Cass. civ., sez. II 19-04-2006, n. 9036 COMUNIONE DEI DIRITTI REALI – CONDOMINIO NEGLI EDIFICI – PARTI COMUNI DELL’EDIFICIO – USO – ESTENSIONE E LIMITI – Muro perimetrale dell’edificio – Apertura – Consenso in forma scritta di tutti i condomini

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione 12/09/88 B.P. convenne davanti al Tribunale di Terni, il condominio di Via ?.. e, deducendo che l’impianto centralizzato di riscaldamento per cattivo funzionamento, non imputabile all’istante, forniva all’appartamento di sua proprietà una temperatura insufficiente e, comunque, inferiore a quelle delle altre unità immobiliari, chiese fosse posto in essere, a spese del condominio, come stabilito dall’art. 9 del Regolamento condominiale, ogni intervento necessario per ottenere l’omogeneità di erogazione del calore nel proprio appartamento pari a quello degli altri immobili condominiali. Il condominio, costituitosi, sollevate eccezioni di rito, nel merito contestava la domanda, siccome infondata, assumendo che l’impianto centralizzato era perfettamente funzionante.

Disposta ed espletata C.T.U., il B., all’udienza di precisazione conclusioni (28/09/94) chiedeva, inoltre, che il condominio venisse condannato al risarcimento dei danni subiti, nella misura indicata di L. 15.000.000, nonchè alla restituzione delle somme erogate per il servizio di riscaldamento in tutto o in parte non goduto, ed al rimborso di tutte le spese sostenute e di quelle giudiziali.

Il Tribunale, con sentenza 4/07/97, respinte le eccezioni di rito, condannava il condominio ad eliminare tutte le deficienze strutturali dell’impianto centralizzato di riscaldamento al fine di fornire in modo continuativo all’appartamento dell’attore una quantità sufficiente di calore pari a quello fornito agli altri condomini;

nonchè a pagare a titolo risarcitorio, una somma incrementata di L. 5.000.000, pari al contributo che il B. aveva versato o che avrebbe dovuto versare per le spese di combustibile o per la manutenzione ordinaria dell’impianto, dalla data della domanda fino a quella della sentenza; lo condannava, ancora, a pagare, sempre a titolo risarcitorio la somma di L. 11.425.785 versata dall’attore al proprio consulente tecnico, oltre rivalutazione, ed interessi; nonchè a rifondere al B. le spese del giudizio; respingeva la domanda di restituzione delle somme versate per il riscaldamento.

Su impugnazione principale del Condominio ed incidentale del B., che chiedeva, in via principale, la conferma della sentenza del tribunale oltre al risarcimento dei danni posteriori alla sentenza ed, in via subordinata e di appello incidentale, la condanna del condominio ad effettuare l’equilibratura fine o altro migliore intervento tecnico ritenuto idoneo, oltre alla condanna alla restituzione delle somme versate, per non aver usufruito del servizio;

la corte di appello di Perugia, con sentenza 23/02/2001, in parziale riforma, accoglieva nel merito l’appello del condominio, respingeva l’appello incidentale del B., nonchè la domanda di risarcimento dei danni materiali e morali dallo stesso avanzata;

riduceva le spese corrisposte al consulente tecnico del B.;

ordinava la cancellazione delle espressioni ritenute offensive nell’atto di appello; condannava il B. al pagamento delle spese del grado.

Precisato: che è incontestabile perchè accertato dal C.T.U. e dallo stesso consulente di parte del condominio che, al momento dell’introduzione della causa, i difetti strutturali dell’impianto limitarono considerevolmente il rendimento del servizio di riscaldamento in particolare a danno dell’alloggio del B.;

