Cass. pen., sez. Feriali 30-08-2006 (08-08-2006), n. 29453NOTIFICAZIONI – RELAZIONE – ATTESTAZIONE DELL’UFFICIALE GIUDIZIARIO – REATI CONTRO LA PERSONA – DELITTI CONTRO L’ONORE – Consegna di copia a persona diversa dal destinatario – Persona offesa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Osserva

Con sentenza del 26 gen. 2006, la Corte dia appello di Milano, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio, il 17 mag. 2004, con la quale S.V. era stato dichiarato responsabile del reato di diffamazione aggravata in danno di C.G., A.V., L.F.G., I.A., D.L. G. e S.L., all?epoca dei fatti magistrati in servizio presso la procura della Repubblica di Palermo, in relazione ad un articolo e ad una intervista pubblicati sul quotidiano il Giornale il 17 ed il 14 ago. 1998, e condannato alla pena di mesi uno di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, ha ridotto la pena irrogata all?imputato determinandola in euro 1000,00 di multa, confermando nel resto l?impugnata sentenza.

Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione i difensori dell?imputato, rassegnando due distinti atti di impugnazione.

Nel ricorso proposto dall?avv. G. Cicconi si lamenta, come primo motivo, il mancato proscioglimento dell?imputato, avendo egli legittimamente esercitato la funzione parlamentare, con conseguente applicabilità della prerogativa sancita dall?art. 68, co. 1, della Cost.

Il giudice di appello si sarebbe, infatti, limitato a sottolineare che la Camera dei deputati aveva già sancito, peraltro in epoca antecedente all?entrata in vigore della legge n. 140 del 2003, l?insussistenza dei presupposti per deliberare l?insindacabilità delle opinioni espresse dall?imputato, ma nulla avrebbe detto a proposito della mancata applicazione della garanzia costituzionale, omettendo al contempo di disporre, in base alla richiamata novella, la trasmissione degli atti alla stessa Camera, che avrebbe poi dovuto deliberare entro novanta giorni.

Si prospetta, poi, la violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alle dedotte nullità delle notifiche di alcuni atti del processo per incertezza assoluta del destinatario, in quanto nella relazione di notificazione sarebbe stata indicata, quale persona che aveva ricevuto gli atti presso lo studio del difensore domiciliatario, un nominativo illeggibile qualificato come incaricata di ricevere le notifiche.

Nel terzo motivo viene prospettata violazione di legge, per omessa notifica dell?ordinanza del 5 dic. 2001, con la quale il giudice per le indagini preliminari rinviava l?udienza preliminare dal 5 al 6 dic. 2001: sostiene, infatti, il difensore che, in mancanza di una formale dichiarazione di contumacia, il giudice avrebbe dovuto disporre il rinvio della notifica all?imputato e non ritenere sufficiente la lettura dell?ordinanza effettuata in udienza alla presenza del sostituto del difensore.

La sentenza sarebbe comunque da annullare, in quanto la Corte territoriale avrebbe immotivatamente disatteso gli impedimenti addotti dall?imputato per le udienze del 20 dic. 2005 e 26 gen. 2006.

In subordine, ove fosse ritenuto non documentato l?impedimento per il 20 dic. 2005, dovrebbe qualificarsi come illegittima l?ordinanza emessa il 26 gen. 2006, giacché essa si sarebbe fondata sull?erronea premessa, pur mutuata da giurisprudenza di legittimità, che peraltro si contesta, secondo la quale la declaratoria di contumacia pronunciata alla precedente udienza, avrebbe precluso all?appellante la possibilità di far valere impedimenti alle udienze successive.

Nel quarto motivo, il difensore denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla mancata applicazione delle esimenti del diritto di critica o di cronaca.

Nella specie, osserva, infatti, il ricorrente, l?imputato si sarebbe limitato a censurare il comportamento delle persone offese, esprimendo comunque giudizi e convinzioni personali; concetti peraltro ripresi da numerosi atti ispettivi ed interpellanze presentate da altri parlamentari.

Anche ammesso, sottolinea ancora l?atto di ricorso, che le frasi riferite all?imputato potessero avere contenuto denigratorio, il medesimo dovrebbe ritenersi non punibile per avere esercitato il diritto di critica garantito dall?art. 21 della Cost., anche se esercitato con toni coloriti e polemici.

Ugualmente numerose, e in larga misura riproduttive delle analoghe questioni già dedotte in sede di appello, sono le censure sviluppate nel ricorso sottoscritto dall?avv. S. Lo Giudice.

Nel primo motivo si denuncia esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge all?organo legislativo in riferimento alla mancata trasmissione degli atti alla Camera cui apparteneva l?imputato, ai sensi dell?art. 3 della legge n. 140 del 2003: tale norma, infatti, non consentiva al giudice alternative alla trasmissione degli atti alla Camera competente, ove fosse stata ritenuta non direttamente applicabile l?esimente di cui all?art. 68, co. 1, Cost., e ciò a prescindere dalla precedente deliberazione dell?organismo parlamentare,

nel secondo motivo si rinnova l?eccezione della nullità della notifica di tutti gli atti del procedimento, in particolare del decreto che dispone il giudizio e dell?avviso di fissazione dell?udienza preliminare, effettuata all?imputato nel domicilio irritualmente (e perciò inefficacemente) eletto all?atto della nomina del difensore di fiducia, reputandosi non conferenti le contrarie deduzioni svolte al riguardo dalla Corte territoriale.

