Cass. civ., sez. Lavoro 08-06-2006, n. 13380 LAVORO SUBORDINATO – ESTINZIONE DEL RAPPORTO – LICENZIAMENTO INDIVIDUALE – RISARCIMENTO DEL DANNO – Tutela obbligatoria – Potere del giudice di merito – Incensurabilità in cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Fatto

Con sentenza del 7 gennaio 2003 il Tribunale di Roma, riformando parzialmente la statuizione resa dal locale Pretore del lavoro il 3 giugno 1998, confermava la illegittimità dei licenziamenti irrogati ai dipendenti P.P. e P.F. dalla Camera di Commercio Italo Araba e condannava quest?ultima a pagare a ciascuno, a titolo di risarcimento danni, cinque mensilità di retribuzione (così riducendo la maggiore somma riconosciuta dal primo Giudice);

condannava altresì il datore al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso, pari a quattro mensilità per la P. ed a tre mensilità per il P..

Il Tribunale, rigettando l’appello incidentale proposto dalla Camera di Commercio, confermava che sia gli addebiti contestati – ossia il compimento di gravi irregolarità nello svolgimento del compito di vidimazione dei documenti commerciali per i paesi arabi (timbratura, apposizione di marche e firma e percezione dei diritti di esazione) con sottrazione di parte dei corrispettivi incassati – sia i chiarimenti resi, che riferivano di una ingente sproporzione tra il numero delle legalizzazioni ed i corrispettivi incassati, mancavano di specificità, essendo stata omessa la indicazione delle modalità, del periodo di tempo e dell’entità delle somme asseritamente sottratte. In ogni caso, soggiungeva il Tribunale, mancava la prova della responsabilità dei due dipendenti; questa infatti veniva fatta discendere dal confronto tra il numero dei timbri apposti sui documenti, risultante dal contatore progressivo della macchina timbratrice, ed il numero delle marche apposte dagli impiegati, nonchè dal confronto tra il numero delle firme ed il numero delle marche che gli stessi impiegati avevano dichiarato di avere apposto;

tuttavia, dalle dichiarazioni del legale rappresentante del – datore di lavoro – secondo cui si era verificata la medesima differenza tra i due ordini di dati anche quando alla vidimazione era stata addetta altra persona ed anche quando era stata usata una macchina nuova – emergeva il mal funzionamento o comunque la inaffidabilità della macchina timbratrice, come avvalorato anche dalla archiviazione, in sede di indagini preliminari, del procedimento a carico dei due lavoratori per appropriazione indebita.

Il Tribunale, rigettando altresì l’appello principale proposto dai lavoratori, escludeva che costoro avessero diritto alla tutela reale di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, ritenendo in primo luogo inammissibile la produzione dell’accordo aziendale 30 novembre 1981, in cui si stabiliva l’applicazione dello Statuto dei lavoratori a prescindere dal numero dei dipendenti, sul rilievo che nei ricorsi introduttivi la tutela reale era stata invocata esclusivamente in forza dell’impiego di più di quindici dipendenti, senza alcun riferimento al citato accordo, per cui porre quest?ultimo a fondamento della pretesa avrebbe costituito domanda nuova, come tale inammissibile. Quanto poi al limite dimensionale, il Tribunale, affermava che i dipendenti erano nove, ed escludeva che i sette collaboratori, indicati nel ricorso di primo grado, fossero in realtà lavoratori subordinati, giacchè dai contratti ne risultava pattuita la natura autonoma, e non vi era prova che il rapporto si fosse di fatto svolto con modalità diverse, giacchè non valeva in tal senso la esistenza di direttive e di rilievi svolti nei confronti dell’operato di due dei sette collaboratori, trattandosi di tatti compatibili con il rapporto svolto in autonomia; né era stato provato che costoro seguissero obbligatoriamente un orario di lavoro fisso e che fossero assiduamente controllati, giacchè uno di costoro non osservava alcun orario, due lavoravano sia in ufficio sia presso la propria abitazione e tutti erano esenti dalla timbratura del cartellino. Soggiungeva il Tribunale che non si poteva tenere conto delle deduzioni inerenti alla natura giornalistica del rapporto di due dei collaboratori e della posizione del segretario generale, giacchè mancava ogni deduzione al riguardo nel ricorso introduttivo e che la circostanza sarebbe stata irrilevante per raggiungere la soglia dimensionale. Il Tribunale affermava poi che erroneamente il primo Giudice aveva determinato in quattordici mensilità la indennità L. n. 604 del 1966, ex art. 8, perchè questa era prevista dalla legge dalle 2, 5 alle 6 mensilità, con aumento fino a 14 solo nel concorso di due condizioni: anzianità di servizio e numero dei dipendenti; quanto a quest?ultimo elemento, non potendo computarsi i lavoratori autonomi, la maggiorazione spettava solo nel caso – non ricorrente nella specie – di occupazione complessiva di più di quindici e fino a sessanta dipendenti, distribuiti in unità produttive e ambiti comunali aventi ciascuno meno di quindici dipendenti; considerata poi l’anzianità di servizio di venti anni, il Tribunale liquidava la indennità nella misura, prossima al massimo, di cinque mensilità. Rilevato poi che il datore, mediante il pagamento delle somme relative al risarcimento del danno aveva dimostrato univocamente che non intendeva riassumere i due lavoratori, dichiarava il diritto dei medesimi a percepire l’indennità sostitutiva del preavviso.

