Cass. civ., sez. Unite 10-05-2006, n. 10706 PROCEDIMENTO CIVILE – DIFENSORI – INTERRUZIONE DEL PROCESSO – Condanna del difensore alle spese del giudizio – Dopo la sentenza di primo grado

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 30 marzo 1999, l’Avv. L. – agendo in forza di procura rilasciata nella comparsa di risposta del giudizio di primo grado e ricomprendente la facoltà di proporre appello ? proponeva, in nome e per conto di Gaetano Z., appello avverso la sentenza 84/1998 del Tribunale di Pordenone, nei confronti di C. Srl, Impresa Edile D. e Condominio L.. Nel periodo compreso tra la pubblicazione della sentenza di primo grado e la proposizione dell’appello lo Z. decedeva.

La Corte d’appello di Trieste – ritenendo non operante la ultrattività della procura su eccezione degli appellati – dichiarava inammissibile l’appello, per essere stato proposto da difensore privo di idonea procura, e condannava il difensore alle spese del giudizio.

Avverso la suddetta sentenza l’avvocato L. propone ricorso per cassazione limitatamente al capo della condanna alle spese, con tre motivi intimamente connessi.

Resistono con controricorso l’Impresa Edile D. che eccepisce l’inammissibilità del ricorso per cassazione per mancanza di procura speciale allo stesso, sussistendo solo a margine della prima facciata la ?delega?, senza espresso riferimento al giudizio di cassazione, conferita nella stessa data del ricorso, con conseguente incertezza sulla circostanza se sia stata conferita prima o dopo la sottoscrizione del ricorso – e il Condominio L..

Con ordinanza interlocutoria della Sezione prima, la causa è stata rimessa a queste Sezioni unite relativamente al rilevato contrasto di giurisprudenza sul punto delle conseguenze derivanti dalla mancanza di procura ad litem del difensore che abbia comunque svolto attività in giudizio, per il profilo in particolare della riferibilità, o meno, allo stesso della condanna al pagamento delle spese di lite correlative.

In ordine alla quale questione, tutte le parti hanno anche depositato memorie illustrative.

Motivi della decisione

1. ÿ pregiudiziale l’esame della eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dalla Impresa D..

Eccezione, questa, che è manifestamente, però, infondata alla luce della consolidata esegesi giurisprudenziale per cui la stessa collocazione topografica – a margine, come nella specie, del ricorso p r cassazione, del quale costituisce, cosi, parte integrante – oggettivamente realizza e concreta il requisito di specificità della procura, anche in carenza, nella stessa, di testuali riferimenti al giudizio di legittimità (cfr. 5168, 26233, 28227/05, per tutte).

Dal che l’insussistenza, appunto, del preteso profilo di invalidità del mandato difensivo, dal quale la resistente vanamente pretende di desumere l’inammissibilità della odierna impugnazione.

2. ÿ logicamente ancora preliminare, all’esame della questione oggetto di contrasto, sulla ammissibilità o meno di una condanna del difensore alle spese di lite ex articolo 91,92 c.p.c., la soluzione del quesito, negativamente risolto in premessa dalla Corte di merito, in ordine alla eventuale ultrattività del mandato comprendente il potere di impugnazione, rilasciato dalla parte poi defunta, come in questo caso, nel periodo compreso tra la pubblicazione della sentenza di primo grado e la proposizione del gravame.

Evidente essendo che, ove in ipotesi ammessa una tale ultrattività, verrebbe meno la statuizione di inammissibilità dell’appello (per difetto appunto di procura), in correlazione alla quale si pone il problema di individuazione del soggetto soccombente agli effetti del regolamento i elle spese.

Sul punto va condivisa, comunque, la soluzione adottata dalla Corte triestina.

La quale risulta in linea con l’indirizzo di recente espresso da queste Sezioni unite, con sentenza 15783/05, per cui, in assenza di specifica regolamentazione del mandato ad litem, deve trovare applicazione, anche con riguardo allo stesso, la normativa codicistica sulla rappresentanza e sul mandato, avente carattere generale rispetto a quella processualistica, e quindi – per quel che qui interessa – Il principio dettato dall’articolo 1722 n. 4, secondo il quale la morte del mandante estingue il mandato. Con la conseguenza che la regola dettata dall’articolo 300, commi 1 e 2, c.p.c., che attribuisce al procuratore la facoltà di continuare a rappresentare in giudizio la parte che gli abbia conferito il mandato ancorchè defunta dopo la costituzione in giudizio – come pure la regola, di cui all’ultimo comma della stessa norma, che cristallizza il giudizio tra le parti originarie in caso di morte di una di queste verificatasi dopo la chiusura della discussione davanti al Collegio – in quanto costituiscono deroga al su riferito principio generale, vanno contenute entro Il rigoroso ambito, ivi previsto, della fase processuale, appunto, in cui l’evento si è verificato, e pon possono dunque espandersi nella successiva fase di quiescenza e di riattivazione del rapporto processuale.

