Corte Suprema di Cassazione – Penale Sezione III Sentenza n. 12551 del 2006 deposito del 12 luglio 2006

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Rileva in fatto

Le indagini hanno preso avvio a seguito della trasmissione su più cellulari di un video che ritraeva un rapporto sessuale tra una giovanissima studentessa e una persona non visibile in volto ma presumibilmente di giovane età.

La giovane è stata quindi identificata in P.S., di poco superiore a tredici anni di età. Il Pubblico Ministero, coadiuvato da ausiliari, ha dato corso ad una vasta attività di indagine; anche attraverso le dichiarazioni della giovane, l’acquisizione di materiale informatico (tra cui messaggi via e – mail e mediante canali informatici di comunicazione) e di traffico cellulare (tra cui messaggi "sms"), nonché l’assunzione delle dichiarazioni di molte persone appartenenti all’ambiente frequentato dalla stessa ragazza e persone incaricate di consulenza, si è giunti a ricostruire una serie di rapporti sessuali che la ragazza avrebbe avuto con un numero non modesto di ragazzi e che sarebbero stati caratterizzati da forme di abuso e di vera e propria costrizione.

Sulla base del materiale probatorio raccolto il Pubblico Ministero ha richiesto l’emissione di misure cautelari nei confronti di dodici giovani aventi minore età, tenendo presente che dagli atti risulta anche l’esistenza di indizi di reità a carico di alcuni maggiorenni.

Con provvedimento del 15 febbraio 2007 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i Minorenni ha accolto parzialmente le richieste del Pubblico Ministero, respingendole per nove indagati, tra cui l’odierno ricorrente, disponendo nei confronti degli altri tre indagati la permanenza domiciliare in un caso e differenti misure prescrizionali in due casi.

Con atto del 24 febbraio il Pubblico Ministero ha proposto appello davanti al Tribunale per i Minorenni avverso tale ordinanza, ai sensi dell’art. 310 c.p.p..

Con ordinanza del 12 marzo 2007 il Tribunale per i Minorenni, decidendo sull’appello del Pubblico Ministero, ha applicato a A.G. alcune prescrizioni consistenti, tra l’altro, in limiti di permanenza fuori dell’abitazione, nel divieto di portare telefoni cellulari fuori di essa, nel divieto di avvicinare la persona offesa, nell’obbligo di partecipare ad attività di volontariato nel giorno di domenica.

Il Tribunale sembra fondare la misura sulla sussistenza di gravi indizi del solo reato previsto dall’art. 600 – ter c.p., e di esigenze cautelari ancora attuali.

La difesa di A.G. ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di applicazione delle misure, lamentando "Manifesta illogicità della ordinanza, erronea applicazione dell’art. 600 – ter c.p., e art. 98 c.p., inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 273 c.p.p.".

In particolare si lamenta:

a) violazione dell’art. 98 c.p., per essere del tutto carente la motivazione circa l’esistenza in A. della capacità di intendere e volere, venendo, anzi, rappresentati nel corso della motivazione elementi di dubbio che il Tribunale non scioglie;

b) errata applicazione dell’art. 600 – ter c.p., posto che la ripresa sul telefono cellulare e la diffusione tra amici del video che riprendeva il rapporto sessuale cui partecipava la persona offesa non integra gli estremi né della "utilizzazione" del minore né della "induzione di minore a partecipare". Osserva, altresì, il ricorrente che la videoripresa di un rapporto sessuale tra minorenni consenzienti esula dal campo di applicazione dell’art. 600 – ter c.p., reato che ha per oggetto la repressione della pornografia minorile e che risponde ad una ratio ben diversa da quella prospettata dalla pubblica accusa ed accolta dal Tribunale per i minorenni in danno di A.G..

