Corte Costituzionale, Sentenza n. 394 del 2005 FILIAZIONE IMPOSTA REGISTRO MATRIMONIO E DIVORZIO SEPARAZIONE DEI CONIUGI

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale di Genova, con ordinanza emessa il 15 ottobre 2003, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 30 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 261, 147 e 148, 2643, numero 8, 2652, 2653 e 2657 del codice civile, nella parte in cui non consentono la trascrizione del titolo che riconosce il diritto di abitazione del genitore affidatario della prole naturale, che non sia titolare di diritti reali o di godimento sull’immobile assegnato.

Il rimettente premette in fatto di essere stato adìto dal genitore affidatario del figlio minore, nato da convivenza more uxorio ormai cessata, con azione volta ad ottenere l’assegnazione della casa familiare e l’ordine di trascrizione del relativo provvedimento nei registri immobiliari.

Il giudice a quo osserva che, come già affermato da questa Corte con la sentenza n. 166 del 1998, l’assegnazione della casa familiare al genitore naturale affidatario di minore è consentita attraverso l’interpretazione sistematica degli artt. 261, 147 e 148 cod.civ. alla luce del principio di responsabilità genitoriale, secondo il quale le esigenze di mantenimento del figlio debbono essere tempestivamente ed efficacemente soddisfatte a prescindere dalla qualificazione dello status. Viceversa, ad avviso del rimettente, "non sembra possibile ricavare dal combinato disposto degli artt. 261, 147 e 148 un principio generale che consenta anche di disporre la trascrizione del diritto di abitazione": ciò perché "le norme sulla trascrizione, rispondendo all’interesse pubblico alla sicurezza dei traffici giuridici, sono da considerarsi di stretta interpretazione nella parte in cui indicano gli atti soggetti a trascrizione".

La normativa impugnata, pertanto, presenta profili di illegittimità per contrasto con gli artt. 3 e 30 della Costituzione, dal momento che irragionevolmente "differenzia il regime dell’assegnazione della casa familiare al genitore affidatario della prole naturale al termine della convivenza more uxorio da quello dell’assegnazione della casa familiare, nelle medesime condizioni di fatto, al genitore affidatario della prole legittima", in violazione del dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori del matrimonio e dell’obbligo per lo Stato di assicurare a questi ultimi ogni tutela giuridica e sociale.

2. – Nel giudizio dinanzi a questa Corte non vi sono stati né costituzione di parti private né intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale di Genova dubita, in riferimento agli artt. 3 e 30 della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 261, 147 e 148, 2643 numero 8, 2652, 2653 e 2657 del codice civile, nella parte in cui non consentono la trascrizione del titolo che riconosce il diritto di abitazione del genitore affidatario della prole naturale, che non sia titolare di diritti reali o di godimento sull’immobile assegnato.

Ad avviso del rimettente, le norme impugnate contrastano in primis con il principio di parità di trattamento, dal momento che il regime di assegnazione della casa familiare al genitore affidatario di prole naturale risulta irragionevolmente differenziato rispetto a quello del genitore affidatario di prole legittima; in secondo luogo, violano il disposto dell’art. 30 della Costituzione, sia sotto il profilo del diritto e dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio, sia sotto il profilo dell’obbligo per il legislatore di assicurare a questi ultimi ogni tutela giuridica e sociale, purché compatibile con i diritti della famiglia legittima.

2. – La questione è infondata, nei sensi di seguito precisati.

Come sottolineato dal Giudice rimettente, questa Corte, con la sentenza n. 166 del 1998, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità dell’art. 155, quarto comma, cod.civ., nella parte in cui non prevede la possibilità di assegnare la casa familiare al genitore naturale affidatario di un minore che non sia titolare di diritti sull’immobile, ha affermato il principio secondo il quale la condizione dei figli deve essere considerata come unica, a prescindere dalla qualificazione del loro status, e non può incontrare differenziazioni legate alle circostanze della nascita: ciò perché il "principio di responsabilità genitoriale" di cui all’art. 30 della Costituzione rappresenta il fondamento di "quell’insieme di regole, che costituiscono l’essenza del rapporto di filiazione e si sostanziano negli obblighi di mantenimento, di istruzione e di educazione della prole" (sentenza n. 166 del 1998,), regole che debbono trovare uniforme applicazione indipendentemente dalla natura, giuridica o di fatto, del vincolo che lega i genitori. Conseguentemente, "il matrimonio non costituisce più elemento di discrimine nei rapporti fra genitori e figli – legittimi e naturali riconosciuti – identico essendo il contenuto dei doveri, oltre che dei diritti, degli uni nei confronti degli altri" (sentenza n. 166 del 1998,).

Così, sempre secondo questa Corte, in attuazione del suddetto principio, e a conferma della preminenza attribuita al rapporto di filiazione ex se, l’art. 261 cod. civ. stabilisce che il riconoscimento comporta da parte del genitore l’assunzione di tutti i diritti e doveri che spettano nei confronti dei figli legittimi e l’art. 317-bis cod. civ. riconosce ad entrambi i genitori naturali, purché conviventi, la potestà sui figli, in modo corrispondente a quanto sancito per la famiglia legittima dall’art. 316 cod. civ., espressamente richiamato.

Nel menzionare il complesso dei diritti e doveri facenti capo ai genitori, l’art. 261 cod.civ. fa implicito rinvio al disposto degli artt. 147 e 148 cod. civ.; in particolare, l’art. 147 cod. civ. individua quale primo obbligo genitoriale quello di mantenimento della prole, il cui contenuto comprende in primis "il soddisfacimento delle esigenze materiali, connesse inscindibilmente alla prestazione dei mezzi necessari per garantire un corretto sviluppo psicologico e fisico del figlio, e segnatamente fra queste […] la predisposizione e la conservazione dell’ambiente domestico, considerato quale centro di affetti, di interessi e di consuetudini di vita" (sempre ex sentenza n. 166 del 1998,).

