Corte Costituzionale, Sentenza n. 177 del 2005, In tema di inammissibilità di conflitti Stato-Regioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 4 ottobre 2002 e depositato il successivo 16 ottobre, la Regione Siciliana ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento al decreto del direttore dell’Agenzia del demanio in data 19 luglio 2002, che – in applicazione dell’art. 1, comma 1, del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351 (Disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 23 novembre 2001, n. 410 – ha individuato come appartenenti al patrimonio indisponibile o disponibile dello Stato, inserendoli nell’elenco di cui all’allegato “A”, taluni immobili siti nel territorio della Regione.

La ricorrente – pur riservandosi di proporre il ricorso amministrativo previsto dall’art. 3 del decreto impugnato per la rivendica di specifici beni – ritiene che il medesimo decreto lede le attribuzioni regionali e viola l’art. 33 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione Siciliana), il d.P.R. 1° dicembre 1961, n. 1825 (Norme di attuazione dello statuto della Regione Siciliana in materia di demanio e patrimonio) e il principio costituzionale di leale cooperazione.

Premessa l’ammissibilità del conflitto di attribuzione contro atti dell’Agenzia del demanio, nel merito la Regione pone in rilievo come le norme statutarie che le attribuiscono i beni patrimoniali dello Stato esistenti sul suo territorio siano operative dalla loro entrata in vigore, e perciò idonee a modificare lo stato di diritto preesistente e a sostituire un soggetto ad un altro nella titolarità dei beni stessi, senza bisogno di ulteriori provvedimenti statali o regionali.

A sostegno di tali conclusioni la ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’inclusione dei beni statali (assegnati dallo statuto alla Regione) negli elenchi di cui all’art. 5 delle citate norme di attuazione ha carattere meramente ricognitivo, in quanto presuppone il trasferimento, onde la «non esclusiva» spettanza allo Stato della potestà di individuare siffatti beni rende necessario, in conformità al principio costituzionale di leale cooperazione, acquisire sulle relative determinazioni l’intesa con la Regione. E, finché l’individuazione dei beni non sia completata, ogni determinazione amministrativa sugli immobili già statali siti nel territorio regionale richiede un atto ricognitivo paritetico.

2. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ed ha concluso per il rigetto del ricorso.

In particolare, a suo avviso, l’iscrizione degli immobili di cui sopra negli elenchi previsti dalle citate norme di attuazione dello statuto ha natura costitutiva, onde prima dell’iscrizione i beni stessi rimangono nel patrimonio statale e ben possono formare oggetto di individuazione da parte dello Stato, salva la possibilità di un loro futuro trasferimento alla Regione con l’apposita procedura. Ove invece il decreto impugnato individuasse beni già trasferiti alla Regione, la pretesa della ricorrente si risolverebbe in un’inammissibile rei vindicatio.

3. – Con ricorso notificato il 5 ottobre 2002 e depositato il successivo 22 ottobre, la Regione Sardegna ha proposto un distinto conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento al medesimo decreto del direttore dell’Agenzia del demanio in data 19 luglio 2002, chiedendone (previa declaratoria di non spettanza del relativo potere al Ministero dell’economia e delle finanze ed all’Agenzia) l’annullamento nella parte in cui inserisce nell’elenco dei beni dello Stato di cui all’allegato “A” taluni immobili siti in territorio sardo, divenuti di proprietà regionale ai sensi dell’art. 14 dello statuto speciale (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3), che attribuisce alla Regione i beni dello Stato siti in Sardegna per i quali la connessione con servizi di competenza statale sia cessata, anche dopo l’entrata in vigore dello statuto.

Osserva la ricorrente che, nonostante tale normativa di rango costituzionale, né il Ministero delle finanze né l’Agenzia del demanio hanno mai trasferito alla Regione il possesso dei beni inseriti nel citato elenco, non più connessi con servizi di competenza statale; al riguardo, essa rileva che l’ex caserma “Carlo Alberto”, denominata “Griffa”, è stata nel 1975 ceduta in godimento, contro il pagamento di un canone, dallo Stato al Comune di Cagliari (che l’ha destinata ad «alloggio per sfrattati e senza tetto») e il compendio immobiliare situato in Cagliari, località San Bartolomeo, è ancora gestito dallo Stato, pur non essendo più connesso a servizi statali a seguito dei contratti stipulati fin dal 1968 con diverse persone fisiche e giuridiche. E chiede che questa Corte, oltre all’impugnato decreto, annulli – per contrasto con gli artt. 6 e 14 dello statuto – le convenzioni relative a tali immobili, e tutti gli altri atti di gestione concernenti beni inseriti nell’elenco, pur se già passati al patrimonio regionale perché non più connessi con servizi statali.