Sotto altro profilo, sottolinea il difensore ricorrente, la decisione impugnata sarebbe viziata anche con riferimento alla già eccepita nullità dell?ordinanza dichiarativa della contumacia intervenuta il 6 dic. 2001 nell?udienza preliminare.

Infatti, nel disporre il rinvio dal 5 al 5 dic. 2001, il giudice non provvedeva alla rinnovazione della notifica all?imputato assente, considerando sufficiente la lettura dell?ordinanza effettuata in udienza in presenza del sostituto del difensore di fiducia presso il cui studio l?imputato risultava (pure inefficacemente, come si è detto) domiciliato.

Si denuncia, poi, violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento a varie questioni attinenti l?ammissibilità della costituzione delle parti civili.

Si rinnova, infatti, la censura secondo la quale la costituzione di parte civile sarebbe stata viziata dalla assenza di valida procura ai sensi dell?art. 100 cod. proc. pen., giacché la procura speciale conferita a norma dell?art. 122 del codice di rito ai fini della costituzione, non equivale a conferimento della rappresentanza processuale che scaturisce dal mandato defensionale.

Si lamenta, poi, ugualmente vizio di motivazione in riferimento alla replica, reputata non appagante, che la Corte territoriale avrebbe offerto alla censura secondo la quale le parti civili C. e L.F., avrebbero dovuto essere escluse, avendo esercitata l?azione civile in sede propria nei confronti dell?editore, responsabile civile, per l?integrità del danno subito.

Nel quarto motivo di ricorso si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta sussistenza del delitto di diffamazione.

I giudici di appello, infatti, si sarebbero limitati a riportarsi alla motivazione della sentenza di primo grado senza prendere in considerazione le censure prospettate nell?atto di appello, che vengono diffusamente riprodotte.

In particolare, non sarebbe spiegata la legittimità della individuazione dei soggetti indicati quali persone offese nell?imputazione di cui al capo a) della rubrica, e, conseguentemente, la diffamazione che si sarebbe realizzata in loro danno.

Del pari carente sarebbe la motivazione nella parte in cui ha escluso l?esimente del diritto di cronaca e di critica politica, deducendo genericamente la prospettazione di circostanze false, modalità espositive suggestive e ricche di valenza diffamatoria.

Violazione di legge e vizio di motivazione si denunciano, pure, nel quinto ed ultimo motivo di ricorso, in riferimento alla mancata assunzione delle prove indicate nei motivi di appello, giacché la reiezione alla richiesta di rinnovazione della istruzione dibattimentale si sarebbe fondata su una tautologica delibazione circa l?estraneità delle prove stesse all?oggetto del processo.

In prossimità dell?udienza, il difensore delle parti civili ha depositato documentata memoria, a conclusione della quale ha sollecitato declaratoria di rigetto degli atti di ricorso proposti dai difensori dell?imputato.

Le censure poste a base degli atti di ricorso sono prive di fondamento.

La prima, fra le numerose eccezioni in rito, sollevate dai difensori dell?imputato, fa leva sulla asserita mancata identificazione della persona che avrebbe materialmente ricevuto gli atti notificati presso il difensore domiciliatario.

Osserva infatti il ricorrente che dal complesso delle disposizioni dettate dagli artt. 157, 167 e 168 cod. proc. pen., emergerebbe che il nucleo essenziale del procedimento di notificazione sarebbe costituito dalla consegna della copia dell?atto da notificare al destinatario, in quanto unico mezzo che consente la conoscenza di esso: e tale attività l?ufficiale notificatore deve attestare nella relazione di notifica, ai fini, si puntualizza, della prova di essa, superabile solo con querela di falso.

Nella specie, poiché nelle varie notificazioni destinate all?imputato presso il difensore gli atti sarebbero stati consegnati a persona il cui nominativo non risulterebbe leggibile qualificata come incaricato di ricevere le notifiche, mancherebbe la compiuta indicazione delle generalità del consegnatario, la quale precluderebbe la sua identificazione, risolvendosi il tutto nella nullità prevista dall?art. 171 lett. d) c.p.p.

L?eccezione è palesemente destituita di fondamento.

Va subito osservato, infatti, che la causa di nullità della notificazione evocata dal ricorrente attiene esclusivamente all?ipotesi in cui siano state violate le disposizioni inerenti la persona cui deve essere consegnato l?atto: vale a dire, una gamma di situazioni assai ampia che può ricomprendere evenienze fra loro non poco diversificate: quali l?incapacità del consegnatario; il mancato possesso delle qualità legittimanti; il mancato rispetto delle disposizioni sui luoghi; la mancata osservanza dell?ordine da rispettare tra i possibili consegnatari di cui all?art. 157 cod. proc. pen.

Il vizio, quindi, presuppone l?accertamento di determinati stati di fato e non certo, come dedotto nella specie, la semplice difficoltà di lettura delle generalità dell?accipiens riportate nella relazione di notificazione, quando di tale persona, per di più, sia stata precisata la qualifica che la pone in relazione al luogo in cui la notifica è stata eseguita ed alla persona del destinatario della stessa.

In tale cornice, risulta quindi di tutta evidenza come la semplice indicazione della qualità di incaricata di ricevere le notifiche, riferita a persona presente nello studio di un avvocato e che ivi svolga quelle specifiche mansioni, ne permetta, in modo quanto mai agevole, la pronta identificazione; con l?ovvia conseguenza di rendere del tutto eccentrica la stessa astratta configurabilità del vizio prospettato dal ricorrente, presupponendo esso il positivo accertamento della avvenuta violazione delle disposizioni di legge circa il consegnatario della copia dell?atto.