3. Rimanendo cosi ferma la statuizione di inammissibilità dell’appello dello Z. per difetto di procura, viene ora appunto in rilievo la statuizione conseguenziale di condanna alle spese del gravame, quale adottata dalla Corte triestina nei confronti dell’avv. L. – sul rilievo che il rapporto processuale si sarebbe ?instaurato direttamente fra tale procuratore? (appellante senza mandato) e le controparti – e quale qui ora censurata dal L. con denuncia di plurime violazioni di legge (articoli 83,91,92 c.p.c.; 1218, 2043 Cc; 110 c.p.c.) e vizi di motivazione.

4. Come esattamente rilevato con la su riferita ordinanza interlocutoria, 5447/05, della Sezione prima, sulla questione sottesa agli odierni motivi impugnatori i precedenti di questa Corte di legittimità effettivamente evidenziano un palese contrasto giurisprudenziale, in quanto secondo un primo indirizzo giurisprudenziale (invocato dal ricorrente) l’avvocato non potrebbe mai assumere la qualità di parte del processo e non potrebbe di conseguenza essere destinatario, in base agli articoli 91 e 92 c.p.c., di una pronunzia sulle spese; mentre, secondo altro opposto orientamento (cui si è evidentemente uniformata la sentenza impugnata) ciò sarebbe, invece, possibile, per essere il difensore che ha agito senza valido mandato l’unico contraddittore, nel processo, delle controparti da lui, in questo, evocate.

4.1. In particolare, con le sentenza 3510/1969, 11689/00 e 13898/03 si è, rispettivamente, affermato che:

a) ritenuta l’invalidità della procura ad litem nel rapporto tra parte e procuratore, il giudice deve ritenere non costituita la parte con gli effetti della contumacia o della improcedibilità dell’appello ex articoli 171, 291, 347 e 348 c.p.c., ma «non può derivare l’inverosimile finto effetto di dover considerare parte il procuratore munito del mandato invalido» né tanto meno giustificare la condanna dello stesso in proprio alle spese del giudizio, non potendo in alcun modo riferirsi a lui il concetto di soccombenza;

h) poiché, ai sensi dell’articolo 82, comma 3 c.p.c. le parti (salvo che nel giudizi innanzi al Giudice di Pace) devono stare in giudizio con il ministero di un avvocato regolarmente esercente (condizione questa che si realizza quando il difensore è munito di valida procura), la mancanza di procura ad litem (situazione che comprende sia l’ipotesi della procura invalida, sia l’ipotesi della mancanza di prova che una procura sia stata rilasciata) produce la nullità dell’attività processuale compiuta, da considerare tuttavia pur sempre quale attività posta in essere da una parte (costituita in giudizio senza il ministero del difensore) e le relative sanzioni processuali, quali la nullità o l’inammissibilità dell’impugnazione e cosi via, sono conseguenti alla mancanza dell’atto che assicura alla parte il necessario patrocinio del difensore tecnico e non sono certamente previste per il fatto che, fuori dalle ipotesi consentite dalla legge, sia stato fatto valere nel processo un diritto altrui in nome proprio. Si aggiunge che è principio generale dell’ordinamento quello secondo ?cui non può mai assumere la qualità di parte di un atto il soggetto che agisce nella veste di rappresentante pur non avendone i poteri. Pertanto, in base agli articoli 91 e 92 c.p.c., il de5tinatario della pronuncia sulle spese, nell’ipotesi considerata, non può essere l’avvocato che, appunto, non assume la qualità di parte del processo;

c) in tema di condanna alle spese processuali, premesso che, ai sensi dell’articolo 91 c.p.c., la stessa va pronunciata nei confronti della parte soccombente, deve ritenersi consentita la condanna alle spese nel confronti di chi ha agito quale rappresentante processuale di un altro soggetto senza essere investito del relativo potere, in base al principio per cui un soggetto che agisce in giudizio quale rappresentante di un terzo, pur non essendogli stati conferiti i relativi poteri, assume la qualità di parte, ai fini della pronunzia sulle spese; viceversa, non è possibile la condanna dei suoi difensori, che non hanno assunto, né potevano assumere, veste di parte.