Osserva in diritto

1. La Corte avverte l’esigenza, in via preliminare, di ricordare il costante indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’iniziale o parziale consenso della persona in favore di rapporti sessuali non legittima condotte che vadano oltre, per modalità o intensità, il consenso prestato, così che in campo sessuale non può invocarsi la presunzione del consenso ed assumono carattere illecito gli atti compiuti al di fuori della sfera di reciproca accettazione (tra le altre, si vedano Sezione Terza Penale, sentenza n. 16292 del 7 marzo – 12 maggio 2006, Rv. 234171, e sentenza n. 25727 del 24 febbraio – 9 giugno 2004, Rv. 228687).

Tale principio, connaturato alla tutela della, dignità e libertà della persona, trova applicazione anche con riferimento alle condotte poste in essere da persone minori di età, ovviamente con riferimento ai limiti di età previsti per la persona offesa e nei casi in cui venga accertata la capacità dell’autore del reato di comprendere il disvalore del fatto (art. 98 c.p.).

L’esigenza per la Corte di richiamare questo fondamentale principio si pone in relazione, considerata l’età della persona offesa, infraquattordicenne, ad alcuni passaggi motivazionali dell’ordinanza impugnata e, più ancora dell’ordinanza emessa il 15 febbraio 2007 dal Giudice per le indagini preliminari sulla iniziale richiesta del Pubblico ministero.

2. Sarà compito del giudizio di merito accertare il percorso emotivo e volitivo che ha portato la persona offesa, dopo il primo rapporto sessuale con M., ad avere nuovi e ripetuti rapporti con un numero elevato di giovani, ma non può la Corte non prender atto della circostanza che lo stesso G.I.P. ebbe ad applicare a M. la misura della custodia domiciliare in relazione alla ipotesi di reato prevista dall’art. 609 – bis c.p., così riconducendo il primo rapporto di una ragazzina di neppure quattordici anni all’interno di un episodio di violenza sessuale.

Spetterà ancora al giudizio di merito analizzare i singoli episodi e verificarne approfonditamente le caratteristiche, ma la Corte non può fare a meno di rilevare che sembra fuori dubbio che in più occasioni la persona offesa si trovò (anche prescindendo dalle modalità con cui tale situazione fu determinata) in luoghi pubblici appartati avendo attorno a sé un numero consistente di giovani, tutti di sesso maschile, che insistentemente le chiedevano di praticare rapporti sessuali e che si erano dati appuntamento e quindi organizzati per evitare il sopraggiungere di estranei. E tale constatazione ha evidenti riflessi anche sulla valutazione del reato ex art. 600 – ter c.p., come contestato a A.G..

Spetterà sempre al giudizio di merito verificare quali livelli di pressione ambientale e quali margini di libera determinazione abbia conosciuto una giovane di neppure quattordici anni all’interno di una realtà socialmente ristretta in cui si era sparsa (a torto o ragione) la voce che fosse una ragazzina "disponibile", ma la Corte non può fare a meno di rilevare – con osservazione che riverbera effetti sui motivi di ricorso – che le azioni "collettive" poste in essere dagli indagati appaiono oggettivamente degradanti nei confronti della persona offesa e dimostrano l’assoluta frattura fra i rapporti sessuali e qualsiasi coinvolgimento di tipo affettivo – sentimentale, così riducendo la giovane a mero strumento di piacere, esibito e condiviso, con modalità di azione di cui qualunque giovane è oggi in grado di apprezzare il significato sociale e personale, fatti salvi gli approfondimenti che il giudizio di merito effettuerà sui singoli indagati. Sarà, dunque, compito del giudizio di merito verificare quale apporto di consapevole volontà (alla luce del livello di maturità personale che sarà accertato) la giovane abbia dato al verificarsi di questa situazione nelle sue linee generali e nei singoli episodi che la compongono.

3. Ciò detto in via preliminare, questa Corte è oggi chiamata a valutare se le prescrizioni applicate dal Tribunale per i minorenni a A.G. trovino fondamento in esigenze cautelari attuali con riferimento all’unico reato per il quale è stata ritenuta la sussistenza di gravi indizi (art. 600 – ter c.p.).

