Corte Costituzionale, Sentenza n. 441 del 2005 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA Consiglio di Stato Giudicato amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso del 15 giugno 2004 al Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, la Farmacia Perricone, in persona della titolare dr.ssa Maria Agata Perricone, esponeva di aver ottenuto dal giudice competente il decreto n. 2/2002 con il quale era stato ingiunto all’Azienda unità sanitaria locale n. 9 di Trapani il pagamento in suo favore di sorte capitale ed interessi per una fornitura di presídi sanitari in favore di assistiti del Servizio sanitario nazionale, oltre alle spese del procedimento. Non avendo ottenuto detto pagamento nemmeno a seguito della notifica di diffida, la ricorrente chiedeva affermarsi l’obbligo dell’amministrazione di provvedere con nomina di un commissario ad acta per l’ipotesi di ulteriore inadempienza.

Il TAR della Sicilia – rilevato che il ricorso risultava introdotto mediante deposito diretto dell’originale presso la sua segreteria, senza la previa notificazione del medesimo atto all’amministrazione convenuta – ha ritenuto che, pur essendo state rispettate le prescrizioni dettate dall’art. 91 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642 (Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato), non era stato correttamente instaurato il contraddittorio, anche se, di fatto, la copia del ricorso era stata trasmessa ai destinatari i quali ne avevano avuta, quindi, piena cognizione, e pertanto ha dubitato della legittimità costituzionale della medesima norma in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione.

Ha osservato il TAR che, nonostante la formulazione testuale del citato art. 91, alcuni Tribunali amministrativi regionali richiedono, comunque, la notificazione del ricorso per esecuzione del giudicato, in considerazione della “natura giurisdizionale” della sentenza conclusiva del procedimento di ottemperanza. Ha aggiunto, però, che tale orientamento non trova riscontro nei giudici amministrativi del grado di appello.

Il Consiglio di Stato, infatti, con giurisprudenza prevalente, non ritiene necessaria la notificazione, ad istanza del ricorrente, del ricorso all’amministrazione tenuta all’esecuzione del giudicato, considerando sufficiente la comunicazione della proposizione del ricorso a cura della segreteria del giudice amministrativo

Il TAR ha ricordato, ancora, che non mancano però pronunzie del giudice di appello le quali, evidenziando la contrarietà delle previsioni dell’art. 91 al principio costituzionale della necessaria integrità del contraddittorio processuale, superano il problema in via interpretativa, richiedendo che il contraddittorio tra le parti, anche all’interno del meccanismo dell’art. 91, sia comunque assicurato attraverso la verifica che la controparte abbia avuto effettiva conoscenza della domanda stessa.

Secondo il TAR rimettente la tesi maggioritaria circa la sufficienza della sola comunicazione ai fini della rituale instaurazione del giudizio di ottemperanza appare contraria ad alcuni princípi costituzionali in tema di attività giurisdizionale e di giusto processo, desumibili dagli artt. 24 e 111 della Costituzione. A suo giudizio il rispetto dei princípi enunciati in queste norme costituzionali non sarebbe garantito adeguatamente dal meccanismo di cui all’art. 91 del r.d. n. 642 del 1907 nel quale la conoscenza del ricorso da parte dell’amministrazione è affidata esclusivamente alla comunicazione della segreteria, effettuata a mezzo di lettera raccomandata. Sarebbero necessarie, invece, le formalità e le garanzie proprie della notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario (consegna della copia conforme di un atto, con particolari garanzie e formalità ad opera di un pubblico ufficiale che dell’avvenuta operazione redige apposita relazione). E ciò anche nell’ipotesi che si acceda alla soluzione giurisprudenziale che considera validamente assicurato il contraddittorio nell’ambito del meccanismo di cui all’art. 91 del r.d. n. 642 del 1907, purché assistito dalla prova dell’effettiva e tempestiva conoscenza della domanda da parte dell’interessato. In definitiva, anche se la controparte sia stata in grado, sotto l’aspetto temporale, di elaborare la propria difesa prima della discussione innanzi al giudice, siffatta soluzione – modellata sul principio desumibile dall’art. 156, terzo comma, cod. proc. civ. (sanatoria della nullità dell’atto che abbia comunque raggiunto lo scopo cui sia destinato) – non appare al rimettente applicabile alla fattispecie in esame dove la notificazione, con le forme proprie del codice di rito, è del tutto assente.