Contro detta sentenza i lavoratori ricorrono sulla base di tre motivi.

Resiste la Camera di Commercio Italo Araba con controricorso e ricorso incidentale sulla base di due motivi.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi, ex art. 335 cod. proc. civ..

Con il primo motivo del ricorso principale si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 437 cod. proc. civ., artt. 2118, 2119 e 2697 cod. civ., L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3 e L. n. 300 del 1970, art. 18, nonchè difetto di motivazione, per avere il Tribunale ravvisato domanda nuova nella pretesa di fondare il diritto alla tutela reale sulla base dell’accordo integrativo aziendale del 1981, mentre costituirebbe semplice emendatio libelli, idoneo a modificare non già le circostanze di fatto, ma solo la qualificazione giuridica del rapporto.

Con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione delle medesime norme sostanziali di cui alla prima censura e difetto di motivazione, per avere negato la natura subordinata del rapporto degli otto collaboratori ed averli quindi esclusi ai fini del limite dimensionale prescritto per la tutela reale, a nulla rilevando che detti rapporti fossero sorti come autonomi, dal momento che due di costoro avevano potere gerarchico sui dipendenti; sarebbe insufficiente anche la negazione del dedotto lavoro giornalistico e della natura del rapporto del segretario generale, che non costituivano domande nuove, ma specificazione della domanda originaria diretta a dimostrare la natura subordinata del rapporto dei collaboratori.

Con il terzo motivo si denunzia ancora violazione e falsa applicazione delle medesime norme, per avere determinato in sole cinque mensilità l’ammontare del risarcimento del danno per l’illegittimo licenziamento, non avendo considerato né la "odiosità" del comportamento datoriale, che li aveva immediatamente espulsi sulla base di motivazioni poi rivelatesi infondate in sede penale, né la anzianità di servizio di ben venti anni.

Con il primo motivo del ricorso incidentale si censura la sentenza per violazione della L. n. 604 del 1966, art. 8, e cioè per avere riconosciuto la indennità sostitutiva del preavviso, sostenendosi di contro che le conseguenze della illegittimità del recesso nell’ambito della tutela obbligatoria sarebbero solo quelle di cui al citato art. 8 e quindi non vi sarebbe spazio per l’indennità sostitutiva del preavviso. Con il secondo motivo si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 2 e 5 L. n. 300 del 1970, art. 7, art. 2 cod. proc. pen., comma 2, e per difetto di motivazione, per avere affermato che il licenziamento era stato fondato su addebiti privi di specificità e comunque non provati, mentre, sostiene la ricorrente, la irregolarità contestata consisteva nella omessa timbratura, omessa apposizione di marche e di firma, omessa percezione dei diritti, tutti atti prodromici compiuti al fine di sottrarre l’importo delle somme riscosse e quindi su un fatto di facile comprensione rispetto al quale i lavoratori avevano potuto difendersi. Per altro la archiviazione da parte del giudice penale non poteva vincolare il giudice civile.

I fatti addebitati sarebbero inoltre stati dimostrabili ove fossero state ammesse le prove richieste in primo grado e richiamate in appello (timbri e procedure relative alla vidimazione dei documenti commerciali relativi alle esportazioni nei paesi arabi, i procedimenti da seguire e quelli seguiti). Nella memoria di costituzione essa ricorrente aveva; anche spiegato i tipi di controllo eseguiti, con prospetto analitico nelle varie giornate sul numero di timbri risultanti dalla timbratrice e numero delle marche, sul numero delle firme e numero delle marche.

