Cass. pen., sez. V 20-03-2006 (25-01-2006), n. 9601 REATO – ESTINZIONE – PRESCRIZIONE – Normativa transitoria – Processi pendenti avanti la Corte di cassazione – Eccezione di illegittimità costituzionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

In fatto

Gli attuali imputati sono stati condannati, in data 4.11.1998, dal Tribunale di Roma (il B. alla pena di due anni e due mesi di reclusione; gli altri due alla pena di due anni di reclusione ciascuno, pene accessorie e condanna al pagamento oltre che delle spese processuali, dei danni alla parte civile costituita, nella persona del curatore fallimentare) per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale conseguente al fallimento di XX S.r.l., già YY Spa dichiarato in Roma con sentenza del 22.10.1991.

Hanno appellato tutti e tre i condannati con distinte impugnazioni alla Corte d’Appello di Roma che, peraltro, con sentenza in data 07.05.2003 confermava la decisione del primo giudice.

Avverso questa decisione hanno mosso ricorso i tre inquisiti sulla base dei seguenti motivi:

1) B.:

– Violazione della legge penale, omessa assunzione di prova decisiva, contraddittorietà e mancanza della motivazione con riferimento alla L. Fall., artt. 216, 219 p.p. e cpv. n. 1, artt.42,43,48 cod. pen., art. 530 c.p.p., comma 2.

– Violazione della legge penale, omessa assunzione di prova decisiva, contraddittorietà e mancanza della motivazione con riferimento alla L. Fall., artt. 216, 219 p.p. e cpv. n. 1, art. 530 c.p.p., comma 2.

– Violazione della legge penale, omessa assunzione di prova decisiva, contraddittorietà e mancanza della motivazione con riferimento alla L. Fall., artt. 216, 219 p.p. e cpv. n. 1, art. 603 c.p.p., comma 1 e 3; e violazione dell’art. 603 c.p.p..

Con motivi aggiunti datati del 23.3.2004 il B. si doleva che la segnalazione di nullità della notifica dell’estratto contumaciale della sentenza d’appello – irritualmente notificato presso lo studio del difensore fiduciario – istanza volta alla rinnovazione della notifica, fosse rimasta senza seguito. Sottolineava il ricorrente che – vero che egli aveva già depositato tempestivi motivi di ricorso avverso la decisione dell’appello – ma che, se avesse saputo della irritale notifica avrebbe eccepito la nullità, anche perchè era rimasta convinzione di dover essere ancora destinatario dell’estratto contumaciale, a seguito del quale sarebbe stato legittimato a presentare ancora motivi supplementari oltre ai principali.

2) G.:

– Riproposizione dell’eccezione (già avanzata in sede di appello) di illegittimità costituzionale della L. Fall., art. 238;

– Violazione ed erronea applicazione della norma penale, L. Fall., artt.216, 219, 223; mancanza insufficienza ed illogicità, contraddittorietà della motivazione;

– Violazione della legge penale, con riguardo alla mancata concessione delle attenuanti di cui agli artt. 116 e 117 cod. pen.;

– Violazione delle norme penal/processuali per l’omessa comunicazione di garanzia, con l’annesso apprestamento di cautele difensive, essendo stata iscritta la posizione del G. soltanto dopo il completamento della istruzione degli altri inquisiti; omesso interrogatorio prima dell’udienza preliminare e prima del giudizio.

3) GE.: (primi motivi):

– L’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti prima della sua iscrizione nel registro ex art. 335 c.p.p..

– Inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’amministratore della fallita società al curatore;

– Inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla GE. alla P.G. in qualità di persona informata sui fatti;

– Manifesta illogicità della motivazione della sentenza su circostanze relative alla mancata acquisizione del corredo contabile di ZZ, sulla mancata presentazione della GE. all’A.G. ed alla Guardia di Finanza, sul contrasto delle risultanze

testimoniali S. e SA.;

– Erroneità e manifesta illogicità della motivazione sul prezzo pagato e sull’avvenuto pagamento, sulle ragioni che indussero ZZ alla rivendita del bene;

– Erroneità e manifesta illogicità della motivazione circa il programma fraudolento della GE. fin dal mese di agosto 1990;

– Mancanza di motivazione sull’inesistenza di pregiudizio in capo alla procedura concorsuale conseguente all’acquisto dell’immobile ad opera della società della GE.;

– Omessa assunzione di prova decisiva;

– Mancanza di motivazione sull’inesistenza sugli inesistenti rapporti tra la GE. (e la sua società) e le altre società coinvolte, YY, ZZ o i loro esponenti;

Con successivi motivi depositati il 29.9.2005 la GE.:

– eccependo la nullità dell’intero processo per la violazione della legge processuale, segnatamente l’art. 34 c.p.p., avendo il Dr. D.L.M. presieduto il Collegio che condannava la GE. ed avendo, in precedenza presieduto la Corte che condannò S.R., amministratore di ZZ (prima del G.) per violazione penale alla legge tributaria.