4.2. Con argomentazione a contrario, rispetto a quelle svolte nelle su riferite pronunzie, le sentenze 1780/94, 4462/95; 5955/96, 9561/97 pervengono, invece, alla opposta conclusione che, nella ipotesi considerata, di difetto di valida procura alle liti, parte del giudizio non possa essere altri che il difensore che l’ha instaurato, poiché – in ragione appunto di una siffatta carenza del mandato difensivo,

«l’attività processuale del difensore non può spiegare effetti nella sfera giuridica, della parte, essendo l’atto di conferimento della cosiddetta rappresentanza tecnica – o di designazione del difensore elemento indispensabile della fattispecie legale in forza della quale l’esercizio dello ius postulandi da parte del legale diviene attività della parte» (Così testualmente 1780/94).

Conclusione, questa, in prosieguo ribadita anche nella forma più limitata della attribuibilità di una qualità di parte al difensore (solo) con specifico e circoscritto riferimento alla ?questione pregiudiziale relativa alla presenza – validità della procura?. Nel senso che, nella ipotesi in esame, «il giudice si trova di fronte ad una questione, rilevabile di ufficio, di natura pregiudiziale (idonea a definire il giudizio) che consiste nel vedere se è vero che l’avvocato è munito di procura speciale per il giudizio di cassazione; se si accerta che ciò non è vero, è evidente che a soccombere sulla questione pregiudiziale, che è l’unica questione in base alla quale sarà definito il procedimento (con la declaratoria di inammissibilità del ricorso) è proprio e soltanto l’avvocato che ha sottoscritto e fatto notificare il ricorso ?» (Così 5955/96; 9561/97).

4.3. In due pronunzie del 2003, è stata, per altro, anche prospettata una soluzione intermedia, ammettendosi la condanna alle spese del difensore in caso di inesistenza e non anche in ipotesi di invalidità della procura (sentenze 1115 e 6521). E ciò nella condivisione della tesi, affermata in dottrina, secondo la quale «l’attività processuale svolta sulla base di una procura nulla sia provvisoriamente efficace e perciò riconducibile alla parte sino a quando la nullità non venga dichiarata, dato che in virtù della procura si è comunque instaurato un rapporto processuale con il getto che la procura ha conferito».

5. Ritiene ora questo Collegio che proprio da detto ultimo indirizzo possa utilmente muoversi per risolvere il quesito oggetto di contrasto, ancorandosi, per altro, più propriamente il discrimine tra le due situazioni, non identicamente rilevanti ai fini della statuizione sulle spese, alla circostanza che sia stata, o non, conferita al difensore, che dichiari di agire in rappresentanza di un dato soggetto, procura da parte del medesimo per il processo o la fase del processo cui quell’atto si riferisce.

5.1. Ove manchi, infatti, un siffatto conferimento (come nel caso, ad esempio, di procura inesistente, di una procura falsa, ovvero rilasciata da soggetto diverso da quello che il difensore dichiari di rappresentare o per giudizio, o fase di giudizio, diversa da quelli in cui la rappresentanza è spesa) deve escludersi, in primo luogo, che il processo cosi instaurato possa considerarsi, per ciò stesso, tamquam non esset.

Se cosi fosse neppure sorgerebbe, infatti, nel giudice obbligo alcuno di provvedere, mentre vero è viceversa il contrario, poiché sia pur su iniziativa del falsus procurator un processo è stato comunque attivato, e nei confronti della controparte o delle controparti cosi in esso evocate, il giudice è tenuto a decidere, adottando le statuizioni conseguenziali, appunto, al difetto di procura dell’agente.

E, per altro, deve anche escludersi che, ai suddetti effetti, l’instaurazione del giudizio possa imputarsi al soggetto che non abbia conferito apposito mandato al difensore che abbia, ciò non ostante, dichiarato di rappresentarlo.

Come esattamente, infatti, puntualizzato dalla citata sentenza 1780/94, allorchè manchi la procura, l’attività processuale del difensore non può spiegare effetti nella sfera giuridica della parte, essendo l’atto di conferimento della c.d. rappresentanza tecnica elemento indispensabile della fattispecie legale in forza della quale l’esercizio dello ius postulandi da parte del legale diviene attività della parte.

Con la conseguenza che l’attività del difensore senza procurar se non può riverberare alcun effetto sulla parte, resta attività processuale di cui egli solo assume la responsabilità anche in ordine alle spese.

A tal riguardo, esattamente è stato, ben vero, osservato che quando il difensore agisce in giudizio, e

il fatto stesso che agisce, anche se dichiara di per farlo in nome altrui, il rapporto processuale si costituisce, per intanto in capo a lui ed egli ne diventa (per tal profilo e per tal momento) automaticamente parte, salvo a determinare in seguito quale sia la effettiva realtà del potere di rappresentanza e del diritto sostanziale della parte rappresentata.

