Cass. pen., sez. Unite 18-05-2006 (11-04-2006), n. 17050 IMPUGNAZIONI – CASSAZIONE – SENTENZA – ANNULLAMENTO – CON RINVIO – Impugnazioni penali – Sentenza – Annullamento – Con rinvio – Annullamento del giudizio di primo e di secondo grado

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 4 giugno 2002 il Tribunale per i minorenni di Napoli dichiarava il minore ? responsabile, in concorso con il fratello maggiorenne M. G., di detenzione illegale e spaccio di sostanza stupefacente, (hashish), ex articolo 73 comma 5 Dpr 309/90 e con le attenuanti generiche e la diminuente della minore età lo condannava alla pena di mesi 3 di reclusione ed euro 1.600 di multa.

La Corte di appello, sezione per i minorenni, con pronuncia 19 dicembre 2002, a seguito di gravame dell’imputato, dichiarava la nullità della suddetta sentenza ai sensi degli articoli 178 lettera c) e 179 c.p.p. per omessa valutazione dell’istanza del difensore di fiducia volta ad ottenere rinvio dell’udienza dibattimentale di primo grado per impedimento del medesimo, istanza tempestivamente presentata e corredata da adeguata certificazione; contestualmente, visto l’articolo 604 comma 4 c.p.p., disponeva la trasmissione degli atti al primo giudice.

Il Tribunale per i minorenni di Napoli in data 29 gennaio 2004 riconosceva ? responsabile del delitto di cui sopra e con la diminuente della minore età lo condannava alla pena di mesi 6 di reclusione e euro 2.000 di multa: la decisione veniva confermata dalla Corte di appello, sezione minorenni, con sentenza 2 dicembre 2004 avverso la quale ha ora proposto ricorso per cassazione l’imputato in base ai seguenti motivi:

1 – violazione dell’articolo 597 comma 3 c.p.p. perché il Tribunale, a seguito dell’annullamento operato dalla Corte di appello su gravame del solo imputato, aveva raddoppiato la pena originariamente inflitta, negando le attenuanti generiche che invece erano state concesse con la sentenza annullata;

2 – mancata assunzione di prova decisiva e violazione della legge processuale.

A tal proposito si è censurata l’omessa escussione, quantomeno a norma dell’articolo 507 c.p.p., del fratello dell’imputato, M. G. il quale, definendo la sua posizione secondo il rito previsto dall’articolo 444 c.p.p., aveva ammesso di essere l’autore materiale della accertata cessione, nonché la circostanza che il Tribunale, dopo l’esame di un solo testimone ed a seguito della rinuncia del Pm a sentire gli altri, avesse dichiarato chiusa l’istruttoria dibattimentale nonostante l’opposizione della difesa.

3 – Illogicità della motivazione e travisamento del fatto in ordine al ravvisato concorso del ? nel fatto realizzato dal fratello, deducendosi fra l’altro che non era stato considerato che le dichiarazioni del teste C. V. (unico escusso) erano divergenti rispetto a quelle che egli aveva rilasciato nel precedente giudizio innanzi al Tribunale; mancanza di motivazione sulla richiesta difensiva di rinnovo del dibattimento.

Il ricorso veniva assegnato alla Sezione quarta penale ed il collegio rilevava che sulla questione posta con il primo motivo – relativa all’applicabilità del divieto di ?reformatio in pejus? nel giudizio conseguente ad annullamento da parte della Corte di appello ex articolo 604 comma 4 c.p.p. – non risultavano precedenti di legittimità: onde evitare che l’eventuale decisione potesse essere in conflitto con il principio della generalità del suddetto divieto, più volte affermato dalla Cassazione (sia pure con riguardo a reiterazione di giudizio di secondo grado a seguito di annullamento con rinvio da essa pronunciato) rimetteva gli atti alle Su.

Motivi della decisione

Procedendo all’esame dei vari motivi secondo la loro pregiudizialità, si osserva quanto segue. Il secondo motivo è infondato.

