Cass. pen., sez. III 30-03-2006 (01-12-2005), n. 11111 CACCIA- Divieti di caccia – Fringuelli – Divieto assoluto per determinate specie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1 – Con sentenza del 22.6.2004 il Tribunale monocratico di Lucera, sezione distaccata di Apricena, dichiarava F? P? colpevole del reato di cui all’art. 30 lett. h) legge 157/1992, per aver abbattuto un fringuello, appartenente alle specie non cacciabili (in agro di Chieuti il 6.12.2003), e per l’effetto lo condannava alla pena di euro 500 di ammenda.

Osservava il tribunale che il fringuello, già incluso dall’art. 18 della legge 157/1992 tra le specie cacciabili, era stato poi escluso per effetto del D.P.C.M. 22.11.1993.

2 – Avverso la sentenza, il P? proponeva appello, lamentando erronea applicazione degli artt. 18 e 30 legge 157/1992. Sosteneva che dal combinato disposto degli artt. 30 lett. h) e 31 lett. g) risulta chiaramente che l’abbattimento di un solo esemplare di fringillide è sanzionato solo in via amministrativa, mentre è punito con l’ammenda solo l’abbattimento di fringillidi in misura superiore a cinque esemplari.

La corte distrettuale di Bari, con ordinanza del 5.11.2004, rilevata la inappellabilità della sentenza ex art. 593, comma 3, c.p.p., a norma dell’art. 591, comma 2, c.p.p., dichiarava inammissibile l’impugnazione e disponeva l’esecuzione della sentenza impugnata.

3 – Il P? ha proposto ricorso per cassazione avverso detta ordinanza, deducendo:

a) inosservanza di norme processuali, perché il provvedimento era stato emesso senza il contraddittorio delle parti;

b) inosservanza o erronea applicazione dell’art. 568, comma 5, c.p.p., perché secondo questa norma la corte barese avrebbe dovuto qualificare l’appello come ricorso e trasmettere gli atti alla corte di cassazione.

Motivi della decisione

4 – Il primo motivo di ricorso è palesemente infondato, giacché l’art. 591, comma 2, c.p.p. non richiede il rito camerale in contraddittorio delle parti previsto dall’art. 127 c.p.p., sicché il giudice della impugnazione può dichiarare (anche d’ufficio) la inammissibilità della impugnazione proposta senza necessità di sentire le parti.

E’ invece fondato il secondo motivo, perché – come hanno statuito le sezioni unite di questa corte – "allorché un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice che riceve l’atto deve limitarsi, a norma dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., a verificare l’oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonché l’esistenza di una , consistente nell’intento di sottoporre l’atto impugnato a sindacato giurisdizionale, e quindi trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un atto giurisdizionale, al giudice competente" (Sez. Un. ord. n. 45371 del 20.12.2001, Bonaventura, Rv. 220221).

Nel caso di specie, quindi, la corte barese, una volta esattamente rilevata la inappellabilità della sentenza impugnata, sul presupposto che la sentenza era ricorribile per cassazione, avrebbe dovuto trasmettere gli atti a questa corte di cassazione.

Per conseguenza, va annullata senza rinvio la ordinanza resa il 5.11.2004 dalla corte territoriale, mentre l’appello, qualificato come ricorso per cassazione, va trattenuto per la decisione.

5 – Peraltro, l’impugnazione è manifestamente infondata.

Va infatti osservato che la legge 11.2.1992 n. 157, attuativa fra l’altro della direttiva 79/409/CEE del 2.4.1979, all’art. 18, comma I lett. b), comprendeva tra le specie cacciabili dalla terza domenica di settembre sino al 31 gennaio anche il fringuello (fringilla coelebs) e la peppola (fringilla montifringilla). Tuttavia il terzo comma dello stesso art. 18 prevedeva e prevede la possibilità che l’elenco delle specie cacciabili sia modificato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in ottemperanza alle direttive comunitarie e alle convenzioni internazionali successivamente entrate in vigore.

In base a quest’ultima disposizione, con D.P.C.M. del 22.11.1993, sono stati esclusi dall’elenco delle specie cacciabili sia la peppola (fringilla montifringilla) che il fringuello (fringilla coelebs).

Si può anche aggiungere che in base all’art. 19 bis della citata legge 157/1992, inserito dall’art. 1 della legge 3.10.2002 n. 221, le regioni sono ora autorizzate a derogare alla disciplina nazionale e comunitaria, sempre che le deroghe siano conformi alle prescrizioni dettate dall’art. 9 della menzionata direttiva 79/409/CEE, ai principi e alle finalità degli art. 1 e 2 della stessa direttiva e alle disposizioni della legge nazionale. Ma non risulta che la Regione Puglia abbia esercitato questa deroga in relazione ai fringillidi.

Ai sensi della normativa nazionale vigente, quindi, peppole e fringuelli sono inclusi tra gli uccelli particolarmente protetti, per i quali la caccia non è consentita neppure durante i periodi di attività venatoria indicati nell’art. 18 della legge 157/1992. Sicché colui che abbatte un fringuello è punito con l’ammenda sino a 1.549 euro a norma dell’art. 30 lett. h) della legge 157/1992, che appunto commina tale sanzione per chi abbatte, cattura o detiene "uccelli nei cui confronti la caccia non è consentita".

