Cass. civ., sez. I 07-04-2006, n. 8229 OBBLIGAZIONI IN GENERE – APPARENZA DEL DIRITTO – CONTRATTI DI BORSA – Intermediazione mobiliare – Intermediario finanziario – Responsabilità per l’attività svolta dall’apparente promotore Attività di intermediazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il sig. M.V., con atti notificati il 13 ed il 25 settembre 1997, citò in giudizio dinanzi al Tribunale di Monza il sig. D.V. e la Ing Group Società Sviluppo Investimenti Sim s.p.a. (in seguito indicata solo come Sviluppo Investimenti Sim).

L’attore riferì che per diversi anni egli era stato cliente della società convenuta compiendo investimenti mobiliari per il tramite del sig. D., all’epoca promotore finanziario della Sviluppo Investimenti Sim; che in due riprese, il 15 luglio ed il 15 settembre del 1992, egli aveva sottoscritto schede di prenotazione di certificati di deposito bancari al tasso del 14% annuo, versando a mani del sig. D., nella prima occasione, assegni bancari al portatore per l’importo di L. 40.000.000 e, nella seconda occasione, altri analoghi assegni per l’ulteriore importo di L. 30.000.000; che il promotore non aveva però dato corso agli investimenti concordati, giacchè non aveva trasmesso gli assegni alla Sviluppo Investimenti Sim, ma se ne era indebitamente appropriato.

Il sig. M., pertanto, chiese la condanna in proprio favore del sig. D. al risarcimento dei danni in misura pari all’importo complessivo degli assegni a suo tempo versati, maggiorato degli interessi al tasso annuo del 14% di cui avrebbe beneficiato se gli investimenti fossero stati eseguiti nei termini convenuti; e chiese altresì che la medesima condanna fosse pronunciata in solido nei confronti della Sviluppo Investimenti Sim, quantunque il sig. D. avesse cessato di esserne promotore a partire dal 31 luglio 1992, in applicazione di quanto disposto dalla L. n. 1 del 1991, art. 5, comma 4, nonchè dei principi sull’apparenza del diritto.

Il sig. D. rimase contumace.

Si costituì invece la Sviluppo Investimenti Sim, chiedendo il rigetto della domanda proposta nei propri confronti dall’attore, al quale imputò l’esclusiva responsabilità dell’accaduto per avere egli effettuato i versamenti a mani del promotore mediante assegni bancari al portatore e, quindi, in violazione delle condizioni contrattuali che avrebbero invece imposto l’uso di assegni intestati direttamente alla società d’intermediazione mobiliare. La convenuta negò, comunque, di dover rispondere del comportamento posto in essere dal promotore dopo la cessazione del rapporto di preposizione, avendo essa fatto tutto quanto necessario per recuperare la modulistica ed ogni altro materiale utilizzato dal medesimo promotore nella vigenza del mandato. Chiese, in via subordinata, che venisse accertato il concorso di colpa dell’attore nella produzione del fatto lesivo, e propose domanda di rivalsa nei confronti del sig. D. per quanto eventualmente essa fosse condannata a risarcire all’attore.

Il tribunale, con sentenza emessa il 14 marzo 2000, accolse le domande proposte dal sig. M. nei confronti di entrambi i convenuti, che condannò quindi in solido al risarcimento dei danni, quantificati in complessive L. 79.800.000 (pari all’importo di L. 70.000.000, maggiorato del 14%), con interessi legali e rivalutazione monetaria. Il sig. D. fu anche condannato (oltre che al risarcimento del danno non patrimoniale subito dall’attore) a rivalere la Sviluppo Investimenti Sim di quanto quest’ultima avrebbe dovuto corrispondere al sig. M. per effetto della sentenza.

Chiamata a pronunciarsi sul gravame proposto dalla Sviluppo Investimenti Sim, nella perdurante contumacia del sig. D., la Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 19 febbraio 2002, confermò integralmente la decisione di primo grado.