Innanzitutto deve precisarsi che ?prova decisiva?, la cui mancata assunzione legittima il ricorso per cassazione (articolo 606 lettera d) c.p.p.), è quella idonea a superare contrasti e conseguenti dubbi emergenti dall’acquisito quadro probatorio oppure atta di per sé ad inficiare l’efficacia dimostrativa di altra o altre prove di sicuro segno contrario: tale non è quella abbisognevole di comparazione con gli elementi già acquisiti, non per negarne l’efficacia dimostrativa, bensì per comportarne un confronto dialettico al fine di effettuare una ulteriore valutazione per quanto oggetto del giudizio (Cassazione 6202/94 Rv. 197837; 3148/98 Rv. 210191; 2689/00 Rv. 215714).

Nella presente fattispecie non può dunque ritenersi decisiva l’escussione di un soggetto coimputato il quale, come dedotto dalla difesa nell’atto di appello, avrebbe semplicemente ?meglio chiarito le modalità della condotta?; d’altro canto, essendo stato evidenziato dai giudici di merito come la responsabilità dell’imputato emergesse senza possibilità di dubbio dalle dichiarazioni dell’agente C. e dalle risultanze del verbale di arresto, l’esclusa necessità di procedere all’esame del correo si palesa legittima e congruamente motivata.

Nè rileva che il Tribunale, nel respingere l’istanza avanzata in primo grado ai sensi dell’articolo 507 c.p.p., abbia fatto riferimento al fatto che il M. G., in quanto fratello dell’imputato, avrebbe potuto astenersi dal rispondere: pur riconoscendosi che il giudizio sull’ammissibilità o meno di una prova non può dipendere da previsioni sull’effettivo risultato dell’esperimento, va considerato che – trattandosi di questioni processuali e di denunciato vizio in procedendo – ciò che in realtà incide è esclusivamente la correttezza della soluzione adottata. A ciò aggiungasi che, al di là della suddetta affermazione, il Tribunale ebbe comunque a puntualizzare che il processo era sufficientemente istruito.

Con riguardo alla revoca dell’ammissione della prova testimoniale in conseguenza della rinuncia del Pm che a suo tempo l’aveva richiesta, il motivo è inammissibile siccome generico poichè neppure viene indicato di quali testi trattavasi né su quali circostanze essi avrebbero dovuto essere interrogati. Comunque deve puntualizzarsi che il giudice ben può, nel corso dell’istruzione dibattimentale, a fronte di rinuncia di una parte, disporre che non si proceda all’escussione dei testimoni da essa indicati, qualora ritenga tale prova ormai superflua: a tal fine il dato che appare decisivo non è la rinuncia, ma piuttosto la ritenuta non rilevanza dell’esperimento stante le già acquisite emergenze, dovendosi coordinare il diritto dell’imputato alla prova con il potere attribuito al giudice dall’articolo 495 comma 4 c.p.p., che è molto più ampio di quello a lui riconosciuto all’inizio del dibattimento (Cassazione 7399/92 Rv. 190718; 13792/99 Rv. 215281).

Il terzo motivo, per quanto concerne la mancanza di motivazione da parte della Corte territoriale in ordine alle istanze difensive di rinnovazione del dibattimento, è manifestamente infondato: stante la presunzione di completezza dell’istruttoria svolta in primo grado il giudice di appello, qualora non ritenga di addivenire a determinati esperimenti probatori invocati dalle parti, non è tenuto a specifica motivazione, essendo sufficiente che egli dimostri in modo positivo attraverso la struttura argomentativa della sentenza da lui emessa la portata e l’assorbente concludenza delle già acquisite emergenze (Cassazione 45739/03 Rv. 226977; 6379/99 Rv. 213403; 8891/00 Rv. 217209)

Inammissibile è il richiamo alle dichiarazioni che il teste C. aveva reso nel giudizio annullato. Correttamente, invero, i giudici di merito non hanno valutato la di lui primitiva deposizione in quanto essa era da ritenersi affetta da invalidità assoluta, perché svoltasi in assenza del difensore dell’imputato; né le dichiarazioni originarie sono state invocate nell’atto di appello quale fatto storico, ad eventuale dimostrazione della inattendibilità del citato soggetto: pertanto, anche sotto codesto profilo, ogni riferimento ad esse è precluso questa sede.