Pertanto, se l’obbligo di mantenimento si traduce anche nell’assicurare ai figli un’idonea dimora, intesa come luogo di formazione della loro personalità, la concreta attuazione dello stesso non può incontrare differenziazioni in ragione della natura del vincolo che lega i genitori.

3. – Attraverso l’interpretazione sistematica delle norme che regolano i rapporti genitori-figli si individua la regola iuris cui l’interprete deve attenersi in sede di applicazione concreta, nel rispetto del principio di responsabilità genitoriale, che impone la soddisfazione delle esigenze della prole a prescindere dalla qualificazione dello status della stessa.

Se il diritto all’assegnazione della casa familiare al genitore affidatario di prole naturale può trarsi in via di interpretazione sistematica dalle norme che disciplinano i doveri dei genitori verso i figli, alle medesime conclusioni deve pervenirsi con riguardo alla possibilità per il genitore naturale affidatario di minore – e che non sia titolare di diritti reali o di godimento sull’immobile – di trascrivere il provvedimento di assegnazione nei registri immobiliari, onde garantire effettività alla tutela dei diritti della prole anche in caso di conflitto con i terzi.

Sul punto debbono essere richiamate le considerazioni svolte da questa Corte nella sentenza n. 454 del 1989, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 155, quarto comma, cod.civ. "nella parte in cui non prevede la trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione dell’abitazione nella casa familiare al coniuge affidatario della prole, ai fini della opponibilità ai terzi". Tale precedente ha stabilito che il provvedimento di assegnazione non ha la finalità di attribuire ad uno dei coniugi un titolo di legittimazione ad abitare, ma è funzionale a mantenere la destinazione dell’immobile a residenza familiare e ciò perché "il titolo ad abitare per il coniuge è strumentale alla conservazione della comunità domestica e giustificato esclusivamente dall’interesse morale e materiale della prole affidatagli" (sentenza n. 454 del 1989).

Conseguentemente, il provvedimento di assegnazione deve poter essere trascritto poiché, in caso contrario, l’atto non sarebbe opponibile ai terzi e potrebbe essere vanificato il vincolo di destinazione impresso alla casa familiare.

Di tale necessità si è, del resto, avveduto lo stesso legislatore nel momento in cui ha stabilito che, in caso di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, l’assegnazione dell’abitazione al genitore affidatario della prole, se trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 cod.civ. (art. 6, sesto comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall’art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74): con la sentenza n. 454 del 1989 questa Corte ha, così, stabilito che il non aver esteso la medesima facoltà al coniuge separato si traduce non in un’ingiustificata disparità fra coniugi separati e divorziati, "essendo gli uni e gli altri portatori di status personali differenziati", ma in una diversità di trattamento "di una situazione assolutamente identica, quale è quella della prole affidata ad un genitore separato o ad un genitore non più legato da vincolo matrimoniale" (sentenza n. 454 del 1989).

Infatti, se la ratio sottesa all’istituto dell’assegnazione della casa familiare e alla trascrizione del relativo provvedimento è da ravvisarsi nel preminente interesse morale e materiale dei figli, la conservazione del vincolo di destinazione impresso all’abitazione domestica deve essere garantita agli stessi a prescindere dalle circostanze della nascita: i figli legittimi, di genitori che abbiano ottenuto la separazione, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ed i figli naturali debbono poter fare assegnamento su un identico trattamento e vedersi garantiti gli stessi strumenti di tutela, anche nei confronti di terzi controinteressati.

A tal fine, peraltro, non è necessaria una norma esplicita, dal momento che la regula iuris è immanente al sistema e si ricava per via interpretativa applicando il principio di responsabilità genitoriale: l’assenza di una norma ad hoc che riconosca specificamente la trascrivibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare al genitore affidatario della prole naturale non impedisce, anzi suggerisce, di trarre la regola da applicare da un’interpretazione sistematica delle norme del codice civile in tema di tutela della filiazione, lette alla luce del principio di responsabilità genitoriale di cui all’art. 30 della Costituzione e del superiore interesse del figlio alla conservazione dell’abitazione familiare.

4. – Pertanto, come il diritto del figlio naturale a non lasciare l’abitazione in seguito alla cessazione della convivenza di fatto fra i genitori non richiede un’apposita previsione, anche il diritto del genitore affidatario di prole naturale ad ottenere la trascrizione del provvedimento di assegnazione non necessita di un’autonoma previsione, dal momento che risponde alla stessa ratio di tutela del minore ed è strumentale a rafforzarne il contenuto: il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli e di garantire loro la permanenza nel medesimo ambiente in cui hanno vissuto con i genitori deve essere assolto tenendo conto, prima che delle posizioni di terzi, del diritto che alla prole deriva dalla responsabilità genitoriale prevista dall’art. 30 della Costituzione e tesa a favorire il corretto sviluppo della personalità del minore.

Il principio evocato dal Tribunale rimettente – la garanzia del minore attraverso la trascrizione del titolo che assegna al genitore affidatario il diritto di abitazione nella casa familiare – è ricavabile da un’interpretazione sistematica delle disposizioni a tutela della filiazione: di conseguenza, le norme censurate, interpretate come in motivazione, debbono ritenersi conformi a Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 261, 147 e 148, 2643, numero 8, 2652, 2653 e 2657 del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 30 della Costituzione, dal Tribunale di Genova, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 ottobre 2005.

Depositata in Cancelleria il 21 ottobre 2005.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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