6 – Non può perciò condividersi la isolata sentenza di questa sezione n. 11771 del 15.10.1999, Parolini, citata dall’imputato ricorrente, secondo cui il reato contravvenzionale è integrato solo se il numero dei fringuelli illecitamente abbattuti, catturati o detenuti è superiore a cinque unità.

Tale decisione, infatti, non tiene conto che i fringuelli (e le peppole) sono stati esclusi dall’elenco delle specie cacciabili contenuto nell’art. 18 della legge 157/1992, e perciò non possono più essere abbattuti, catturati o detenuti, anche in un solo esemplare e anche nei periodi di attività venatoria. Al riguardo essa invero sostiene che l’elenco contenuto nella legge non può essere modificato da una norma di rango inferiore, quale una legge regionale o una ordinanza ministeriale che non ha forza o valore di legge.

Ma in contrario, si deve osservare che il D.P.C.M. del 22.11.1993, che ha appunto escluso i fringuelli e le peppole dall’elenco delle specie cacciabili originariamente previsto nell’art. 18, ha un’efficacia sostanziale parificata a quella della legge e quindi può modificare la norma di legge, proprio perché è espressamente autorizzato dal terzo comma dello stesso art. 18. Questa disposizione infatti individua nel decreto del presidente del Consiglio dei Ministri lo strumento giuridico da adottare per dare esecuzione nell’ordinamento italiano alle modifiche riguardo all’elenco delle specie cacciabili, che sono intervenute nel diritto comunitario o nelle convenzioni internazionali dopo l’approvazione della stessa legge 157/1992.

7 – La tesi del ricorrente, sempre volta a dimostrare che la cattura di un solo fringuello è sanzionata solo in via amministrativa, è inoltre fondata su un’errata interpretazione delle norme sanzionatorie di cui all’art. 30 lett. h) e 31 lett. g), che finisce per vanificare la norma precettiva risultante dal combinato disposto dell’art. 2, primo periodo (che tutela la fauna selvatica), dell’art. 18 e del D.P.C.M. 22.11.1993 (che non includono il fringuello tra le specie cacciabili).

L’art. 30 lett. h) punisce con la pena dell’ammenda, non solo chi abbatte, cattura o detiene uccelli di cui non è consentita la caccia, ma anche chi abbatte, cattura o detiene fringillidi in numero superiore a cinque; mentre l’art. 31 lett. g) prevede solo una sanzione amministrativa per chi abbatte, cattura o detiene fringillidi in numero non superiore a cinque.

Per valutare la portata normativa di queste disposizioni sanzionatone si deve tener presente:

a) che la famiglia dei fringillidi comprende non solo i fringuelli e le peppole, ma anche altre specie quali il canarino, il cardellino e il verdone;

b) che – secondo il sistema normativo vigente nella materia – le specie animali appartenenti alla fauna selvatica non sono cacciabili se non sono specificamente incluse tra quelle nei cui confronti è consentita l’attività venatoria;

c) che, a norma dell’art. 18 legge 157/1992, anche per le specie cacciabili l’attività venatoria è consentita solo in determinati periodi dell’anno;

d) che, dopo il D.P.C.M. 22.11.1993, tutti i fringillidi appartenenti alla fauna selvatica godono di speciale protezione, in forza della quale non sono cacciabili in nessun periodo dell’anno.

Se ne deve concludere che, dopo l’entrata in vigore del D.P.C.M. 22.11.1993, le disposizioni sanzionatorie relative ai fringillidi appartenenti alla fauna selvatica (senza distinzione tra fringuelli, peppole ed altre specie) non sono più applicabili, giacché la cattura, l’abbattimento o la detenzione anche di un solo esemplare appartenente a tale famiglia è punito con l’ammenda prevista dall’art. 30 lett. h), trattandosi di specie per la quale la caccia non è consentita in alcun periodo dell’anno.

Le stesse disposizioni ridiventano applicabili solo se e quando fringuelli, peppole o altri fringillidi siano nuovamente inclusi tra le specie cacciabili, per effetto di direttive comunitarie o convenzioni internazionali, recepite nell’ordinamento italiano attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (ex art. 18, comma 3), ovvero per effetto di deroghe regionali disposte secondo le finalità e i rigorosi requisiti previsti dall’art. 9 della direttiva 79/409/CEE (ex art. 19 bis della legge 157/1992). In tali ipotesi, per i fringillidi inclusi tra le specie cacciabili, ridiventa possibile distinguere tra l’abbattimento lecito e quello illecito secondo che avvenga o meno nei periodi venatori previsti, e tra il trattamento sanzionatorio penale o amministrativo in base al numero degli esemplari abbattuti.

8 – In conclusione, il ricorso é inammissibile. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. consegue la condanna alle spese processuali, nonché la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, non trattandosi di inammissibilità incolpevole ex sentenza 186/2000 della Corte costituzionale.

P.Q.M.

la corte di cassazione annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata, e, qualificata l’impugnazione come ricorso, lo dichiara inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di euro 500,00 a favore della cassa delle ammende.

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