Secondo la ricorrente, infine, sussistono gli estremi del conflitto di attribuzione, giacché si controverte sulla pertinenza di taluni beni al demanio regionale anziché a quello statale, e sulla spettanza alla Regione delle funzioni di attuazione delle ricordate norme statutarie.

4. – Anche in questo giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, ed ha concluso per l’inammissibilità e, comunque, per l’infondatezza del ricorso.

Quanto all’inammissibilità, ritiene che la Regione abbia proposto una mera vindicatio rerum, non deducendo menomazioni di poteri o funzioni, ma limitandosi a rivendicare la proprietà di immobili, che assume ad essa trasferiti ope legis, presupponendo che la loro inclusione nel decreto impugnato ne attribuisca invece la proprietà allo Stato. Ulteriore profilo di inammissibilità è poi ravvisato nella tardività del ricorso, in riferimento a precedenti atti statali di disposizione o gestione, non tempestivamente impugnati.

Nel merito, ritiene il ricorso infondato, in quanto non risulta che gli immobili rivendicati dalla ricorrente siano compresi negli elenchi di cui all’art. 39 del d.P.R. 19 maggio 1949, n. 250 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Sardegna); mentre quelli inclusi nel decreto impugnato o sono ancora destinati ad uso governativo o sono pervenuti allo Stato dopo l’entrata in vigore dello statuto speciale.
Considerato in diritto

1.– La Regione Siciliana e la Regione Sardegna hanno proposto due conflitti di attribuzione nei confronti dello Stato, in riferimento al decreto del Direttore dell’Agenzia del demanio in data 19 luglio 2002, che (nell’allegato “A”) individua come appartenenti al patrimonio dello Stato taluni beni immobili esistenti nei rispettivi territori.

La Regione Siciliana ritiene che il decreto in esame leda le proprie attribuzioni, violando l’art. 33 dello statuto speciale e le norme di attuazione in materia di demanio e patrimonio, approvate con d.P.R. 1° dicembre 1961, n. 1825, nonché il principio costituzionale di leale cooperazione; e ne chiede l’annullamento nella parte relativa ai beni siti sul suo territorio. In particolare, sostiene che le citate disposizioni – immediatamente operative sin dall’entrata in vigore dello statuto – hanno sostituito la Regione allo Stato nella titolarità dei beni ad essa assegnati, senza necessità di ulteriori atti.

Dal canto suo, la Regione Sardegna afferma che l’elenco allegato all’impugnato decreto comprende beni di cui essa è già proprietaria, ai sensi dell’art. 14 dello statuto, essendo ormai cessata la loro connessione con servizi di competenza dello Stato; ed aggiunge che, ciò malgrado, nessun organo dello Stato gliene ha mai trasferito il possesso.

2. – Poiché le Regioni ricorrenti chiedono l’annullamento del medesimo provvedimento in base a motivazioni sostanzialmente coincidenti, pur se riferite alle rispettive norme statutarie, i due giudizi possono essere riuniti e decisi con unica pronuncia.

3. – Di entrambi i ricorsi l’Avvocatura generale dello Stato eccepisce pregiudizialmente l’inammissibilità, per difetto – tra l’altro – del necessario tono costituzionale, in quanto sia l’uno che l’altro si risolverebbero in una mera vindicatio rerum.

3.1. – L’eccezione è fondata.

L’impugnato provvedimento del 19 luglio 2002 è stato emanato in applicazione dell’art. 1, comma 1, del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351 (convertito in legge dalla legge 23 novembre 2001, n. 410), secondo il quale l’Agenzia del demanio – per procedere al riordino, alla gestione ed alla valorizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato – individua, con propri decreti dirigenziali, sulla base e nei limiti della documentazione esistente presso gli archivi e gli uffici pubblici, i singoli beni, distinguendo tra beni demaniali e beni facenti parte del patrimonio indisponibile e disponibile.

