunciato dall’art. 103 Cost., fa propri i valori di effettività e concen­trazione delle tutele sottesi all’art. Ili Cost. – e in particolare al principio della ragionevole durata dei processi – che la Corte costituzionale ha assunto come criterio-guida di interpretazione delle altre norme in materia di giustizia.

3.15. In quest’ottica, va adeguatamente ricordato che alla tutela risarcitoria dell’interesse legittimo nei confronti della pubblica amministrazione questa Corte è pervenuta non già estendendo la detta tutela dai diritti soggettivi agli interessi legittimi, bensì affermando che, sul piano della tutela risareitoria, non si può fare differenza tra interessi che trovano protezione diretta nell’ordinamento e interessi che trovano protezione attraverso l’intermediazione del po­tere amministrativo.’

Questa svolta – che cancella sul piano sostanziale, con riferimento alla tutela risarcitoria, il divario tra diritti ed interessi altrimenti rilevanti – matura in un momento storico in cui il legislatore ha imbocca­to la strada che lo porterà a configurare la giurisdi­zione del giudice amministrativo come una giurisdizione piena ed esige, di conseguenza, che sia data una più coerente lettura al sistema del riparto di giurisdizio­ni, in particolare una lettura che leghi la potestas iudicandi alla natura della situazione soggettiva.

La tesi "tutta civilistica" non può essere condivi­sa allorché disattende la svolta voluta dal legislatore di assicurare all’interesse legittimo una tutela piena, concentrata dinanzi a un unico giudice per il principio di effettività che reca in sé la ragionevolezza dei tempi di tutela.

La soluzione, fatta propria dal legislatore del 2000 e in linea con la portata di "norma di sistema" riconosciuta dalla Corte costituzionale all’art. 24 Cost. con la sentenza 204 del 2004, da ultimo ribadita, è coerente con la riaffermazione del criterio tradizio­nale del riparto fondato non sulla distinzione tra le tecniche di tutela, bensì sulla natura sostanziale del­le situazioni soggettive.

D’altra parte, questa ricostruzione è coerente an­che con il processo di evoluzione che caratterizza l’interesse legittimo, che va perdendo la sua tradizio­nale funzione meramente famulativa o ancillare rispetto all’interesse pubblico, per assumere un più marcato connotato sostanziale, coerentemente del resto con l’evoluzione della stessa nozione di interesse pubbli­co, al cui perseguimento si accompagna un aumento della discrezionalità, ma anche della connessa responsabilità dell’ amministrazione.

Deriva da ciò che – in linea di principio e salvo quanto si è già considerato – la giurisdizione sulla tutela dell’interesse legittimo non può che spettare al giudice amministrativo, sia nella tecnica della tutela di annullamento, sia nelle tecniche della tutela risar­citola, in forma specifica o per equivalente: tecniche che non possono essere oggetto di separata e distinta considerazione ai fini della giurisdizione.

3.16. Del pari non può essere condivisa la soluzio­ne ed. "amministrativa", dove, da una parte, pone un nesso inscindibile, non richiesto dalle norme di legge né dal quadro costituzionale, tra tutela di annullamen­to e tutela risarcitoria (Ad. Plen. n. 4 del 2003), dall’altra, sembra ricomprendere nella giurisdizione amministrativa ogni contesto caratterizzato dalla pre­senza della funzione pubblica senza esigere che di tale funzione si sia avuto un concreto esercizio, nei modi e forme tipici del potere amministrativo, che soli con­sentono di riconoscere l’atto come espressione di un potere esistente.

Dal primo punto di vista non è privo di rilievo il considerare che la teoria della pregiudizialità ammini­strativa, intesa come dipendenza del diritto al risar­cimento dal previo annullamento, era maturata in un contesto nel quale da un lato si escludeva la risarci-bilità del pregiudizio sofferto per il sacrificio di situazioni di interesse legittimo, dall’altro si era omologato al trattamento di questa situazione quella del diritto soggettivo degradato ad interesse.