4. Con riferimento al primo motivo di doglianza, e cioè al mancato accertamento della sussistenza dei presupposti fissati dall’art. 98 c.p., la Corte rileva che anche su questo punto l’ordinanza del Tribunale appare di scarsa chiarezza espositiva. Premette, correttamente, il Tribunale (pag. 16) che l’assenza di una indagine psicologica sull’indagato costituisce un limite dell’accertamento, aggiungendo che le indagini svolte in questa direzione dai servizi sociali dopo l’applicazione delle prime misure hanno avuto durata troppo breve per dare risposte certe.

Quest’ultima considerazione, peraltro non adeguatamente approfondita, deve essere letta, a parere della Corte, assieme alla successiva parte motivazionale, in cui il Tribunale da atto che per gli indagati non si ravvisano "traumi fisici o psichici che ne abbiano rallentato o addirittura fermato il processo di maturazione". Va considerato, a tale proposito, che in sede di misure cautelari, fase che si connota per urgenza di intervento, non può essere richiesto il livello di approfondimento probatorio che è proprio del giudizio di merito, essendo sufficiente la presenza di indizi coerenti e significativi circa i presupposti anche soggettivi del reato.

Sembra, dunque, doversi ritenere che il Tribunale abbia valutato che per A.G. sussista un sufficiente grado di maturità, individualmente valutato, che non sembra negato dalle successive considerazioni di ordine generale e di natura sociologica circa la "tempesta tecnologica" che oggi si abbatterebbe sui giovani e circa il permanere di dubbi di ordine generale sulla loro capacità di distinguere il lecito dall’illecito. Resta, peraltro, incomprensibile alla Corte quali conclusioni il Tribunale abbia inteso raggiungere sul punto con il secondo capoverso di pag. 17 (dalle parole "Queste considerazioni" a "età evolutiva").

5. Per quanto concerne le censure mosse dal ricorrente all’ordinanza nella parte in cui ritiene sussistere il fumus del reato previsto dall’art. 600 – ter c.p., la Corte rileva che la motivazione si è concentrata sulla gravità degli indizi e sulla ricostruzione della condotta di A.G. (pagine 13 e 14), dedicando alla qualificazione giuridica del fatto soltanto brevi passaggi.

Dopo avere premesso che il Pubblico Ministero ha fondatamente evidenziato nell’atto di appello l’errore in cui è incorso il G.I.P. allorché ha preso in esame il testo della disposizione ante riforma del 2006 (L. 6 febbraio 2006, n. 38), l’ordinanza impugnata osserva che non vi è ragione per escludere i minori di età dal novero dei possibili autori del reato dell’art. 600 – ter c.p..

Passando, poi, al contenuto ed alla "ratio" della fattispecie, l’ordinanza rileva che la sostituzione del verbo "sfruttare" con il verbo "utilizzare" è segno inequivoco della volontà del legislatore di ampliare la sfera della tutela penale.

Entrambe le affermazioni possono, pur nella loro sinteticità, essere condivise, mentre assai più problematica è la comprensione del periodo successivo della motivazione, ove si afferma che "l’utilizzo è proprio dei beni inanimati e privi di qualsiasi facoltà di scelta e discriminazione" e che, tuttavia, il reato può essere integrato anche in danno di persona in quanto "nella fattispecie concreta, questa pur ridotta capacità (del minore) può essere del tutto annullata per ignoranza di ciò che avviene o incapacità di determinarsi a contrastare il comportamento sanzionato". Si tratta di affermazione cui la Corte ritiene di attribuire il significato di identificare la condotta attiva del reato nel fare uso di una persona che si trova oppure è messa in condizioni di non dare un proprio apporto volontario, vuoi per mancanza di comprensione vuoi per incapacità di resistere, così che essa diventa per l’agente un mero strumento (privo di personalità autonoma) per il raggiungimento delle finalità che suo tramite intende soddisfare.

Così intesa, la motivazione dell’ordinanza appare meritevole di apprezzamento, nei limiti che saranno di seguito precisati.

