Corte Suprema di Cassazione – Penale Sezione VI Sentenza n. 11645 del 2006 deposito del 05 aprile 2006 OLTRAGGIO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

In fatto e in diritto

Avverso l?ordinanza del Tribunale del riesame di Milano 22 giugno 2005 ‑ con la quale è stata confermata l?ordinanza del Gip del Tribunale di Milano 30 maggio 2005 che gli aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere per il reato previsto dagli articoli 110 n. 11, 81 Cc 1 e 2, 314, 616 e 619 Cp, commesso in Peschiera Borromeo nelle date indicate nei capi d?imputazione ‑ V. S. ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l?annullamento per i seguenti motivi:

I. erronea applicazione dell?articolo 314 Cp e carenza o illogicità della motivazione in relazione alla fattispecie concreta perché le Poste Italiane non sono un ente pubblico, ma una società per azioni che gestisce sia la spedizione che la corrispondenza e pacchi nonché altri servizi bancari, quali l?apertura di conto corrente e bancomat;

2. erronea applicazione degli articoli 14 Costituzione e 4 legge 300/70 e carenza o illogicità della motivazione in relazione all?installazione da parte della Polizia Postale di telecamere audiovisive nei bagni, considerati come locali pubblici, mentre quello in cui è avvenuta l?installazione è un centro di smistamento della corrispondenza, in cui lavorano n. 1400 dipendenti e non è aperto al pubblico degli utenti del servizio;

3. violazione dell?articolo 273 Cpp e carenza o illogicità della motivazione riguardo alla mancanza dei gravi indizi di colpevolezza per la dedotta inaffidabilità dei filmati audiovisivi e dei relativi verbali ai fini dell?esatta e reale identificazione degli indagati e, in particolare, del S., identificato con persone diverse e con abbigliamenti differenti; e, inoltre, perché dall?esame dei filmati e dalla descrizione dei soggetti non risulta con certezza, chiunque sia il soggetto individuato, che egli abbia aperto corrispondenza diretta a terzi;

4. violazione dell?articolo 274 Cpp e carenza o illogicità della motivazione riguardo al pericolo di reiterazione, venuto meno in quanto l?Azienda ha sospeso il S. dal servizio e dalla retribuzione fino alla data del chiarimento processuale della posizione del dipendente.

L?impugnazione è infondata.

La definizione di pubblico servizio data dal secondo comma dell?articolo 358 Cp si articola su due elementi essenziali, il primo, di natura obiettiva, riguarda l?esercizio di un?attività disciplinata nelle stesse forma della pubblica funzione, benché priva dei poteri tipici di quest?ultima; il secondo, di carattere soggettivo, riguarda lo svolgimento di mansioni non puramente di ordine e della prestazione d?opera non meramente materiale.

In ossequio a questa definizione si ritiene, in tema di qualificazione soggettiva degli addetti ai servizi postali, che la trasformazione dell?amministrazione postale in ente pubblico economico e la successiva adozione della forma della società per azioni di cui alla legge 662/96, non fanno venir meno la natura pubblicistica non solo dei servizi postali definiti riservati dal D.Lgs 261/99, ma neppure dei servizi non riservati come quelli relativi alla raccolta del risparmio attraverso i libretti di risparmio postale ed i buoni postali fruttiferi (cosiddetto ?bancoposta? ora disciplinata dal D.Lgs 284/99 (Cassazione, Sezione sesta, 36007/04, ric. Perrone ed altro; Sezione sesta, 20118/01, ric. Di Bartolo B.).

Ne consegue, sotto il profilo oggettivo, che, anche dopo la trasformazione dell?Ente Poste in società per azioni i servizi postali e quelli di telecomunicazioni appartengono al novero dei servizi pubblici, sia per la situazione di sostanziale monopolio alla produzione affidata all?Ente Poste, senza che abbia alcun rilievo la possibilità che alcune attività del servizio possano essere gestite in regime di concessione amministrativa, giacché non viene meno la funzione e il ruolo di pubblico interesse del servizio; sia per la funzione pubblica che, in relazione all?esigenza di garantire i valori costituzionali della libertà e della segretezza delle comunicazioni (articolo 15 Costituzione) assume il mezzo di raccolta, di trasporto e distribuzione della corrispondenza. E, sotto il profilo soggettivo, che riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio l?impiegato postale addetto alla selezione e allo smistamento della corrispondenza In arrivo o in partenza (Cassazione, Sezione sesta, 10138/98, ric. Volpi A M.; 9929/99, ric. Bille; 37102/04, ric. Ferrari).

Pertanto, nel caso dell?addetto al servizio postale che manometta un plico impossessandosi delle banconote Ivi contenute, è configurabile il concorso dei delitti di peculato e di violazione dì corrispondenza, non sussistendo un rapporto di specialità tra l?articolo 616 e l?articolo 314 Cp. Infatti, la clausola se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, contenuta nell?articolo 616 Cp, va interpretata con riferimento al fatto tipico della presa di cognizione del contenuto di una corrispondenza ovvero della sua sottrazione, distrazione, distruzione o soppressione, eventualmente descritto in una norma penale diversa da quella dell?articolo 616; condotte, queste, non specificamente enunciate nel delitto di peculato, che ha diversa oggettività giuridica rispetto all?altra figura delittuosa (Cassazione, Sezione sesta, 11360/98, ric. Merloni).

Il primo motivo di ricorso è, quindi, infondato. Alla medesima conclusione si perviene riguardo al secondo motivo.