– eccependo il "ne bis in idem" rappresentato dalla sentenza a carico del S.R. per la violazione tributaria, relativa ai

rapporti tra ZZ e la WW amministrata dalla GE.;

Con ulteriori motivi pervenuti il 5.10.2004:

– eccependo la nullità dell’intero processo d’appello, segnalando che nel collegio giudicante era "transitata" la D.ssa V.,

che aveva partecipato al giudizio di primo grado contro S.R., la quale si era astenuta senza specifica motivazione; che

la conoscenza della incompatibilità era pervenuta alla GE. il 30.9.2004 al momento dell’esame dell’incarto processuale a carico di S.R. e che, in precedenza, ella era in possesso soltanto di una copia della sentenza priva dell’intestazione e della composizione del Collegio (copia che aveva prodotto); che, tuttavia, il presidente D., della Corte d’Appello che aveva giudicato il S.R. era, altresì, presidente nell’attuale vicenda processuale avanzata contro GE.;

– sottolineava che in una decisione (S.R.) la Corte aveva rilevato l’assenza di corredo contabile di ZZ e nell’altra (GE.) che il Dr. SA. aveva esaminato detto corredo, forse in epoca successivo alla verifica tributaria effettuata dalla Guardia di Finanza presso ZZ.

Con Memoria depositata il 19.5.2005:

– la GE. rilevava il travisamento del Tribunale e della Corte territoriale secondo i quali il SA. esaminò la contabilità di ZZ non rinvenendovi traccia del pagamento.

– segnalava di aver presentato denuncia per falsa testimonianza contro il Dr. SA., la quale venne di poi archiviata; di

avere deferito il giuramento in causa civile contro SA. (unico costituitosi) e S.R. e che SA. – in sede di costituzione – ha negato di aver mai preso visione della contabilità di ZZ, non avendola mai rammostrata il S.R..

All’udienza del 4.10.2005 il processo era rinviato su istanza difensiva.

All’odierna udienza venivano respinte istanze di G. volte ad un nuovo rinvio del processo (egli lamentava di essere privo di difensore, avuto riguardo al decesso dell’Avv. L.); il patrono di parte civile instava per la nomina di difensore di ufficio all’imputato e l’adesione delle difese B. e GE.). Istanze a cui il P.G. si opponeva

La Corte accertata la data del decesso dell’Avv. L. e valutata la regolarità delle notifiche in atti respingeva le istanze.

In diritto

La condotta di fraudolenza patrimoniale ascritta ai ricorrenti si incentra – soprattutto – nella vendita, ritenuta meramente apparente, dell’immobile – bene strumentale quale opificio sito in Roma Via ? – di proprietà di XX S.r.l., società amministrata da B. e successivamente fallita. Vendita che vedeva formale acquirente la società ZZ e che, secondo l’accusa, rappresentava un soggetto fittizio, un interposto di comodo, nell’architettura delittuosa che vedeva, invece reale beneficiaria la società WW S.r.l. (amministrata da GE.), effettiva acquirente. Invero, dopo poco tempo, ZZ cedette l’immobile a WW.

Nella sostanza, quindi, l’accusa addebita agli imputati la distrazione di questo cespite che, uscito dal patrimonio sociale di XX S.r.l., non rinvenne il suo pagamento o adeguato pagamento rispetto al suo valore, con versamento del prezzo nelle casse della venditrice.

A carico del B. l’addebito annovera anche la cessione di altri beni e di denaro pertinente alla società.

L’accusa di bancarotta documentale fraudolenta attiene alla sottrazione di gran parte del corredo contabile di XX S.r.l..

Posizione B..

Nell’atto di appello il B. reclamava la propria sostanziale estraneità ai fatti, per incompetenza e giovane età, essendo

subentrato alla gestione della società quando essa era già in stato di decozione e, soprattutto, quando il negozio oggetto di censura penale, datato 11.3.1991 (poco più di tre mesi dopo la formale assunzione della carica), era stato già impostato nelle sue linee fondamentali dal P., vero artefice della conduzione societaria, in un contesto che vedeva interessati i coniugi P./O., proprietari ed il P. anche legale rappresentante della società a cui YY aveva ceduto in locazione l’immobile e le attrezzature. Di qui l’assenza di effettivo dolo nella commissione del reato.

Anche a riguardo della movimentazione finanziaria egli si proclamava estraneo poichè i canoni locativi non gli erano strati versati a mani, bensì a quelle della commercialista DE.CA. che li aveva passati al P..

Sulla bancarotta documentale sottolineava che il corredo era stato sottratto non dalla propria automobile, bensì da quella della citata commercialista DE.CA. parcheggiata sotto l’immobile dove aveva sede la XX S.r.l. e che era anche sede dello studio della donna.

La Corte d’Appello, esclusa in linea di diritto (e di esperienza) rilevanza della difesa opposta dal B., imperniata sulla

funzione di mero "prestanome" a favore del reale amministratore, evidenziava alcuni punti di fatto che vanificano la possibile estraneità psicologica dell’amministratore unico ai fatti illeciti gestori.

In particolare (e tra le altre) la sua presenza presso il Notaio, che rogava l’atto di vendita, e le dichiarazioni circa il prezzo versato in precedenza, l’importanza di quella vendita che riguardava il principale cespite della società, avente valenza operativa per la stessa, la sua titolarità (quasi integrale) del capitale sociale e, quindi, il diretto interesse al buon esito dell’affare, l’assenza di indicazione sulle modalità di pagamento del prezzo, non avendo rivelato i lavori di ristrutturazione, per i quali era versato in corrispettivo, il destinatario del versamento, la sua conoscenza del versamento dei canoni d’affitto al P., essendo suo onere impedire il depauperamento ingiustificato dell’asse patrimoniale della società; la tolleranza che all’interno dell’immobile si svolgesse analoga attività della XX ad opera

dei coniugi P./O..