Né è senza importanza considerare che la soggezione a termine di decadenza è prevista dalla legge per l’azione di annullamento e, in questo sistema, l’accertamento incidentale dell’illegittimità viene negato non solo per escludere che vizi prima non rilevati possano esserlo dopo dando luogo all’annullamento di provedimenti che presuppongonio quello non impugnato, ma anche perché gli effetti dell’azione di annullamento non si esauri­scono nel rapporto tra amministrazione e soggetto leso e, ben spesso, si rifrangono su altri soggetti in con­flitto con chi sollecita l’annullamento.

Ma, non di questo si tratta quando non l’annullamento dell’atto è preteso, bensì l’accertamento della illiceità della situazione deter­minata dalla sua adozione ed esecuzione, accertamento che esaurisce la sua rilevanza nel rapporto tra sogget­to leso e pubblica amministrazione.

Queste considerazioni, unitamente ai ricordati pro­cessi di cambiamento che caratterizzano l’interesse le­gittimo e la sua relazione con l’interesse pubblico, giustificano ampiamente l’abbandono di un approccio di tipo tradizionale.

Ammettere la necessaria dipendenza del risarcimento dal previo annullamento dell’atto illegittimo e danno­so, anziché dal solo accertamento della sua illegitti­mità significherebbe restringere la tutela che spetta al privato di fronte alla pubblica amministrazione ed assoggettare il suo diritto al risarcimento del danno, anziché alla regola generale della prescrizione, ad una Verwirkung amministrativa, tutta italiana.

La conclusione da accogliere è dunque che, dopo l’irruzione nel mondo del diritto della risarcibilità -effettiva e non solo dichiarata – anche dell’interesse legittimo, e dopo i ricordati tentativi dei primi anni novanta della doppia tutela (espressamente abrogata sia dall’art. 35 d. lgs. 80 del 1998 sia dall’art. 7, lett. e), della 1. 205 del 2000), il legislatore di fine se­colo non ha inteso ridurre la tutela risarcitoria al solo profilo di completamento di quella demolìtaria, ma, mentre l’ha riconosciuta con i caratteri propri del diritto al risarcimento del danno, ha ritenuto di affi­dare la corrispondente tutela giudiziaria al giudice amministrativo, nell’intento di rendere il conseguimen­to di tale tutela più agevole per il cittadino.

3.17. In definitiva, si può affermare che entrambe le tesi su esposte ("tutta civilistica" e "tutta amministrativistica") conducono ad una possibile diminuzio­ne dell’effettività della tutela del cittadino, in violazione dei principi derivanti dall’art. 24 Cost.

Quella civilistica, perché finisce per frammentare o moltiplicare le sedi e i tempi della tutela giurisdi­zionale, per giunta secondo una direttrice che si al­lontana dalla regola del riparto.

Quella amministrativistica, perché rischia di assi­curare all’interesse legittimo una protezione che comprime l’ambito della tutela risarcitoria riducendone, per modalità o contenuti, la portata.

Essa altresì, secondo alcuni svolgimenti già segna­lati, finisce con l’estendere l’area della giurisdizio­ne amministrativa al di là della connessione con l’esercizio in concreto del potere pubblico.

In una situazione del genere, l’osservazione secon­do la quale il legislatore del 2000 ha opportunamente concentrato le forme di tutela dell’interesse legittimo in una sola seóe giudiziaria deve essere accompagnata dalla consapevolezza della perdurante vigenza degli ar­ticoli 2 e 4 della legge 20 marzo 1865, ali. E, che configurano comunque a tutela del cittadino la giuri­sdizione ordinaria come presidio per tutte le materie in cui si faccia questione "di un diritto civile o po­litico".

Il nostro sistema si basa appunto sull’art. 2907 ce, cui fa riscontro l’art. 99 c.p.c, ed è un siste­ma di civil lavi, in cui il riconoscimento della posi­zione soggettiva da tutelare, cristallizzata dal rico­noscimento costituzionale (artt. 24 e 113 Cost.), pre­cede la tutela giurisdizionale.

