Corte Costituzionale, Sentenza n. 36 del 2005, In tema di disposizioni statali per il contenimento della spesa sanitaria

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

1. — La Regione Emilia-Romagna, con ricorso notificato il 1° marzo 2003 e depositato il successivo 7 marzo 2003 (ed iscritto al reg. ric. n. 25 del 2003), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 52, comma 4, lettere c) e d), comma 19 e comma 21, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), in riferimento agli artt. 4, 41, 51, 97, 117 e 119, comma quarto, della Costituzione.

1.1. — La Regione censura, in primo luogo, l’art. 52, comma 4, della predetta legge n. 289 del 2002 nella parte in cui, prevedendo un “adeguamento del finanziamento del Servizio sanitario nazionale per gli anni 2003, 2004 e 2005” al quale le regioni potranno accedere ad una serie di condizioni, creerebbe un meccanismo di “finanziamento futuro”, costringendo le regioni ad operare in condizioni di insufficienza strutturale, salvo il futuro adeguamento del finanziamento, in contrasto con l’art. 119, comma quarto, della Costituzione, che prescrive che le risorse finanziarie delle regioni devono consentire di “finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite”.

La predetta norma sarebbe, inoltre, costituzionalmente illegittima per il fatto di subordinare l’adeguamento del finanziamento, costituzionalmente dovuto in relazione alle funzioni obbligatorie, a condizioni ed adempimenti di per sé illegittimi. In particolare, il predetto art. 52, comma 4, lettera d), nella parte in cui impone alle Regioni di adottare <> violerebbe – oltre agli artt. 4 e 51 della Costituzione per la soggettiva privazione del lavoro nell’amministrazione – l’art. 97 della Costituzione, prevedendo la rimozione sanzionatoria dalla carica per il puro verificarsi di circostanze oggettive, in assenza di alcuna prova o riscontro che il mancato raggiungimento dell’equilibrio economico fosse in qualche modo evitabile da parte dello stesso direttore generale, e poi anche l’autonomia finanziaria e legislativa regionale, spettando alla Regione, responsabile generale del Servizio sanitario ed amministrazione nominante, la valutazione del comportamento del direttore generale e del grado di responsabilità che ad esso possa imputarsi nel mancato raggiungimento dell’equilibrio economico.

Anche la previsione contenuta nella lettera c) del medesimo comma 4 dell’art. 52, nella parte in cui impone alle Regioni lo svolgimento, <>, degli accertamenti diagnostici <> recherebbe vulnus all’autonomia legislativa regionale, in quanto <> conterrebbe la previsione di misure puramente organizzative.

La ricorrente censura inoltre il comma 19 del medesimo art. 52, nella parte in cui, limitando alla <> la possibilità per le imprese farmaceutiche titolari dell’autorizzazione all’immissione in commercio di medicinali <>, violerebbe l’autonomia organizzativa del servizio sanitario e la stessa autonomia privata ed iniziativa economica privata, ed inoltre, esonerando dalla predetta limitazione <>, lederebbe l’autonomia legislativa delle Regioni interessate dallo svolgimento dell’evento, spettando solo alle medesime la valutazione e l’autorizzazione degli eventi sottratti a tale limitazione.

La Regione Emilia-Romagna impugna altresì il comma 21 dell’art. 52, deducendo che tale disposizione, nella parte in cui non prevede alcuna forma di “codecisione” delle regioni né in ordine alla localizzazione del Centro nazionale di adroterapia oncologica, al quale è assegnato l’importo di cinque milioni di euro per l’anno 2003 e di dieci milioni di euro per ciascuno degli anni 2004 e 2005, né in ordine all’attività che esso è chiamato a svolgere, sarebbe lesiva della competenza regionale in materia di assistenza sanitaria.

1.2. — Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo – sia nell’atto di costituzione che nella memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica – il rigetto del ricorso.