Per cui può ben dirsi che, attraverso la domanda sottoscritta dal difensore, prima ancora di quel diritto, viene coinvolta nel giudizio la stessa questione di rappresentanza.

Il che equivale a dire che, nell’ipotesi considerata, il giudice si trova di fronte ad una questione rilevabile di ufficio di natura pregiudiziale (idonea cioè a definirlo) che consiste nel verificare se è vero che l’avvocato è munito di procura, per quel giudizio, come egli afferma nella parte introduttiva dell’atto di impulso processuale e come la legge, del resto, gli impone (articolo 83 c.p.c.).

Con la conseguenza, appunto, che se si accerta che ciò non è v o, è evidente che a soccombere sulla questione pregiudiziale, , che è l’unica questione in base alla quale sarà definito U procedimento (con la declaratoria di correlativa inammissibilità) è proprio e soltanto l’avvocato che ha sottoscritto e fatto notificare l’atto introduttivo del giudizio – e che, nei confronti del giudice e delle controparti, afferma di essere munito di procura -; e non certo il soggetto da lui nominato (che, se non ha conferito la procura, nulla può avere affermato in proposito).

5.2. Diversamente, ove una procura alla lite sia stata di fatto conferita al difensore dalla parte in nome della quale egli dichiari di agire e tale procura risulti per qualche ragione invalida o non più efficace (come nel caso appunto, di cui retro sub n. 2, di mandato rilasciato anche per l’eventuale appello, con l’atto introduttivo del giudizio, da soggetto non più però in vita alla data di proposizione del gravame da parte del difensore) è il soggetto che ha conferito la procura nulla (o, in caso di sopravvenuto suo decesso, l’erede di lui) che assume la qualità di ?parte? ? ai sensi degli articoli 83 ss c.p.c., che riferiscono tale qualità al soggetto che ?sta in giudizio che è quello che deve conferire al difensore la procura.

Ed è tale soggetto, appunto, e non il suo difensore, che, in tal caso, in base al principio della causalità deve (salvo compensazione) essere condannato alle spese che la controparte ha dovuto affrontare per fare

accertare il vizio di un atto indispensabile alla ritualità del rapporto processuale. Rapporto che, fino

all’accertamento della invalidità o inefficacia della procura, si è di fatto, comunque, instaurato con il soggetto che quella procura ha conferito.

6. La questione oggetto di contrasto va pertanto risolta con l’affermazione del principio per cui, in materia di disciplina delle spese processuali, nel caso di azione o impugnazione promossa dal difensore senza effettivo conferimento della procura da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire nel giudizio o nella fase di giudizio di che trattasi (sulla base dunque di una procura inesistente o, ad esempio, falsa, o rilasciata da soggetto diverso da quello dichiaratamente rappresentato o per processi o fasi di processo diverse da quello cui l’atto è speso), l’attività del difensore non riverbera alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità e, conseguentemente, è ammissibile la sua condanna a pagare le spese del giudizio; diversamente, invece, nel caso di invalidità o sopravvenuta inefficacia della procura ad litem non è ammissibile la condanna del difensore alle spese del giudizio, in quanto l’attività processuale è provvisoriamente efficace e la procura, benché sia nulla o invalida, è tuttavia idonea a determinare l’instaurazione di un rapporto processuale con la parte rappresentata, che assume la veste di potenziale destinataria delle situazioni derivanti dal processo.

7. Nella specie, il difensore ha appellato la sentenza di primo grado non in mancanza di apposita procura ma sulla base di un mandato a suo tempo conferitogli dalla parte dichiaratamente da lui rappresentata e solo in prosieguo divenuto inefficace per la sopravvenuta morte di questa. Pertanto, alla luce dell’enunciato principio, mentre risulta corretta la statuizione di inammissibilità della impugnazione, per vizio della procura spesa con l’atto di appello, non corretta è, invece, la condanna alle spese di lite pronunciata nei diretti confronti del difensore della parte soccombente.

Dal che la fondatezza, in questi limiti, dell’odierno ricorso per cassazione.

8. La sentenza impugnata va, per questa parte, pertanto cassata, con rinvio della causa alla stessa Corte di appello, in diversa composizione, perché pronunci sulle spese attenendosi al principio di cui sopra.

9. Possono compensarsi tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione, in ragione appunto del contrasto di giurisprudenza in ordine alla questione tra le stesse dibattuta.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta e rinvia la causa alla Corte di Trieste in diversa composizione. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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