che, tuttavia, a seguito di modifiche apportate all’impianto, come risulta dal supplemento di C.T.U. a seguito di una seconda misurazione effettuata in un sopralluogo, si è constatato, nell’appartamento B., una differenza di temperatura tra mandata e ritorno del radiatore notevolmente più bassa di quella constatata 30 minuti prima in una precedente misurazione (che viceversa dava quel valore di molto superiore, indice del passaggio nel radiatore di una quantità di fluido caldo inferiore a quella necessaria); che il constatato indice più basso della seconda misurazione è indicativo di una portata congruente con le altre rilevate ai vari piani; che il C.T.U. non è riuscito a spiegare il perchè della differenza tra le due misurazioni; che la c.d. equilibratura fine sarebbe operazione complessa, dispendiosa, di scarsa e comunque breve efficacia; afferma la corte d’appello che, in relazione alla struttura dell’impianto, la resa in termini calorici per l’alloggio del B. è comparabile a quella degli altri appartamenti, in conseguenza degli interventi effettuati nel corso del giudizio. Afferma ancora la corte d’appello: quanto alla domanda del B. di restituzione delle somme da lui versate per l’erogazione del servizio, che la circostanza dell’insufficiente erogazione del calore dall’impianto centralizzato non giustifica per il condomino l’esonero dal contributo non essendo egli titolare nei confronti del condominio di un diritto di natura contrattuale sinallagmatica; quanto alla domanda di risarcimento danni che, pur sussistendo la violazione del diritto del B. ad ottenere che l’impianto fosse commisurato in modo da assicurare un uniforme riscaldamento di tutti gli appartamenti e pur sussistendo la colpa per negligenza del condominio, il diritto al risarcimento configurabile ex art. 2043 c.c. non può in concreto essere riconosciuto al B. perchè nessun danno economico ha dimostrato di aver subito, per cui non è possibile neppure procedere ad una valutazione equitativa; e se può senz’altro convenirsi che sia stata inflitta al medesimo ed alla sua famiglia un disagio fisico per l’insufficiente riscaldamento, è tuttavia noto che il danno non patrimoniale può essere risarcito solo a seguito di commissione di reato, inesistente nel caso di specie. Ritiene ancora la corte sproporzionata ed immotivata la somma liquidata al consulente di parte B., che può essere ridotta a quanto richiesto con la parcella 24/05/91, tenuto conto che il C.T. di parte va liquidato in base alle tariffe professionali.

Avverso tale sentenza ricorre in Cassazione il B. con sei motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso il condominio.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

Deduce il ricorrente a motivi di impugnazione:

1) l’omessa, insufficiente, illogica ed incongrua motivazione su punti decisivi della controversia, anche per mancata ed errata valutazione di risultanze processuali, e per travisamento di fatti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

– per avere la corte d’appello, discostandosi e travisando le obiettive risultanze peritali acquisite nel 1^ grado di giudizio, erroneamente affermato che, in virtù delle modifiche apportate all’impianto, nel 1990, dall’ing. M., consulente di parte del condominio, la resa dell’impianto, in termini calorici era, per l’appartamento del B., comparabile a quella degli altri appartamenti del condominio, OMETTENDO di considerare:

A) che il dato, assolutamente isolato e casuale, emerso nel 1995 (e non nel (1990) era di per sè insignificante in quanto conseguente a due misurazioni contrastanti, delle quali il C.T.U. non aveva saputo fornire spiegazioni e che, per nulla, garantivano che fosse assicurato in modo continuativo all’appartamento del B., una quantità di calore pari a quella fornita agli altri condomini, tanto più che, nella seconda misurazione un dato, quello della sala dell’appartamento de quo, risultava insufficiente;

B) che il C.T.U. a conclusione del supplemento di perizia aveva accertato che, sui quesiti espressamente postigli, "l’equilibratura fine" (operazione che lo stesso C.T.U. ed il C.T. del condominio avevano ritenuto importante soprattutto per impianti termici posti in opera grossolanamente (come quello di causa) ed in relazione ai difetti dallo stesso manifestati) era di tipo approssimativo e migliorabile, indicando anche le operazioni da eseguire;

C) che non era stata effettuata dal C.T.U. la misurazione della temperatura ambienti, circostanza che lo stesso condomino, nell’atto di appello, aveva rilevato come il più importante accertamento omesso;

2) la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 329 c.p.c., comma 2) ed extrapetizione (artt. 99 e 112 c.p.c.) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

