Cass. pen., sez. III 30-03-2006 (16-02-2006), n. 11128 BELLEZZE NATURALI – Opere da realizzare nel sottosuolo in aree vincolate – Autorizzazione paesistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

CONSIDERATO IN Fatto e diritto

Con la impugnata ordinanza il Tribunale di Salerno ha rigettato l’appello proposto da S? M? avverso il provvedimento del G.I.P. del Tribunale di Salerno in data 7.2.2005, che aveva respinto la richiesta di dissequestro di un immobile.

L’ordinanza ha premesso che l’immobile oggetto dell’istanza era stato sottoposto a sequestro nel corso delle indagini per l’esecuzione di lavori di scavo, finalizzati all’ampliamento di un locale terraneo, facente parte di un fabbricato preesistente, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, senza il permesso di costruire, senza l’autorizzazione della amministrazione preposta alla tutela del vincolo e l’osservanza delle prescrizioni in materia di progettazione di opere da realizzarsi in zona sismica; che l’istanza di dissequestro era stata fondata sul presupposto della intervenuta sanatoria dei lavori abusivi, per effetto della presentazione di una d.i.a. e del successivo rilascio di un permesso di costruire in sanatoria per la realizzazione di un garage da parte dell’Ufficio Tecnico del Comune di Maiori in data 2.4.2004; documentazione che il G.I.P. aveva ritenuto non idonea a modificare i presupposti legittimanti la misura cautelare anche alla luce delle conclusioni della consulenza tecnica disposta dal P.M..

L’ordinanza ha, quindi, osservato che in ordine al fumus dei reati oggetto di indagine doveva ritenersi formato il giudicato endoprocessuale, afferente alla misura cautelare; che il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, pur se ne era stata messa in dubbio la legittimità da parte del consulente tecnico del P.M., si palesava quale fatto idoneo a far venir meno le esigenze cautelari con riferimento alla violazione urbanistica ed agli altri reati ascritti all’indagato ad eccezione di quello afferente alla violazione paesaggistica, sia perché non estinguibile a seguito del rilascio dei provvedimenti di sanatoria, sia perché tuttora non risultava essere stata chiesta l’autorizzazione dell’amministrazione preposta alla tutela dei vincoli.

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore del S?, che la denuncia per violazione di legge.

Con un unico motivo di gravame il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione degli art. 146, 149, 181 del D. L.vo n. 42/2004 e dell’art. 1 della L. n. 308/2004.

Il ricorrente, premesso che i giudici di merito hanno erroneamente affermato la sussistenza del fumus commissi delicti anche con riferimento al reato urbanistico, in quanto i parcheggi pertinenziali non sono sottoposti al rilascio del permesso di costruire e possono essere realizzati in difformità degli strumenti urbanistici ex art. 9 della L. n. 122/89 e 6 della legge della Regione Campania n. 19/2001, osserva che l’ordinanza si palesa soprattutto erronea nel configurare il reato di cui all’art. 181 del D. L.vo n. 42 del 2004.

Si deduce in proposito che l’accesso al vano parcheggio in corso di realizzazione non doveva essere creato ex novo, ma che tale accesso avveniva per il tramite di un vano preesistente, sicché il nuovo ambiente non è visibile dall’esterno e risulta inidoneo a determinare una qualsiasi modificazione dell’aspetto del paesaggio con la conseguente inapplicabilità della disposizione citata.

Si osserva inoltre che, ai sensi dell’art. 149 del D. L.vo n. 42/04, gli interventi che "non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici" non richiedono il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, sicché deve ritenersi irrilevante anche l’accertamento in ordine alla natura manutentiva o pertinenziale di detti lavori, non essendo comunque soggetti ad autorizzazione.

Si aggiunge che l’ordinanza ha erroneamente ravvisato un supporto alla tesi della necessiti della previa autorizzazione dei lavori nel disposto dell’art. 6 della legge della Regione Campania n. 19/2001, il quale prevede l’obbligo della comunicazione dell’inizio dei lavori alla Soprintendenza, riferendosi la disposizione citata alla Soprintendenza per i Beni Archeologici a non a quella posta a tutela dei beni ambientali. Si osserva, infine, che, nel caso in esame, non essendovi modificazione dell’aspetto esteriore dei luoghi, non poteva ritenersi sussistente l’esigenza cautelare di mantenere il sequestro; che tale esigenza doveva ritenersi venuta meno in seguito alla conclusione dei lavori di scavo e che, comunque, essendo stati eseguiti i lavori sine titulo prima del 30.9.2004, gli stessi dovevano ritenersi un fatto non costituente reato, ai sensi dell’art. 1, comma 37, della L. n. 308/2004, in quanto interventi paesaggisticamente compatibili per l’assenza di modificazioni esteriori.

Il ricorso non è fondato.

L’art. 181 del D. L.vo n. 42/2004 vieta l’esecuzione di lavori "di qualsiasi genere" su beni paesaggistici senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa.