Sulla bancarotta documentale la Corte d’Appello riscontra la inattendibilità della denuncia di furto dei libri contabili,

all’indomani della conoscenza della sentenza dichiarativa di fallimento e su beni di nessun valore economico, nel contesto di una detenzione, in capo alla commercialista, di un corredo che doveva ritenersi giuridicamente posseduto pur sempre dall’amministratore.

Si tratta di una lunga ed articolata motivazione che non lascia adito a dubbi di plausibilità e logica.

Argomenti, d’altra parte, che non sono scalfiti dal ricorso.

Come si dirà ancora in seguito, i mezzi di gravame:

– attengono per la gran parte a questioni già dedotte davanti al giudice di appello e qui riproposti senza sostanziali modifiche;

– si appuntano su rilievi propri del merito, eppertanto appaiono insuscettibili di accoglimento.

Il B., con il primo motivo di ricorso, lamenta che le dichiarazioni dei testi SA. (consulente della procedura), VE. (Curatrice fallimentare) avrebbero dovuto suffragare la tesi dell’effettiva estraneità psicologica del B. o ammettere

l’insufficienza di elementi per ritenerla provata, alla luce delle ulteriori dichiarazioni della sig.ra O. che confermava di aver versato a mani della commercialista DE.CA. la somma di L. 1.016.000.000 (rilasciandone quietanza) e non al B. quale prezzo dell’acquisto dell’immobile.

Si tratta di censure sul merito della vicenda e sulla valutazione di emergenze probatorie (e così le altre connesse critiche e pretese illegittimità): verso queste ultime la Corte territoriale ha reso corretta spiegazione del proprio convincimento.

Infatti la sentenza gravata ha – sul punto, come anche altrove – sottolineato come fosse onere dell’amministratore assicurarsi della compiuta soddisfazione della società da lui amministrata nella vendita, ed impedire che un fatto così importante per la stessa (che navigava, oltretutto, in pessime acque finanziarie) potesse risolversi in una perdita secca per il mancato versamento del danaro nella casse sociali, in assenza di puntuale dimostrazione delle ragioni di questa interposizione del P., divenuto debitore verso la società di elevata somma, in momento di forte illiquidità societaria (senza prestare garanzia alcuna per l’adempimento del debito).

D’altra parte, è giurisprudenza costante, che il formale titolare della gestione, anche se privo di reali poteri e non esecutore materiale del fatto illecito (il cd. "prestanome" o "testa di legno") può considerarsi correo dell’illecito posto in essere dal gestore non qualificato quando vi sia prova di una sua rappresentazione dell’atto distrattivo o, almeno, di sintomi evidenti della anomalia dello stesso.

In sostanza – per la sua posizione di garanzia – in tema di bancarotta fraudolenta, ancorchè sia un mero interposto di altri soggetti che hanno agito come amministratori di fatto, egli risponde dei reati contestati quanto meno a titolo di

omissione poichè la semplice accettazione della carica attribuisce dei doveri di vigilanza e di controllo la cui violazione comporta responsabilità; la sola consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, ovvero l’accettazione del rischio che questi si verifichino, sono infatti sufficienti per l’affermazione di responsabilità.

Al contempo egli deve attivarsi per l’interruzione o il mancato avvio del programma criminoso: la inerzia si tramuta in responsabilità penale, quanto meno al titolo di dolo eventuale (Cass. Sez. 5^, 14.6.2004, Soppracone, n.26628; Cass., sez. 5^, 27.4.2000, Ragogna, Ced. Cass.216117; ecc.).

Non vi è dubbio che, per quanto poco il B. fosse a conoscenza dell’antefatto e per quanto poco avesse dimestichezza con la gestione sociale, era – per sua ammissione – a conoscenza del mancato pervenimento del denaro nelle casse sociali, della mancata annotazione del debito del percettore del denaro verso la società.

Le censure sono, dunque, infondate.

Quanto al secondo motivo, rammenta la difesa che i libri contabili erano all’interno della vettura della DE.CA. e non disponibili al B., sì che appare illogica e carente la motivazione che ha portato alla conclusione della diretta responsabilità di quest’ultimo sulla loro sparizione.

Anche questo motivo non può trovare accoglimento: la lettura integrale della motivazione evidenzia come i giudici d’appello abbiano ritenuto inattendibile la denuncia, perchè troppo vicina nel tempo alla dichiarazione di fallimento (di qui un evidente interesse a cancellare possibili tracce di annotazioni compromettenti) e – soprattutto – perchè il valore dell’unica refurtiva, intatta essendo rimasto l’interno dell’automobile, era di trascurabile interesse per un ladro, obbligato – oltretutto – ad asportare due ingombranti scatoloni di carta.

Di qui, sottolineato l’interesse verso cui si indirizzava l’operazione di sottrazione, la valutazione di riferibilità al B. della illecita condotta al cui compimento essa giovava.

Valutazione che, apprezzata la congruenza e sufficienza della motivazione, non assume interesse risolvendosi nel riesame della convinzione del giudice, qui non proponibile.

Il motivo non è fondato.

