Corte Costituzionale, Sentenza n. 65 del 2005

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso depositato il 22 ottobre 2002, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto a questa Corte di dichiarare l’illegittimità della legge della Regione Sardegna 9 agosto 2002, n. 14 (Nuove norme in materia di qualificazione delle imprese per la partecipazione agli appalti di lavori pubblici che si svolgono nell’ambito territoriale regionale) in relazione all’art. 117 primo e secondo comma, lettera e) della Costituzione per indebita invasione della propria sfera di competenza legislativa esclusiva in materia di concorrenza e per violazione delle norme comunitarie in tema di qualificazione delle imprese.

La disciplina legislativa sarebbe invalida perché sostanzialmente riproduttiva di un regolamento della Regione adottato dal suo Presidente con decreto n. 1/L del 9 marzo 2001 e annullato dal TAR con la sentenza n. 892/2002, la quale ha affermato che non vi è dubbio che la problematica relativa alla qualificazione delle imprese rientri nella materia, di esclusiva competenza statale, della regolamentazione della concorrenza. Invero le direttive comunitarie che hanno regolato nel dettaglio i meccanismi di aggiudicazione negli appalti pubblici trovano la propria giustificazione nella necessità di evitare comportamenti discriminatori in uno dei settori d’attività economica di maggiore impatto, quale quello dei contratti delle pubbliche amministrazioni.

L’obiettivo della disciplina, secondo la difesa erariale, è anticoncorrenziale, perché consisterebbe nel favorire le imprese sarde nell’aggiudicazione degli appalti che si svolgono nella Regione Sardegna.

Infatti, secondo l’art. 1 della legge, i committenti e i concedenti devono richiedere ai partecipanti la qualificazione nelle forme previste dalla legge; in caso contrario l’intero procedimento sarà invalido.

La qualificazione è attribuita da un’apposita commissione permanente (art. 3) il cui provvedimento positivo comporta l’iscrizione in un apposito casellario, definito “Albo regionale degli appaltatori”.

In tale maniera la Regione Sardegna avrebbe derogato al sistema di qualificazione unico per tutti gli esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici previsto dall’art. 8, comma secondo, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), attuato con il d.P.R 25 gennaio 2000, n. 34 (Regolamento recante istituzione del sistema di qualificazione per gli esecutori di lavori pubblici, ai sensi dell’art. 8 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni).

La legge regionale sarebbe in contrasto con l’art. 6 della direttiva 93/37/CEE che dispone che «le amministrazioni aggiudicatici non possono esigere condizioni diverse da quelle previste agli artt. 26 e 27 allorché domandano informazioni sulle condizioni di carattere economico e tecnico che esse esigono dagli imprenditori per la loro selezione»; sarebbe altresì in conflitto con le norme del Trattato dell’Unione (artt. 49-55) che disciplinano la libertà di servizi. Con riferimento a queste ultime norme l’art. 8 della legge n. 109 del 1994 dispone che, anche dopo l’entrata in vigore del sistema unico di qualificazione, le imprese dei Paesi appartenenti alla Comunità europea possono essere tenute a presentare solo le certificazioni conformi alle normative vigenti nei rispettivi paesi; la legge impugnata invece, prevedendo un sistema di qualificazione di applicazione generale, senza eccezioni, che richiede, tra l’altro, l’iscrizione alla Camera di commercio (art. 9, lett. f), è incorsa in un palese violazione della normativa comunitaria.

La disciplina impugnata determinerebbe una compartimentazione del mercato costituito dagli appalti pubblici della Regione Sardegna, favorendo le imprese appartenenti a quest’ultima Regione, perché mentre un’impresa che operi all’interno della sola Sardegna dovrebbe sottoporsi ad un solo procedimento di qualificazione, un’altra che agisca su tutto il territorio nazionale ne dovrebbe affrontare diversi andando incontro ad oneri economici e di tempo che la porrebbero in condizioni di sfavore, tenuto anche conto della necessità di provvedere alle “variazioni” (art. 29) e con l’eventualità di essere sottoposta alla “revisione generale” (art. 32), con tutti gli oneri conseguenti.