Per il resto il motivo si risolve in rilievi di fatto, mentre si palesa manifestamente infondato l’assunto di mancanza di motivazione in ordine alla ricorrenza di condotta concorsuale a carico del ?. Al proposito sia il Tribunale, sia la Corte di appello hanno posto in luce plurime emergenze – lo stazionamento del C. nella strada insieme al fratello, essendo essi ?vicini? ed ?affiancati?, la detenzione da parte loro di identica sostanza, la circostanza che anche quella sequestrata al minore fosse già suddivisa in dosi e confezionata in modo omogeneo a quella ceduta all’acquirente – rispetto alle quali la conclusione adottata, circa la cosciente partecipazione dell’imputato alla vicenda, è del tutto giustificata e plausibile, il che è sufficiente a sottrarla a possibilità di sindacato di legittimità.

Deve ora affrontarsi la questione sollevata con il primo motivo, per la cui soluzione il ricorso è stato rimesso alle Su; essa si pone in questi termini: se il divieto sancito dall’articolo 597 comma 3 c.p.p. – il quale, per quanto qui interessa, prevede che ?quando appellante è il solo l’imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità? – operi anche nel giudizio di rinvio conseguente ad annullamento pronunciato dalla Corte di appello della sentenza di primo grado, appellata dal solo imputato.

Il problema sorge evidentemente anche per l’ipotesi in cui la sentenza di primo grado sia stata annullata dalla Cassazione per effetto di ravvisata invalidità del giudizio di primo grado, annullamento che, al di fuori del caso di ricorso per saltum o di sentenze inappellabili, ha di necessità comportato pure quello della sentenza di appello.

Preliminarmente sono opportune talune precisazioni.

La Corte di appello (o più in generale il giudice di secondo grado) ai sensi dell’articolo 604 comma 4 c.p.p., può addivenire all’annullamento di una pronuncia di primo grado solo se accerti una nullità assoluta (articolo 179 c.p.p.) del provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado ovvero una nullità a regime intermedio (articolo 180 c.p.p.) non sanata da cui sia derivata la nullità del provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado; in tal caso il rinvio degli atti avverrà al giudice che procedeva quando si è verificata la nullità.

A fronte di nullità della sentenza di primo grado diverse da quelle sopra menzionate e non sanate, il giudice di appello – secondo il dettato dell’articolo 604 comma 5 c.p.p., ispirato ai principi di conservazione dell’attività processuale e di economia processuale – può ordinare il rinnovo dell’atto invalido ovvero decidere nel merito se riconosce che esso non fornisce elementi necessari al giudizio; del pari, qualora sussistano vizi di motivazione avrà il potere di modificare, rettificare, sostituire la stessa e persino di provvedere alla sua integrale redazione, ma non potrà pronunciare l’annullamento (Cassazione 4562/94 Rv. 197335; 3947/94 Rv. 199110).

Con riferimento alle nullità verificatesi nel giudizio di primo grado si individua dunque una fondamentale distinzione agli effetti della decisione che il giudice di secondo grado dovrà assumere: nullità di atti propulsivi, ossia di atti rispetto ai quali la pronuncia conclusiva si pone in rapporto di stretta ed inevitabile dipendenza e nullità di atti di acquisizione probatoria rispetto ai quali detta pronuncia si trova in relazione di dipendenza meramente logica.

A differenza del giudice di appello la Cassazione invece, quale giudice di legittimità, addiverrà all’annullamento della sentenza impugnata in ogni caso di nullità che abbia comunque inciso, strutturalmente o in via logica, sulla medesima nonché per riscontrato vizio di motivazione: ciò non toglie che diverse conseguenze possano derivare dalle diverse ragioni dell’annullamento. Inoltre è opportuno precisare che, sebbene l’articolo 623 c.p.p. non contempli espressamente, al pari dell’articolo 543 n. 6 del codice di rito abrogato, l’ipotesi di annullamento da parte della Cassazione con rinvio al giudice di primo grado per effetto di nullità assolute o generali non sanate, questa possibilità si desume oltre che dalla relazione al progetto preliminare, altresì dal complesso delle norme che regolano il regime delle nullità ed in particolare dagli articoli 175, 185 comma 3 e 569 comma 4 c.p.p. (Cassazione 3144/94 Rv. 197383).

Tanto premesso, può passarsi all’esame dei precedenti di questa Corte relativi a varie ipotesi di annullamento.