Ritenne innanzitutto la corte milanese che non potesse imputarsi al cliente alcuna colpa, esclusiva o concorrente, per non aver consegnato al promotore assegni intestati direttamente alla società d’intermediazione, in quanto siffatta previsione non figurava in modo chiaro sulle schede di prenotazione specificamente riferibili alle operazioni di cui si discute e, soprattutto, in quanto già in occasione di precedenti investimenti, compiuti senza inconvenienti tramite il medesimo promotore, il sig. M. aveva emesso assegni non intestati alla Sviluppo Investimenti Sim, la quale tuttavia aveva accettato i relativi pagamenti senza nulla obiettare. Quanto poi al fatto che, al tempo del secondo dei due versamenti di cui si tratta, il sig. D. non era più promotore della Sviluppo Investimenti Sim, la medesima corte osservò che, nondimeno, egli era rimasto in possesso della documentazione precedentemente fornitagli dalla società mandante ed a questa intestata, della quale si era appunto servito nel caso di specie: onde a detta società era da imputare l’incolpevole affidamento del cliente, convinto della permanenza del rapporto di mandato, non avendo la società d’intermediazione neppure provveduto ad informare il cliente medesimo della cessazione di quel rapporto nè a ritirare il tesserino di appartenenza del sig. D. all’albo dei promotori. L’ammontare della condanna fu infine stimata corretta dalla Corte d’appello, anche per la parte relativa agli interessi che il cliente avrebbe percepito a seguito degli investimenti commissionati ma non effettuati.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Sviluppo Investimenti Sim, formulando tre motivi di censura, illustrati con successiva memoria.

Il sig. M. ha replicato depositando controricorso.

Nessuna difesa ha svolto invece, neppure in questa sede, il sig. D..

Motivi della decisione

1. I tre motivi di ricorso investono, rispettivamente, le tre principali questioni sulle quali la corte d’appello si è pronunciata con l’impugnata sentenza, e cioè: 1) se sussistessero, nel caso in esame, di estremi di una colpa esclusiva o concorrente del cliente danneggiato dall’illegittimo comportamento del promotore finanziario, del cui illecito la società d’intermediazione preponente è stata chiamata a rispondere; 2) se sussistesse una situazione di apparenza del diritto, colpevolmente imputabile alla società d’intermediazione, in forza della quale quest’ultima debba esser tenuta responsabile anche della condotta illecita posta in essere dal promotore dopo la cessazione del rapporto tra la società ed il promotore medesimo; 3) se sia attribuibile al cliente, a titolo di risarcimento, una somma comprensiva degli interessi convenzionali che lo stesso cliente avrebbe percepito ove l’investimento da lui disposto fosse stato eseguito nei termini contrattualmente convenuti.

Conviene esaminare separatamente le tre questioni.

2. Non è in discussione il fatto che il denaro affidato dal cliente al promotore della Sviluppo Investimenti Sim per essere investito in certificati di deposito bancario fu invece distratto a proprio favore dal promotore medesimo. é un fatto accertato in causa e, comunque, pacifico. Altrettanto certo è che un tal fatto sia idoneo a generare il diritto del cliente al risarcimento del danno subito e che la pretesa risarcitoria, ove ricorrano le condizioni previste (allora vigente) dalla L. n. 1 del 1991, art. 5, comma 4, possa esser fatta valere anche nei confronti della società d’intermediazione per la quale il promotore operava.

Già nel corso del giudizio di merito è stata però prospettata dall’odierna ricorrente la configurabilità di una colpa esclusiva – o quanto meno concorrente – del cliente; colpa che la ricorrente ricollega al fatto che il sig. M. eseguì i versamenti consegnando al promotore assegni bancari al portatore, quantunque le schede di prenotazione predisposte dalla società Sviluppo Investimenti Sim e sottoposte alla sottoscrizione del cliente prevedessero espressamente che i pagamenti avrebbero dovuto esser fatti mediante assegni bancari o circolari intestati alla società.

Entrambi i giudici di merito hanno negato che tale circostanza potesse sia escludere il diritto al risarcimento di un danno che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza (art. 1227 c.c., comma 2), sia ridurre l’ammontare del risarcimento per avere il fatto colposo del danneggiato concorso a cagionare il danno (art. cit., comma 1).