– per avere la corte d’appello, con vizio di extra-petizione, erroneamente respinto la domanda di risarcimento danni sul presupposto che il danno patrimoniale non era stato provato, nonostante: A) il condominio non avesse impugnato specificamente sul punto la decisione del Tribunale che, delle due domande proposte dal B. (di risarcimento e di restituzione degli oneri corrisposti), aveva accolto la prima domanda liquidando equitativamente il danno e quantificandolo con riferimento alle quote imputate al B. per spese di esercizio, aumentate di L. 5.000.000;

B) l’impugnazione del condominio si fosse limitata a censurare la decisione del tribunale per aver costretto il condominio a restituire somme che il B. avrebbe dovuto versare al condominio, e che non aveva mai versato;

D) la formazione del giudicato interno, sull’an e sul quantum risarcitorio, precludesse alla corte d’appello ogni indagine sul punto.

3) la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1223, 1226, 2043, 2056, 2059 c.c.), insufficiente, errata ed incongrua motivazione su punto decisivo della controversia anche per mancata valutazione di risultanze processuali, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

– per avere la corte d’appello erroneamente respinto la domanda di risarcimento danni affermando che il B. non aveva provato di aver subito un danno economico, nonostante:

A) il danno, anche di natura contrattuale ex art. 9 del regolamento condominiale, dovesse ritenersi in re ipsa, una volta riconosciuto che il diritto del B. ad un riscaldamento efficiente era stato violato e che il condominio era in colpa per negligenza; B) il principio della risarcibilità del danno ingiusto, senza alcun riferimento alla natura patrimoniale dello stesso, stabilisca in via immediata la risarcibilità del complessivo "valore" della persona nella sua proiezione non solo oggettiva ed economica, ma anche soggettiva, della lesione dei diritti primari, in guanto inerenti alla persona umana, come anche la giurisprudenza più evoluta va affermando:

B) la natura di illecito permanente non consenta di opporre alcun limite temporale al risarcimento (nè il 1990, non sussistendo alcun elemento obiettivo che consenta di riferire a tale epoca il miglior funzionamento dell’impianto; nè il 1995, in quanto, come emerso dalla C.T.U. suppletiva, l’equilibratura fine non era stata effettuata correttamente e l’impianto era ancora suscettibile di miglioramento per conseguire una omogenea, sufficiente ed equilibrata erogazione di calore nell’appartamento dell’attore;

4) la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1104, 1118, 1123, 1136 c.c.) e di principi di diritto (inadimplenti non est adimplendum – art. 1460 c.c.); l’omessa, insufficiente ed errata motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 9 del Regolamento condominiale) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5.

– per avere la corte d’appello disatteso la domanda di restituzione delle somme sempre regolarmente corrisposte dal B. per la quota parte delle spese di riscaldamento dall’87 (a fronte di un servizio termico in tutto o in parte non goduto), sull’assunto affermato dalle SS.UU. di questa Corte, secondo cui non è applicabile ai rapporti di condominio il principio inadimplenti non est adimplendum, nonostante: A) parte della giurisprudenza di legittimità e della dottrina siano inclini ad estendere l’applicabilità del suddetto principio, pur in assenza di un vincolo sinallagmatico, semprechè vi sia interdipendenza fra le obbligazioni funzionalmene e teleologicaraente collegate fra loro; B) nel caso di specie l’art. 9 del regolamento condominiale, regolarmente trascritto, attribuendo al condomino il diritto a che l’impianto non funzionante sia regolarizzato a spese del condominio, abbia espressamente creato un rapporto di interdipendenza sinallagmatica lato sensu, fra obbligazioni; C) non sia, comunque, in discussione il principio suddetto, mai invocato dal B., ma la disciplina del condominio che consente, in forza dell’art. 1223 c.c., comma 2 di calcolare i contributi dovuti da ciascun condomino per le spese relative ai servizi comuni, in funzione dell’utilità che in concreto ricavano da tali servizi, con la conseguenza che vengono meno le obbligazioni a carico del condomino nelle ipotesi in cui egli non ha usufruito del riscaldamento per cause a lui non imputabili;