D?altra parte, la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare che il termine di incaricato utilizzato dall?ufficiale giudiziario nell?individuazione della persona che ha ricevuto la notifica presso lo studio professionale del difensore, è idoneo ad indicare la temporanea presenza di colui che, negli orari di apertura dello studio professionale, ed in assenza dell?avvocato, svolge esclusivamente la funzione di ricevere la posta (Cass., sez. II, 16 gen. 2003, Novello).

Altre questioni in rito, dedotte sempre dalla difesa dell?imputato, presentano, fra loro, aspetti di connessione che ne consigliano una trattazione unitaria.

Viene, anzitutto, nuovamente proposta l?eccezione di nullità della notificazione degli atti introduttivi del processo, in quanto eseguita nel domicilio eletto con forme irrituali (l?elezione di domicilio era infatti contenuta nell?atto di nomina del difensore, cosicché essa risultava effettuata con modalità diverse da quelle tassativamente previste dal codice di rito), insistendosi nel reputare come assoluta la nullità che sarebbe scaturita dall?invocato vizio.

Anche tale eccezione risulta, però, del tutto priva di consistenza giuridica.

Come esattamente ricordano le parti civili, questa Corte ha avuto modo di puntualizzare che la nullità di cui all?art. 179, co. 1, cod. proc. pen., si riferisce alle sole ipotesi in cui sia stata fatta con forme assolutamente non idonee a raggiungere lo scopo.

Al tempo stesso, si è pure ritenuto che, quando, nono stante la sua idoneità in astratto, la notificazione effettuata in forma diversa da quella prescritta non ha conseguito lo scopo di portare l?atto di citazione a conoscenza dell?imputato, questi, se vuole far valere la nullità assoluta stabilita dall?art. 179, co. 1, cod. proc. pen., non può limitarsi a denunciare l?inosservanza della norma processuale, ma deve anche rappresentare al giudice di non aver avuto conoscenza dell?atto e deve eventualmente avvalorare l?affermazione con elementi che la rendano credibile.

Infatti, si è affermato, in un processo basato sull?iniziativa delle parti è normale che anche l?esercizio dei poteri officiosi del giudice sia mediato dall?attività delle parti, quando gli atti non risultino gli elementi necessari per l?esercizio di quei poteri e solo le parti sono in gradoni rappresentarli al giudice e di procurarne l?acquisizione (Cass., sez. un., 27 ott. 2004, Palombo).

Nella specie, dunque, non soltanto non sono stati prospettati elementi dai quali desumere che le notificazioni effettuate presso il difensore domiciliatario non abbiano raggiunto lo scopo di portare gli atti a conoscenza dell?imputato, ma può al contrario dedursi l?esatto reciproco, così come reciproca era l?ipotesi delibata dalla richiamata sentenza, delle sezioni unite di questa Corte (in quel caso, infatti in luogo della notificazione nel domicilio eletto, la notificazione era stata eseguita presso la casa di abitazione, mediante consegna dell?atto alla moglie convivente dell?imputato).

Occorre, infatti, qui ribadire che l?elezione di domicilio ha le connotazioni tipiche di un atto a carattere negoziale, costitutivo, che comporta una manifestazione di volontà /ex multis, Cass., sez. IV, 16 giu. 2005, De Stefano); con l?ovvia conseguenza che, ove la relativa scelta, ancorché manifestata attraverso formalità diverse da quelle prescritte, risulti essere stata in concreto soddisfatta, ben può presumersi che il procedimento di notificazione abbia raggiunto l?effetto di portare l?atto a conoscenza del destinatario.

Per altro verso, non è senza significato neppure la circostanza che le forme attraverso le quali è stata nella specie effettuata la dichiarazione di elezione di domicilio, risultino essere state nella sostanza satisfattive dei requisiti che le specifiche formalità prescritte dall?art. 162 cod. proc. pen., mirano a presidiare: vale a dire, da un lato, la certa provenienza della elezione dell?interessato (attraverso la autenticazione della sottoscrizione, nel caso in esame effettuata dallo stesso difensore); dall?altro, la certezza della data ed il carattere recettizio della dichiarazione in questione (attraverso il deposito dell?atto nella cancelleria del giudice).

D?altra parte, se è ben vero che la giurisprudenza prevalente di questa Corte afferma che la elezione di domicilio è atto personale e forma vincolante, da compiersi esclusivamente secondo le modalità indicate nell?art. 162 cod. proc. pen., traendosi da ciò il corollario che non può riconoscersi validità ed efficacia alla elezione di domicilio fatta presso il difensore e da questi depositata in cancelleria, anziché dichiarata a verbale dall?imputato o da questi trasmessa all?autorità procedente mediante telegramma o lettera raccomandata, con sottoscrizione autenticata (Cass., sez. III, 27 nov. 1998, Boscotrecase; Cass., sez. I, 8 feb. 2001, Antonelli; v., anche, Cass., sez. VI, 12 giu. 2003, Conte), non può sottacersi che, più di recente, è stato affermato che, in tema di dichiarazione o elezione di domicilio, la forma vincolante che condizione l?efficacia dell?atto è esclusivamente quella relativa alla sua sottoscrizione ed all?autenticazione della firma, trattandosi di atto personale dell?imputato.