A tal riguardo, in particolare, la corte d’appello ha osservato che sarebbe dubbia la sussistenza della pattuizione concernente le suindicate modalità di pagamento, essendo essa riportata su moduli predisposti per l’investimento in fondi diversi, ma non anche sugli specifici moduli relativi ai certificati di deposito di cui si discute nella presenta causa; ed ha aggiunto che sarebbe comunque decisivo il rilievo per cui, già in diverse precedenti occasioni, lo stesso cliente, nell’effettuare investimenti tramite il medesimo promotore, aveva consegnato a costui assegni al portatore che erano stati accettati ed incassati dalla società d’intermediazione senza formulare alcuna obiezione nè nei confronti del cliente nè nei confronti del promotore medesimo, ad onta del fatto che il regolamento emanato dalla Consob espressamente vietasse una simile prassi e la sanzionasse addirittura con la radiazione del promotore dall’albo.

2.1. La ricorrente censura tali affermazioni, ravvisando in esse violazioni di diritto (con riferimento agli artt. 1227, 2697 e 2702 c.c., nonchè artt. 115 e 116 c.p.c.) e difetti di motivazione.

In particolare essa riferisce di aver prodotto in giudizio, in data 30 settembre 1999, cinque assegni bancali emessi dal sig. M. nel 1991 in relazione ad operazioni d’investimento mobiliare eseguite per il tramite del promotore sig. D., non intestati alla Sviluppo Investimenti Sim e posti all’incasso non da quest’ultima, bensì dallo stesso sig. D. o da terze persone. Di tali documenti non v’è cenno nella motivazione dell’impugnata sentenza, ma da essi invece – a parere della ricorrente – si sarebbe dovuto trarre la prova del fatto che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte d’appello, la Sviluppo Investimenti Sim non aveva avuto alcuna contezza della prassi già in precedenza scorrettamente seguita dal proprio promotore con l’accettazione di assegni non intestati alla società d’intermediazione.

Erano state altresì prodotte – osserva ancora la ricorrente – le schede di prenotazione dei certificati di deposito bancali, sottoscritte dal sig. M., nelle quali risultava espressamente indicato che il pagamento doveva aver luogo a mezzo di assegni intestati alla società d’intermediazione, onde non sarebbe comprensibile il dubbio espresso dalla corte d’appello in ordine all’effettiva vigenza di una siffatta pattuizione, non rispettata però dal cliente. Il quale, inoltre, aveva omesso di rilevare tempestivamente il mancato invio, ad opera della società, delle lettere di conferma degli investimenti relativi agli anni 1991 e 1992: ciò che avrebbe dovuto metterlo sull’avviso ed indurlo a compiere immediate verifiche, anzichè attendere oltre un anno per accorgersi dell’accaduto, giacchè simili lettere di conferma gli erano sempre state recapitate in occasione degli investimenti da lui effettuati negli anni precedenti.

Avrebbe dunque errato la corte d’appello nel ritenere inapplicabile nel caso di specie la citata disposizione dell’art. 1227 c.c., comma 2, o almeno quella del comma 1 del medesimo articolo.

3. Non ritiene il collegio che tali censure siano meritevoli di accoglimento.

Vi osta infatti un rilievo di carattere preliminare che porta ad escludere l’applicabilità, in un caso come quello in esame, delle disposizioni dettate da entrambi i commi del citato art. 1227 c.c..

3, 1. Occorre muovere dalla considerazione che la L. n. 1 del 1991, art. 5, comma 4 (poi sostituito dal D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 23 e quindi dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, comma 3, ma ancora applicabile ratione temporis ai fatti di causa) pone a carico dell’intermediario la responsabilità solidale per gli "eventuali danni arrecati a terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale".

Non interessa in questa sede soffermarsi a discutere se quella così configurata sia o meno una forma di responsabilità oggettiva, nè quali siano i suoi rapporti sistematici con la responsabilità contemplata, in via generale, dall’art. 2049 c.c. a carico dei padroni e dei committenti per i fatti illeciti imputabili ai domestici ed ai commessi.

Conviene invece sottolineare come la suindicata responsabilità dell’intermediario preponente, la quale pur sempre presuppone che il fatto illecito del promotore sia legato da un nesso di occasionalità necessaria all’esercizio delle incombenze a lui facenti capo (cfr.