ÿ stato costantemente ritenuto che la disposizione dell’articolo 597 comma 3 c.p.p., anche se prevista espressamente solo per l’appello, costituisce un principio di carattere generale applicabile anche nel giudizio di rinvio conseguente ad annullamento di una sentenza di secondo grado operato dalla Cassazione per vizio di motivazione, a seguito di ricorso del solo imputato; al contempo si è precisato che il raffronto ai fini in questione va effettuato con la sentenza annullata, se questa ebbe ad infliggere una pena inferiore a quella di cui alla decisione di primo grado (Cassazione 865/92 Rv. 189586; 9861/93 Rv. 195434; 10651/96 Rv. 207335; 493/98 Rv. 212159; 26898/01 Rv. 219920; 23176/04 Rv. 228238).

A sostegno di tale soluzione si è evidenziato che il divieto de quo, ispirato alla tutela del diritto di difesa ed all’osservanza del ?devolutum?, è finalizzato ad impedire che si determini un aggravio della posizione dell’imputato per effetto delle di lui iniziative, nell’acquiescenza del Pm: esso, pertanto, deve operare con riguardo a tutte le impugnazioni alle quali sia adattabile in relazione alla loro struttura ed in particolare nel giudizio di rinvio che non è un nuovo giudizio, ma una fase che si ricollega alla sentenza di annullamento.

Identica impostazione, sempre in fattispecie di annullamenti pronunciati per vizi di motivazione, era stata adottata nella vigenza del codice di procedura del 1930 il quale all’articolo 515 comma 3 poneva analogo divieto (Cassazione 2112/69 Rv. 113479; 959/71 Rv. 118807; Cassazione 1316/71 Rv. 119330; 11831/80 Rv. 146608; 8889/86 Rv. 173632; 6940/88 Rv. 178587; Cassazione 147/88 Rv. 180087; 12015/89 Rv. 182029).

A diversa conclusione si è invece pervenuti per un caso di annullamento con rinvio operato dalla Cassazione, sia pure su ricorso del solo imputato, per nullità derivante da omessa citazione di quest?ultimo al dibattimento di secondo grado (Cassazione 10251/99 Rv. 214386): al proposito è stato rilevato che, qualora la sentenza di appello venga annullata per ragioni processuali, il divieto della ?reformatio in pejus? deve essere rispettato esclusivamente in relazione alla decisione di primo grado, non avendo quella di secondo grado determinato il consolidamento di alcuna posizione di carattere sostanziale; detto insegnamento ha trovato conferma in tema di provvedimenti del Tribunale di sorveglianza, essendo stata annullata dalla Cassazione per nullità assoluta ed insanabile una prima ordinanza (Cassazione 36133/04 Rv. 229848). Del pari con riferimento a due successivi annullamenti pronunciati in sede di legittimità per nullità della ?vocatio in jus?, rispettivamente nel primo giudizio di appello e nel primo giudizio di rinvio, si è ritenuto che il raffronto andasse effettuato con la sentenza primo grado essendo quelle annullate da considerarsi ?tanquam non esset? (Cassazione 5505/99 Rv. 213685).

Nella medesima ottica, a fronte di regressione del giudizio in primo grado a seguito di impugnativa del solo imputato, l’operatività del divieto di aggravamento della pena è stata esclusa in plurimi precedenti per le ipotesi, sia di annullamento di entrambe le sentenze di merito da parte della Cassazione per nullità invalidante la prima (Cassazione 101/71 Rv. 119803; 8130/91 Rv. 188322), sia di annullamento disposto dalla Corte di appello della sentenza di primo grado per omessa costituzione del rapporto processuale (Cassazione 9376/77 Rv. 136474; 4669/77 Rv. 138694; 12549/78 Rv. 140203; Cassazione 4060/82 Rv. 153289; 14594/86 Rv. 174724; 1557/90 Rv. 183217).

Esiste un unico precedente di segno contrario, privo invero di supporto argomentativo, ove si è negato che nel nuovo giudizio – pur determinato da annullamento per incapacità del giudice di primo grado – possa infliggersi una pena superiore a quella in precedenza stabilita (Cassazione 2775/94 Rv. 196792).