Devono ritenersi, pertanto, vietati ai sensi della disposizione citata anche i lavori eseguiti nel sottosuolo delle aree qualificate quali beni paesaggistici, ai sensi dell’art. 134 e seguenti del D. L.vo n. 42/2004.

Non appare dubbio, invero, alla luce della individuazione dei beni paesaggistici contenuta negli art. 136 e seguenti del decreto legislativo citato, che con il termine paesaggio il legislatore ha inteso designare una determinata parte del territorio che, per le sue caratteristiche naturali e/o indotte dalla presenza dell’uomo, è ritenuta meritevole di particolare tutela, che non può ritenersi limitata al mero aspetto esteriore o immediatamente visibile dell’area vincolata, sicché ogni modificazione dell’assetto del territorio, attuata attraverso qualsiasi opera non soltanto edilizia ma di qualsiasi genere, è soggetta al rilascio della prescritta autorizzazione.

Peraltro, tale nozione di paesaggio coincide con la definizione contenuta nella Convenzione europea sul paesaggio, fatta a Firenze il 20 ottobre 2000 e ratificata con la recentissima legge 9.1.2006 n. 14, secondo la quale il termine "Paesaggio" "designa una determinata parte del territorio, così come percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni".

Questa Corte, peraltro, non ignora l’indirizzo interpretativo citato dal ricorrente che, sulla scia della sentenza della Corte Costituzionale n. 247 del 18.7.1997, secondo la quale anche per i reati di pericolo presunto deve essere accertata in concreto l’offensività specifica della singola condotta, con la conseguenza che deve essere esclusa la rilevanza penale di condotte del tutto inoffensive, ha affermato che devono escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l’aspetto esteriore degli edifici (di recente sez. III, 10.5.2005 n. 33297, Palazzi; conf. sez. III, 28.3.2003 n. 14461, Carparelli; sez. III, 29.4.2003 n. 19761; 28.9.2004 n. 38051).

Tale indirizzo interpretativo non contrasta, però, con quanto affermato dalla Corte nel caso di cui ci si occupa, riferendosi le massime citate a comportamenti ritenuti del tutto inidonei a compromettere l’interesse tutelato dalla norma, che, per quanto precisato, non deve essere riferito al solo aspetto esteriore del paesaggio e, quindi, a ciò che è immediatamente percepibile visivamente, ma al complesso ambientale della parte di territorio soggetta a tutela, dato che anche interventi non immediatamente percepibili possono produrre effetti devastanti.

Orbene, non appare dubbio che la realizzazione di una struttura edilizia interrata, che nel caso in esame risulta essere di rilevanti dimensioni, seppure non percepibile dall’esterno, si palesa idonea a compromettere i valori ambientali della parte di territorio soggetta al vincolo paesaggistico nella quale venga realizzata.

Risulta, altresì, inconferente il riferimento del ricorrente all’art. 149, co. 1 lett. a), del D. L.vo n. 42/2004.

La disposizione citata, infatti, nel consentire l’esecuzione di interventi che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici, senza autorizzazione, si riferisce esclusivamente agli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo.

Nel caso in esame la realizzazione di un nuovo garage interrato non rientra in nessuna delle citate categorie di interventi.

Sicché nessuna deroga è dato desumere dalla disposizione citata alla necessità dell’autorizzazione paesaggistica anche per la realizzazione di garage pertinenziali.

Peraltro, la normativa specifica citata dal ricorrente (art. 9 della L. 24.3.1989 n. 122 e art. 6 della legge della Regione Campania 28.11.2001 n. 19) contiene esclusivamente deroghe alle disposizioni della legge urbanistica e non a quella paesaggistica ed ambientale, i cui vincoli sono fatti espressamente salvi dal citato art. 9 della L. n. 122/89 e dallo stesso art. 6, co. 3, della L n. 19/2001 della Regione Campania.

Osserva, infine, la Corte, in ordine al dedotto venir meno della punibilità del fatto ascritto allo indagato per effetto della L. n. 308/2004, che la estinzione del reato previsto dall’art. 181, co. 1, del D. L.vo n. 42/2004 per gli interventi eseguiti entro il 30.9.2004, senza la prescritta autorizzazione, è subordinata all’accertamento della compatibilità paesaggistica dei lavori eseguiti – accertamento che, ai sensi dell’art. 1, co. 37 e seguenti della citata L. n. 308/2004, presuppone la richiesta dell’interessato, da presentarsi entro il termine perentorio del 31.1.2005 – ed all’effettivo pagamento delle sanzioni amministrative; elementi in ordine ai quali nulla risulta essere stato dedotto dal S? dinanzi ai giudici di merito. Nel resto le deduzioni del ricorrente sono censure di fatto in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, ravvisate dai giudici di merito, con valutazione non censurabile in sede di legittimità, risultando peraltro il reato ancora in corso di esecuzione all’atto della applicazione della misura cautelare.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. al rigetto dell’impugnazione segue a carico del ricorrente l’onere del pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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