6. Osserva il ricorrente che, pur all’interno della nuova formulazione della norma, la fattispecie prevista dall’art. 600 – ter c.p., non intende sottoporre a sanzione comportamenti sostanzialmente privati (si veda il richiamo sotto tale profilo alla sentenza n. 13/2000 delle Sezioni Unite Penali, P.M. in proc.), e cioè, sembra di capire, comportamenti riconducibili a videoriprese destinate a rimanere confinate in una cerchia ristretta, tanto più se si è in presenza di condotte commesse tra minori di età.

A parere della Corte, tale impostazione non è condivisibile se esposta nei termini assoluti utilizzati dal ricorso: essa svuoterebbe di significato la riforma del 2006 e riprodurrebbe presupposti che, nei fatti, riconducono al concetto di sfruttamento.

Ed infatti, mentre l’introduzione dell’art. 600 – ter c.p., nel Codice Penale (L. 3 agosto 1998, n. 269), si caratterizzava per la lotta allo "sfruttamento" dei minori per finalità di pornografia, la L. n. 38 del 2006, (entrata in vigore prima dei fatti di causa) ha inteso eliminare le difficoltà ricostruttive e valutative connesse alla rigidità dell’originaria formulazione ed ampliare la sfera di tutela, e lo ha fatto sostituendo al comma 1, il termine "sfrutta" con quello di "utilizza", aggiungendo al comma 3, il verbo "diffonde", modificando il comma 4, ed aggiungendo il comma 5, e u.c.. Il risultato è una norma che nel suo complesso mira a sanzionare non soltanto le attività commerciali o comunque a sfondo economico che si relazionano a condotte pornografiche coinvolgenti minori, ma anche le condotte che comunque danno origine a materiale pornografico in cui sono utilizzate persone minori di età. Già sotto la vigenza della L. n. 269 del 1998, le Sezioni Unite (Sezioni Unite Penali, 31 maggio – 5 luglio 2000, n. 13, P.M. in proc., Rv. 216337) avevano chiarito che il concetto di "sfruttamento" non può essere limitato a condotte aventi finalità imprenditoriale o commerciale e ricomprende ogni ipotesi in cui si "trae frutto o utile", come dimostrerebbe l’espressione "sfruttamento sessuale" prevista dal testo allora vigente del successivo comma 4. Non appare, dunque, conferente al caso in esame il riferimento operato dal ricorrente alla citata decisione delle Sezioni Unite, che si ricorda è anteriore alla L. n. 38 del 2006, soprattutto nella parte in cui essa esamina la condotta di chi si limita a detenere per sé fotografie di contenuto pornografico per ragioni "affettive". Si consideri, a tale proposito, che la mera disponibilità di materiale pornografico era prevista e sanzionata dall’art. 600 – quater c.p., nel testo introdotto nel 1998, e che tale articolo è stato modificato dalla L. del 2006, con il nuovo riferimento alla condotta di "detenzione".

La citata decisione delle Sezioni Unite deve, piuttosto, essere richiamata, a parere della Corte, per un diverso e importante principio, che conserva la sua validità anche dopo le modifiche del 2006: il reato previsto dall’art. 600 – ter c.p., è fattispecie di pericolo concreto che predispone una "tutela penale anticipata della libertà sessuale del minore".

7. Ritiene, in sostanza questa Corte che il reato previsto dall’art. 600 – ter c.p., intenda fissare per i minori una tutela anticipata rispetto ai rischi connessi a documentazione di carattere pornografico, sanzionando, indipendentemente da finalità di lucro o di vantaggio, anche la mera "utilizzazione" e la mera "induzione" a partecipare. Si tratta, infatti, di azioni di per sé degradanti e connotate da profondo disvalore, oltre che pericolose per la successiva eventuale diffusione che il materiale cosi prodotto o raccolto può conoscere.

Ritiene, poi, che il medesimo reato ricomprenda anche le azioni compiute da minori e tra minori, allorché sussistano tutti gli altri elementi costitutivi della fattispecie.

Queste affermazioni meritano di essere ulteriormente approfondite.