In conclusione, secondo il giudice a quo, la notificazione del ricorso introduttivo con le modalità proprie del codice di procedura civile, o con quelle di cui agli artt. 8 e segg. del r.d. n. 642 del 1907, resta l’unico mezzo idoneo ad assicurare il rispetto dei richiamati princípi costituzionali.

Quanto all’ammissibilità della questione, a giudizio del TAR, la circostanza che la Corte costituzionale abbia più volte esaminato – con esiti diversi, ma sempre entrando nel merito delle tematiche sottoposte – questioni di costituzionalità relative al r.d. n. 642 del 1907 (sentenze n. 406 del 1998, n. 251 del 1989, n. 146 del 1987 e ordinanza n. 359 del 1998) renderebbe ultroneo l’esame del problema relativo alla natura sostanzialmente legislativa da riconoscersi allo stesso.

2. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l’infondatezza della questione, osservando che la notifica per ufficiale giudiziario non è l’unico mezzo per garantire la pienezza del contraddittorio e richiamando l’insegnamento di questa Corte, secondo cui, anche con riguardo al diritto di difesa, non può non riconoscersi al legislatore la più ampia discrezionalità per fini di speditezza nella conformazione degli istituti processuali e nell’articolazione del processo.
Considerato in diritto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia dubita – in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione – della legittimità costituzionale dell’art. 91 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642 (Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato), in materia di giudizio di ottemperanza, il quale prescrive testualmente:

«Il ricorso è depositato nella segreteria della quinta sezione con la copia del giudicato. Il segretario ne dà immediata comunicazione al Ministero competente, il quale, entro venti giorni dalla ricevuta comunicazione, può trasmettere le sue osservazioni alla segreteria. Spirato il termine, il Presidente, in fine del ricorso, destina il consigliere per farne relazione alla sezione, nel giorno che all’uopo designa.»

Il TAR della Sicilia, nel sollevare i ricordati dubbi circa la corretta instaurazione del contraddittorio per contrasto con gli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., aggiunge il rilievo che il giudizio di ottemperanza – come osservato da questa Corte nella sentenza n. 406 del 1998 – può assumere diversi modi di essere in relazione alla situazione concreta, alla statuizione giudiziale da attuare, alla natura dell’atto originariamente censurato. In particolare osserva che il giudizio di ottemperanza può costituire semplice giudizio esecutivo che si aggiunge al procedimento espropriativo disciplinato dal codice di procedura civile; può essere preordinato al compimento di operazioni materiali o all’adozione di atti giuridici di più stretta esecuzione della sentenza; e può essere finalizzato alla sollecitazione di attività provvedimentale amministrativa, anche di natura discrezionale, al fine del conseguimento di effetti ulteriori e diversi rispetto al provvedimento originario oggetto d’impugnazione.

Il giudizio di ottemperanza, nelle materie attribuite alla giurisdizione amministrativa, può addirittura essere utilizzato, in difetto di completa individuazione del contenuto della prestazione o dell’attività oggetto del dovere dell’amministrazione, per integrare il precetto discendente dal giudicato azionato. Il giudice amministrativo, cioè, in sede di giudizio di ottemperanza, può esercitare cumulativamente, ove ne ricorrano i presupposti, sia poteri sostitutivi che poteri ordinatori e cassatori e può, conseguentemente, integrare l’originario disposto della sentenza con statuizioni che ne costituiscono non mera «esecuzione» ma «attuazione» in senso stretto, dando luogo al cosiddetto giudicato a formazione progressiva.

Aggiunge il rimettente che il giudizio di ottemperanza, infine, può implicare la sostituzione dello stesso giudice nell’esercizio dei poteri dell’amministrazione – anche per il tramite di un commissario ad acta, ormai pacificamente ritenuto «ausiliario del giudice» – già nell’ipotesi «minimale» (quale la presente fattispecie) del compimento degli atti necessari al pagamento di una somma di denaro discendente da una puntuale pronunzia di condanna. Il giudice dell’ottemperanza, in altre parole, assicura il concreto soddisfacimento delle pretese della parte vittoriosa, ai sensi degli artt. 24, 100 e 103 della Costituzione.