Con il terzo motivo si lamenta la mancata assunzione della deposizione della DE.CA. previa rinnovazione dell’istruttoria.

La Corte d’Appello, pur avendo eccepito la tardività della richiesta, entra nel merito sottolineando l’inutilità della prova

richiesta ai fini del decidere.

Anche questa doglianza non può essere accolta: la istanza non può ritenersi implicitamente formulata, alla luce della lettera della norma processuale e della presunzione di integrità dell’istruzione dibattimentale, profili che impongono un’esplicita istanza, capace di superare il carattere eccezionale della richiesta.

Ma, anche in questo caso, non essendo qui compito ripercorrere la già formulata valutazione di fatto, il contesto descritto dalla Corte territoriale rende davvero superflua la rinnovazione richiesta.

Il motivo nuovo avanzato da B. attiene alla mancata risposta sulla istanza di rinnovazione della notifica dell’estratto

contumaciale della sentenza di primo grado.

Ma si osserva che la nullità evocata può appuntarsi esclusivamente sulla notifica dell’estratto, non certamente sulla sentenza, poichè il B. conobbe il suo tenore, come dimostra la procura speciale "ad hoc" per il ricorso a favore del difensore, resa in calce alla decisione della Corte Territoriale. Del resto, il contesto dei motivi aggiunti non lascia dubbi in merito.

La comunicazione nei suoi confronti della sentenza – anche se per percorsi formalmente irregolari – ha raggiunto il suo scopo: l’imputato ebbe, sia pure in guisa anomala e con ritardo, contezza dell’atto decisorio. Nè può darsi restituzione in termine, avendo il B. avuto conoscenza del provvedimento ed avendo già il difensore provveduto a rituale gravame, così "consumando" ed escludendo ogni ulteriore legittimazione dell’imputato ad essere ammesso alla istanza di cui all’art. 175 c.p.p.. (come anche osserva autorevole dottrina, pur dopo la riforma della legge 20.4.2005).

Sicchè l’istanza appare sterile ed improduttiva di effettivi risultati processuali.

Manifestamente infondata, infine, l’eccezione di illegittimità costituzionale mossa avverso la L. 29 novembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3 (cd. ex Cirielli), norma transitoria che esclude l’applicazione dei più brevi termini di prescrizione nei processi pendenti dinanzi alla Corte di Cassazione.

Al riguardo già si è espressa questa Corte (Sez. 6, Ord. 12.12.2005, Marcantonia ed altri, n.22494/2005) ed ha affermato che la norma transitoria impugnata – che esclude l’applicabilità di più brevi termini di prescrizione dei reati previsti dalla L. n.251 del 2005 nei processi già pendenti avanti alla Corte di Cassazione – non si pone in contrasto con l’art. 3 Cost..

Posto che il principio di retroattività della legge penale successiva favorevole all’imputato, sancito dall’art. 2 c.p., comma 3, entra in discussione solo nel caso in cui sia intervenuto un mutamento favorevole nella valutazione legislativa del fatto tipico oggetto del giudizio (Corte Cost. n. 277 del 1990), il legislatore può razionalmente graduare nel tempo e differenziare in relazione ai diversi stati e gradi dei procedimenti e dei processi pendenti l’applicazione di nuovi, più favorevoli, termini di prescrizione dei reati senza per questo violare il canone dell’eguaglianza dei cittadini di fronte della legge penale.

Inoltre, ha ancora stabilito la decisione, la norma denunciata non viola l’art. 25 Cost., comma 2, perchè la disposizione transitoria non investe le norme incriminatrici destinate ad essere applicate nel giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione e perciò non si pone in contrasto con la regola costituzionale secondo cui "nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso".

Infine l’art. 10 della legge n. 251 del 2005 non lede l’art. 101 Cost. perchè nel secondo comma prescrive al giudice di non applicare nei procedimenti e nei processi pendenti i nuovi termini di prescrizione che risultino più lunghi di quelli

previgenti e, nel terzo comma, fissa una netta linea di demarcazione precludendo al giudice l’applicazione dei termini di prescrizione che risultino più brevi solo nei "processi già pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento" nonchè nei "processi già pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di Cassazione".

Il richiamo, poi, al rito abbreviato – posto a premessa dal difensore – qualifica come irrilevante l’eccezione, non essendosi – nella presente procedura – adito ad alcun rito alternativo.

La pretesa violazione dell’art. 27 Cost., con riferimento alla disciplina più severa della recidiva ed alle più rigorose ricadute della stessa in ambito di esecuzione della pena, non è ravvisabile.

Si tratta di scelta, certamente opinabile e criticabile, ma formalmente resa in seno alle determinazioni discrezionali del legislatore in relazione alle quali non è possibile eccepire violazione del principio invocato.

Per converso, in linea di principio, il carattere afflittivo della misura detentiva – e pertanto, anche l’inasprimento della stessa – è compatibile con la funzione rieducativa della pena – come affermato dalla giurisprudenza, anche costituzionale (cfr. ad es. Cass., sez. 1^, 21.3.2000, Natoli, Giust pen., 2001, 2^, 195; C. Cost., 22.11.1974, n. 264, Giust. pen., 1975, 1,33, ecc.).

I riflessi sulla durata del processo, nel senso di una sua irragionevole incompatibilità con le nuove norme sulla prescrizioni non sono di rilievo, difettando proprio l’applicazione della disciplina innovativa nell’attuale vicenda.

