Cass. pen., sez. I 13-06-2006 (09-05-2006), n. 20035 ESECUZIONE – PENE DETENTIVE – Condannato ultrasettantenne – Regime carcerario – Applicabilità anche alle esecuzioni già in corso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Osserva

Con ordinanza in data 14.3.2005 il Tribunale di Sorveglianza di Napoli ha ratificato i provvedimenti emessi nelle date 26.11.2004 e 5.1.2005 dal Magistrato di Sorveglianza in sede che aveva respinto la istanza di differimento della pena per motivi di salute presentata da R.F. ed ha nel contempo rigettato le richieste di rinvio facoltativo della esecuzione della pena per grave infermità fisica ex art. 147 c.p., nonchè di detenzione domiciliare ex art. 47 ter comma 1 e art. 47 ter comma 1 bis dell’Ordinamento Penitenziario, presentate dallo stesso R., ritenendo che le condizioni di salute del suddetto non fossero gravi, posto che richiedevano soltanto esami specialistici praticabili con lo strumento di cui all’art. 11 dell’Ordinamento Penitenziario ed eventuale terapia farmacologia da determinarsi presso il centro clinico penitenziario.

Ha altresì ritenuto che fossero ostativi alla detenzione domiciliare:

– la rilevante pericolosità sociale del soggetto, che era in esecuzione di una pena per associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati di usura e di estorsione mediante capitali forniti dal R. che era stato riconosciuto capo del sodalizio ed era stato già condannato per sequestro di persona e sottoposto alla misura di sicurezza della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per cinque anni, terminata nel 2001;

– la residua pena da espiare piuttosto lunga;

– le allarmanti informazioni fornite dagli organi di pubblica sicurezza, anche sulla base delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia, circa la vita anteatta del soggetto che disponeva di una macchina blindata per motivi riguardanti il mondo criminale in cui era inserito e nel cui ambito intratteneva rapporti con le famiglie camorristiche della zona ed esercitava in modo professionale l’usura accumulando improvvisa ricchezza; la mancanza di una prognosi positiva circa il recupero dei valori civili da parte del condannato, che risultava inserito nel clan camorristico denominato ? e la impossibilità di valutare allo stato un progetto di reinserimento.

Contro tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la difesa del R., lamentando:

– omessa considerazione dell’età del soggetto che aveva 73 anni;

– erronea valutazione delle condizioni di salute, che, non necessariamente, dovevano essere incompatibili con lo stato

di detenzione o dalla prognosi infausta al fine della concessione della detenzione domiciliare; mancanza di attualità della pretesa pericolositaà sociale del soggetto poichè il reato per cui aveva riportato condanna risaliva a dodici anni prima della esecuzione e non era ostativo, essendo invece erronee le informazioni di pubblica sicurezza.

Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata, non essendo stata valutata dal Tribunale l’età del soggetto.

Con memoria aggiunta la difesa del R. ha chiesto la applicazione dello ius superveniens costituito dall’art. 47 ter dell’Ordinamento Penitenziario, comma 1, come sostituito dall’art. 7, comma 2 della legge n.251 del 2005, sussistendone i presupposti di legge e quindi l’annullamento senza rinvio della ordinanza impugnata.

Il ricorso è infondato.

Ai fini del rinvio facoltativo della esecuzione della pena, nel caso previsto dall’art. 147 c.p., comma 1, n. 2, deve farsi riferimento alla oggettiva gravità della infermità fisica, la quale sia tale da dare luogo, cumulata alla ordinaria afflittività della restrizione della libertà, ad un trattamento contrario al senso di umanità e ad una sostanziale elusione del diritto individuale, costituzionalmente garantito, alla tutela della salute da parte dell’ordinamento.

Non è però sufficiente che una o più infermità menomino in maniera rilevante la salute del soggetto e siano suscettibili di generico miglioramento in caso di ritorno alla libertà, ma è invece necessario che la malattia sia così grave da escludere – in quanto preponderante sugli altri aspetti della vita intramuraria, globalmente considerata, del detenuto – sia la sua pericolosità, che la sua capacità di avvertire l’effetto rieducativo del trattamento penitenziario.

Occorre poi che la patologia o le patologie accertate implichino un serio pericolo per la vita o la probabilità di altre rilevanti conseguenze dannose, eliminabili o procrastinabili con cure o trattamenti tali da non potere essere praticati in regime di detenzione intramuraria neppure mediante ricoveri ospedalieri o altri luoghi esterni di cura ai sensi dell’art. 11 del cosiddetto Ordinamento Penitenziario (v. per tutte Cass. 03.05.1997 n. 4574; Cass. 10.12.1996 n. 5282).