8. L’art. 600 – ter c.p., fin dalla sua formulazione originaria ha come oggetto la tutela e la protezione del minore in vista del suo "sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale". Si tratta di scelta del legislatore (si veda la citata L. n. 269 del 1998, art. 1), che la giurisprudenza ha fatto propria, chiaramente affermando che la tutela si dirige alla difesa del minore "da ogni forma di sfruttamento sessuale in vista del suo completo sviluppo sotto tutti gli aspetti" (il riferimento è alla citata sentenza delle Sezioni Unite, e alla successiva decisione della Sezione Terza Penale, 29 maggio 2002).

Depone in tal senso anche la scelta del legislatore del 1998 di non attribuire rilievo né al consenso eventualmente prestato della persona minore di età, né al limite di quattordici anni previsto in materia di atti sessuali.

Il chiaro dettato normativo e la collocazione delle nuove fattispecie incriminatrici nell’ambito dei delitti contro la libertà individuale non lasciano dubbi circa il fatto che il bene giuridico tutelato sia la libertà della persona nella sua accezione più ampia, così che vengono represse tutte le condotte e le situazioni che attentano allo stato della persona e che rischiano di comportare, secondo un acuto commento, "l’annientamento della stessa personalità dell’individuo". Va, dunque, escluso che la finalità principale dell’intervento normativo possa identificarsi nella tutela di beni quali la moralità pubblica o il buon costume.

In questa prospettiva devono essere collocate la modifiche apportate alle norme codicistiche dalla L. n. 38 del 2006, legge che dà attuazione alla Decisione Quadro n. 2004/68/GAI (G.U.C.E. n. 13/44 del 20 gennaio 2006) e che mira a reprimere in maniera rafforzata e coordinata le forme di pornografia minorile.

9. Nella chiarezza del suo testo e della sua "ratio", la legge impone all’interprete di assumere come prospettiva prioritaria la posizione del singolo minore oggetto di comportamenti che attentano alla sua libertà ed al libero sviluppo della sua personalità. Rispetto a tale prospettiva vengono in luce due diverse situazioni di offesa.

La prima è rappresentata dal solo fatto che il minore come persona (e questo costituisce elemento che differenzia la presente fattispecie da quella che si occupa della pornografia minorile "virtuale", art. 600 – quater 1 c.p.), venga utilizzato o indotto a partecipare alla creazione di materiale pornografico ed alla realizzazione di spettacoli aventi analoga natura. Già tali condotte, con il loro carattere di oscenità e, in molti casi, di vera perversione, comportano una offesa gravissima allo sviluppo della personalità del minore, tanto maggiore quanto più costui è lontano da uno stadio minimamente strutturato di maturità e di sviluppo.

La seconda, che può rappresentare uno sviluppo della precedente, è costituito dalle diverse forme di diffusione del materiale pornografico ottenuto mediante la utilizzazione di persone minori di età.

10. L’art. 600 – ter c.p., nella sua attuale formulazione contiene plurime disposizioni che risultano organizzate secondo un ordine gradato di gravità dei fatti e di trattamento sanzionatorio.

Il comma 1, contiene la disposizione relativa alle condotte che il legislatore considera più gravi (e punisce con pena fissata nel minimo in sei anni di reclusione): la "produzione" di materiale pedopornografico o di spettacoli aventi la stessa natura effettuata coinvolgendo persone minori di età, che vengono "utilizzate" oppure "indotte" a partecipare. Questa Corte ha poco sopra espresso la convinzione che il termine "utilizzare" comporti la degradazione del minore ad oggetto in sostanza manipolato, il cui eventuale consenso non assume valore esimente proprio perché la persona minore di età, tanto più se lontana dal limite dei diciotto anni, necessita, rispetto a fatti di questa natura, di una tutela anticipata e rafforzata. Analoga la logica sottesa al verbo "indurre".