Non risulta chiaro in quale altra misura la riforma in esame configga con l’art. 111 Cost. (o forse 101 Cost.?)

L’eccezione è manifestamente infondata.

Posizione G..

Il ricorso dell’imputato si articola su motivi fortemente generici, non evidenziando il punto della patologia a cui si riferiscono (persistendo nella caratteristica già censurata dalla Corte d’Appello per quelli di primo grado).

Essi risultano, in questa prospettiva, generici.

Per ciò che riguarda l’eccezione di illegittimità costituzionale, di assai oscura proposizione, sembra che la doglianza consista nella eventuale disparità di trattamento nel decorso prescrizionale, quando due soggetti con uguale addebito risultino iscritti in tempi differenti nel registro degli indagati.

La manifesta infondatezza (e non la sola infondatezza) del rilievo si coglie osservando:

– che la prescrizione decorre non dalla iscrizione del nome nel registro dell’art. 335 c.p.p., bensì dalla data di consumazione del reato che, nel caso in discorso, non mura siche l’azione penale si svolga dopo la comunicazione della sentenza di fallimento o, come consente la L. Fall., art. 238, anche prima;

– che la possibile difformità di date di consumazione del reato (se a questo allude il ricorrente) non viene considerata lesiva dell’art. 3 Cost. dalla Corte Costituzionale (nel caso di possibile applicazione di causa estintiva del reato, come l’amnistia) nel caso di estensione della dichiarazione di fallimento a soggetto illimitatamente responsabile diverso da quello per primo dichiarato fallito, come già osservato dal giudice di appello.

Sulla premessa di un rinvio a quanto già esaurientemente esposto dalla Corte territoriale, soprattutto sui rilievi processuali, per gli altri motivi non pare oggettivamente possibile cogliere il punto esatto di censura, le ragioni di diritto e gli argomenti di fatto a sostegno dell’impugnazione, risolvendosi in generiche doglianze, ovvero, nell’assoluta carenza di sviluppo motivo del titolo premesso all’atto di gravame, come per le eccezioni di nullità/inutilizzabilità processuale, per le quali non vi è bastevole indicazione degli specifici atti invalidati, segnalando – al contempo – che il nostro ordinamento processuale non impone obbligo di interrogatorio nella fase delle indagini processuali.

Parimenti, è difficilmente comprensibile il lamentato diniego delle attenuanti degli artt.116 e 117 cod. pen. (si tratta di concorso strutturato, secondo le decisioni di merito, come preordinazione di una manovra fraudolenta in cui non sembra possibile affacciare ipotesi delle dette attenuanti, ben essendo nota la qualità del concorrente e la commissione del reato a cui si mirava) in palese violazione dell’art. 581 c.p.p., sicchè essi non possono trovare alcun accoglimento.

Ad ogni modo, si rammenta che la decisione impugnata – pur dato atto della genericità dei motivi – analiticamente valuta le risultanze di fatto a carico del G. – amministratore di ZZ, la società che vendette alla società della GE. l’immobile di Via ?, due mesi dopo averlo acquistato, che non annotò il movimento finanziario conseguente al negozio nella propria contabilità – quanto alla fraudolenza dei contratti conclusi con tratti di indiscutibile irregolarità, elementi che si riflettono anche sulla posizione dei coimputati, valutazioni sviluppate con aderenza ai dati processuali e scevre da illogicità ed insuscettibili pertanto di critica in sede di giudizio di legittimità.

Posizione GE..

Tra i reiterati mezzi di gravame avanzati dalla ricorrente meritano esame preliminare, trattandosi di eccezioni afferenti all’intera correttezza processuale, la eccepita nullità delle decisioni per il ricorrere di cause di incompatibilità che obbligavano i giudici alla astensione.

Di qui, secondo la difesa, la pretesa nullità dell’attuale vicenda processuale per l’eccepita violazione dell’art. 34 c.p.p. (o, il che è lo stesso a questi fini) la mancata astensione ex art. 36 c.p.p. da parte dei giudici di merito.

Le censure sono infondate: i casi di incompatibilità, tassativamente elencati dal codice di rito, pur nelle cospicue integrazioni fornite dalla decisioni della Corte Costituzionale, non contemplano l’ipotesi della partecipazione di uno stesso giudice a due distinti giudizi, anche se analoghi (ma in senso del tutto a-tecnico) quanto ad oggetto, differendo tuttavia le persone dei giudicabili e le imputazioni loro rispettivamente ascritte.

Al contempo, l’ipotesi di un giudice che – chiamato a decidere su una vicenda analoga (non identica, si ripete) – abbia già espresso un suo convincimento o un suo parere nell’esercizio delle sue funzioni, quale è quello che manifesta il proprio pensiero in sede di motivazione di una sentenza, non assume interesse poichè l’art. 36 c.p.p., lett.c) contempla il solo caso di manifestazione del pensiero fuori dalla sede giurisdizionale o comunque giudiziale.

Di qui l’inesistenza di fondamento anche dei motivi nuovi.