Per quanto attiene, invece, alla modalità di comunicazione all?autorità giudiziaria, l?art. 162, co. 1, cod. proc. pen., opera nel senso che la trasmissione trami0hte il mezzo postale costituisce una facilitazione per l?imputato e non rende invalide altre modalità di presentazione che offrano maggiori garanzie, quali la presentazione per mezzo del difensore o di altra persona espressamente autorizzata (Cass., sez. I, 7 feb. 2006, Rossigni).

Non v?è dubbio, quindi, che, in presenza di un siffatto contesto normativo, le notificazioni eseguite presso il difensore, conformemente alla espressa volontà manifestata dall?imputato, abbiano raggiunto il loro effetto, con la conseguenza di precludere la configurabilità di una nullità assoluta, a norma dell?art. 179, co. 1, cod. proc. pen., sub specie di omessa citazione dell?imputato.

In tale prospettiva, allora, si dissolve anche la fondatezza delle censure relative alla mancata notificazione all?imputato dell?avviso di differimento dell?udienza dal 5 al 6 dic. 2001, giacché l?avviso dato verbalmente al difensore equivaleva, a norma dell??art. 148, co. 5, cod. proc. pen., alla notificazione dell?avviso all?interessato, in quanto dato oralmente al difensore domiciliatario.

Neppure fondata è la questione, sollevata dalla difesa del ricorrente, secondo la quale risulterebbe illegittima, perché in contrasto con il regime della contumacia, quale scaturito dalle novelle introdotte in sede di udienza preliminare ad opera della legge 16 dic. 1999, 479, sotto gli artt. 420 e seg., e dei corrispondenti richiami che compaiono nella disciplina relativa alla costituzione delle parti in dibattimento (art. 484 cod. proc. pen.), l?ordinanza emessa il 26 gen. 2006; illegittimità che si desume dal fatto che il provvedimento in questione si sarebbe fondato sull?assunto, ritenuto erroneo, per il quale la declaratoria di contumacia pronunciata nel corso della precedente udienza, avrebbe precluso all?appellante la possibilità di far valere impedimenti alle udienze successive.

Al riguardo, infatti, va rammentato che questa Corte ha avuto modo di affermare che la scelta dell?imputato di rimanere estraneo al processo, conclamata dalla dichiarazione di contumacia, determina che in caso di rinvio dell?udienza non possa far valere un impedimento a comparire per la prosecuzione, senza far precedere la richiesta della volontà esplicita di voler partecipare al processo (Cass., sez. II, 19 feb. 2003, PM in proc. Leone, mass. uff. n. 227244).

E ciò già basterebbe a dissolvere, ab imis, il fondamento della doglianza.

Ma, più radicalmente, e contrariamente all?assunto del ricorrente, parrebbe che la peculiare natura e disciplina del procedimento in contumacia, non a caso annoverato, sotto la vigenza e secondo la sistematica del codice abrogato, fra i procedimenti speciali, si presenti strutturalmente e funzionalmente insensibile rispetto agli impedimenti che possano riguardare la persona di chi sia stato regolarmente dichiarato contumace che abbia quindi liberamente scelto la, peraltro ampiamente garantita, via del procedimento in absentia.

La difesa dell?imputato , a sostegno della propria tesi, sottolinea la portata, a proprio avviso innovativa, che rivestirebbe l?uso della locuzione: quando l?imputato non si presenta all?udienza, che compare nel primo comma dell?art. 420 ter, in luogo dell?espressione: quando l?imputato no si presenta alla prima udienza, che figurava nell?abrogato art. 486 co. 1.

Ma la diversità lessicale che il ricorrente segnala non sembra assumere portata dirimente ne uno specifico valore denotativo, agli effetti che qui interessano, posto che la stessa ben potrebbe giustificarsi con l?esigenza di coordinamento formale scaturita dalla diversa collocazione topografica della disciplina relativa all?istituto della contumacia: dagli atti preliminari al dibattimento, appunto, all?udienza preliminare.

Più significativa pare, invece, la circostanza che, mentre l?impedimento dell?imputato assume articolata disciplina e pregnanza di garanzie in stretta correlazione con il momento in cui occorre valutare l?esistenza dei presupposti per la declaratoria della contumacia, della quale, quindi, rappresenta condizione ontologicamente negativa, una volta che lo status di contumace sia stato ritualmente attribuito, soltanto la comparizione, e non altre evenienze, sono considerate dalla legge, come fattispecie solutorie del procedimento contumaciale.

A seguito della comparizione, infatti ancorché tardiva, ma comunque antecedente all?epilogo dell?udienza preliminare o del dibattimento, il giudice revoca l?ordinanza che ha dichiarato la contumacia (art. 420 quater, co. 3, cod. proc. pen.), reintroducendo, quindi, e non a caso attraverso un atto formale, qual è il provvedimento di revoca, l?ordinario procedimento in presenza, che assicura le corrispondenti garanzie partecipative all?imputato comparso.

Ove l?imputato contumace fosse ammesso a dedurre impedimenti nel successivo corso dell?udienza preliminare o del giudizio, cesserebbe qualsiasi distinzione rispetto all?imputato sempre presente o a quello semplicemente assente, giacché troverebbe applicazione, in ogni caso, la disciplina dettata dall?art. 420 ter, co. 3, cod. proc. pen., la quale, invece, non soltanto non è in alcun modo richiamata dall?art. 420 quater (l?art. 420 ter è infatti richiamato soltanto nei co. 1 e 2), ma si presenterebbe come previsione del tutto eccentrica rispetto agli stessi connotati tipici del procedimento contumaciale (sul piano concettuale, infatti, la figura del contumace impedito è, davvero, una contraddictio in adiecto. Non può pertanto condividersi il diverso orientamento che sembra espresso in Cass., sez. VI, 21 dic. 2000, Santangelo, mass. uff. n. 219830).