5) la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1223, 2043, 2056 c.c., artt. 91 e 92 c.p.c.); nonchè l’omessa, insufficiente, illogica, contraddittoria ed errata motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

– per avere la Corte d’appello erroneamente ridotto le spese del consulente di parte liquidate a titolo di risarcimento danni, senza considerare: A) che l’esborso della somma era stato provato con fatture quietanzate; B) che le somme richieste non erano eccessive, in considerazione dell’assistenza protrattasi per dieci anni, sia in sede giudiziale che stragiudiziale;

6) la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 91 e 92 c.p.c.), l’insufficiente ed errata motivazione su punto decisivo della controversia ed ultrapetizione (artt. 99 e 112 c.p.c.) ex art. 360 c.p.c., n. 3 e 5.

– per avere la corte d’appello interamente posto a carico del B. le spese del giudizio d’appello, nonostante, avendo sostanzialmente la Corte accolto le conclusioni gradate di merito formulate dal Condomino, di cessazione della materia del contendere, le spese del ricorso dovessero essere poste a carico di chi aveva dato causa al processo o al suo protrarsi, cioè al condominio.

Va, preliminarmente, respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal resistente sull’assunto che il ricorso sarebbe stato notificato oltre il termine lungo ex art. 327 c.p.c., dal deposito della sentenza d’appello non notificata.

L’eccezione è infondata perchè al termine annuale di decadenza dal gravame, ex art. 327 c.p.c., comma 1, che va calcolato ai sensi dell’art. 155 c.p.c., comma 2, ex nominatione dierum, vanno aggiunti i quarantasei giorni di sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, calcolati ex numeratione dierum, ai sensi del combinato disposto dell’art. 155 c.p.c., comma 1 e L. 742 del 1969, art. 1, comma 1 (v. cass. N. 9068/2000).

Conseguentemente, depositata la sentenza impugnata il 23/02/2001, scadendo l’anno e 46 gg. dal deposito il 10/04/2002, coincidente con la data di notifica del ricorso questo deve ritenersi tempestivo.

Sussiste il vizio di motivazione dedotto con il primo motivo di ricorso.

La corte d’appello, infatti, partendo dal dato di fatto incontestabile, perchè accertato sia dal C.T.U. che dal consulente di parte del condominio, dell’esistenza di difetti strutturali dell’impianto centralizzato di riscaldamento, incidenti considerevolmente sul rendimento dello stesso, con particolar danno per l’appartamento del B., afferma che alcune modifiche apportate, all’inizio della vertenza, al suddetto impianto (il riferimento sembra fatto all’installazione delle valvole automatiche di sfogo dell’aria) hanno fatto venir meno il carente funzionamento dello stesso in danno del B., realizzando nell’appartamento di costui una resa calorica del tutto comparabile con quella degli altri appartamenti condominiali. La Corte di merito sovverte, quindi, le opposte conclusioni cui era pervenuto il primo giudice, ponendo a sostegno di tale sua affermazione l’esito di una seconda misurazione del dato At (rappresentante la differenza di temperatura tra mandata e ritorno del radiatore) risultato molto più basso rispetto ad una misurazione precedente, senza, tuttavia, indicare i valori delle suddette misurazioni onde verificare il raggiungimento o meno del valore ottimale della seconda misurazione; dando, perdippiù, atto dell’inspiegabilità, per lo stesso C.T.U., della differenza dei risultati delle due misurazioni, per concludere, apoditticamente, che la resa calorica dell’impianto per l’alloggio del B., era sotto ogni aspetto compatibile con quella di tutti gli altri appartamenti condominiali.

La corte territoriale è, quindi, pervenuta a tale conclusione sulla base di un dato del tutto casuale, che non garantisce affatto della continuità del risultato, ignorando, peraltro, se l’impianto fu progettato in base al At = 10; svilendo l’operazione della "equilibratura fine", che pur era stata disposta dal G.I. e che il consulente aveva indicato come potesse essere migliorata; e soprattutto senza effettuare la misurazione della temperatura nei vari ambienti dell’immobile del B. onde verificarne la funzionalità ed il calore emanato dall’impianto, rispetto agli altri appartamenti.