2.– Nel giudizio si è costituito il Presidente della Regione Sardegna, con il ministero dell’Avvocatura della Regione, che assume l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.

Afferma la Regione che la disciplina legislativa regionale differisce da quella statale sostanzialmente solo per il fatto che mentre quest’ultima affida l’accertamento della qualificazione delle imprese a soggetti privati (la “società organismi di attestazione”, SOA), la prima lo affida ad una struttura pubblica, una commissione permanente costituita presso l’assessorato regionale dei lavori pubblici (art. 3 della legge reg. n. 14 del 2002), che permette alle imprese di ottenere la qualificazione a costi assai più bassi di quelli che devono essere sostenuti presso le SOA, avendo queste ultime scopo di lucro.

Secondo la Regione, il sistema di qualificazione sardo è aperto a tutte le imprese italiane o straniere, senza che vi sia alcun collegamento fra l’impresa e la Regione Sardegna (diversamente dal caso della legge della Regione Valle d’Aosta, di cui alla sentenza n. 207 del 2001) ed è alternativo, ma non sostitutivo rispetto al sistema statale di qualificazione attraverso le SOA: un’impresa può partecipare ad appalti di lavori pubblici regionali sia presentando la particolare qualificazione ottenuta in base alla legge sarda, sia quella ottenuta attraverso le SOA

Il carattere alternativo della qualificazione regionale sarebbe testimoniato dal fatto che in tutte le gare di appalto bandite dalla Sardegna sono state ammesse le imprese prive della qualificazione regionale ma dotate di quella statale. Tale carattere alternativo sarebbe inoltre chiaramente espresso dalla legge regionale impugnata, che, al primo comma dell’art. 2, stabilisce che la qualificazione disciplinata da tale legge è "condizione sufficiente", ma non anche necessaria, potendo dunque andar bene anche la qualificazione statale. Infine, la valenza alternativa della norma si ricaverebbe altresì dalla relazione della Giunta al disegno di legge (atti consiliari della XII legislatura, n. 336: «è altresì importante evidenziare che l’Albo regionale non vincola in modo assoluto le imprese che vogliono partecipare agli appalti in possesso delle attestazioni di qualificazione rilasciate dalle SOA»), dalla prassi attuativa (vengono ammesse le imprese in possesso delle attestazioni di qualificazione rilasciate dalle SOA) e da una recente circolare della Regione Sardegna del 13 agosto 2002, prot. n. 20748 (secondo cui «il sistema di qualificazione regionale, pur sostituendosi alle SOA, non è esclusivo, ma è alternativo. Esso costituisce condizione sufficiente per l’ammissione alle gare d’appalto, vale a dire che ad un medesimo appalto possono partecipare sia le imprese con sola attestazione di qualificazione regionale, sia le imprese aventi la sola attestazione di qualificazione delle SOA»).

Secondo l’Avvocatura della Regione, il ricorso del Governo si fonda su due motivi, entrambi basati sull’erroneo presupposto che il sistema di qualificazione regionale sia esclusivo anziché alternativo.

Con il primo motivo del ricorso governativo si denuncerebbe una violazione degli artt. 6 e 7 della direttiva CEE 93/37, in relazione all’obbligo del rispetto dei vincoli comunitari da parte della potestà legislativa regionale previsto dall’art. 117, primo comma, della Costituzione. In particolare, la norma regionale, oltre a prevedere un sistema di qualificazione esclusivo, richiederebbe condizioni diverse da quelle previste dalle norme comunitarie citate, così impedendo alle imprese straniere di partecipare alle gare presentando certificazioni conformi alle normative dei rispettivi Paesi (come previsto dall’art. 8 della legge n. 109 del 1994).

Con il secondo motivo del ricorso governativo si denuncerebbe una violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di concorrenza: tale censura sarebbe mutuata integralmente da una sentenza del TAR, oggetto di ricorso da parte della Regione.

