Corte Suprema di Cassazione – Penale Sezione VI Sentenza n. 15187 del 2006 deposito del 03 maggio 2006 MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA SENTENZA PENALE Motivazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

In fatto e in diritto

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Potenza 3 nov. 2005 n. 370, con la quale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Matera 10 feb. 2004 n. 91, da lui appellata, è stato dichiarato colpevole di reato previstodall’art. 572 c.p., commesso in Matera fino al 12 maggio 1999 e contestato al capo b) dell’imputazione, in esso assorbiti il reato previsto dagli artt. 81, 594 e 581 c.p., commesso in Matera il 4 giu. 1999 e contestato al capo a), e il reato previsto dall’art. 572 c.p., commesso in Matera fino al 19 giu. 1999, A. R. F. ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi: violazione degli artt. 572 c.p. e 192 c.p.p. e illogicità della motivazione (art. 606 lett. b) d e) c.p.p.) perché nella sentenza impugnata non si tiene conto della separazione di fatto, intervenuta già il 12 magg. 1999, ne della circostanza che nessuno dei fatti esposti nella querela del 19 giu. 1999 era stato rappresentato nelle due precedenti denuncie; inoltre, la questione dei rapporti bancari e della necessità di accenderli presso piazze lontane dai luoghi di residenza, mentre, per quanto riguarda gli elementi descrittivi del menage familiare, quelli desunti dall’unico intervento della polizia il 12 magg. 1999 e i due referti medici non sono rappresentativi di un clima di violenza instaurato dal F. e la testimonianza della suocera è chiaramente di parte.

Violazione degli artt. 582 c.p. e 192 c.p.p. e vizio di motivazione (art. 606 lett. b) ed e) c.p.p.) perché la colpevolezza dell’imputato in ordine al reato di lesioni in danno di S. N., contestato al capo d) dell’imputazione, si basa sulla testimonianza della parte offesa, inattendibile come quelle della figlia, D. P., per le medesime ragioni; violazione degli artt. 132 e 133 c.p.p. (art. 606 lett. b) ed e) c.p.p.) perché nel trattamento sanzionatorio il giudice si è limitato alla rideterminazione della pena, malgrado che la qualificazione della pena sia stata fatta oggetto di impugnazione, con richiesta di riduzione al minimo.

L’impugnazione è inammissibile.

Col primo motivo di ricorso il ricorrente ripropone censure già prese in esame e disattese dalla sentenza di appello, la quale ha valutato le obiezioni dell’appellante e ritenuto motivatamente che la proposizione di denuncie a querele in relazione, dapprima a singoli episodi, e successivamente alla vicenda complessiva svoltasi nel corso del rapporto coniugale, non costituisce di per se ragione di dubbio sull’attendibilità della testimonianza da lei resa.

La sentenza impugnata ha peso in considerazione anche la questione dei conti bancari, rilevando che l’imputato li intetatva alla moglie, della quale a volte falsificava anche la sua firma sugli assegni, in quanto era interdetto all’emissione dei predetti titoli; ed ha concluso correttamente che questa circostanza non solo non inficiava l’affermazione della parte lesa di non conoscere l’andamento di tali conti, ma ne confermava in tal senso la deposizione testimoniale.

A fronte di questa motivazione, adeguata ai fatti e logicamente coerente, il ricorrente muove in realtà censure in fatto, peraltro già smentite dagli accertamenti dei giudici del merito e, quindi, manifestamente infondate, che implicano una ricostruzione della vicenda diversa da quella eseguita con la sentenza e non può, quindi, estendersi all’esame e alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti alla causa, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto al quale la Corte di cassazione non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa (Cass., Sez. un., 2 lug. 1997 n. 6402, ric. Dessimone; Sez. III, 12 feb. 1999 n. 3539, ric. Suini; Sez. III, 14 lug. 1999 n. 2609/99, ric. Paone; Id., 12 nov. 1999 n. 3560, ric. Drigo; Sez. VII, 9 lug. 2002 n. 35758, ric. Manni G.).

Anche sulla questione posta col secondo motivo di ricorso il giudice di appello si è pronunciato, escludendo che la testimonianza della N., suocera dell’imputato, potesse ritenersi inattendibile per il solo fatto della sua collocazione in epoca prossima alla rottura dei rapporti tra sua figlia e il marito e ribadendo il valore probatorio.

Il ricorrente contesta genericamente la valutazione, qualificando come non corretta l’operazione di omologazione delle deposizioni della P. e della N., senza tuttavia dedurne alcuna specifica censura, in contrasto con la regola, stabilita a pena di inammissibilità dagli artt. 581 lett. c) e 591 comma I, lett. c) c.p.p., per cui nei motivi di impugnazione devono essere indicate specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta, considerando che quelle mosse in appello sono state motivatamente rigettate.

Peraltro anche il secondo è per più versi, inammissibile.

Quanto al terzo motivo si osserva, quanto al trattamento sanzionatorio, che il giudice di appello, confermando la pena base determinata dal primo giudice al fine del calcolo della continuazione e applicando lo stesso aumento per il reato contestato al capo d) dell’imputazione, ha di fatto confermato la congruità della pena inflitta in primo grado, sicché il vizio eccepito dal ricorrente appare manifestamente privo di consistenza.

Peraltro il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 1000,00 alla Cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di Euro 1000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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