In un sistema del genere, l’art. 2 della legge del 1865 – secondo una lettura coerente con le disposizio­ni di cui al Titolo IV della Costituzione – costituisce, in definitiva, una norma di chiusura del sistema, che attribuisce al giudice ordinario il potere-dovere di assicurare la pienezza della tutela, quando altri valori di pari rilievo costituzionale non rendono le­gittimo il ricorso a diversi modelli di tutela.

3.18. Quante volte si sia in presenza di atti rife­ribili oltre che ad una pubblica amministrazione a sog­getti ad essa equiparati ai fini della tutela giudizia­ria del destinatario del provvedimento e l’atto sia ca­pace di esplicare i propri effetti perché il potere non incontra ostacolo in diritti incomprimibili della per­sona, la tutela giudiziaria deve dunque essere chiesta al giudice amministrativo.

Gli potrà essere chiesta la tutela demolitoria e, insieme o successivamente, la tutela risarcitoria com­pletiva.

Ma la parte potrà chiedere al giudice amministrati­vo anche solo la tutela risarcitoria, senza dover os­servare allora il termine di decadenza pertinente all’azione di annullamento.

3.19. A proposito di questo secondo enunciato, merita da un lato soffermarsi qui sulle considerazioni, già svolte, che hanno condotto a questa interpretazione delle norme attributive della giurisdizione e dall’altro renderne esplicite le conseguenze.

Si è notato che, in rapporto alla tutela risarcito-ria, è venuta meno sul piano del diritto sostanziale la differenza tra le situazioni che nell’ordinamento tro­vano protezione.

L’evoluzione dell’ordinamento ha cioè condotto ad omologare gli interessi legittimi ai diritti quanto al bagaglio delle tutele: com’era stato per le situazioni di diritto soggettivo, di norma dotate, oltre che di tutela risarcitoria, anche di una tutela ripristinatoria, completata dal diritto al risarcimento del danno, così per gli interessi legittimi una tutela risarcitoria autonoma è stata affiancata alla tutela reale di annullamento, la sola di cui le situazioni di interesse legittimo erano prima dotate, e la tutela di annulla­mento è stata inoltre conformata in modo da comprender­vi il risarcimento del danno, che con l’annullamento non si può elidere.

Se dal piano delle forme di tutela ci si sposta a quello del riparto della funzione di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi nei confronti della pubblica amministrazione, un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme che hanno attribuito al giudice amministrativo la giurisdizione sul risarcimento del danno, consente di riconoscere loro la portata d’avere dato al giudice amministrativo giurisdizione anche solo in rapporto alla tutela risarcitoria autonoma.

Ma ciò perché, nel bilanciamento tra valori rilevanti sul piano costituzionale, è da riconoscere legittimità ad una norma che mentre concentra la tutela giurisdizionale presso il giudice amministrativo, non reca pregiudizio alla tutela sostanziale delle situazioni soggettive sacrificate dall’agire illegittimo della pubblica amministrazione.

D’altra parte, questa interpretazione è la sola che riesce a rendere operanti insieme, per le situazioni soggettive di cui ora ci si occupa, il valore della giurisdizione piena e quello di una tutela sostanziale degli interessi legittimi non difforme da ogni altra situazione protetta in rapporto alla tutela risarcito­ria.

Sicché dalla premessa discende in modo necessario la conseguenza che il giudice amministrativo non possa, allo stato della legislazione, se non esercitare la giurisdizione, che le norme gli attribuiscono quanto alla tutela risarcitoria autonoma, prescindendo dalle regole proprie della giurisdizione di annullamento.

Si può obiettare, che è nella disponibilità del le­gislatore disciplinare la tutela delle situazioni sog­gettive assoggettando a termini di decadenza l’esercizio dell’azione.

Tuttavia, una norma che oggi manca e che in modo esplicito assoggettasse ad un termine di decadenza la domanda di solo risarcimento del danno davanti al giu­dice amministrativo non potrebbe essere formulata nel senso di rendere il termine sostanzialmente eguaio a quello cui è soggetta la domanda di annullamento, per­ché ciò varrebbe a porre il diverso problema della le­gittimità di una disciplina che tornasse a negare la tutela risarcitoria autonoma per le situazioni sogget­tive sacrificate dall’esercizio illegittimo del potere della pubblica amministrazione.