La difesa erariale deduce che, quanto al comma 4 del predetto art. 52, la disposizione censurata non farebbe altro che specificare gli adempimenti cui sono tenute le Regioni ai fini dell’accesso all’adeguamento del finanziamento del Servizio sanitario nazionale (per gli anni 2002, 2003 e 2004), in attuazione degli accordi intervenuti tra lo Stato e le Regioni in sede di Conferenza permanente Stato-Regioni-Province autonome, con l’espressa previsione, in particolare, dell’adozione di iniziative volte a promuovere la decadenza dei direttori generali delle aziende sanitarie locali, in quanto nella specie sussistano i presupposti della misura sanzionatoria; quanto al comma 19 del medesimo art. 52, la limitazione ivi disposta risponderebbe ad evidenti finalità di moralizzazione e di contenimento delle forme di finanziamento anche indiretto di convegni e congressi da parte di imprese farmaceutiche titolari di autorizzazione all’immissione in commercio di medicinali, senza che da ciò derivi una limitazione all’autonomia organizzativa del servizio sanitario o della stessa autonomia privata; quanto, infine, al comma 21 dello stesso art. 52, non sarebbe comprensibile per quale motivo l’erogazione di un contributo da parte dello Stato al Centro nazionale di adroterapia oncologica – già istituito come ente non commerciale dotato di personalità giuridica di diritto privato dall’art. 92 della legge n. 388 del 2000, da un ente privato (una Fondazione) che ha dato inizio all’attuazione del relativo progetto – dovrebbe <>.

2. — Con ricorso notificato il 24 febbraio 2004 e depositato il successivo 4 marzo 2004 (ed iscritto al reg. ric. n. 33 del 2004) la Regione Emilia-Romagna ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 32, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004) in riferimento agli artt. 4, 51, 97, 117 e 119 della Costituzione.

2.1. — La Regione Emilia-Romagna deduce che la disposizione impugnata non fa che ribadire ed ampliare alcune delle misure di “razionalizzazione” della spesa sanitaria introdotte dalla legge finanziaria 2003 (legge n.289 del 2002) in specie all’art. 52, comma 4, già oggetto di ricorso da parte della medesima ricorrente, alterando ulteriormente l’assetto dei rapporti tra lo Stato e le Regioni consensualmente stabilito come metodo di razionalizzazione della spesa sanitaria.

La Regione pertanto ribadisce le censure già sollevate, nel ricorso n. 25 del 2003, nei confronti dell’art. 52, comma 4, al quale la norma censurata fa riferimento nell’identificare gli adempimenti posti a carico delle Regioni cui viene condizionato l’accesso delle medesime Regioni al finanziamento integrativo previsto dall’Accordo dell’8 agosto 2001, rilevando che alcuni di tali adempimenti, come l’obbligo di introdurre norme che comportano la decadenza automatica dei direttori generali, corrisponderebbero a misure non configurabili come “principi fondamentali della materia”, non essendo norme inderogabili, ma “condizioni” per l’accesso ad integrazioni finanziarie, mentre altri, come, ad esempio, l’imposizione alle Regioni del compito di rafforzare i servizi diagnostici senza maggiori oneri a carico dello Stato, non potrebbero prospettarsi come parte della definizione dei livelli essenziali di assistenza, essendo incompatibile con il quadro costituzionale in cui si inseriscono le garanzie dell’autonomia finanziaria regionale che lo Stato imponga alle Regioni l’esercizio di funzioni senza finanziarle.

2.2. — Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo – sia nell’atto di costituzione che nella memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica – che il ricorso sia dichiarato in parte inammissibile e comunque infondato.

3. — All’udienza pubblica la difesa erariale ha insistito nelle conclusioni rassegnate nelle difese scritte, mentre la Regione Emilia-Romagna ha insistito nelle conclusioni rassegnate nelle difese scritte ad eccezione delle censure sollevate nei confronti dell’art. 52, comma 21, della legge n. 289 del 2002.

Considerato in diritto

1. — Le questioni di legittimità costituzionale sono state promosse con i ricorsi indicati in epigrafe dalla Regione Emilia-Romagna nei confronti dell’art. 52, comma 4, lett. c) e d), comma 19 e comma 21, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003) e dell’art.3, comma 32, della legge 24 dicembre 2003, n.350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), in riferimento agli artt. 4, 41, 51, 97, 117 e 119, comma quarto, della Costituzione.