Cass. n. 20588 del 2004 e Cass. 10580 del 2002), trova la sua ragion d’essere, per un verso, nel fatto che l’agire del promotore è uno degli strumenti dei quali l’intermediario si avvale nell’organizzazione della propria impresa, traendone benefici cui è ragionevole far corrispondere i rischi; per altro verso, ed in termini più specifici, nell’esigenza di offrire una più adeguata garanzia ai destinatari delle offerte fuori sede loro rivolte dall’intermediario per il tramite del promotore, giacchè appunto per le caratteristiche di questo genere di offerte più facilmente la buona fede dei clienti può essere sorpresa. E tale garanzia il legislatore ha inteso rafforzare, tra l’altro, anche e proprio attraverso un meccanismo normativo volto a responsabilizzare l’intermediario nei riguardi dei comportamenti di soggetti – quali sono i promotori – che l’intermediario medesimo sceglie, nel cui interesse imprenditoriale essi operano e sui quali nessuno megliodell’intermediario è concretamente in grado di esercitare efficaci forme di controllo.

In questo quadro si collocano, ovviamente, anche le disposizioni regolamentari che la Consob è stata chiamata a dettare, in base al disposto della citata L. n. 1 del 1991, art. 5, comma 8, ed in particolare quelle menzionate nella lettera f) di detto comma, ossia le regole che i promotori debbono osservare "nei rapporti con la clientela al fine di tutelare l’interesse dei risparmiatori". Tra esse rileva qui, specificamente, l’art. 14, comma 9, del regolamento emanato dalla Consob con Delib. n. 5388 del 2 luglio 1991 (vigente all’epoca dei fatti di causa), che fa obbligo al promotore di ricevere dal cliente esclusivamente: "1) titoli di credito che assolvono la funzione di mezzi di pagamento, purchè siano muniti di clausola di non trasferibilità e siano intestati al soggetto indicato nel prospetto informativo o nel documento contrattuale ove il prospetto non sia prescritto; 2) titoli di credito nominativi intestati al cliente e girati a favore di chi presta il servizio di intermediazione mobiliare offerto tramite il promotore".

Ora, è pacifico che nel caso in esame, come s’è detto, tale disposizione non fu osservata dal promotore, il quale ebbe a ricevere assegni emessi dal sig. M. al portatore. Ma quella regola – come pure già si è sottolineato – è unicamente diretta a porre un obbligo di comportamento in capo al promotore e trae la propria fonte da una prescrizione di legge (la citata L. n. 1 del 1991, art. 5, comma 8, lett. f) espressamente volta alla tutela degli interessi del risparmiatore. Non è perciò logicamente postulatole che essa, viceversa, si traduca in un onere di diligenza posto a carico di quest’ultimo, tale per cui l’eventuale violazione di detta prescrizione ad opera del promotore si risolva in un addebito di colpa (concorrente, se non addirittura esclusiva) a carico del cliente danneggiato dall’altrui atto illecito.

Nè il mero fatto che una corrispondente previsione sia eventualmente inserita nei moduli sottoscritti dal cliente può mutare la funzione di quella regola e trasformarla, da obbligo di comportamento del promotore in vista della tutela dell’investitore, in un onere gravante su quest’ultimo in funzione della tutela dell’intermediario rispetto ai rischi di comportamento infedele del promotore. A parte il rilievo che l’implicito presupposto dal quale muovono tutte le disposizioni volte a conformare a regole prefissate il comportamento di intermediari e promotori è proprio l’insufficienza delle tradizionali forme di autotutela dell’investitore affidate alla mera sottoscrizione di moduli e formulati, ove si ammettesse la possibilità per l’intermediario di scaricare in tutto o in parte sull’investitore il rischio della violazione di regole di comportamento gravanti sui promotori, si finirebbe evidentemente per vanificare lo scopo della normativa che, come s’è visto, per ragioni di carattere generale attinenti alla tutela degli investitori (e perciò del risparmio), mira invece proprio a responsabilizzare l’intermediario per siffatti comportamenti del promotore.