Al pari, giuridicamente improponibile è la ricorrenza del divieto di nuovo processo per lo stesso fatto ex art. 649 c.p.p.. Difettano alla fattispecie processuale invocata – per rispettare i parametri di lettura dello "stesso fatto" sotteso dalla norma – l’identità del soggetto (il condannato S.R. è persona diversa dalla GE.), dell’evento lesivo (che ha pregiudicato, in un caso, la massa concorsuale e nell’altro il Fisco) e della condotta, intesa essa nella sua accezione giuridica e di contenuto (l’addebito per cui intervenne condanna è di violazione alla normativa penale tributaria, quello dedotto nell’attuale processo è di bancarotta fraudolenta impropria).

In prosieguo si tornerà – anche nel merito – su questo profilo della vicenda, ribadendo la piena compatibilità logica e giuridica delle due pronunce, soltanto apparentemente contrastanti.

L’eccezione risulta, quindi, priva di sostegno processuale e sostanziale.

La GE., con i primi mezzi di gravame, ha ritenuto che ricorresse inutilizzabilità degli atti preliminari compiuti prima che il suo nome fosse iscritto nel registro dei cui all’art. 335 c.p.p., databile del 26.5.1993 (due anni dopo il rinvio a giudizio, del 9.6.1992, del B.) e che indebito fosse l’uso probatorio delle dichiarazioni rese, quale persona informata sui fatti alla Polizia Giudiziaria e quale teste, dal Curatore.

I motivi sono infondati: la censura afferente alla asserita inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti prima della sua

iscrizione nel registro ex art. 335 c.p.p., poichè al riguardo la decisione impugnata ha correttamente già valutato la sua in conferenza nello sviluppo processuale.

Non vi era stata iscrizione al registro indicato dall’art. 335 c.p.p. poichè, come sottolinea la stessa ricorrente, in epoca anteriore non era emerso ancora alcun elemento probatorio a carico della GE., segnalando che è giurisprudenza della Corte ritenere che l’obbligo di iscrizione sorga non già a fronte di mero sospetto, bensì di specifici elementi indizianti (Cass. 11.3.1999, Testa, CED 213927).

Sino ad allora non era stato attribuito alla ricorrente alcun reato e, dunque, non era sorto ancora l’onere in discorso, come si evince dal dato letterale dell’art. 335 c.p.p., comma 1.

Pertanto, non si ravvisa violazione alcuna delle norme processuali e nullità di alcun tipo.

La disciplina processuale non impedisce al P.M. di allegare alla propria istanza accusatoria ed al giudice al proprio convincimento acquisizioni probatorie che, pur assunte in epoca precedente l’iscrizione, si colorino di portata indiziaria alla luce di successive emergenze.

Inoltre, la valutazione del sorgere di specifici elementi indizianti e non di meri sospetti è sottratta, in ordine all’an, al sindacato del giudice (Cass. Sez. Un., 21.6.2000, Tammaro, Arch. nuova proc. pen., 2000, 375).

La Corte territoriale ha già esaurientemente risposto in merito alla pretesa ed inesistente inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’amministratore della fallita società al curatore.

La decisione della Corte Costituzionale ha escluso, al proposito, profilo di violazione alle garanzie difensive (art. 62 c.p.p.): il Curatore – prima dell’avvio del procedimento verso un soggetto di indagine determinato – agisce in una fase pre-procedimentale. Libero, dunque, dalle regole di garanzia proprie del procedimento/processo penale (C. Cost. 27.4.1995, Marani, n.136; Cass., sez. 5^, 15.10.2001, Cass. pen., 2003, 1984).

Allo stesso modo la Corte d’Appello ha già confutato il fondamento alla asserita inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla GE. alla P.G. in qualità di persona informata sui fatti, per la semplice ragione che mai esse sono state poste a fondamento del convincimento di reità dei giudici di merito.

Questi motivi non trovano accoglimento.

I restanti motivi sono, come per la posizione del ricorrente B., in gran parte ripropostivi di doglianze già affacciate alla Corte di merito e, in larga misura, insuscettibili di esame in sede di giudizio di legittimità.

Infatti, in tema di vizi della motivazione, il controllo di legittimità operato dalla Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (giurisprudenza costante, fra le molte, Cass., sez. 5^, 30.11.1999, Moro, Cass. pen., 2001, 183).

Nel caso in esame, a questi canoni si è attenuta la Corte di Appello di Roma.

Più esattamente, fermando l’attenzione sul contenuto principale dei mezzi di gravame, in merito alla erroneità e manifesta illogicità della motivazione sul prezzo pagato e sull’avvenuto pagamento, sulle ragioni che indussero ZZ alla rivendita del bene, la ricorrente ripercorre la traccia probatoria sull’entità del prezzo asseritamene pagato e sulla sua congruità.

Rammenta che vi è traccia documentale nelle fatture emesse da ZZ su WW per l’ammontare complessivo di L. 6.688.712.000 con corrispondente (quasi) integrale annotazione sui libri contabili di quest’ultima società; che la citata sentenza a carico di S.R., passata in cosa giudicata, ha condannato il S.R. (in allora amministratore di ZZ) per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi societari, pur avendo lucrato questo ricavo (per il quale era stata corrisposta l’IVA relativa), così condannandolo per il reato penal/tributario.

L’argomento era giàstato sollevato dalla ricorrente ed esattamente la Corte d’Appello aveva obiettato che la logica probatoria propria dell’imputazione ascritta al S.R. non è incompatibile con l’assunto di un mancato introito del prezzo.