Dal testo dell?articolo 614 Cp, richiamato dal secondo comma dell?articolo 266 Cpp, si desume che luogo di privata dimora è in primo luogo l?abitazione, come quello in cui la persona svolge le sue funzioni essenziali di vita e di relazione, e, quindi, tutti quei luoghi che assolvono a funzioni analoghe, lavorative, professionali o di altra natura, come lo studio o lo svago, con carattere di stabilità, in modo da giustificare la medesima tutela costituzionalmente garantita.

Il bagno di un locale pubblico non ha evidentemente queste caratteristiche e non può, quindi qualificarsi come luogo di privata dimora, benché la funzione di servizio da esso svolta esprima naturalmente esigenze di riservatezza meritevoli di tutela e tuttavia differenti rispetto a quelle che riguardano il luogo di privata dimora e realizzabili in forme diverse e più specificamente idonee in sede di esecuzione.

Pertanto, il servizio di osservazione realizzato dalla polizia giudizIaria per mezzo di una telecamera installata all?interno di un bagno di un locale pubblico non configura una forma di intercettazione tra presenti ai sensi dell?articolo 266 comma 2 Cpp, in quanto il luogo in questione, caratterizzato da una frequenza assolutamente temporanea degli avventori e condizionata unicamente alla soddisfazione di un bisogno personale, non può essere assimilato ai luoghi di privata dimora di cui all?articolo 614 Cp, che presuppongono una relazione con un minimo grado di stabilità con le persone che li frequentano e un soggiorno che, per quanto breve, abbia comunque una certa durata, tale da far ritenere apprezzabile l?esplicazione di vita privata che vi si svolge Corte costituzionale 135/02; Cassazione, Sezione sesta, 6962/03, ric. Cherif Ahmed; 3443/03, ric. Mostra).

Anche il secondo motivo di ricorso è perciò infondato. Con il terzo motivo il ricorrente contesta l?affidabilità degli accertamenti eseguiti. In realtà, la sentenza impugnata ha confutato adeguatamente ogni obiezione, rilevando come i filmati siano stati accuratamente esaminati e selezionati, con la rimozione di tutti quelli che apparivano equivoci. E il Giudice d?appello segnala come proprio questa selezione dimostri che la prova è stata desunta solo da elementi certi e in equivoci. Soprattutto ha aggiunto che l?ingresso nel bagno dei vari protagonisti, fra cui il S., è stato rilevato e registrato, per cui l?identificazione appare sicura. E, inoltre, che nei filmati il ricorrente viene ritratto in atteggiamenti inequivocabili, mentre apre le buste, ne guarda il contenuto e in certi casi se ne appropria, intascandolo.

Pertanto la violazione di legge e il vizio di motivazione eccepiti sono manifestamente privi di fondamento.

Per contro il ricorrente muove in realtà censure in fatto ‑ peraltro già smentite dagli accertamenti dei Giudici del merito e, quindi, manifestamente infondate ‑ che implicano una ricostruzione della vicenda diversa da quella eseguita con la sentenza impugnata, prospettando una revisione del giudizio di merito incompatibile con il controllo di legittimità, il quale ha fisiologicamente per oggetto la verifica della struttura logica della sentenza e non può, quindi, estendersi all?esame e alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti alla causa, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto al quale la Corte di cassazione non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa (Cassazione, Su, 6402/97, ric. Dessimone; Sezione terza, 3539/99, ric. Suini; 2609/99, ric. Paone; Id., 3560/99, ric. Drigo; Sezione settima, 35758/02, ric. Manni G.).

Il terzo motivo di ricorso risulta perciò per più versi inammissibile. Per quanto riguarda il quarto motivo si osserva che in tema di esigenze cautelari per l?adozione di misure coercitive personali con riguardo a reati contro la pubblica amministrazione commessi da pubblici funzionari o impiegati la dimissIone o sospensione dal servizio non determinano di per sé necessariamente la cessazione del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie (articolo 274 comma 1 lett. e) Cpp), che il giudice di merito può ritenere sussistente anche quando Il pubblico ufficiale risulti sospeso o dimesso dal servizio; in tal caso però lo stesso giudice deve fornire adeguata motivazione in merito alla non rilevanza della sopravvenuta sospensione o cessazione del rapporto con riferimento alle circostanze di fatto che connotano la concreta situazione e così in riferimento al tempo decorso da dette evenienze, all?eventuale potere di vertice e di supremazia raggiunto dal pubblico funzionario durante il servizio e al potere dì influenza, in ipotesi residuante nel pubblico dipendente per assenza di mutamenti nell?organico dell?ufficio o per Interferenza delle sue nuove occupazioni con la sfera di azione dei pubblici poteri. (Cassazione, Sezione sesta, 2179/95, ric. Stilo; 285/97, ric. Ortolano).

Nel caso concreto il Giudice d?appello si è fatto carico del problema e lo ha affrontato con specifica motivazione, sottolineando, oltre alla provvisorietà ed alla revocabilità del provvedimento rispetto al procedimento disciplinare, che la prossimità degli episodi delittuosi, risalenti a meno di tre mesi, ed il loro numero e l?ampiezza dell?attività illecita, la quale aveva portato nelle tasche del S. svariate banconote in valuta estera, l?esistenza di un?ampia rete di complicità all?interno dell?ufficio, fossero elementi che mettevano in evidenza il pericolo di reiterazione e non consentivano di ritenere che il provvedimento di sospensione potesse evitarlo.

La motivazione appare adeguata ai fatti e logicamente coerente, per cui anche sotto questo profilo la decisione appare insuscettibile dei rilievi mossile con quest?ultimo motivo di ricorso.. Il ricorso dev?essere perciò rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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