Non s’intende con ciò negare, in assoluto, che possa trovare spazio l’applicazione dell’art. 1227 c.c. (comma 1 o 2, a seconda dei casi), qualora l’intermediario provi che vi sia stata, se non addirittura collusione, quanto meno una consapevole e fattiva acquiescenza del cliente alla violazione, da parte del promotore, di regole di condotta su quest’ultimo gravanti. Al dovere di tutela reciproca dei contraenti, insito nel principio generale di buona fede, anche il cliente dell’intermediario è certamente tenuto. Per le ragioni dianzi chiarite, deve però escludersi che la mera allegazione del fatto che il cliente abbia consegnato al promotore finanziario somme di denaro con modalità difformi da quelle con cui quest’ultimo sarebbe stato legittimato a riceverle valga, in caso d’indebita appropriazione di dette somme da parte del promotore, ad interrompere il nesso di causalità esistente tra lo svolgimento dell’attività del promotore finanziario medesimo e la consumazione dell’illecito, e quindi precluda la possibilità d’invocare la responsabilità solidale dell’intermediario preponente; e deve parimenti escludersi che un tal fatto possa essere addotto dall’intermediario come concausa del danno subito dall’investitore in conseguenza dell’illecito consumato dal promotore al fine di ridurre l’ammontare del risarcimento dovuto.

L’enunciazione di tale principio, destinato evidentemente ad assorbire e rimpiazzare la motivazione dell’impugnata sentenza sul punto, rende superfluo l’esame delle considerazioni svolte dalla ricorrente in ordine al modo in cui si sono concretamente configurate le modalità di pagamento nei pregressi rapporti intercorsi con il sig. M., mai avendo la ricorrente dedotto che quest’ultimo fosse consapevole della violazione delle regole di condotta gravanti sul promotore.

3.2. Neppure può esser dato peso in questa sede all’asserita tardività con la quale il cliente avrebbe reagito all’illecito del promotore, non accorgendosi del fatto che la società d’intermediazione non gli aveva inviato le consuete lettere di conferma degli investimenti da lui disposti e non segnalando perciò subito la cosa alla medesima società. Di una tal questione non si fa cenno nell’impugnata sentenza, e la ricorrente non indica se ed in quale atto difensivo del giudizio di merito essa l’avesse invece sollevata, limitandosi ad un generico richiamo alle risultanze documentali e ad un documento prodotto da parte avversa, ma senza fornire elementi idonei a dimostrare l’effettiva incidenza causale che il lamentato ritardo di reazione del cliente avrebbe avuto sulla produzione del danno.

4. Il secondo motivo di ricorso investe il tema della responsabilità della società d’intermediazione per la seconda delle due indebite appropriazioni di denaro del cliente, compiuta dal sig. D. nel settembre del 1992, quando da ormai circa un mese e mezzo egli aveva cessato di essere promotore della Sviluppo Investimenti Sim.

La Corte d’appello, richiamando i principi della cosiddetta apparenza del diritto, ha ravvisato la sussistenza della responsabilità dell’intermediario preponente in considerazione essenzialmente di ciò: che il sig. M., pur essendo da tempo cliente della Sviluppo Investimenti Sim per il tramite del promotore sig. D., non era stato informato dalla società della cessazione di ogni rapporto tra questa ed il predetto sig. D.; che quest’ultimo era stato lasciato in possesso del materiale a suo tempo fornitogli dalla Sviluppo Investimenti Sim per l’espletamento dell’attività di promotore ed aveva perciò potuto continuare ad utilizzare i moduli intestati alla società; che la Sviluppo Investimenti Sim non si era neppure attivata per assicurarsi che il sig. D. fosse privato del tesserino di promotore, onde costui aveva potuto esibirlo traendo in inganno il cliente in occasione dell’operazione di cui si tratta.

4.1. La ricorrente lamenta anche a tale proposito sia violazioni di legge (con riferimento agli artt. 1398, 2697 e 2702 c.c., artt. 115 e 166 c.p.c.) sia vizi di motivazione della sentenza impugnata.