Questa Corte osserva, ancora, che l’emissione delle fatture costituiva la provvista di una posta di ricavi, in seno al conto economico e, comunque, un attestato di un credito verso WW, voci che avrebbero dovuto pur sempre esser evidenziate nella dichiarazione fiscale, a prescindere dall’effettivo adempimento del pagamento.

Di qui la conclusione che la decisione sulla posizione S.R. lascia indifferente la valutazione della vicenda GE., non attestando l’effettivo versamento della ricchezza di cui alle fatture emesse da ZZ.

Conseguentemente non si ravvisa alcun profilo di contraddittorietà. Nè in sè, conseguentemente, la sentenza

S.R. fornisce riscontro dell’effettivo pagamento del prezzo.

Non sussiste la contraddittorietà logica della motivazione in merito al prezzo pattuito.

GE. sostiene che esso risultava di L.5.500.000.000 ed, accollo del mutuo, L.4.000.000.000 e che, quindi, era congruo. Infatti, la Corte (pag. 17, "prezzo indicato", pag. 20, "prezzo dichiarato") non ha censurato l’importo che GE. assume di avere effettivamente pagato, bensì il forte divario con quanto dichiarato nei rogiti notarili in cui esso costituiva oggetto negoziale. Non esiste – dunque – la rilevata contraddizione.

Non è qui proponibile censura sul convincimento dell’impugnata sentenza per cui appare inverosimile la ignoranza della GE. sulle trascrizioni ipotecarie sull’immobile: infatti è richiesta di valutazione sul merito della vicenda che, essendo ben motivata, senza contraddizione e con passaggi logici, non è suscettibile di censura o riesame in sede di legittimità.

Lo stesso va detto a riguardo del convincimento di irragionevole anti-economicità della vendita da parte di ZZ dell’immobile, dopo soltanto due mesi dall’acquisto. Tenendo, soprattutto conto, che il fatto venne esaminato dalla decisione impugnata con un nutrito corredo di ulteriori elementi, ragionevolmente prospettati (cfr, ad es. pag. 16) dai quali si evidenziano anomalie consistenti sulla realità della traccia contrattuale, con riguardo alla personalità degli

amministratori della società che cedeva il bene, della società ZZ, della rapidità della vicenda in rapporto alla consistenza patrimoniale degli organismi, del radicale mutamento dell’oggetto sociale conseguente ai negozi, dello stato di dissesto della venditrice, ecc..

Ancora, aderente esclusivamente al merito della vicenda è l’accusa di erroneità e manifesta illogicità della motivazione circa il programma fraudolento della GE. fin dal mese di agosto 1990.

La sentenza gravata (pag. 16) si limita ad affermare l’esistenza di accordi "altamente sospetti" ed a richiamare il concorde giudizio reso in sede civile sulla simulazione dei patti, per poi (pag.18) sviluppare le ragioni del sospetto ancorandole alla critica della tesi difensiva ed evidenziando le significative coincidenze di date che scandirono l’antefatto della vendita da ZZ a WW, nel contesto di organismi a cui erano stati da pochissimo tempo preposti gli attuali inquisiti, nella stranezza di una radicale mutazione dell’attività da gestione di imprese operanti nel campo aeronautico a quello grafico/editoriale.

I passaggi logici sono stati espressi, sono stati ancorati ad elementi di fatto, non appaiono contraddetti.

Non è lecito, dunque, qui vagliarne il merito.

Per converso, come osservavano già i giudici di secondo grado, non sono state allegate ed enucleate le lacune e gli anacoluti logici da parte della ricorrente di cui sarebbe affetta la decisione.

Inconferente, parimenti, la prospettazione fornita dal motivo che assume l’inesistenza di pregiudizio in capo alla procedura concorsuale conseguente all’acquisto dell’immobile ad opera della società della GE..

Giustamente, quindi, non considerata dalla Corte d’Appello.

Va detto subito che l’intitolazione del motivo allude anche alla omessa assunzione di prova decisiva, che – peraltro

– non viene indicata, sicchè non appare possibile scendere nella disamina della relativa doglianza.

L’accusa mossa alla GE. è di aver acquistato il bene della XX, con dissimulazione agendo per il tramite dell’interposizione di ZZ, e di non avere pagato il relativo prezzo.

Dunque, di aver depauperato, senza corrispettivo, il patrimonio di XX.

Infatti, l’accusa riscontra che un bene di L. 9, 6 miliardi (stima effettuata in sede concorsuale) non rinviene corresponsione di denaro alcuna nelle casse della società venditrice (ora fallita).

Ed – anche a voler considerare incluso nel prezzo l’accollo del mutuo – il divario tra il valore del bene ed il mutuo che vanta il creditore (da cui il privilegio ipotecario) è rilevabile e consistente (circa L.5, 6 miliardi) insufficienza nella remunerazione del cespite venduto.

Una condotta – comunque – risoltasi in una perdita per la massa creditoria e, come tale, riconducibile al parametro della fraudolenza patrimoniale.

Il motivo che allega la mancanza di motivazione sull’inesistenza dei rapporti tra la GE. (e la sua società) e le altre società coinvolte, YY, ZZ o i loro esponenti, annovera una serie di dati propri della composizione delle diverse società coinvolte.