Il primo motivo di ricorso va, pertanto, accolto.

Il secondo motivo di ricorso è infondato.

Contrariamente a quanto afferma il ricorrente, il Condominio ha impugnato la pronuncia del Tribunale, relativa all’accoglimento della domanda di risarcimento dei danni, non solo contestando il criterio con il quale è stato determinato in via equitativa l’ammontare del quantum del risarcimento; ma anche evidenziando l’errore in cui sarebbe incorso il primo giudice nel ritenere provati fatti non allegati e nel liquidare un danno in mancanza di prova sull’esistenza dello stesso. (v. atto di appello pagg. 16-19).

Non sussiste, quindi, nè violazione dell’art. 112 c.p.c.; nè può parlarsi di intervenuta acquiscenza parziale all’affermata sussistenza del danno da parte del tribunale; acquiescenza, peraltro, non configurabile in relazione ad una pronuncia, quella di risarcimento, consequenziale ad altra statuizione principale espressamente impugnata.

In ordine al terzo motivo di ricorso profilo sub A), la censura va disattesa in quanto l’avere la corte d’appello affermato l’avvenuta violazione del diritto del B. a conseguire un riscaldamento efficiente nel proprio appartamento, sia come comproprietario dell’impianto, sia in virtù dell’art. 9 del regolamento condominiale, comporta il solo riconoscimento di fatti illeciti (contrattuali o extracontrattuali) potenzialmente produttivi di danno, danno che deve poi, in concreto, essere, provato e che, nella specie, la sentenza esclude sia stato fatto.

Quanto al profilo sub B) del motivo in esame, è vero che l’evoluzione del principio della risarcibilità del danno ingiusto ha esteso la tutela risarcitoria alla lesione dei diritti fondamentali della persona, a prescindere dal carattere patrimoniale o meno del danno; ma nella specie, nessun danno alla integrità psicofisica o alla salute è stata dedotta dal B., come conseguenza dell’insufficiente riscaldamento dell’appartamento di sua proprietà, come, peraltro, attestano i riferimenti giurisprudenziali citati nel ricorso, riferiti, pur sempre a danni patrimoniali; e come confermato dall’espressa negazione, da parte del ricorrente, di aver posto a fondamento delle sue richieste il danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c..

Il cui risarcimento è stato negato dalla corte d’appello in assenza di reato, pur essendo stati riconosciuti dalla stessa corte l’afflizione, il disagio fisico e quindi, il danno morale, derivati dall’insufficiente riscaldamento alla famiglia B..

Il profilo sub C) del motivo in esame va dichiarato assorbito, visto l’accoglimento del primo motivo di ricorso.

Passando all’esame del quarto motivo di ricorso, le censure di cui ai profili sub A) e B), oltre ad essere inammissibili per carenza di interesse del ricorrente (che ha espressamente dichiarato di non aver mai inteso invocare il principio inadimplenti non est adimplendum); sono anche infondati, non essendo il condomino, come affermato dalle SS.UU. di questa Corte (v. sent. 10492/96) titolare verso il condominio di un diritto di natura sinallagmatica; trovando, l’obbligo di pagamento degli oneri condominiali, causa nella disciplina del condominio e non in un rapporto contrattuale che obblighi la controparte ad una controprestazione. Ciò vale, anche, con riferimento all’art. 9 del regolamento condominiale che attribuisce al condomino, in caso di cattivo funzionamento dell’impianto centralizzato di riscaldamento, solo il diritto a che l’impianto sia regolarizzato a spese del condominio, senza stabilire alcun esonero dagli oneri relativi, neppure delle sole spese di esercizio del servizio.