La ricorrente denuncia, in riferimento ai vari parametri indicati, svariati vizi delle norme oggetto dei ricorsi, principalmente sotto i profili della lesione dell’autonomia finanziaria e legislativa regionale in materia di sanità. Tale lesione sarebbe determinata, ad avviso della ricorrente, per effetto della previsione della subordinazione dell’accesso delle Regioni all’adeguamento del finanziamento del servizio sanitario nazionale per gli anni 2003, 2004 e 2005, in primo luogo, all’adozione di provvedimenti diretti a prevedere la decadenza automatica dei direttori generali nell’ipotesi di mancato raggiungimento dell’equilibrio economico delle aziende sanitarie ed ospedaliere, nonché delle aziende ospedaliere autonome (art. 52, comma 4, lett. d), della legge n. 289 del 2002 ed art. 3, comma 32, della legge n. 350 del 2003) – disposizione questa censurata anche in riferimento agli artt. 4 e 51 della Costituzione per la <> ed in riferimento all’art. 97 della Costituzione per la previsione della rimozione sanzionatoria dalla carica per il puro verificarsi di circostanza oggettive – ed, in secondo luogo, allo svolgimento, <>, degli accertamenti diagnostici <> (art. 52, comma 4, lett. c), della legge n. 289 del 2002 ed art. 3, comma 32, della legge n. 350 del 2003). La predetta lesione dell’autonomia regionale sarebbe determinata – ad avviso della ricorrente – anche per effetto della previsione della limitazione della possibilità per le imprese farmaceutiche di “organizzare o contribuire a realizzare mediante finanziamenti anche indiretti in Italia o all’estero per gli anni 2004, 2005 e 2006, convegni, congressi o riunioni” alla misura massima del 50% di quelli notificati al Ministero della salute nell’anno 2003 o autorizzati dallo stesso Ministero – ritenuta lesiva anche dell’autonomia privata e della iniziativa economica privata – e della previsione dell’esonero dalla predetta limitazione per i soli <> (art. 52, comma 19, della legge n. 289 del 2002). Un ulteriore vulnus della competenza regionale in materia di assistenza sanitaria deriverebbe, infine, ad avviso della ricorrente, dall’art. 52, comma 19, della citata legge n.289 del 2002, per effetto della mancata previsione in esso di forme di “codecisione” della Regione in ordine alla localizzazione ed allo svolgimento dell’attività del Centro nazionale di adroterapia oncologica.

2. — In via preliminare va disposta la riunione dei giudizi che, avendo ad oggetto disposizioni legislative sostanzialmente omogenee, censurate in riferimento agli stessi parametri costituzionali e sotto profili coincidenti, possono essere decisi con un’unica pronuncia.

3. — Tra gli interventi nel settore finanziario disposti dalla legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003) è prevista una serie di adempimenti cui sono tenute le Regioni <>. Tali adempimenti vanno considerati nel quadro della competenza legislativa regionale concorrente in materia di tutela della salute (cfr. sentenza n. 329 del 2003) e specialmente nell’ambito di quegli obiettivi di finanza pubblica e di contenimento della spesa, al cui rispetto sono tenute Regioni e Province autonome, ai sensi di una lunga serie di disposizioni di carattere legislativo e pattizio tra Stato e Regioni, le quali stabiliscono progressivi “adeguamenti” del concorso statale nel finanziamento della spesa sanitaria a fronte della realizzazione da parte delle Regioni di determinati impegni di razionalizzazione nel settore in oggetto. Per le Regioni eventualmente inadempienti è previsto il ripristino del precedente livello di finanziamento. In questa ottica di regolazione dei rapporti tra Stato e Regioni nel settore sanitario vanno dunque esaminate le censure prospettate dalla Regione ricorrente nel ricorso n. 25 del 2003.

3.1. — La prima doglianza riguarda l’intero comma 4 dell’art. 52 della predetta legge n. 289 del 2002, il quale, prevedendo un adeguamento del finanziamento del servizio sanitario nazionale per gli anni 2003, 2004, 2005, cui le Regioni possono accedere subordinatamente a specifici adempimenti e condizioni, lederebbe, secondo la ricorrente, l’autonomia regionale, determinando, in violazione dell’art. 119, comma quarto, della Costituzione, uno “squilibrio strutturale” tra risorse finanziarie ed obbligazioni di spesa delle Regioni, incompatibile con il principio dell’integrale finanziamento delle funzioni pubbliche attribuite alle Regioni.

La questione non è fondata.

Al rigetto della censura si perviene attraverso un’interpretazione delle norme in esame, che tenga essenzialmente conto, nella valutazione del rispetto del riparto di competenze in materia di tutela della salute, del complessivo quadro normativo e delle relazioni tra Stato e Regioni ai fini del contenimento della spesa sanitaria e degli oneri a carico del servizio sanitario nazionale.