Essa sostiene: che il sig. M., pur avendo effettivamente avuto rapporti in precedenza con la Sviluppo Investimenti Sim, non poteva più dirsi cliente di quest’ultima nel luglio del 1992 (quando il sig. D. aveva dato le proprie dimissioni da promotore), onde nessuna specifica informazione gli era in proposito dovuta; che nessun addebito di colpa potrebbe comunque esser mosso alla ricorrente, la quale aveva tempestivamente chiesto già nel luglio 1992 al promotore dimissionario di restituire i moduli in suo possesso e di riconsegnare il tesserino alla competente Commissione regionale per l’albo dei promotori; che altrettanto tempestivamente, appena venuta a conoscenza nel settembre del 1993 degli illeciti compiuti dal sig. D., essa ne aveva informato gli organi preposti alla vigilanza ed aveva sporto denuncia alla magistratura competente. Circostanze tutte alla stregua delle quali la conclusione cui è prevenuta la corte territoriale risulterebbe priva di basi logiche e giuridiche.

5. Nemmeno questo motivo di ricorso è accoglibile.

5.1. Nessun errore di diritto è rilevabile in quanto statuito sul punto dalla corte d’appello.

Non sembra infatti dubbio – e neppure la ricorrente in realtà lo pone in dubbio – che in un caso come quello di cui qui si tratta possano trovare applicazione i principi dell’apparenza del diritto, elaborati dalla giurisprudenza soprattutto nella materia della rappresentanza negoziale; e che, quindi, un intermediario finanziario possa esser chiamato a rispondere di un illecito compiuto in danno di terzi da chi appaia essere un suo promotore, ed in tale apparente veste abbia commesso l’illecito, ogni qual volta l’affidamento del terzo risulti incolpevole ed alla falsa rappresentazione della realtà abbia invece concorso un comportamento colpevole (ancorchè magari solo omissivo) dell’intermediario medesimo.

A questo principio si è attenuta la sentenza impugnata, che per questa ragione non può dunque essere censurata, essendo per il resto evidente che la ravvisabilità nei singoli casi di una situazione di apparenza del diritto, nei termini sopra indicati, dipende da circostanze di fatto il cui accertamento e la cui valutazione sono riservati alla competenza esclusiva del giudice del merito e, come tali, possono essere sindacati in cassazione solo per eventuali difetti logici o giuridici della motivazione.

5.2. Si tratta perciò di stabilire se, nel presente caso, il giudice del merito abbia motivato in modo giuridicamente e logicamente corretto il proprio ragionamento. Ed è in rapporto a ciò che viene in evidenza soprattutto il tema della colpa addebitata dalla corte territoriale alla società d’intermediazione, sulla base degli elementi già dianzi ricordati, il cui fondamento la ricorrente però contesta.

A questo riguardo, può effettivamente dubitarsi che una società d’intermediazione disponga in concreto dei mezzi necessari per conseguire con certezza la restituzione, da parte di un promotore dimissionario, di tutta la modulistica prima fornitagli per esercitare la sua attività in favore della medesima società; e può escludersi che competesse a quest’ultima di attivarsi direttamente per ritirare il tesserino professionale che, viceversa, in base all’art. 6, lett. f), dell’allora vigente e già citato regolamento n. 5388 della Consob, avrebbe dovuto essere ritirato dalla competente commissione regionale per i promotori.

Non sembra invece possibile dubitare del fatto – da solo invero decisivo – che la Sviluppo Investimenti Sim dovesse diligentemente comunicare la cessazione del proprio rapporto con il promotore a chi, come il sig. M., aveva avuto nel tempo una serie di ripetuti contatti contrattuali con detta società per il tramite di quel promotore ed era perciò logicamente incline ad identificare in costui appunto un promotore di quella società d’intermediazione.

La circostanza che i promotori possano svolgere la loro opera nell’interesse di una sola società d’intermediazione (cd. obbligo di monomandato, già posto dall’allora citata L. n. 1 del 1991, art. 5, comma 3) e la naturale conseguente identificazione da parte dei terzi del promotore come inserito nella struttura organizzativa di detta società, per effetto di un atto di preposizione da questa proveniente, rende evidente il rischio che i terzi – ed in specie i clienti adusi ad avere rapporti con la società tramite quello specifico promotore – possano continuare ad identificare in costui un referente della medesima società pur quando in realtà il rapporto di preposizione sia invece venuto meno. Emerge perciò anche in questo campo quell’esigenza d’informazione tempestiva del terzo alla quale, sia pure con una norma non di per sè applicabile alla presente fattispecie, il legislatore si è mostrato ben sensibile dettando l’art. 1396 c.c..