Del tutto simile la impostazione che caratterizza il comma 2, che punisce con medesima sanzione le condotte di commercializzazione del materiale descritto al comma che precede. Il comma 3, si concentra su condotte ritenute meritevoli di un trattamento sanzionatorio meno pesante (reclusione da uno a cinque anni); si tratta di condotte di divulgazione di materiale pornografico compiute al di fuori de, e quindi senza collegamento con, le ipotesi previste dai commi 1 e 2. Le condotte punite consistono nel distribuire, divulgare, diffondere o pubblicizzare il materiale pornografico. Una divulgazione a più soggetti, dunque, che, senza essere di necessità una divulgazione indiscriminata, si dirige ad una platea ampia potenzialmente non controllata o controllabile di destinatali. La differenza terminologica con il comma successivo non lascia dubbi su questo punto.

Ancora più lievi, infatti, le sanzioni previste dal successivo quarto comma (pena della reclusione fino a tre anni) per la condotta di chi, senza concorrere nelle fattispecie precedenti, a qualunque titolo offre o cede ad altri il materiale pornografico di cui al comma 1. Si tratta con ogni evidenza di condotta meno pericolosa e offensiva di quella prevista dal comma terzo, e ciò in quanto il trasferimento (o anche la mera offerta) del materiale avviene in favore di persone determinate ed individuate, con ciò riducendo i rischi di diffusione del materiale.

11. Il testo del comma 1, si compone di un insieme di vocaboli e di espressioni che connotano la fattispecie di reato con caratteristiche di non occasionalità e di finalizzazione. Sembra, cioè, che non qualsiasi condotta consistente nella realizzazione di materiale avente carattere oggettivamente pornografico possa essere ricondotta, alla ipotesi qui prevista per il solo fatto che vede come protagonista una persona minore di età. I concetti di "produzione" e di "esibizione", infatti, pur non richiedendo come necessaria la presenza di finalità commerciali o lucrative, sembrano tuttavia richiedere l’inserimento delle condotte in un contesto di almeno embrionale organizzazione e di destinazione alla successiva fruizione anche potenziale da parte di terzi. Non altrimenti si comprenderebbe la previsione di un identico trattamento sanzionatorio da parte del comma 2, per l’ipotesi di commercializzazione del materiale pornografico.

Ciò non significa affatto che la realizzazione di un unico prodotto o di un’unica esibizione non possa integrare la fattispecie criminosa quando, per modalità e caratteristiche, la condotta presenti i caratteri di pericolosità e di offensività che si pongono a fondamento dell’intervento sanzionatorio.

12. La Corte ritiene opportuno osservare che l’assenza di una disposizione che preveda la riduzione del pesante trattamento sanzionatorio previsto dai commi 1 e 2, in presenza di fatti che si presentano in concreto di contenuta gravità rispetto all’interesse tutelato e, al contrario, la previsione di una specifica aggravante collegata, per i commi 3 e 4, alla quantità del materiale prodotto, appaiono elementi indicativi della volontà del legislatore di concentrare con i primi due commi l’attenzione sulle condotte intrinsecamente non occasionali e potenzialmente diffuse e diffusive.

13. E, tuttavia, come si è già sottolineato, sarebbe errato guardare esclusivamente ai fenomeni di utilizzazione anche solo potenzialmente "industriale" dei minori nel settore pedo- pornografico dimenticando l’esigenza di tutela del singolo minore rispetto a condotte che assumono, per lui e indipendentemente dalle scelte e dalle finalità del soggetto agente, i connotati di degradante utilizzazione della persona e di successiva pericolosa diffusione del materiale: condotte che comunque ne offendono la dignità e possono prevedibilmente comportare una ferita gravissima per un suo equilibrato sviluppo personale e per un suo positivo inserimento sociale. Ciò significa che anche il singolo episodio, ove possieda le caratteristiche previste dall’art. 600 – ter c.p., può integrare una delle fattispecie previste da ciascuno dei diversi commi di cui l’articolo si compone.

14. Rispetto a queste esigenza di tutela, che è stata sopra definita "rafforzata e anticipata", non vi è alcuna ragione per ritenere che le condotte punite dall’art. 600 – ter c.p., non possano avere come autore una persona minore di età. Non solo perché la norma non introduce alcuna limitazione in tal senso, ma anche perché il paragone con la disposizione contenuta nell’art. 609 – quater c.p., comma 3, non regge ad un esame critico.