A proposito, poi, dell?insistito richiamo alle prerogative che avrebbero assistito la posizione dell?imputato quale parlamentare e che sarebbero state vulnerate nel mancato riconoscimento del legittimo impedimento a comparire, va rammentato come la giurisprudenza costituzionale formatasi sul punto risulti ormai attestata nell?affermare che la posizione dell?imputato membro del Parlamento di fronte alla giurisdizione penale, non è assistita da speciali garanzie costituzionali diverse da quelle stabilite dall?art. 68, co. 1 e 2, della Costituzione.

Al di fuori delle ipotesi ivi disciplinate trovano infatti applicazione, nei confronti dell?imputato parlamentare, le generali regole del processo, assistite dalle correlative sanzioni, e soggette nella loro applicazione agli ordinari rimedi processuali.

E dunque compito esclusivo delle competenti autorità giurisdizionali interpretare ed applicare le regole processuali, anche stabilendo se ed in che limiti gli impedimenti legittimi derivanti dalla sussistenza di doveri funzionali relativi ad attività di cui sia titolare l?imputato, rivestano tale carattere di assolutezza da dover essere equiparate, secondo quanto ora dispone l?art. 420 ter co. 1, cod. proc. pen., a cause di forza maggiore.

Non vi è quindi luogo in questo campo, ha puntualizzato la Corte costituzionale, chiamata a dirimere i purtroppo non infrequenti conflitti tra autorità giudiziaria e Parlamento, ad individuare regole speciali, derogatorie dal diritto comune, e pertanto nemmeno la regola per cui costituirebbe in ogni caso impedimento assoluto quello, e solo quello, derivante dalla necessità per l?imputato di prendere parte a votazioni in assemblea: il che significherebbe introdurre una distinzioni fra diversi aspetti dell?attività del parlamentare, tutti riconducibili egualmente ai suoi diritti e doveri funzionali, non potendosi inoltre escludere che l?esigenza di indire votazioni insorga in ogni momento nel corso delle attività delle assemblee parlamentari, indipendentemente dalla preventiva programmazione dei lavori.

Tuttavia, l?autorità giudiziaria, allorquando agisce nel capo suo proprio e nell?esercizio delle sue competenze, deve tener conto non solo delle esigenze delle attività di propria pertinenza, ma anche degli interessi, costituzionalmente tutelati, di altri poteri, che vengano in considerazione ai fini dell?applicazione delle regole comuni, e così ai fini dell?apprezzamento degli impedimenti invocati per chiedere il rinvio dell?udienza.

Pertanto, il giudice non può, al di fuori di un ragionevole bilanciamento fra le due esigenze, entrambe di valore costituzionale, della speditezza del processo e dell?integrità funzionale del Parlamento, far prevalere solo la prima, ignorando totalmente la seconda.

Da qui, anche, l?onere per il giudice di concordare un calendario delle udienze (evenienza, questa, che la sentenza impugnata da atto essere avvenuta) che tenga conto delle esigenze del parlamentare e che permetta, quindi, di evitare coincidenze con i giorni di riunione degli organi parlamentari (v. Corte Cost., sentt. Nn. 225 del 2001, 263 del 2003, 284 del 2004, 451 del 2005).

Posto, dunque, che nella vicenda processuale che viene qui in discorso la delibazione degli impegni dell?imputato è stata ritualmente effettuata dai giudici a quibus, ne deriva che le doglianze riproposte al riguardo in sede di ricorso si rivelano del tutto destituite di fondamento.

Alle medesime conclusioni occorre pervenire anche per ciò che concerne il motivo di ricorso nel quale si lamenta la mancata trasmissione degli atti alla Camera di appartenenza dell?imputato, a seguito dell?entrata in vigore della legge n. 140 del 2003 e della correlativa cd pregiudiziale parlamentare in riferimento alla eccepita insindacabilità delle opinioni espresse dall?imputato medesimo, a norma dell?art. 68, co. 1, della Costituzione.

Al riguardo, infatti, del tutto correttamente i giudici del merito hanno disatteso la fondatezza della identica questione già loro devoluta, sul rilievo che la trasmissione degli atti, in forza dello jus superveniens, si rivelava del tutto superflua, avendo la Camera dei deputati, a suo tempo investita dello scrutinio sulla sussistenza o meno dell?immunità parlamentare in riferimento alla presente vicenda, aveva negato la copertura costituzionale dell?insindacabilità, e perciò stesso omesso di dar vita al procedimento per conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato.

Come, infatti, hanno correttamente rammentato le parti civili, la Corte costituzionale (v. sent. n. 120 del 2004) ha avuto modo di puntualizzare che la disciplina introdotta dalla legge n. 140 del 2003, a parte l?art. 1 relativo ai processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato, rappresenta null?altro che il coronamento della medesima linea attuativa già tacciata con la lunga ed ininterrotta catena di decreti legge, mai convertiti, succedutisi tra il 1993 ed il 1996, senza che, peraltro, potessero intravedersi, come d?altra parte sarebbe stato precluso ad una legge ordinaria, elementi concretamente innovativi rispetto al testo costituzionale ed alla, ormai imponente, giurisprudenza costituzionale formatasi a margine della prerogativa dell?insindacabilità parlamentare.