Certo, non può pretendersi che l’intermediario informi della cessazione del rapporto di preposizione tutti coloro che in passato siano entrati in qualche modo con lui in contratto per il tramite del promotore cessato. Ma un tale dovere d’informazione, connesso al dovere di protezione dell’altro contraente che naturalmente si estende anche a tutto quanto immediatamente consegue alla relazione contrattuale, è invece configurabile nei confronti di coloro i quali, essendosi sempre e ripetutamente avvalsi del promotore poi dimissionario, hanno intrattenuto rapporti con la società d’intermediazione in un arco di tempo che ragionevolmente può far supporre la loro attitudine ad effettuare ulteriori investimenti per il tramite di quel medesimo promotore.

Ora, in punto di fatto, la corte d’appello ha accertato che il sig. M. aveva compiuto investimenti con l’intermediazione dell’anzidetta società fino a quattro mesi prima di quando il sig. D. presentò le proprie dimissioni da promotore. Questo accertamento, appunto perchè attiene ad una circostanza di fatto, non può evidentemente esser rimesso in discussione in sede di legittimità e, sulla base di esso, tenuto anche conto dei doveri di diligenza, correttezza e professionalità nella cura dell’interesse del cliente che già l’art. 6, comma 1, lett. a), dell’allora vigente L. n. 1 del 1991 poneva a carico dell’intermediario, non può dubitarsi che fosse dovuta un’informazione come quella di cui si discute, perchè inerente ad un fatto nuovo idoneo a dispiegare effetti sul modo in cui fino ad allora si erano svolti i rapporti tra intermediario e cliente; rapporti non necessariamente continuativi, ma comunque frequenti e reiterati, dei quali, per ciò stesso, sarebbe stato logico attendersi ulteriori sviluppi.

Sotto questo profilo la motivazione che ha indotto la corte territoriale a ravvisare una colpa della ricorrente nell’affidamento incolpevolmente riposto dal cliente nell’esistenza del rapporto di preposizione si appalesa corretta ed adeguata a sorreggere l’anzidetta conclusione.

6. Privo di fondamento, infine, è anche l’ultimo motivo di ricorso, con cui si lamenta la violazione dell’art. 1248 c.c., oltre che difetti di motivazione dell’impugnata sentenza.

L’assunto della ricorrente, secondo la quale la condanna al risarcimento dei danni in favore del sig. M. avrebbe dovuto esser circoscritta nel quantum all’importo delle somme da quest’ultimo versate e poi distratte dal promotore, maggiorate dei soli interessi legali e non di interessi al tasso annuo del 14%, in difetto di pattuizione scritta in tal senso, è palesemente infondato.

Non è qui in questione, infatti, la corresponsione di interessi dovuti in forza di una specifica pattuizione tra il debitore ed il creditore, è questione invece del risarcimento del danno sofferto in conseguenza della violazione, da parte di un soggetto cui una determinata somma era stata affidata, dell’obbligo di investirla conformemente alle disposizioni ricevute. E poichè, in punto di fatto, la sentenza impugnata indica (e la stessa ricorrente nella premessa del ricorso conferma) che quella somma avrebbe dovuto essere investita in certificati di deposito bancari dei quali era prevista la restituzione a scadenza con aggiunta di interessi annui al tasso del 14%, risulta conforme a diritto e congruamente motivata la statuizione con cui la Corte di merito ha condannato i convenuti ad un risarcimento comprendente anche la misura degli interessi che il cliente avrebbe percepito qualora le somme da lui affidate al promotore fossero state impiegate come dovevano.

7. Alla reiezione del ricorso fa seguito la condanna della società ricorrente al rimborso delle spese processuali del controricorrente, che vengono liquidate in Euro 3.000,00 (tremila) per onorari e 100,00 (cento) per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al rimborso delle spese processuali del controricorrente, liquidate in Euro 3.000,00 (tremila) per onorari e 100,00 (cento) per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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