Lamenta l’omessa dimostrazione dei legami tra gli esponenti societari e la GE.. Ma non ancora il dato a specifiche rilevazioni e punti di carenza: nel momento in cui la prova è ravvisata nelle modalità operative della vicenda negoziale, delle caratteristiche soggettive dei venditori, ecc..

Le riflessioni svolte dai giudici di appello su una sottostante preordinazione ben architettata, sono congruamente motivate e non possono formare oggetto di ulteriore esame: per esempio, non è affatto illogico che il pagamento fosse regolarmente annotato nella contabilità della società WW, organismo che avrebbe dovuto apparire dalla gestione inappuntabile e incapace di dar vita a sospetti ed, anche su questo punto, non si palesa momento di debolezza motiva. ÿ del tutto ragionevole sottolineare che la GE., da parte sua, non ha mostrato con documentazione bancaria l’origine e lo sviluppo della provvista da cui trarre il pagamento, prestando, così, il fianco a più che legittime deduzioni argomentative, ecc..

Le indicazioni che escludono fede privilegiata probatoria alle annotazioni sul pagamento del prezzo in seno al rogito notarile sono pienamente condivisibili.

Non assume certo valore probatorio la dichiarazione resa davanti al Notaio dalle parti, non essendo possibile rivestire di fede pubblica quanto detto da privati al pubblico ufficiale, cadendo il privilegio fidefacente esclusivamente sulla veridicità di quanto questi ha attestato esser stato davanti a lui affermato.

D’altro canto, la carenza di un’attestazione notarile sull’effettivo scambio degli assegni circolari a corresponsione del prezzo, accompagnata dalla mancanza di traccia bancaria degli assegni circolari consegnati a ZZ o, diversamente, l’entità enorme del contante (avuto riguardo alla genericissima allusione al prezzo del rogito per importo così elevato) ed all’annotazione contabile in seno alla gestione di quest’ultima, onde verificare la destinazione effettiva, sono – obiettivamente – qualcosa di più di un forte dubbio sulla attendibilità sostanziale della versione opposta dalla GE..

Anzi, proprio questa sintomatica lacuna documentale appare l’elemento maggiormente convincente per l’accusa verso la

GE..

La motivazione della decisione non è affatto sforzata o incongrua.

La Corte territoriale ha sottolineato come sia dato certo che ZZ, società acquirente dell’immobile e rivenditrice del cespite alla WW, non tenne annotazione contabile del movimento finanziario e patrimoniale.

ÿ questo il punto saliente

dell’argomentare della sentenza impugnata: esso è ritenuto, con altri puntualmente evidenziati, un tassello rilevante per appurare la irregolarità nei passaggi negoziali del costoso compendio immobiliare.

Non vi è illogicità o contraddizione al riguardo.

La lamentata contraddittorietà sul peso probatorio del silenzio serbato dalla GE., non comparendo all’interrogatorio avanti il giudice delegato, nella causa revocatoria è argomento utilizzato della sentenza per insinuare il dubbio che la donna conoscesse lo stato di insolvenza della XX S.r.l., ma l’argomento non incide sull’economia generale della motivazione, ma come elemento accessorio.

Così come priva di premessa oggettiva è la critica alla sentenza di secondo grado che avrebbe (si dice a pag. 17) segnalato che indebitamente la GE. omise di presentare libri contabili e fatture al giudice fallimentare, così ammettendo di non aver pagato il prezzo: l’unico spunto indiziario assunto dai giudici di appello attiene al silenzio verso il giudice dell’azione revocatoria, sicchè tutto il successivo sviluppo sull’argomento appare fuori del tema

motivazionale.

Non dissimilmente appare artificiosamente enfatizzato il supposto contrasto tra il M.llo S. ed il Dott. Sa..

La Corte (pag. 20), esattamente, ritiene il fatto estraneo all’interesse probatorio, una volta accertato che – comunque – la traccia contabile del pagamento del prezzo dell’immobile, non venne mai reperita in seno a ZZ (a prescindere se essa fu vista o meno dal Sa., contrasto che resta al confine dell’attuale imputazione).

Al contempo, la oggettiva emergenza del mancato reperimento della detta contabilità non è una mera "illazione", ma dato storico certo.

In tal senso appare esterna all’oggetto del decidere il contenuto della memoria difensiva depositata il 19.5.2005 ed

afferente al contenuto dei deposti S. e Sa..

Il motivo conclusivo non fa che riassumere, con forti imprecisioni, i rilievi svolti per porli a sostegno della istanza di assoluzione piena.

Esso, comunque, concentra in sè le ragioni che non consentono la sua proposizione in seno al giudizio di legittimità (ci si limita a rammentare che non è vero che la Guardia di Finanza ha "giurato che la ZZ ha incassato la somma predetta", limitandosi ad accertare la violazione fiscale dianzi rammentata, che le sentenze S.R., ancorchè passate in giudicato, non consentono di leggere "con certezza e con assoluta chiarezza che la WW di GE. ha pagato alla ZZ 6.688.712.000" per le ragioni più sopra esposte.

Il ricorso della GE. deve essere rigettato e le spese del procedimento devono essere poste rispettivamente a carico dei

ricorrenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi di B., G. e GE. e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del procedimento ed alla rifusione delle spese della parte civile che liquida in complessivi Euro 4.000,00 di cui Euro 3.300,00 per onorari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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