Dunque, da un lato, la perdurante validità delle specifiche esigenze di collegamento funzionale tra le opinioni espresse extra moenia dal parlamentare e gli atti tipici della relativa funzione, nesso funzionale i cui presupposti e requisiti sono stati reiteratamente scandagliati in numerosissime pronunce del giudice delle leggi, mentre, dall?altro, l?esigenza di correlare quel nesso alla tutela dei valori di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e della eguale tutela giurisdizionale e diritto di agire e di difendersi in giudizio.

Una esigenza di bilanciamento, dunque, di primario risalto, al punto, ha soggiunto la Corte, da essere stata avvertita anche nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell?uomo, come dimostrano, in particolare, le decisioni 30 gen. 2003 sui ricorsi n. 40877/98 e n. 45649/99, (si veda, successivamente, la decisione del 3 giu. 2004 sul ricorso n. 73936/01, nonché, da ultimo, la decisione del 6 dic. 2005, sul ricorso n. 23053), secondo le quali l?assenza di un chiaro legame tra l?opinione espressa e l?esercizio di funzioni parlamentari postula un?i interpretazione stretta della proporzionalità esistente tra il fine perseguito e i mezzi impiegati, specialmente nei casi in cui, sulla base della natura asseritamente politica della dichiarazione contestata, venga negato il diritto del soggetto leso di agire in giudizio.

In tale contesto, dunque, la già intervenuta delibazione parlamentare circa la vicenda oggetto del presente procedimento e della sua non riconducibilità al plesso delle garanzie sancite dall?art68 Cost., no soltanto rendeva del tutto superflua la trasmissione egli atti da parte dell?autorità giudiziaria, ma paradossalmente, ove tale trasmissione fosse stata in concreto disposta, la stessa si sarebbe addirittura potuto interpretare quale strumento di atipica ingerenza, giacché la scelta di non reagire al processo da parte della Camera dei deputati, proprio perché adottata in sede politico- parlamentare, assumeva le connotazioni di irreversibile espressione della volontà di quel potere costituzionale.

Per altro verso, la mancata evocazione di specifici atti parlamentari compiuti o riferibili all?imputato, quali opinioni delle quali gli articoli oggetto di imputazione avrebbero in ipotesi rappresentato elementi meramente divulgativi, impedisce in radice di poter ravvisare, nella specie, i presupposti per ritenere applicabile, in questa sede, la causa di non punibilità prevista dall?art. 68, co. 1, Cost., che uno degli atti di ricorso sollecita, addirittura, in via preliminare.

Ne può ceto venire in soccorso ad una siffatta impostazione l?accenno, che compare sempre nel ricorso proposto dall?avv. Cicconi, al fatto che le espressioni usate dall?imputato rinvenissero copertura, agli affetti della insindacabilità ex art. 68 Cost., in numerosi atti ispettivi d interpellanze presentate da altri parlamentari, giacché la giurisprudenza costituzionale è da tempo consolidata nell?affermare che la verifica del nesso funzionale tra dichiarazioni rese extra moenia ed attività tipicamente parlamentari, nonché il controllo sulla sostanziale corrispondenza tra le prime e le seconde, devono essere effettuati con riferimento alla stessa persona, mentre sono irrilevanti gli atti di altri parlamentari, financo nell?ipotesi in cui si tratti di parlamentari appartenenti allo stesso gruppo di cui faccia parte l?imputato.

Si è infatti sottolineato, al riguardo, che è ben vero che le guarentigie previste dall?art. 68 Cost. sono poste a tutela delle istituzioni parlamentari nel loro complesso e non si risolvono in privilegi personali dei deputati e dei senatori.

Ma da questa esatta rilevazione non può trarsi tuttavia la conseguenza che esista un tale fungibilità tra i parlamentari iscritti allo stesso gruppo da produrre effetti giuridici sostanziali nel campo della loro responsabilità civile e penale per le opinioni espresse al di fuori delle Camere: l?art. 68, co. 1, Cost., si è infatti efficacemente sottolineato, non configura una sorta di insindacabilità di gruppo, per cui un atto o intervento parlamentare di un appartenente ad un gruppo fornirebbe copertura costituzionale per tutti gli altri iscritti al gruppo medesimo (su tali aspetti, v. Corte Cost., sentenze nn. 317 del 2006,. 260 del 2006, 249 del 2006, 1465 del 2005 e 347 del 2004).

Devono infine essere respinte anche tutte le questioni relative alle parti civili.

A proposito, infatti, della dedotta irritualità della procura conferita dalle parti civili, che si asserisce essere formalmente corretta ai fini della costituzione di parte civile, ma non idonea a conferire anche valida rappresentanza processuale, tanto che in calce all?atto di costituzione si legge una nomina di difensore in favore di se stesso dall?avvocato nominato procuratore ex art. 122 c.p.p., basterà osservare che, al di la degli aspetti meramente nominalistici, ciò che conta è il profilo sostanziale degli atti di conferimento dei poteri, giacché è su di essi che va misurata tanto la legitimatio ad causam che la legitimatio ad processum.