In primo luogo è il caso di considerare che la mancata previsione da parte dell’art. 600 – ter c.p., di una clausola di salvaguardia simile costituisce elemento contrario alla tesi della difesa: dove il legislatore ha voluto dare rilievo all’età dell’agente ed alla relazione con l’età della persona offesa, lo ha fatto.

In secondo luogo deve considerarsi che tale differenza di regime risponde ad una logica convincente. Mentre per i rapporti sessuali, che rappresentano in sé una fisiologica espressione della personalità, il legislatore ha inteso evitare l’intervento penale in caso di rapporti tra due minori che presentano condizioni personali simili, del tutto diversa è la situazione in caso di condotte che presuppongono sia una offesa alla dignità del minore coinvolto in realizzazioni pornografiche sia una evidente situazione di sproporzione nella posizione di forza dei soggetti coinvolti.

A tale proposito va rilevato che nel corso dei lavori parlamentari che portarono all’approvazione della L. n. 38 del 2006, erano state presentate proposte volte ad introdurre alcune cause di non punibilità. Una proposta mirava a rendere non punibile la formazione di materiale pornografico posta in essere da due minorenni tra loro consenzienti purché il materiale restasse nella esclusiva disponibilità dei soli protagonisti, essendo pacifico che avrebbe conservato piena rilevanza penale la eventuale diffusione di tale materiale da parte del partner della persona minorenne "utilizzata".

La circostanza che queste proposte non siano state recepite nel testo finale della legge appare alla Corte come una conferma delle conclusioni fin qui raggiunte.

15. Passando così all’esame del caso di specie, non c’è dubbio che A.G. non si limitò a riprendere il rapporto sessuale per farne un utilizzo privato, ma dette ad esso una diffusione destinata ad ampliarsi, essendo evidente, o chiaramente prevedibile, che un "materiale" di quella natura sarebbe stato dai destinatari iniziali ulteriormente diffuso, con conseguente perdita di controllo del meccanismo di pubblicità avviato. Trasmettere una videoripresa di contenuto pornografico a più persone attraverso il telefono cellulare potenzia il carattere diffusivo della trasmissione, facilmente moltiplicabile da ciascuno dei destinatari. La circostanza, sottolineata dalla difesa, che alcuni dei giovani coinvolti avrebbero utilizzato con i loro amici l’esistenza della videoripresa quale "prova" della effettività dei rapporti sessuali non elimina affatto il disvalore oggettivo della ripresa e della sua utilizzazione.

Ritiene la Corte, piuttosto, che debba essere evidenziata la gravità oggettiva delle conseguenze che la diffusione e la pubblicizzazione della ripresa hanno avuto sulla vita familiare e di relazione della persona offesa e sul probabile sviluppo della sua personalità. Tali conseguenze appaiono la dimostrazione più evidente dei pericoli insiti in questo tipo di condotte e della esigenza che il legislatore ha avvertito di procedere mediante forme di tutela rafforzata e anticipata.

16. Alla luce dei principi sin qui affermati, la motivazione dell’ordinanza impugnata risulta carente e meritevole di annullamento. Le diverse caratteristiche delle fattispecie criminose previste dall’art. 600 – ter c.p., richiedono che il giudice individui con chiarezza quale di esse ritiene applicabile al caso concreto sulla base dei fatti per cui esistono indizi o prove di commissione da parte dell’indagato, e che di questa valutazione sia dato specifico conto in motivazione. Si tratta, per di più, di decisione che assume particolare rilievo con riferimento ai requisiti di emissione delle misure cautelari, attese le rilevanti differenze nell’entità delle sanzioni previste per ciascuna ipotesi di reato.

17. All’annullamento consegue, ai sensi dell’art. 623 c.p.p., comma 1, lett. a), la trasmissione degli atti al giudice che ha emanato il provvedimento.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale per i Minorenni di Ancona.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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