In particolare, il provvedimento in esame, riproducendo testualmente il contenuto delle citate disposizioni di legge, riafferma che l’iscrizione di immobili statali nell’elenco allegato ha la sola funzione di dichiararne la proprietà ai fini dell’art. 2644 del codice civile, con effetti sostitutivi dell’iscrizione in catasto (art. 2); e prevede che contro l’iscrizione è ammesso ricorso amministrativo all’Agenzia medesima entro sessanta giorni dalla pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, fermi gli altri rimedi di legge (art. 3).

3.2. – Le Regioni ricorrenti muovono entrambe dalla premessa che l’iscrizione, nell’elenco allegato al decreto impugnato, di immobili siti nei rispettivi territori lede i diritti ad esse riconosciuti dalle norme statutarie, caratterizzate da immediata operatività (art. 33, primo comma, dello statuto siciliano, secondo cui «Sono altresì assegnati alla Regione, e costituiscono il suo patrimonio, i beni dello Stato oggi esistenti nel territorio della Regione e che non sono della specie di quelli indicati nell’articolo precedente [beni demaniali]»; art. 14, primo e secondo comma, dello statuto sardo, secondo cui «La Regione, nell’ambito del suo territorio, succede nei beni e diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare e in quelli demaniali, escluso il demanio marittimo» e «I beni e diritti connessi a servizi di competenza statale ed a monopoli fiscali restano allo Stato, finché duri tale condizione»).

Le pretese delle ricorrenti sono perciò fondate esclusivamente sulla dedotta appartenenza ad esse dei beni in esame, senza alcun riferimento a (neanche ipotizzate) lesioni di attribuzioni regionali costituzionalmente garantite, in ragione di un eventuale nesso di strumentalità necessaria tra beni e attribuzioni.

Questo specifico contenuto rende manifesto come i conflitti siano in realtà diretti soltanto all’accertamento del titolo giuridico di appartenenza dei beni.

Che si tratti di questioni meramente patrimoniali – di competenza dei giudici comuni (sentenze n. 179 del 2004 e n. 213 del 2001) – si ricava anche dalla riserva, formalmente esplicitata dalla Regione Siciliana, di proporre il ricorso amministrativo in opposizione previsto dall’art. 3 dell’impugnato decreto «per la rivendica di specifici beni»; e dalla doglianza della Regione Sardegna, secondo cui i competenti organi dello Stato non le avrebbero mai trasferito il «possesso» dei beni per i quali la connessione a servizi di competenza statale è da tempo cessata.

3.3. – D’altra parte, l’unico accenno alla menomazione di attribuzioni regionali (peraltro non specificate) è fatto dalla Regione Sardegna, la quale ritiene che nella vicenda in esame – concernente immobili gestiti dallo Stato pur dopo il loro passaggio al patrimonio regionale – la configurabilità di un conflitto di attribuzione è «evidente», in quanto si controverte sulla pertinenza di tali beni al demanio regionale e sulla spettanza alla Regione delle funzioni di attuazione delle norme statutarie concernenti il loro trasferimento alla Regione.

Al riguardo la ricorrente richiama la sentenza di questa Corte n. 383 del 1991, secondo cui l’esistenza di una controversia sulla spettanza di un bene alla Regione comporta automaticamente lesione delle sue competenze. Ma tale decisione risulta espressamente superata dalla giurisprudenza successiva (sentenza n. 309 del 1993), la quale – riconfermando che la materia dei conflitti fra Stato e Regioni, o fra Regioni, demandata alla cognizione della Corte dall’art. 134 della Costituzione e dagli artt. 39-41 della legge 11 marzo 1953, n. 87, non comprende la vindicatio rei da parte di uno di tali enti nei confronti di un altro – ha definito «isolata, in questo sicuro indirizzo» la citata decisione del 1991.

3.4. – La mancanza nei due ricorsi di ogni riferimento alla configurabilità di una controversia sulla titolarità di un potere induce a concludere che, nella specie, non sono stati proposti conflitti diretti ad una vindicatio potestatis, ma domande qualificabili esclusivamente in termini di vindicatio rerum.

I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili, per la mancanza della rivendicazione, da parte delle Regioni ricorrenti, di attribuzioni ad esse costituzionalmente garantite (da ultimo, sentenze n. 179 del 2004 e n. 95 del 2003).

Resta quindi assorbito l’esame di ogni ulteriore profilo di ammissibilità, specie in ordine ai requisiti soggettivi.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara inammissibili i conflitti di attribuzione proposti dalla Regione Siciliana e dalla Regione Sardegna nei confronti dello Stato, con i ricorsi indicati in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della

Depositata in Cancelleria il 4 maggio 2005.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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