Ebbene, l?atto di procura speciale, con autentica notarile, sottoscritto dalle odierne parti civili, non soltanto nominava e costituiva quali procuratori speciali gli avvocati? affinché, alternativamente, si costituiscano parte civile in loro vece nel procedimento penale a carico di?, ma attribuiva agli stessi anche il compito di rappresentarli e difenderli con ogni necessaria facoltà, compresa quella di estendere la costituzione di parte civile nei confronti di tutti gli eventuali responsabili, di nominare sostituti ed altri difensori, con espresso riferimento ad ogni grado del giudizio, di citare il responsabile civile, di presentare impugnazioni, di ricorrere in Cassazione, eleggere domicilio, presentare memorie, richieste di risarcimento e conclusioni a fare quant?altro necessario fino al momento in cui sarà ottenuto il risarcimento integrale dei danni.

Non si vede, dunque, quali altre formule le parti private avrebbero dovuto adottare per il conferimento, accanto alla rappresentanza sostanziale, anche del correlativo potere di rappresentanza processuale.

La procura è quindi valida anche quale nomina di difensore (v. Cass., sez. V, 7 mar. 1995, Prati; Cass., sez. IV, 11 giu. 2002, Emanuele; Cass., sez. V, 8 ott. 2002, Farneti).

Palesemente infondata è, poi, la pretesa inammissibile della domanda risarcitoria avanzata dalle parti civili C. e L.F. nei confronti dell?imputato, in considerazione dell?intervenuta condanna al risarcimento in sede civile a carico dell?editore e del direttore responsabile.

Anche a voler prescindere, infatti, dai pur puntuali rilievi svolti dai difensori delle parti civili nella documentata memoria prodotta per l?udienza, ove si segnala la diversità della posizione del direttore e dell?editore del quotidiano convenuti in sede propria e della non integralità del danno ivi richiesto e riconosciuto, è assorbente rilevare che, in sede penale, la condanna risarcitoria è stata pronunciata solo sull?an, riservandosi la liquidazione del quantum in separata sede.

Dunque, non v?è spazio alcuno per ritenere sine titulo la condanna pronunciata per il capo civile.

Manifestamente infondato, oltre che generico, è anche il quinto motivo del ricorso proposto dall?avv. Lo Giudice, nel quale ci si duole della scarna motivazione con la quale il giudice di appello avrebbe disatteso la richiesta di assunzione probatoria sollecitata nei motivi di impugnazione.

Non può non rammentarsi, al riguardo, che la disposizione di cui all?art. 603 cod. proc. pen., è fondata sulla presunzione di completezza dell?indagine probatoria esperita in primo grado e subordina la rinnovazione del dibattimento, da una parte, alla condizione di una sua necessità, che il legislatore qualifica come assoluta per sottolinear l?oggettività e l?insuperabilità con ricorso agli ordinari espedienti processuali, e, dall?altra, alla condizione che il giudice, cui è demandata ogni valutazione in proposito, la percepisca e la valuti come tale, vale a dire come un ostacolo all?accertamento della verità del caso concreto, insormontabile senza il ricorso alla rinnovazione totale o parziale del dibattimento.

La discrezionalità dell?apprezzamento, dalla legge rimesso al giudice di merito, determina su altro versante l?incensurabilità in sede di legittimità di una valutazione, come nella specie, correttamente anche se succintamente motivata, posto che l?apprezzamento circa la pertinenza e la rilevanza del novum evocato a corredo della domanda probatoria, necessariamente si salda all?intero panorama già scandagliato in prime cure (sul carattere eccezionale della rinnovazione dell?istruzione dibattimentale in appello, cfr., ex multis, Cass., sez. II, 1 dic. 2005, Di Gloria Il Grande).

Quanto, infine, alle doglianze relative alla carenza di motivazione in ordine alle ragioni per le quali si sarebbe realizzata la diffamazione in danno delle persone indicate nell?imputazione relativa al capo a) della rubrica, ed all?identico vizio che affliggerebbe la sentenza impugnata sul più generale profilo della mancata applicazione dell?esimente del diritto di cronaca e di critica politica, i rilievi non colgono nel segno, giacché i giudici dell?appello hanno, sia pur succintamente, esaminato le stesse doglianze, disattendendole alla luce dei rilievi già sviluppati nella sentenza di primo grado.

In merito al primo profilo, infatti, nella sentenza di primo grado significativamente si premette: quanto all?esatta individuazione dei magistrati non citati nominativamente, si osserva subito, per sgomberare il campo da eventuali contrarie argomentazioni, che tale individuazione deve ritenersi emergere con tutta evidenza, al momento dei fatti, per essere gli stessi magistrati appartenenti al pool che svolgeva indagini nei confronti del collega L., più volte citati nominativamente e con la pubblicazione delle rispettive fotografie sulla maggior parte delle testate nazionali e locali, per cui non sussisteva alcuna possibilità di errore identificativo. Ed è noto, al riguardo, che, in tema di diffamazione, non è necessario che la persona cui l?offesa è diretta sia nominativamente designata, essendo sufficiente che essa sia indicata in modo tale da poter essere individuata in maniera inequivoca (Cass., sez. V, 18 gen. 1993, Pendinelli).

Quanto, poi, al mancato riconoscimento dell?esimente del diritto di cronaca o di critica politica, la relatio che la sentenza di appello opera agli enunciati in fatto già presenti nella decisione adottata in primo grado, si rivela, in se, legittima, posto che, una volta attestata la falsità delle circostanze esposte nell?articolo e nell??intervista oggetto di imputazione, e verificata la portata lesiva dell?onorabilità delle persone offese che palesemente caratterizzavano quelle stesse circostanze, per giunta riportate, puntualizza la sentenza impugnata, con modalità espositive suggestive, ricche di valenza diffamatoria, v?è quanto basta per ritenere superata la soglia all?interno della quale vanno parametrati i confini entro i quali va riconosciuto il diritto, costituzionalmente presidiato, di manifestare liberamente e con ogni mezzo il proprio pensiero.