Dalla complessità dei fini del giudizio di ottemperanza e dei poteri che in esso si esercitano, il TAR trae la conseguenza che solo uno strumento di informazione come la notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario (o messo comunale) può riuscire ad assicurare all’interessato la piena consapevolezza della introduzione di un articolato procedimento giurisdizionale.

2. – In punto di ammissibilità, nell’ordine logico, il primo problema è quello della natura del regolamento n. 642 del 1907, problema che il TAR ritiene di superare, dandone per ammessa la natura sostanzialmente legislativa.

In proposito si rileva che la Corte, dopo un primo contrario orientamento volto a desumere la natura regolamentare della normativa dalla formulazione dell’art.16, primo comma, della legge di delega 7 marzo 1907, n. 62 per l’emanazione del decreto n. 642 del 1907, ha sempre dato ingresso allo scrutinio del medesimo regolamento, nel presupposto della sua natura legislativa (v. sentenza n. 406 del 1998 nella quale la Corte ha collaudato la legittimità costituzionale degli stessi artt. 90 e 91 del r.d. n. 642 del 1907, ancorché sotto il diverso profilo della denunciata violazione del diritto di difesa conseguente alla mancata previsione della esecutività delle sentenze di primo grado non passate in giudicato, ormai introdotta nel procedimento civile ordinario; ordinanza n. 359 del 1998, nella quale la Corte, entrando nel merito, ha affrontato la questione di costituzionalità di una diversa disposizione del medesimo regio decreto). Da tale più recente indirizzo, la Corte non ravvisa motivi per discostarsi.

3. – Quanto alla rilevanza della questione di costituzionalità nel giudizio a quo, la stessa a prima vista potrebbe apparire dubbia atteso che il rimettente dà atto esplicitamente del fatto che, nella specie, oltre alla comunicazione prescritta dall’art. 91, la copia del ricorso nella sua interezza era stata trasmessa ai destinatari i quali, dunque, ne avevano avuta cognizione piena.

Ma il giudice a quo, nel dare conto del ricordato orientamento interpretativo del Consiglio di Stato (principio del contraddittorio rispettato tutte le volte in cui in concreto l’amministrazione abbia avuto conoscenza effettiva dell’atto), si attesta su una tesi ben più radicale.

Il TAR non chiede (inammissibilmente) alla Corte di risolvere un problema interpretativo, avallando l’una o l’altra tesi in discussione, ma, dopo aver esplorato in modo esaustivo tutte le possibili soluzioni ermeneutiche dell’art. 91, ritiene che nessuna di esse sia idonea a risolvere il problema in modo costituzionalmente corretto.

Da tale impostazione dell’ordinanza discende la rilevanza nel giudizio a quo della questione costituzionale sottoposta all’esame della Corte. Da una pronuncia di accoglimento o di rigetto deriverebbero, infatti, conseguenze diverse nel giudizio medesimo, in termini di improcedibilità del ricorso per violazione del contraddittorio o di piena ammissibilità di esso.

4. – Quanto al merito, occorre sgomberare il campo dalla concezione, in passato condivisa da dottrina e giurisprudenza, che riteneva il giudizio di ottemperanza come caratterizzato da sommarietà e da un tenore non pienamente contenzioso, sicché tale procedimento veniva definito “a contraddittorio attenuato”.

E’ invece oggi pacifica la sua natura di procedimento contenzioso. Il che rende imprescindibile il pieno rispetto del contraddittorio.

Il problema quindi è quello di verificare se, nel giudizio di ottemperanza, nella fase dell’instaurazione del rapporto processuale, lo strumento della comunicazione sia idoneo, al pari di quello della notificazione, ad assicurare il rispetto del principio che impone, di fronte a una iniziativa processuale, la conoscenza da parte del resistente del contenuto della pretesa articolata per poter approntare in tempo utile le proprie difese, secondo i princípi del giusto processo.