Ed invero, nell’accordo tra Governo e Regioni e province autonome dell’8 agosto 2001 – finalizzato a definire <> – lo Stato si era espressamente impegnato ad integrare, nei termini fissati nello stesso accordo, il finanziamento del servizio stesso, condizionatamente all’adozione di una serie di adempimenti da parte delle Regioni, al fine di conseguire la migliore efficienza e qualità del servizio sanitario (punti nn. 2 e 15). Il decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito nella legge n. 405 del 2001, ha poi stabilito che l’ammontare delle spese per l’assistenza sanitaria restava regolato nei predetti termini sino al 2004, nel rispetto degli obiettivi di programmazione sanitaria e di risparmio. L’art. 40 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 ha quindi disposto che il mancato rispetto di tali adempimenti comportava per la Regione inadempiente il ripristino del livello di finanziamento stabilito nel precedente accordo del 3 agosto 2000. Infine l’art. 4 del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito nella legge n. 112 del 2002, ha esteso l’applicabilità del sistema previsto dal citato art. 40 della legge n. 448 agli anni 2002, 2003 e 2004. E’ inoltre da ricordare che, anche dopo l’entrata in vigore del nuovo Titolo V della Costituzione, si è proceduto all’approvazione, in linea di continuità con la precedente disciplina, degli ulteriori accordi del 24 luglio 2003 e del 29 luglio 2004, di attuazione del Piano sanitario nazionale 2003-2005.

La disposizione in esame va dunque inserita in questo articolato quadro normativo, dal quale emerge costante il carattere “incentivante” del finanziamento statale ai fini del conseguimento degli obiettivi di programmazione sanitaria e del connesso miglioramento del livello di assistenza. Anche in questa circostanza, infatti, gli ulteriori adempimenti richiesti alle Regioni costituiscono condizione necessaria per “l’accesso all’adeguamento del finanziamento del s.s.n.”, in conformità al consolidato schema – perdurando l’attuale regime transitorio di applicazione dell’art. 119 della Costituzione (cfr. sentenza n. 36 del 2004) – di regolazione finanziaria tra Stato e Regioni nel settore sanitario, cosicché non risulta, sotto questo profilo, alcun contrasto con la predetta disposizione costituzionale.

4. — La seconda censura concerne in particolare l’art. 52, comma 4, lettera c), della stessa legge n. 289 del 2002, nella parte in cui subordina l’accesso delle Regioni al finanziamento integrativo alla condizione che siano eliminate o significativamente contenute le liste di attesa, mediante lo svolgimento, presso gli ospedali pubblici, degli accertamenti diagnostici in maniera continuativa, fino alla copertura del servizio per i sette giorni della settimana. Tale norma, secondo la Regione ricorrente, sarebbe costituzionalmente illegittima, in quanto violerebbe la competenza legislativa regionale in materia, stabilendo misure meramente organizzative, anziché <>.

La questione non è fondata.

Innanzi tutto va rilevato che la previsione della legge statale concernente “adeguate iniziative” regionali per favorire lo svolgimento continuativo degli accertamenti diagnostici <> e <> non impone affatto obblighi lesivi della competenza legislativa regionale, ma costituisce proprio la prefissione di un principio in termini di risultato, che lascia alla discrezionalità delle Regioni la scelta delle misure organizzative più appropriate per la realizzazione degli scopi indicati. E’ infatti evidente che l’individuazione delle prestazioni essenziali, cui hanno diritto gli assistiti del servizio sanitario nazionale, rientra tra i compiti specifici del legislatore e della programmazione statali, anche per rendere confrontabili, nell’ambito dell’unitarietà del servizio sanitario, le prestazioni rese (sentenze n. 507 e n. 63 del 2000).

Né, d’altra parte, la norma impugnata vincola l’autonomia regionale nel settore dell’organizzazione sanitaria. Ed infatti, tenendo presente (cfr. sentenza n. 88 del 2003) il ruolo determinante assunto dagli accordi in materia, va ricordato che sia nell’accordo del 14 febbraio 2002, cui ha fatto seguito il d.P.C.m. 16 aprile 2002, recante “linee guida sui criteri di priorità per l’accesso alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche e sui tempi massimi di attesa”, sia nell’accordo dell’11 luglio 2002 sulle modalità di accesso alle prestazioni diagnostiche e indirizzi applicativi sulle liste di attesa, sono state previste, in attuazione di quanto disposto dal citato decreto-legge n. 347 del 2001 in materia di livelli essenziali di assistenza, ai sensi dell’art. 3, comma 10, del decreto legislativo n. 124 del 1998, iniziative dirette al conseguimento di tali obiettivi, senza maggiori oneri per lo Stato e neppure per le Regioni, dovendosi fare fronte a tali spese con il recupero di risorse inutilizzate e conseguenti forme di risparmio.