Va infatti ribadito che, in tema di diffamazione a mezzo stampa, è configurabile l?esimente del diritto di critica, distinto e diverso dal diritto di cronaca, quando il discorso giornalistico abbia un contenuto esclusivamente valutativo e si sviluppi nell?alveo di una polemica intesa e dichiarata, frutto di opposte concezioni, su temi di rilevanza sociale, senza trascendere ad attacchi personali finalizzati, come nella specie, all?unico scopo di aggredire l?altrui sfera morale, non richiedendosi neppure, a differenza di quanto si verifica con riguardo al diritto di cronaca, che la critica sia formulata con riferimento a precisi dati fattuali, sempre, però, che il nucleo ed il profilo essenziale di questi non siano strutturalmente travisati e manipolati.

Non sussiste, quindi, l?esimente del diritto di critica allorché un magistrato del pubblico ministero venga accusato, come nelle vicende oggetto delle odierne imputazioni, di svolgere indagini politiche, in quanto una siffatta espressione, evocando l?intento di favorire una determinata forza politica a scapito di un?altra, assume portata offensiva, risolvendosi in un attacco alla sfera morale della persona.

Esula, dunque, dalla scriminante del diritto di critica, politica o giornalistica, l?accusa di asservimento della funzione giudiziaria ad interessi personali, partitici, politici, ideologici, ovvero accuse di strumentalizzazione di quella funzione per il conseguimento di finalità divergenti da quelle che debbono guidare l?operato del PM, stanti le attribuzioni ed i doveri istituzionali che caratterizzano la posizione ordinamentale di tale rango (v., fra le altre, Cass., sez. V, 1 lug. 2005, Liguori; Cass., sez. V, 5 mar. 2004, Giacalone; Cass., sez. V, 4 dic. 1998, Soluri).

D?altra parte, l?applicazione della scriminante del diritto di critica politica, pur nell?ambito (che certo non ricorre nella specie) della polemica tra avversari di contrapposti schieramenti ed orientamenti, di per se improntata ad un maggior grado di virulenza, presuppone che la critica sia espressa con argomentazioni, opinioni, valutazioni, apprezzamenti che non degenerino in attacchi personali o in manifestazioni gratuitamente lesive della altrui reputazione, strumentalmente estese anche a terreni estranei allo specifico della contesa politica, e non ricorrano all?uso di espressioni linguistiche oggettivamente offensive ed estranee al metodo ed allo stile di una civile contrapposizione di idee, oltre che non necessarie per la rappresentazione delle posizioni sostenute e non funzionali al pubblico interesse (Cass., sez. I, 10 giu. 2005, Pochini).

Un limite di continenza, dunque, necessariamente ancor più rigoroso ove esso venga riguardato, non nella prospettiva di una contesa fra gruppi politici contrapposti, ma si iscriva, come nella specie, in una polemica unilateralmente promossa attraverso l?arbitrario inserimento di magistrati all?interno di un supposto schieramento politico antagonista.

Per altro verso, l?esercizio del diritto di critica, pur assumendo necessariamente connotazioni soggettive ed opinabili, specie quando lo stesso abbia ad oggetto l?esercizio di pubbliche funzioni, richiede, accanto al rispetto del limite della rilevanza sociale e della correttezza delle espressioni usate, che, comunque, le critiche trovino riscontro in una corretta e veritiera riproduzione della realtà fattuale e che, pertanto, esse non si risolvano in una ricostruzione volontariamente distorta della realtà, preordinata esclusivamente ad attirare l?attenzione negativa dei lettori sulla persona criticata (sulla verità del fatto Cass., sez. V, 30 nov. 2005, Sorbo; Cass. sez. V, 25 feb. 2005, Ferrara; Cass. sez. V, 12 nov. 2004, Perna).

Ebbene, anche sotto tale profilo, per la verità neppure seriamente contestato in sede di ricorso, la sentenza di primo grado ha dato puntualmente atto di come le accuse, per molti versi deliranti, rivolte dall?imputato per il tramite degli organi i stampa, si fossero rivelate, nel merito, infondate, avendo l?istruttoria dibattimentale permesso di stabilire che la diversa verità dei fatti emergeva dai comportamenti da ciascuno posti in essere e da tutta la documentazione degli atti pubblici ed ufficiali che ben era conosciuta allo stesso imputato, che poteva essere conosciuta, che, in quanto sconosciuta perché riservata, doveva indurre a prudenza.

Dunque, palese inconferenza, di qualsiasi scriminante, sia essa riconducibile al diritto di cronaca, ovvero al diritto di critica, che il ricorrente, errando, assume essere stato indebitamente pretermessa dai giudici a quibus.

Pertanto, avendo la sentenza impugnata fatto proprio lo scrutinio già condotto in primo grado sulla assenza dei presupposti per ritenere nella specie ravvisabile l?invocata scriminante, deve ritenersi che la pronuncia stesa si sottragga al dedotto vizio di motivazione, considerato che l doglianze a tale proposito sollevate in sede di appello non coinvolgevano profili diversi da quelli già esaminati nel precedente grado di giudizio.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione di quelle sostenute nel grado dalle parti civili, che vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili che liquida in complessivi euro 5.000,00, come da notula, oltre spese generali come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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