Strutturalmente, nella disciplina del codice di rito (che il rimettente vorrebbe estendere al giudizio di ottemperanza), differenze formali tra comunicazione e notificazione non mancano, ma esse non incidono sulla sostanziale identità di risultato tra comunicazione e notificazione, quando, come nella soluzione offerta dal Consiglio di Stato, con una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 91, si richieda la comunicazione dell’intero atto.

Ma il problema di tutela del contraddittorio sollevato dal rimettente non può ritenersi pienamente soddisfatto da tale interpretazione.

Il Consiglio di Stato, infatti, non si spinge fino ad affermare che l’art. 91 del r.d. n. 642 del 1907 implichi necessariamente l’obbligatorietà della comunicazione integrale dell’atto, ma si limita a sostenere che, in tutti i casi in cui la comunicazione abbia assicurato la conoscenza effettiva della domanda, la stessa possa ritenersi validamente effettuata e rispettosa dell’art. 24 Cost. Il Consiglio di Stato, in altri termini, non offre una soluzione esaustiva del problema di tutela prospettato dal rimettente, in quanto fa dipendere il rispetto del principio del contraddittorio dalle modalità concrete di comunicazione osservate dalle segreterie dei Giudici amministrativi. La scelta di tali modalità da parte di organi meramente esecutivi, inoltre, espone le parti vittoriose nei processi amministrativi di merito ad un rischio processuale.

Affermare che la comunicazione può essere effettuata in modo integrale, senza statuire l’obbligatorietà di tale forma, significa esporre la parte privata interessata, che non ha il potere di controllare il modo in cui le segreterie degli uffici giudiziari amministrativi eseguono l’adempimento, al rischio di una comunicazione effettuata in modo non rispettoso del contraddittorio, con la conseguente possibilità che la vocatio in ius attuata possa essere ritenuta invalida nel corso del giudizio.

Si tratta di verificare se la risposta possa essere fornita ancora in via interpretativa salvaguardando lo strumento di informazione prescelto dal legislatore del 1907.

A questo proposito va ricordato che proprio in tema di giudizio di ottemperanza, ma relativamente agli obblighi derivanti dalle sentenze della Commissione tributaria, l’art. 70 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), ha esplicitamente previsto la comunicazione del ricorso nella sua interezza. Tale norma, chiaramente ispirata nella sua struttura a quella del citato articolo 91, ne accredita un’interpretazione evolutiva e costituzionalmente orientata.

La soluzione adottata dal legislatore in materia tributaria lascia intendere che, ai fini del rispetto del principio del contraddittorio, non sia indispensabile la procedura di notificazione (con tutti i costi e le lentezze che tale strumento comporta), ma sia necessaria e sufficiente la comunicazione dell’atto nella sua interezza.

La comunicazione, dunque, al pari della notificazione, costituisce senz’altro mezzo idoneo ad assicurare quelle garanzie di conoscenza e di ufficialità necessarie per il rispetto dei princípi della difesa in giudizio ex art. 24, secondo comma, Cost. e del contraddittorio, quale presupposto del “giusto processo” ex art. 111, secondo comma, Cost., a condizione che la stessa assicuri una informazione completa e tempestiva del ricorso che ne forma oggetto.

L’assimilazione della comunicazione alla notificazione nei termini che precedono consente tra l’altro di estendere alla prima i princìpi – ampiamente affermati anche di recente da questa Corte – in ordine all’effettività dell’avvenuta conoscenza dell’atto da parte del destinatario, anche nel caso di trasmissione a mezzo posta (sentenza n. 476 del 2002; ordinanze nn. 210, 153, 132, 118 e 97 del 2005).

In conclusione, è chiaro che, nonostante l’origine risalente dell’art. 91, la forma di comunicazione dallo stesso prescelta appare compatibile con il vigente ordinamento costituzionale, solo che la si interpreti nel senso di prevedere un obbligo di comunicare l’atto nella sua interezza, in tempo utile e in modo da consentire alla pubblica amministrazione una effettiva conoscenza della domanda e l’articolazione tempestiva dei mezzi di difesa.

La norma impugnata non è quindi viziata di incostituzionalità nei sensi sopra esposti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art 91 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642 (Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato), sollevata, in riferimento agli artt. 24, secondo comma e 111, secondo comma della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 novembre 2005.

Depositata in Cancelleria il 9 dicembre 2005.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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