5. — La terza censura ha ad oggetto il medesimo art. 52, comma 4, lettera d) della stessa legge n. 289 del 2002, nella parte in cui subordina l’accesso delle Regioni al finanziamento integrativo del servizio sanitario nazionale alla condizione che esse adottino provvedimenti diretti a prevedere la decadenza automatica dei direttori generali nell’ipotesi di mancato raggiungimento dell’equilibrio economico delle aziende sanitarie ed ospedaliere. Tale norma sarebbe, secondo la Regione ricorrente, costituzionalmente illegittima per la violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione, in quanto lesiva dell’autonomia legislativa e finanziaria regionale, nonché per il contrasto con gli artt. 4, 51 e 97 della Costituzione, a causa della “soggettiva privazione del lavoro nell’amministrazione” e della previsione di una misura sanzionatoria incompatibile con il buon andamento dell’amministrazione.

La questione è in parte inammissibile ed in parte infondata, nei termini di seguito specificati.

In riferimento ai profili di preteso contrasto con gli artt. 4, 51 e 97 della Costituzione, la questione non è ammissibile, in quanto investe parametri costituzionali, che non riguardano, direttamente o indirettamente, la tutela della sfera di autonomia regionale (cfr. sentenze n. 345 e n. 196 del 2004).

Per quanto invece concerne gli altri profili, va ricordato che la misura della decadenza dei direttori generali delle aziende in oggetto è piuttosto “risalente” nella legislazione statale. Ed infatti, già nell’art. 3, comma 6, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 come modificato dal d.P.R. 7 dicembre 1993, n. 517, è stato previsto che, nel caso in cui “la gestione presenti una situazione di grave disavanzo”, la Regione “risolve” il contratto con il direttore generale “dichiarandone la decadenza” e provvedendo alla sua sostituzione. Inoltre va ricordato che, in riferimento alla competenza delle Regioni, prevista dall’art. 32 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, ad individuare <>, questa Corte, nella sentenza n. 507 del 2000, ha affermato che i meccanismi “sanzionatori” di tipo finanziario intercorrenti nel settore tra Stato e Regioni comportano che ad esse spettino il compito e la responsabilità di utilizzare i propri poteri di riparto per “trasferire” la eventuale “sanzione” dello Stato a livello delle singole aziende, oltre che per “azionare la responsabilità dei direttori generali”. Successivamente il richiamato decreto-legge n. 347 del 2001, come convertito nella legge n. 405 del 2001, all’art. 3, comma 2, lettera c), ha confermato questa forma di responsabilità, stabilendo che le Regioni adottano le disposizioni necessarie per <>.

Si tratta dunque di una misura sanzionatoria, nell’ambito della responsabilità dei predetti direttori generali, ricorrente nella legislazione e che ha già superato, nella sua configurazione essenziale, il vaglio di costituzionalità. Peraltro, la norma impugnata, che prescrive l’adozione, da parte delle Regioni, di “provvedimenti” diretti a prevedere la “decadenza automatica” dei direttori generali nell’ipotesi di mancato raggiungimento dell’equilibrio economico, non può essere considerata, per il suo tenore letterale, come impositiva di un obbligo cogente, che elimini in materia ogni spazio di autonomia legislativa ed organizzativa regionale. Ed invero, criteri interpretativi sistematici, nonché il puntuale richiamo al citato art. 3, comma 2, lettera c) del decreto-legge n. 347 del 2001, inducono a ritenere – in concordanza con l’opinione dell’Avvocatura dello Stato – che al legislatore regionale competa comunque determinare i presupposti sostanziali e le forme procedimentali per infliggere la predetta sanzione ai direttori generali. Pertanto la norma in esame deve essere letta come recante un principio che “sollecita” le Regioni a configurare, per le ipotesi di mancato conseguimento dell’equilibrio economico delle aziende sanitarie, un’apposita disciplina relativa all’irrogazione della misura della decadenza dei rispettivi direttori generali. Non risulta quindi fondata la prospettata censura.