Ed anche ai fini della concessione della detenzione domiciliare per motivi di salute, a norma dell’art. 47 ter dell’Ordinamento Penitenziario, occorre che le condizioni di salute siano particolarmente gravi e richiedano costanti contatti con i servizi sanitari territoriali e cioè la presenza di una infermità non solo grave bensì particolarmente grave che non possa essere curata in ambiente penitenziario a causa della necessità della costante presenza del servizio sanitario.

Di tali principi, derivanti da una elaborazione giurisprudenziale ormai consolidata e condivisibile, ha fatto corretto uso il Tribunale di Sorveglianza il quale ha considerato sia singolarmente che globalmente le patologie da cui è affetto il condannato per desumerne, sulla base delle risultanze di una elaborata perizia medico legale, che il suo stato di salute è attualmente compatibile con la detenzione intramuraria poichè è affetto da patologie non gravi (in sostanza una cardiopatia sclerotica ipertensiva instabile con aritmia extrasistolica di recente insorgenza ed una bronchite cronica ipersecretiva) e non richiedenti neppure contatti con le strutture sanitarie territoriali, bensì soltanto di una eventuale terapia farmacologica da determinarsi all’esito di accertamenti clinici presso il Centro Clinico dell’istituto penitenziario.

ÿ evidente che il benessere di qualsiasi di qualsiasi persona è superiore in caso di libertà piuttosto che in stato di detenzione, ma le norme invocate dal ricorrente non tutelano il benessere bensì la salute quando la pena finisca per costituire un trattamento contrario al senso di umanità; occorre quindi, al fine della concessione del rinvio facoltativo della esecuzione della pena, ma anche della detenzione domiciliare per gravi motivi di salute, che il quadro patologico sia di tale gravità da superare i limiti della umana tollerabilità rendendo inoltre impossibile o eccessivamente difficoltoso il ricorso a trattamenti sanitari necessari per fronteggiare la situazione, il che è stato escluso nel caso in esame poichè il condannato riceve in ambiente carcerario tutte le cure occorrenti, in misura pari se non superiore a quelle che potrebbe ricevere in stato di libertà, in presenza comunque di patologie non gravi.

ÿ vero che il Tribunale di Sorveglianza non ha specificamente preso in esame l’età del soggetto, però, ai fini della applicazione dei benefici invocati dallo stesso, in base alla normativa vigente al momento in cui è stata assunta la decisione, la età non rilevava se non nei limiti in cui, dal punto di vista fisiologico, il progredire dell’età può incidere sulle condizioni di salute, per cui anche un soggetto settantenne può, considerate le condizioni attuali di vita della società italiana, stare bene in salute, così come può stare male, senza che peraltro la età sia di per sè fattore decisivo e generalizzato di invalidità.

Sotto tale profilo la decisione del Tribunale di Sorveglianza appare quindi corretta e correttamente motivata, come tale non censurabile in sede di legittimità.

Quanto poi alla applicazione dello ius superveniens costituito dalla introduzione del comma 1 dell’art. 47 dell’Ordinamento Penitenziario, in virtù dell’art. 7, comma 2 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, entrata in vigore l’8 dicembre 2005 e cioè successivamente alla emanazione del provvedimento impugnato, la cui applicazione è stata chiesta dal ricorrente con memoria aggiunta, occorre rilevare che in effetti il legislatore ha ora previsto che "la pena della reclusione per qualunque reato, ad eccezione di quelli previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I, e dagli articoli 609 bis, 609 quater, e 609 octies del cosice penale, dall’art. 51 c.p.p., comma 3 bis e dall’art. 4 bis della presente legge, può essere espiata nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura, assistenza ed accoglienza, quando trattasi di persona che, al momento dell’inizio della esecuzione della pena o dopo l’inizio della stessa, abbia compiuto i settanta anni di età purchè non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza nè sia stato mai condannato con l’aggravante di cui all’articolo 99 c.p.".

La suddetta legge non contiene disposizioni transitorie per quanto attiene alla modifica della disciplina dell’Ordinamento Penitenziario, che quindi resta soggetta alla disciplina ordinaria, poichè l’art. 10, comma 2, regola soltanto la disciplina transitoria della modifica dell’istituto della prescrizione, richiamando, quanto alle altre norme, l’art. 2 c.p., che però non attiene al caso in esame.