Va preliminarmente esaminato, per ragioni logiche, il secondo motivo del ricorso incidentale in quanto investe il capo di sentenza relativo alla illegittimità del licenziamento e quindi la statuizione che funge da presupposto di tutte le altre.

Il motivo è infondato.

Nella sentenza impugnata risultano puntualmente esaminati gli addebiti mossi dal datore, con ricostruzione del complesso meccanismo che vedeva la non corrispondenza di alcuni dati e cioè quella tra il numero dei timbri apposti, che risultava dal contatore progressivo della macchina timbratrice, ed il numero delle marche apposte, nonchè tra il numero delle firme ed il numero delle marche; risulta altresì dalla sentenza impugnata che, contrariamente a quanto dedotto nel motivo di ricorso, in primo grado erano state espletate le prove testimoniali sul punto, mentre la assenza di responsabilità dei due dipendenti fu tratta soprattutto dal libero interrogatorio del legale rappresentante della Camera di Commercio, in cui si dichiarava il mal funzionamento della macchina timbratrice, dal momento che la medesima non corrispondenza di dati si era verificata anche quando, il 13 giugno 1995, alla vidimazione era stata addetta altra persona. Hanno altresì evidenziato i Giudici d’appello la mancanza di lamentele da parte degli interessati sulla non apposizione delle marche da loro pagate, nonchè i fatti risultanti nel decreto di archiviazione, i quali riconfermavano sostanzialmente il mal funzionamento della timbratrice; inoltre non vi era prova né della falsificazione delle marche, né dei possibili espedienti posti in atto dai due lavoratori. Le censure svolte nel motivo non valgono quindi ad infirmare le conclusioni cui sono pervenuti i Giudici di merito attraverso questo complessa esposizione di elementi a supporto, peraltro tratti dal libero interrogatorio del legale rappresentante di parte datoriale, giacchè non si deducono né circostanze, né istanze istruttorie disattese, su fatti effettivamente valevoli a contraddirle, soprattutto a contraddire il mal funzionamento della macchina timbratrice che è assunto dal Tribunale come elemento oltremodo significativo per la negazione degli addebiti contestati, di talchè quanto dedotto dalla ricorrente incidentale sul punto, anche se provato, non assumerebbe il carattere di decisività idoneo all’annullamento della statuizione.

Rigettata la censura sulla ritenuta illegittimità del licenziamento, resta assorbito l’ulteriore profilo dedotto concernente la asserita specificità della contestazione. Non è fondato neppure il secondo motivo del ricorso incidentale in relazione alla riconosciuta attribuzione della indennità sostitutiva del preavviso. Ed infetti – confermato il principio di ordine generale di cui agli artt. 2118 e 2119 cod. civ., secondo cui il licenziamento comporta sempre, a carico del datore, l’obbligo del preavviso o dell’indennità sostitutiva, esclusa l’ipotesi di sussistenza della giusta causa per il recesso in tronco e in caso di risoluzione consensuale del rapporto, ove le parti si accordino in tal senso – mentre nell’area della tutela reale il recesso ingiustificato non è idoneo ad estinguere il rapporto di lavoro, che continua de ture, provocando solo l’interruzione di fatto della prestazione lavorativa, viceversa nell’area della tutela obbligatoria il licenziamento, ancorchè privo di giustificazione, è idoneo ad estinguere il rapporto, giacchè la norma (L. n. 604 del 1966, art. 8, come modificato dalla L. 11 maggio 1990, n. 108, art. 2) fa riferimento all’obbligo di "riassumere" il lavoratore, segno quindi della già avvenuta risoluzione. Peraltro, nella specie, il Tribunale ha rilevato che l’avvenuto pagamento della indennità dimostrava l’intenzione del datore di non procedere alla riassunzione, obbligo alternativamente posto dalla medesima disposizione. Ne consegue che in caso di licenziamento illegittimo, mentre in relazione alla tutela reale – in forza della efficacia ripristinatoria del rapporto attribuita dalla legge – la indennità sostitutiva del preavviso è incompatibile con la reintegra perchè non si ha interruzione del rapporto, viceversa, stante il carattere meramente risarcitone) accordato dalla tutela obbligatoria, il diritto alla indennità sostitutiva del preavviso sorge per il fatto che il rapporto è risolto. In quest?ultimo caso la indennità prevista dalla L. n. 604 del 1966, art. 2, va a compensare i danni derivanti dalla mancanza di giusta causa e giustificato motivo, mentre l’indennità sostitutiva del preavviso va a compensare il fatto che il recesso, oltre che illegittimo, è stato intimato in tronco; non vi è dunque incompatibilità tra le due prestazioni, viceversa sarebbe incongruo sanzionare nello stesso modo due licenziamenti, entrambi privi di giustificazione, ma l’uno intimato con preavviso e l’altro invece intimato in tronco. Per queste ragioni non appare condivisibile la pronuncia di questa Corte n. 1404 dell’8 febbraio 2000, che ha escluso in un caso analogo il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso.