Svolte queste premesse, secondo la Regione, il ricorso sarebbe innanzitutto inammissibile per un’insufficiente definizione della questione di costituzionalità: è infatti impugnata l’intera legge, mentre secondo gli artt. 34, primo comma, e 23, primo comma, della legge n. 87 del 1953 e secondo l’insegnamento della Corte costituzionale (cfr. sentenze n. 366 del 1992 e n. 103 del 2001) il ricorrente ha l’onere di motivare le ragioni di incostituzionalità in relazione ad ognuna delle disposizioni contestate.

L’Avvocatura regionale svolge altresì un breve excursus circa il riparto della competenza legislativa in tema di appalti pubblici. L’art. 3 dello statuto speciale per la Sardegna già attribuiva alla Regione una competenza legislativa primaria in materia di lavori pubblici di interesse regionale, con il limite del rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica; oggi il nuovo art. 117 Cost. attribuisce la materia dei lavori pubblici alla competenza legislativa generale delle Regioni, con il solo limite del rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali. Pertanto è venuto a cadere il limite del rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, e la Regione pertanto dispone di amplissima discrezionalità nella materia dei lavori pubblici.

Il primo motivo di ricorso sarebbe inammissibile anche perché il vizio denunciato si estrinsecherebbe in una violazione di legge (l’art. 6 della direttiva CE n. 93/37), mentre l’art. 117 consentirebbe allo Stato di far valere solo il vizio di incompetenza, quando dovesse ritenere che la legge regionale "… ecceda la competenza della Regione" (art. 127 Cost.). Lo Stato infatti, a seguito della riforma del Titolo V, avrebbe perso un suo ruolo tutorio nei confronti della Regione, la quale avrebbe ormai pari dignità rispetto allo Stato.

Venendo al merito della questione, poiché, come detto, il sistema di qualificazione regionale delle imprese è alternativo e non esclusivo, la difesa regionale sostiene che è priva di fondamento sia l’ipotesi di una violazione di norme comunitarie sia l’invasione della sfera di competenza legislativa statale in materia di concorrenza.

Con particolare riferimento al secondo motivo di censura da parte dello Stato, premette l’Avvocatura regionale che la materia “concorrenza” è da considerarsi, più che una materia in senso stretto, un valore costituzionalmente protetto (come nel caso dell’ambiente) che attraversa trasversalmente le materie di competenza delle Regioni, senza sovrapporsi ad esse ma giustificando soltanto la posizione di specifiche norme statali limitanti l’esercizio della potestà legislativa regionale (in questo senso Corte cost., n. 282 e n. 407 del 2002). Pertanto, secondo la Regione Sardegna, la disciplina della qualificazione delle imprese per la partecipazione a pubblici appalti è soltanto un aspetto particolare della disciplina dei lavori pubblici, di esclusiva spettanza regionale.

Meno che mai, prosegue la Regione resistente, potrebbe considerarsi conforme a Costituzione l’art. 8 della legge n. 109 del 1994, che pure sembra essere addotto a sostegno delle ragioni dello Stato e che attribuisce ad un regolamento governativo il compito di istituire un sistema di qualificazione unico per tutto il territorio nazionale: già prima della riforma del titolo V la giurisprudenza della Corte costituzionale aveva escluso che potessero intervenire i regolamenti statali; con la riforma l’art. 117, sesto comma, della Costituzione sancisce espressamente questo divieto.

3.– Il 16 novembre 2004 l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria con la quale ribadisce le argomentazioni esposte con il ricorso.

In replica alla prima memoria difensiva della Regione Sardegna, si osserva che la prassi interpretativa ed una circolare non possono costituire garanzia della legittimità costituzionale di una norma e si aggiunge che l’art. 2 della legge regionale 9 agosto 2002, n. 14, va coordinato con l’art. 1 – a tenore della quale coloro che intendono partecipare a gare di appalto all’interno della Regione Sardegna sono tenuti all’applicazione delle disposizioni contenute nella legge impugnata per la validità dell’intero procedimento – che la Regione non richiama neppure incidentalmente.

