Cass. pen., sez. Feriali 06-09-2006 (31-08-2006), n. 29786 REATO – ESTINZIONE – PRESCRIZIONE – Reati punti con pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria – Riferimento ai reati di competenza del giudice di pace

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Osserva

Con sentenza dell’1 marzo 2006, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rimini ha pronunciato sentenza con la quale ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di G. P. in ordine ai reati di cui agli articoli 612 e 594 Cp al medesimo ascritti, e commessi il 2 ottobre 2001, in quanto estinti per intervenuta prescrizione, essendo decorsi i termini previsti dall’articolo 157 Cp, come modificati ad opera dell’articolo 6 della legge 251/05, senza che fossero intervenuti atti interruttivi, a norma dell’articolo 160 Cp.

Avverso la statuizione adottata dal giudice del merito, evidentemente fondata sulla disposizione dettata dal quinto comma dell’articolo 157 Cp, come sostituito dall’articolo 6 della richiamata legge 251/05 in base al quale è stabilito che «quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria» il termine di prescrizione è di tre anni ha proposto ricorso per cassazione il Pm deducendo violazione di legge. A parere del ricorrente, infatti, non può ritenersi accoglibile la tesi secondo la quale tale disposizione sarebbe riferibile ai reati di competenza del giudice di pace, per i quali sono previste le peculiari sanzioni dell’obbligo di permanenza domiciliare o del lavoro di pubblica utilità, giacché si perverrebbe all’assurdo di ritenere applicabile il termine di prescrizione più breve alle ipotesi più gravi, mentre per i reati meno gravi, puniti con la sola pena della multa o dell’ammenda, rimarrebbe applicabile il maggior termine di prescrizione previsto dal comma 1 dell’articolo 157 Cp Donde la conclusione secondo la quale, non potendosi «ritenere applicabile ai reati di competenza del giudice di pace il più breve termine triennale di prescrizione», occorrerebbe nella specie fare riferimento al comma 1 dell’articolo 157 Cp, con la conseguenza che considerata l’epoca del commesso reato deve applicarsi il termine quinquennale di prescrizione previsto dall’articolo 157 nel testo previgente, essendo esso più favorevole, a norma dell’articolo 2 Cp, del nuovo termine di sei anni stabilito per i delitti dalla novella.

Il testo della norma che viene qui in discorso è peraltro univoco, giacché altro significato non sembra potersi annettere al riferimento ai reati per i quali la «legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria», se non quello di un richiamo ai reati attribuiti alla competenza del giudice di pace, per i quali è stabilita l’applicabilità delle cosiddette sanzioni paradetentive della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità, a norma dell’articolo 52 del D.Lgs. 274/00. ÿ quindi del tutto evidente che, ai fini della odierna decisione, occorre fare applicazione della disposizione dettata proprio dal quinto comma dell’articolo 157 Cp, nel testo risultante dalla sostituzione operata dall’articolo 6 della legge 251/05, dovendosi al tempo stesso escludere la possibilità di ricorrere ad interpretazioni adeguatrici, tali da dissolvere i dubbi di costituzionalità che, qui di seguito, si illustreranno.

Occorre infatti a tal proposito qui rilevare come la giurisprudenza delle Su di questa Corte abbia in più occasioni chiarito che la cosiddetta interpretazione adeguatrice, pur corrispondendo ad un preciso ed includibile dovere del giudice, in concreto può trovare applicazione soltanto nelle ipotesi in cui una determinata disposizione presenti un carattere ?polisenso?, cosicché da essa sia enucleabile, senza manipolarne il contenuto ed in ossequio, anche, al principio di conservazione dei valori giuridici una norma compatibile con la Costituzione «attraverso l’impiego dei canoni ermeneutici prescritti dagli articoli 12 e 14 delle disposizioni sulla legge in generale: di talché, nell’impossibilità di conformare il significato della norma in termini non incostituzionali, il giudice non può disapplicarla, ma deve rimettere la questione di legittimità costituzionale al vaglio della corte costituzionale (Cassazione, Su, 31 marzo 2004, Pezzella; Cassazione, Su, 30 maggio 2006, Pellegrino).