Non è fondato neppure il primo motivo del ricorso principale, giacchè mentre nel ricorso introduttivo il tatto costitutivo da cui veniva tatto discendere il diritto alla tutela reale era costituito dal requisito numerico dei dipendenti in forza, viceversa, nel corso del giudizio di primo grado, si pretendeva di far discendere il diritto alla medesima tutela da un fatto completamente diverso, ossia dalla esistenza del contratto integrativo aziendale che la consentirebbe a prescindere dal requisito numerico. Si ha allora una mutazione del fatto materiale e non già il mutamento di una tesi giuridica, come pretendono i ricorrenti, onde la questione era inammissibile perchè nuova. Ed infatti dalle stesse sentenze di legittimità invocate in ricorso si desume la differenza tra mulatto libelli ed emendano libelli (tra le tante Cass. n. 9239 del 12 luglio 2000), per cui la "mutatio libelli" non consentita è solo quella che si traduce in una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un tema di indagine completamente nuovo, in modo da determinare una spostamento dei termini della contestazione, con la conseguenza di disorientare la difesa predisposta dalla controparte, e, quindi, di alterare il regolare svolgimento del processo, sussistendo, invece, soltanto una "emendatio" quando la modifica della domanda iniziale incidesse sulla "causa petendi" unicamente nel senso di una diversa interpretazione o qualificazione giuridica del ratto costitutivo del diritto. Nel caso in esame l’esistenza ed il contenuto dell’accordo integrativo costituivano indubbiamente una questione di fatto, e non di diritto, nuova e quindi un nuovo tema di indagine rispetto alle allegazioni contenute nel ricorso introduttivo, in cui va determinato irreversibilmente sia l’oggetto della pretesa, sia i fatti costitutivi posti a suo fondamento.

Va rigettato anche il secondo motivo del ricorso principale, deducendosi solo un diverso apprezzamento dei fatti, tutti logicamente valutati dalla sentenza impugnata, oltre che circostanze irrilevanti perchè, anche se provate, mai si raggiungerebbe il numero prescritto.

ÿ infondato anche il terzo motivo concernente la misura dell’indennità risarcitoria. Rilevato preliminarmente che non poteva essere applicata l’ultima parte del citato L. n. 604 del 1966, art. 8, sul diritto alla maggiorazione dell’indennità fino a dieci mensilità, o fino a quattordici mensilità, mancando uno dei presupposti che la legge prevede e cioè il numero di dipendenti superiore ai quindici, che nella specie non ricorre, non potendo essere considerati lavoratori subordinati i sette collaboratori, per le ragioni già indicate, resta solo la doglianza concernente la quantificazione della indennità in cinque invece che nella misura massima di sei mensilità di retribuzione. Tuttavia, poiché tutte le circostanze indicate dalla legge come rilevanti per la determinazione della indennità sono state logicamente valutate dai Giudici di mento, la censura, attinente peraltro ad una sola mensilità, è inammissibile giacchè è stato ritenuto, Cass. n. 107 del 5 maggio 2001 che "In caso di licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo per il quale non sia applicabile la disciplina della cosiddetta stabilità reale, la determinazione, tra il minimo e il massimo, della misura dell’indennità risarcitoria prevista dalla L. n. 604 del 1966, art. 8 (sostituito dalla L. n. 108 del 1990, art. 2), spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria." Entrambi i ricorsi vanno pertanto rigettati. Le spese del giudizio vengono compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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