Si precisa inoltre che il ricorso contiene un errore materiale perché, invece di richiamare il comma sesto dell’art. 11 della direttiva 93/37/CEE indica l’art. 6 ed espone i motivi di divergenza tra la suddetta direttiva e la legge regionale impugnata.

Si replica infine alla Regione affermando che l’impugnazione dell’intera legge regionale si giustifica per il fatto che una volta accertata l’illegittimità costituzionale delle norme di principio di cui agli artt. 1 e 2, l’intera legge viene a cadere di conseguenza.

4.– Il 16 novembre 2004 la Regione Sardegna ha depositato una memoria con la quale ribadisce le argomentazioni esposte in precedenza, osservando che, in virtù dell’art. 3, lett. e), dello statuto, la Regione Sardegna ha competenza esclusiva in tema di lavori pubblici di interesse regionale (come riconosciuto dalla sentenza n. 274 del 2003 della Corte) e che comunque il sistema di qualificazione delle imprese previsto dalla legge regionale impugnata è alternativo e non sostitutivo di quello statale. Di conseguenza, si riafferma altresì che quella regionale è una disciplina diretta a favorire l’accesso alle gare per l’assegnazione dei lavori pubblici ad imprese minori (non soltanto quelle sarde), indipendentemente dalla localizzazione della loro sede sociale.

La disciplina impugnata inoltre non sarebbe lesiva della competenza esclusiva statale in tema di concorrenza perché essa non produrrebbe conseguenze macroeconomiche in grado di avere ripercussioni sull’equilibrio economico generale avendo ad oggetto solo i lavori pubblici della Sardegna.
Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la legge della Regione Sardegna 9 agosto 2002, n. 14 (Nuove norme in materia di qualificazione delle imprese per la partecipazione agli appalti di lavori pubblici che si svolgono nell’ambito territoriale regionale) deducendo che la stessa, là dove stabilisce che le imprese interessate a partecipare ad un appalto bandito nella stessa Regione debbono osservare particolari procedure di qualificazione, determinerebbe un’indebita compartimentazione del mercato. In particolare sarebbero violati l’art. 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione, per indebita invasione della sfera di competenza legislativa statale in materia di concorrenza, gli artt. 6, 26, 27 della direttiva comunitaria 14 giugno 1993, n. 93/37, nonché gli artt. 49-55 del Trattato istitutivo della Comunità europea, 25 marzo 1957, in relazione all’art. 117, primo comma, della Costituzione – che impone alle Regioni il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario – per contrasto con la disciplina in materia di libertà di prestazione dei servizi e di requisiti finanziari e tecnici necessari per la partecipazione agli appalti pubblici.

2.– Pure in assenza di una specifica eccezione, va dichiarata d’ufficio l’inammissibilità delle censure formulate avverso la legge della Regione Sardegna n. 14 del 2002, con riferimento all’art. 117 della Costituzione.

Infatti la difesa erariale si limita ad affermare che la legge impugnata per la sua contrarietà alla normativa comunitaria violerebbe la norma costituzionale invocata, senza minimamente argomentare per quale ragione, trattandosi dell’impugnazione di una legge della Regione Sardegna, debba prendersi in considerazione tale parametro in luogo di quello ricavabile dal relativo statuto speciale, il cui art. 3, lettera e), tuttora in vigore, attribuisce alla Regione, entro i limiti ivi stabiliti, una competenza legislativa primaria in materia di lavori pubblici di esclusivo interesse della Regione.

La mancanza di una tale valutazione determina l’inammissibilità della censura nei termini in cui è formulata, conformemente a quanto questa Corte ha già avuto modo di affermare (cfr. sentenze n. 8 del 2004 e n. 213 del 2003).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Sardegna 9 agosto 2002, n. 14 (Nuove norme in materia di qualificazione delle imprese per la partecipazione agli appalti di lavori pubblici che si svolgono nell’ambito territoriale regionale) sollevata in riferimento all’art. 117 primo e secondo comma, lettera e) della Costituzione dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2005.

Valerio ONIDA, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 29 gennaio 2005.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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