6. — La quarta censura ha ad oggetto il medesimo art. 52, comma 19, della legge n. 289 del 2002, nella parte in cui la stessa norma limita la possibilità per le imprese farmaceutiche di contribuire ad organizzare, mediante finanziamenti anche indiretti, convegni, congressi o riunioni, nella misura massima del 50% di quelli notificati al Ministro della salute, esonerando da tale limitazione solo gli eventi espressamente autorizzati dalla Commissione nazionale per la formazione continua. Tale norma sarebbe in contrasto con l’autonomia privata e di iniziativa economica delle imprese farmaceutiche, oltre che con “l’autonomia organizzativa del servizio sanitario”.

La questione è in parte inammissibile ed in parte infondata.

Premesso che sono inammissibili le pretese lesioni di parametri costituzionali che non riguardano la sfera di attribuzioni regionali, va ricordato che l’art. 12 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 541, così come modificato dall’art. 48, comma 23, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326, stabilisce che ogni impresa farmaceutica, titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio di medicinali, nel caso in cui organizzi o contribuisca a realizzare, mediante finanziamenti anche indiretti, convegni o congressi su tematiche attinenti all’impiego di medicinali deve farne comunicazione, per il parere favorevole, sentita la Regione interessata, oppure per l’espressa autorizzazione – a seconda delle ipotesi – al Ministero della salute.

La norma in esame contiene dunque un principio di razionalizzazione e contenimento della spesa farmaceutica a carico del servizio sanitario nazionale, dato il concreto rischio che i predetti oneri organizzativi delle imprese farmaceutiche possano trasferirsi sui prezzi anche dei medicinali forniti dalle stesse al servizio sanitario, con conseguente aumento dei costi da esso sopportati. In ogni caso, le eventuali limitazioni alle iniziative “promozionali” delle imprese farmaceutiche non possono pregiudicare in alcun modo l’autonomia organizzativa della Regione ricorrente.

7. — Per quanto riguarda infine la censura relativa al comma 21 del medesimo art. 52 della legge n. 289 del 2002, va osservato che la difesa della ricorrente, in sede di discussione orale, ha fatto presente che, in considerazione della natura giuridica del Centro nazionale di adroterapia oncologica, la Regione Emilia-Romagna sostanzialmente rinunciava al prospettato motivo di ricorso. La questione di legittimità costituzionale relativa a questo comma è pertanto inammissibile per difetto d’interesse della ricorrente.

8. — Da ultimo, va esaminato il ricorso n. 33 del 2004, con cui la Regione Emilia-Romagna solleva in via principale, sotto diversi profili, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 32, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato –legge finanziaria 2004), in riferimento agli artt. 4, 51, 97, 117 e 119 della Costituzione.

Secondo la ricorrente la disposizione impugnata essenzialmente reitera e ribadisce alcune delle misure di “razionalizzazione” e contenimento della spesa sanitaria già stabilite dall’art. 52, comma 4, della legge n. 289 del 2002, cosicché nel ricorso in esame vengono sostanzialmente riprodotte le argomentazioni addotte a sostegno delle censure già formulate nel precedente ricorso n. 25 del 2003. Di conseguenza sono pienamente riferibili alla questione di legittimità costituzionale concernente il citato art. 3, comma 32, della legge n. 350 del 2003 le motivazioni che hanno condotto alla pronuncia di infondatezza in ordine ai diversi profili del predetto art. 52, comma 4, della citata legge n. 289 del 2002.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce ogni decisione sulle restanti questioni di legittimità costituzionale sollevate con i ricorsi indicati in epigrafe,

riuniti i giudizi,

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 52, comma 21, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003) sollevata, in riferimento agli articoli 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso n. 25 del 2003 indicato in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 52, comma 4, lettera d), della predetta legge n. 289 del 2002, sollevata, in riferimento agli articoli 4, 51 e 97 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso n. 25 del 2003 indicato in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 52, comma 19, della predetta legge n. 289 del 2002, sollevata, in riferimento all’articolo 41 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso n. 25 del 2003 indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 52, comma 4, lettere c) e d), della predetta legge n. 289 del 2002, sollevate, in riferimento agli articoli 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso n. 25 del 2003 indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 52, comma 19, della predetta legge n. 289 del 2002 sollevata, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso n. 25 del 2003 indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 32, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), sollevata, in riferimento agli articoli 4, 51, 97, 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso n. 33 del 2004 indicato in epigrafe;

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 2005.

Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2005.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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