Resta da esplicitare un altro aspetto che inerisce in modo necessario all’avere affermato che l’art. 7 della L. 21 luglio 2000, n. 205 ha dato al giudice amministrativo la giurisdizione sulla domanda autonoma di risarcimento del danno.

Tutela risarcitoria autonoma delle situazioni di interesse legittimo significa tutela che spetta alla parte per il fatto che la situazione soggettiva è stata sacrificata da un potere esercitato in modo illegittimo e la domanda con cui questa tutela è chiesta richiede al giudice di accertare l’illegittimità di tale agire.

Questo accertamento non può perciò risultare pre­cluso dalla inoppugnabilità del provvedimento né il diritto al risarcimento può essere per sé disconosciuto da ciò che invece concorre a determinare il danno, ov­verosia la regolazione che il rapporto ha avuto sulla base del provvedimento e che la pubblica amministrazio­ne ha mantenuto nonostante la sua illegittimità.

Dunque, il rifiuto della tutela risarcitoria auto­noma, motivato sotto gli aspetti indicati, si rivelerà sindacabile attraverso il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, il giudice amministrativo avrà infatti rifiutato di esercitare una giurisdizione che gli appartiene.

3.20. Al termine di questo lungo excursus, i prin­cipi di diritto enunciati da queste Sezioni Unite sono i seguenti:

la giurisdizione del giudice amministrativo sussiste in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano;

spetta al giudice amministrativo disporre le diverse forme di tutela che l’ordinamento appresta per le situazioni soggettive sacrificate dall’esercizio illegittimo del potere e tra queste forme di tutela rientra il risarcimento del danno;

e) il giudice amministrativo rifiuta di esercitare la giurisdizione e la sua decisione, a norma dell’art. 362, primo comma c.p.c., si presta a cassazione da par­te delle sezioni unite quale giudice del riparto della giurisdizione, se l’esame del merito della domanda au­tonoma di risarcimento del danno è rifiutato per la ra­gione che nel termine per ciò stabilito non sono stati chiesti l’annullamento dell’atto e la conseguente rimo­zione dei suoi effetti.

3.21. Applicando tali principi nel caso di specie, deve ritenersi che la domanda risarcitoria proposta nella presente causa deve ritenersi devoluta al giudice amministrativo, in quanto la condotta causativa di dan­no si riconnette direttamente all’esercizio di attività provvedimentale (approvazione del PEEP, occupazione d’urgenza, ordinanza di sgombero e demolizione del fab­bricato) . Secondo le nuove regole sul riparto della giurisdizione e i principi affermati dalla Corte Costituzionale, l’azione risarcitoria deve essere esercitata esclusivamente dinanzi al giudice amministrativo, anche se i provvedimenti dell’amministrazione – la cui emanazione ed esecuzione hanno causato danni, siano essi consistenti in lesione di diritti o d’interessi legittimi – sono stati annullati dallo stesso giudice in sede di giurisdizione di legittimità o a seguito di ricorso straordinario al Capo dello Stato.

L’attuazione dei principi di effettività della tutela giurisdizionale e di concentrazione della tutela com­porta che anche quella di tipo risarcitorio deve essere necessariamente, ed esclusivamente, attribuita al giudice cui è attribuita giurisdizione sulla legittimità dell’atto, giurisdizione che non può subire alcuno spostamento, a favore del giudice dei diritti soggettivi, per l’effetto retroattivo – ripristinatorio dell’ annullamento.

Poiché i provvedimenti causativi di danno sono stati annullati in sede giurisdizionale o di ricorso ammi­nistrativo non si pongono, ai fini della decisione sulla giurisdizione nella presente causa, i problemi connessi alla regola della pregiudizialità amministra­tiva.

La complessità e novità della questione giustifica­no una pronuncia di compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite; dichiara la giurisdizione del giudice amministrati­vo; compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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