ÿ infatti pacifico che la regola dettata dall’art. 2 c.p., che costituisce applicazione della ancora più generale regola costituzionale del principio di riserva di legge e di tassatività della legge penale, di cui all’art. 25 Cost., si riferisce soltanto alla legge penale sostanziale imponendo in particolare la retroattività della disposizione più favorevole ma limitatamente alla norma incriminatrice ed alla sanzione per essa contemplata, cosicchè per le norme penali sostanziali la regola è che esse si applicano anche nel caso in cui la loro entrata in vigore intervenga nel corso del giudizio di Cassazione; ed in tal senso si è già pronunciata di recente questa Corte con riguardo, ad esempio, alla applicazione, anche nel corso del giudizio di legittimità, della modifica legislativa del regime del reato continuato in sede esecutiva di cui alla legge n. 49 del 2006, art. 4 vicies, che ha convertito il decreto legge n. 272 del 2005, proprio nel presupposto che l’istituto della continuazione ha natura sostanziale e rientra nell’art. 2 c.p. (v. Cass. sez. 1 n. 1109/2006), mentre, per converso, è stata ritenuta conforme al dettato costituzionale la disciplina transitoria della prescrizione contenuta nell’art. 10 della legge n. 251 del 2005, in base al rilievo che, pur costituendo la prescrizione un istituto sostanziale peraltro non attiene alla norma incriminatnce ed alla sanzione e cioè a quel nucleo della garanzia attribuita alla applicazione della norma più favorevole dalla nostra Costituzione e pure (allo stato come parametro interpretativo) dalla previsione contenuta nell’art. 49, comma 1, ultima parte, della Carta dei Diritti Fondamentali, inserita nell’articolo II – 109 del progetto di "Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa" (v. Cass. sez. 6^, n. 460 del 2006).

Alle norme che disciplinano l’esecuzione della pena e le misure a questa alternative e le condizioni per la concessione di queste ultime, poichè non possono essere ritenute norme di natura penale sostanziale, non prevedendo nuove ipotesi di reato nè modificando ipotesi di reato già previste da altre disposizioni di legge penale, non si applicano invece i principi di cui all’art. 2 c.p. e all’art. 25 Cost. (v. per tutte Cass. sez. 1^ n. 4013 del 1994, Rv.196208; Cass. sez. 1^ n. 685 del 1993, Rv.193657; Cass. sez. 1^ n.433 del 1997, Rv.207344), cosicchè il legislatore, affidandosi al principio generale del tempus regit actum, per cui la nuova disposizione in materia di esecuzione della pena ha efficacia operativa immediata, potrebbe in ipotesi stabilire addirittura la retroattività della disposizione più sfavorevole (come è avvenuto ad esempio nel caso del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 1, convertito con modificazioni nella L. n.203 del 1991, ritenuto applicabile anche con riferimento a condanne precedenti all’entrata in vigore del D.L. n. 152 del 2003, in virtù del quale la concessione dei permessi premio per i condannati per taluno dei delitti previsti dall’art. 4 bis è stata ammessa solo dopo la espiazione di metà della pena inflitta e non solo di un quarto, come previsto in precedenza).

Ciò posto e considerato che, in mancanza di una diversa disciplina transitoria, la nuova disposizione di cui all’art. 7, comma 2 della legge n.251 del 2005, è applicabile anche alle esecuzione già in corso al momento della sua entrata in vigore in base al principio del tempus regit actum, si tratta di verificare se sia possibile invocare in sede di giudizio di legittimità la applicabilità del nuovo istituto, non tanto sotto il profilo della applicabilità diretta, invocata dal ricorrente con i motivi nuovi, essendo evidente che la Corte di Cassazione non potrebbe procedere all’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato a norma dell’art. 620 c.p.p., lett. i), poichè anche la applicazione della detenzione domiciliare ai detenuti ultrasettenni richiede una vera e propria valutazione di merito, preclusa pacificamente al giudice di legittimità, relativa alla meritevolezza, propria di tutte le misure alternative alla detenzione, oltre che della pericolosità sociale, quanto con riferimento ad un eventuale annullamento con rinvio del provvedimento impugnato per effetto della nuova disposizione intervenuta dopo la presentazione del ricorso per cassazione ma prima della pronuncia della Corte.

La questione deve essere risolta nel senso che, non essendo stata portata la relativa istanza alla attenzione del giudice di merito, non può essere esaminata da questa Corte, mentre potrà essere proposta davanti al giudice di merito con una successiva richiesta.

Non sono infatti proponibili per la prima volta in Cassazione, neppure ai sensi dell’art. 609 c.p.p., comma 2, le questioni

giuridiche, pur se conseguenti ad ius superveniens e che quindi non sarebbe stato possibile proporre nel giudizio di merito, che presuppongono una indagine di merito incompatibile con il sindacato di legittimità e che devono essere proposte nella loro sede naturale (v. Cass. 24.4.1998, Fichera, Rv. 211441).

Il ricorso deve essere in definitiva respinto poichè infondato sotto tutti i profili addotti, con le conseguenze di legge in punto di spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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