Così delineati gli orientamenti della giurisprudenza, queste Su ribadiscono innanzitutto che il divieto di ?reformatio in pejus? deve trovare applicazione nel giudizio di rinvio conseguente ad annullamento pronunciato dalla Cassazione, su ricorso del solo imputato, della sentenza impugnata purchè l’annullamento non travolga anche gli atti propulsivi.

Fermo restando tale enunciato, si ritiene di aderire a quello che è l’indirizzo assolutamente prevalente il quale ammette, invece, la possibilità di un aggravamento del trattamento sanzionatorio in caso di annullamento di una sentenza di primo grado per effetto di nullità che travolgono l’intero giudizio (nonchè quello di secondo grado nell’eventualità che quest?ultimo sia stato già celebrato).

A tal proposito va considerato che il concetto di ?reformatio in pejus? implica necessariamente l’esistenza di un termine di paragone rappresentato da una precedente sentenza, presupposto che viene a mancare quando questa sia stata cancellata, in quanto atto finale di un giudizio nullo, e perciò privo di effetti.

In particolare si vuole sottolineare che ciò che rileva non è la circostanza che la sentenza annullata sia di primo grado, ma piuttosto il motivo per cui si è verificato l’annullamento: infatti non può ritenersi acquisita o conseguita dall’imputato alcuna posizione sostanziale favorevole per effetto di una pronuncia emessa a conclusione di una sequenza procedimentale viziata nel suo svolgimento essenziale e ab origine.

Né la tesi esposta è in contrasto con il riconosciuto carattere generale del divieto in questione nell’ambito delle impugnazioni: nel caso di individuata invalidità del pregresso giudizio è la struttura del tutto autonoma di quello nuovo, il quale non si configura come una fase dell’impugnazione, a precludere l’operatività del limite al potere discrezionale del giudice in punto pena. Ben diversa è la situazione quando in sede di legittimità venga ravvisato un vizio di motivazione o la sussistenza di invalidità di atti non propulsivi; in queste ipotesi la Cassazione è tenuta ad annullare in quanto non potrebbe essa stessa operare nuove valutazioni né rinnovare gli atti nulli ed allora assume significato parlare di applicazione del divieto di ?reformatio in pejus? poichè a seguito dell’annullamento si svolge una fase che fa parte del giudizio sull’impugnazione, nella quale il compito del giudice del rinvio è analogo a quello del giudice di appello e, che, al di fuori dei casi di cui all’articolo 604 comma 4 Cp, deve rimediare agli errori logici o giuridici riscontrati nel provvedimento impugnato.

Infine non varrebbe obiettare che così distinguendo le cause dell’annullamento si penalizzerebbe l’imputato proprio nel caso in cui egli denunci un vizio radicale, non sanabile o non sanato, e così si finirebbe per scoraggiare l’impugnazione a fronte delle più gravi violazioni di norme processuali. In realtà occorre tenere presente che in evenienze del genere la garanzia che la legge offre all’imputato è quella assorbente e prevalente rispetto ad ogni altro interesse, cioè quella di ottenere la regressione del procedimento con esclusione della possibilità di valutare qualsiasi dato acquisito nel corso del giudizio annullato.

Va dunque affermato il seguente principio: il divieto di ?reformatio in pejus? di cui all’articolo 597 comma 3 c.p.p. non può trovare applicazione nel giudizio di rinvio dinanzi al giudice di primo grado, a seguito di annullamento della precedente pronuncia ex articolo 604 comma 4 c.p.p., anche se detto annullamento sia stato determinato dall’impugnazione del solo imputato.

Alla luce delle ragioni che sono state poste a fondamento di tale conclusione, il suddetto principio viene a costituire un aspetto specifico di quello più generale secondo cui: il divieto di infliggere una pena più grave non opera nel nuovo giudizio, sia esso di primo che di secondo grado, conseguente ad annullamento pronunciato dal giudice di appello ovvero dalla cassazione a causa di individuata nullità dell’atto introduttivo o di altra nullità assoluta ovvero a carattere intermedio non sanata, che si sia riversata sull’atto conclusivo.

Per tutte le svolte argomentazioni il presente ricorso deve essere rigettato; non v?è luogo per la condanna alle spese, posto che l’impugnante al momento della commissione del fatto era minorenne.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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