Per le stesse ragioni va disattesa anche la censura con riferimento al profilo sub C) del motivo in esame, in quanto la minor resa, in termini di calore, nell’appartamento del B., dell’impianto centralizzato di riscaldamento, non implica un uso dell’impianto in misura diversa, da parte del B. rispetto agli altri condomini, ai sensi dell’art. 1123 c.c., comma 2, dal momento che l’utilizzazione maggiore o minore dell’impianto è data dalla estensione maggiore o minore della superficie radiante, rispetto a quella degli altri condomini; e non dal maggiore o minore grado di calore che l’impianto fornisce a ciascun appartamento.

Per l’insufficiente grado di riscaldamento nel proprio appartamento il condomino, nel caso di colpevole omissione del condominio nel provvedere all’adeguamento, alla riparazione dell’impianto centralizzato, può pretendere il risarcimento del danno conseguente subito; ma non la restituzione dei contributi versati per il godimento del servizio che, comunque, come nel caso di specie, è pur sempre, entro determinati limiti, stato fornito.

Altra cosa è se l’impianto centralizzato per ragioni strutturali escluda totalmente il condomino dal servizio di riscaldamento.

Solo in tal caso, il mancato godimento del servizio esonera dal pagamento dei contributi. Il motivo di ricorso va respinto.

In ordine al quinto motivo va rilevato che il Tribunale ha liquidato, a favore del B., vincitore nel primo grado di giudizio, a titolo di risarcimento danni, la somma di L. 11.425.785, per spese da lui sostenute per l’espletamento della consulenza di parte; e contro tale pronuncia il Condominio, pur proponendo appello, non ha impugnato il titolo (risarcimento danni) posto a fondamento della liquidazione, limitandosi a contestare, da un lato, l’ammontare della somma liquidata e, da altro lato che il danno fosse stato accertato sulla base della produzione di sole fatture (che tali fatture fossero quietanzate, come sostiene il ricorrente, non risulta dalla sentenza del tribunale). La Corte d’appello, ignorando il titolo (risarcimento danni) posto a fondamento della liquidazione, e ritenendo trattarsi di somme richieste a titolo di rimborso spese processuali, facendo uso dei poteri discrezionali di cui all’art. 92 c.p.c., comma 1, ha ridotto l’importo a quanto richiesto dal consulente di parte con la parcella 24/05/91.

In tale situazione processuale, formatosi il giudicato interno sul titolo della liquidazione (risarcimento danni), il motivo di ricorso per Cassazione, prospettato sotto il duplice profilo: della immodificabilità dell’ammontare liquidato, perchè corrispondente al danno concretamente determinato attraverso la produzione delle fatture quietanzate; e del difetto di motivazione, in ordine alla effettuata riduzione della somma, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 1; non può essere accolto sotto entrambi i profili, denunciati in via alternativa.

Sotto il primo profilo perchè, non potendo l’ammontare del danno ritenersi provato sulla base della sola produzione delle fatture, come affermato, invece, dal tribunale, il ricorrente non ha interesse all’accoglimento di una censura che esclude la conferma della liquidazione fatta dal Tribunale, per mancanza di prova del danno in quell’ammontare, con il rischio concreto di conseguire una ulteriore riduzione della somma rispetto a quella operata dalla corte d’appello; per cui la censura è inammissibile per carenza d’interesse del ricorrente.

Sotto il secondo profilo denunciato, la censura è infondata perchè la corte d’appello, riducendo la somma, ha esercitato un potere discrezionale, attribuitole dalla legge, congruamente motivandone l’esercizio con l’essere la somma ridotta liquidata, pari a quella indicata nella parcella redatta sulla base della tariffa professionale.

Il motivo di ricorso va, perciò, respinto.

Il sesto motivo di ricorso, trattandosi di decidere sulle spese del giudizio, la cui pronuncia è subordinata all’esito finale della lite, va dichiarato assorbito.

In accoglimento, quindi, del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla corte di appello di Firenze, che provvedere ad un nuovo esame della controversia in applicazione dei principi esposti, nonchè alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La corte accoglie il 1^ motivo di ricorso; rigetta i motivi 2^, 3^, profili sub A) e B), 4^, 5^; dichiara assorbiti il profilo sub C del 3^ motivo ed il 6^ motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa alla corte di appello di Firenze anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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