Ebbene, a proposito delle sanzioni applicabili dal giudice di pace o dal giudice comunque chiamato a giudicare dei reati di competenza del giudice di pace (articolo 63, comma 1, del D.Lgs. 274/00) l’articolo 52 del citato D.Lgs. 274/00 stabilisce una sorta di summa divisio tra i reati per i quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda, per i quali continuano ad applicarsi le pene pecuniarie vigenti, e tutti gli altri reati, per i quali il comma 2 dello stesso articolo stabilisce che, in luogo delle pene detentive, si applichi con meccanismi differenziati a seconda delle varie ipotesi ivi prese in considerazione o la pena pecuniaria della specie corrispondente, o la pena della permanenza domiciliare o quella del lavoro di pubblica utilità (ove per il reato sia prevista la pena detentiva alternativa a quella pecuniaria, le sanzioni ?paradetentive? sono applicabili soltanto se la pena detentiva è superiore nel massimo a sei mesi). In sostanza: per le ipotesi meno gravi, per le quali la sanzione applicabile è solo la pena pecuniaria, il termine di prescrizione è, a norma del novellato articolo 157 Cp, quello previsto dal comma 1 (sei anni se si tratta di delitto e quattro anni se si tratta di contravvenzione); nei casi di maggior gravità, quali quelli per i quali sono applicabili le pene della permanenza domiciliare o del lavoro di pubblica utilità, il temine, inspiegabilmente, si riduce a tre anni.

Va poi aggiunto che le indicate sanzioni, che «per ogni effetto giuridico si considerano come pena detentiva della specie corrispondente a quella originaria» (articolo 58 del D.Lgs. 274/00, evocativo di un meccanismo di ?sostituzione? che trasporta quelle pene dallo schema dell’editto alla sede squisitamente applicativa), vengono configurate come in ogni caso facoltative e alternative rispetto alle sanzioni pecuniarie: cosicché, la commisurazione del termine di prescrizione viene fatto dipendere, non da una pena astrattamente prevista (e di certa applicazione), ma dalla teorica irrogabilità di una sanzione, la quale in concreto può anche non essere applicata.

d’altra parte, non è senza significato la circostanza che la giurisprudenza di questa Corte si fosse consolidata nell’affermare con riferimento al ?vecchio? testo dell’articolo 157 Cp che, ai fini della determinazione del tempo necessario per la prescrizione delle contravvenzioni attribuite alla cognizione del giudice di pace, punite con la pena pecuniaria o, in alternativa, con le sanzioni cosiddette paradetentive, dovesse farsi riferimento all’articolo 157, comma 1, n. 5), Cp, che per le contravvenzioni punite con la pena dell’arresto determina(va) il termine prescrizionale in tre anni; e ciò, appunto, proprio in forza della disposizione contenuta nel richiamato articolo 58 del D.Lgs. 274/00, in base al quale come si è detto per ogni effetto giuridico la pena dell’obbligo di permanenza domiciliare e di lavoro di pubblica utilità si considerano come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena originaria (cft., ex plurimis, Cassazione, Sezione quarta, 16 gennaio 2004, Carlini; 18 novembre 2003, Cecconi; 3 dicembre 2002, Guzinan Avila).

La previsione che qui si censura appare dunque essere priva di razionalità intrinseca e tale da vulnerare, ad un tempo, il principio di ragionevolezza ed il canone della uguaglianza, presidiati dall’articolo 3 della Costituzione. Come infatti ha avuto modo di puntualizzare la giurisprudenza costituzionale, ogni tessuto normativo deve «presentare una ?motivazione? obiettivata nel sistema, che si manifesta come entità tipizzante del tutto avulsa dai ?motivi?, storicamente contingenti, che possono aver indotto il legislatore a formulare una specifica opzione: se dall’analisi di tale motivazione scaturirà la verifica di una carenza di ?causa? o ?ragione? della disciplina introdotta, allora e soltanto allora potrà dirsi realizzato un vizio di legittimità costituzionale della norma, proprio perché fondato sulla ?irragionevole? e perciò stesso arbitraria scelta di introdurre un regime che necessariamente finisce per omologare fra loro situazioni diverse o, al contrario, per differenziare il trattamento di situazioni analoghe» (Corte costituzionale, sentenza 89/1996).

La disposizione oggetto di impugnativa rilevante, per quel che si è detto, nel presente giudizio appare dunque essere, ad avviso di questa Corte, priva di una ?causa? giustificatrice, proprio nel senso lumeggiato dalla richiamata pronuncia costituzionale, giacché l’evidente aporia normativa che con essa si introduce nel sistema non può giustificarsi alla luce di nessun valore, esigenza o ratio essendi intrinseca alla intera disciplina che il legislatore ha inteso novellare.

Da tutto ciò la conseguente declaratoria di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art, 157, comma 5, Cp, come sostituito dall’articolo 6 della legge 251/05, nella parte in cui appunto prevede che quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria si applica, per la determinazione del tempo necessario a prescrivere il reato, il termine di tre anni, per contrasto con l’articolo 3 della Costituzione.

P.Q.M.

Visto l’articolo 23 della legge 87/1953; dichiara rilevante e non manifestamente infondata in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 157, comma 5, del Cp, come sostituito dall’articolo 6 della legge 251/05 (Modifiche al Cp e alla legge 354/75, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede che quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, si applica il termine di tre anni.

Dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del giudizio in corso.

Dispone che a cura della Cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti nonché al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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