Cass. pen., sez. III 09-03-2006 (09-02-2006), n. 8303 REATI CONTRO LA FEDE PUBBLICA – DELITTI – COSTRUZIONE EDILIZIA – Direttore dei lavori edilizi – Varianti in corso d’opera – Non incidenza sulla sagoma dell’edificio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

In fatto

A seguito dei sopralluoghi effettuati in data 30 luglio 2001 e 17 settembre 2001 in Vaiano, loc. Grisciavola, strada vicinale della Collina, dalla Polizia Municipale dello stesso Comune di Vaiano, si accertava che P? P?, N? S? e C? D?, il primo in qualità di proprietario committente, la seconda di direttore dei lavori e il terzo di materiale esecutore dei lavori stessi, avevano realizzato opere in totale difformità della concessione 71/00 del 15 marzo 2001 sull’edificio denominato "Limonaia". In particolare veniva rappresentato che il porticato non era previsto dalla concessione comportando così un aumento della superficie coperta, mentre dalla tecnica usata per l’edificazione, si comprendeva che non di ristrutturazione si era trattato, bensì di una demolizione e di una successiva ricostruzione. Erano state altresì costruite ex novo due finestre di considerevoli dimensioni sulla parte laterale destra dell’edificio nonché altre due più piccole sulla facciata laterale sinistra. Anche il tetto era stato modificato non in conformità, mentre risultava essere stata realizzata all’esterno una scala non concessionata. Difformemente dal titolo abilitativo all’interno era stato realizzato un unico ambiente, mentre risultava edificata una scala che raggiungeva il seminterrato dove, anziché essere stato realizzato un unico locale adibito ad autorimessa, era stato ottenuto un vano da adibire ad autorimessa e un bagno risultato già piastrellato.

Venivano, inoltre, segnalati abusi anche per un altro edificio, un’autorimessa, un tempo destinato a ricovero attrezzi con previsione di cambio di destinazione, giusta l’autorizzazione n. 26/99, di destinazione appunto ad autorimessa.

Gli abusi in questo caso erano consistiti nella diversa conformazione del tetto realizzato a due falde, anziché essere a falda unica, nella diversa dislocazione di una scala esterna e nella costruzione di un bagno non concessionato. Di qui la contestazione ai tre interessati del reato di cui all’art. 110 c.p. e L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. B) (capo A).

Venivano, infine, accertate dai verbalizzanti su un terzo edificio, denominato "Cinesino", difformità comportanti violazione delle prescrizioni di cui all’art. 32 della normativa dell’area protetta del Monteferrato, nonché dell’art. 35 delle NTA e del PRG del Comune di Vaiano, in relazione alle quali, veniva elevata imputazione nei confronti dei tre imputati per il reato di cui all’art. 110 c.p. e L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. a) (capo B).

P? e N? venivano, inoltre, chiamati a rispondere in concorso tra di loro, del reato di cui all’art. 81 cpv. c.p. e art. 481 c.p. in relazione alla falsa attestazione dell’avvenuta deruralizzazione dei due edifici indicati al capo B) della rubrica (capo C) e la sola N?, infine, del medesimo reato per avere, in qualità di direttore dei lavori delle concessioni n. 7/99 e 71/00, nonché dell’autorizzazione n. 26/99, attestato falsamente la conformità degli interventi edilizi nelle certificazioni presentate al Comune di Vaiano (capo D).

Il Tribunale di Prato, con sentenza pronunciata in data 21 marzo 2003, depositata in cancelleria il successivo 3 luglio 2003, dichiarava P? P?, N? S? e C? D? responsabili dei reati loro ascritti, con esclusione, quanto al P?, del reato di cui al capo C) (art. 481 c.p.) per il quale veniva assolto perché il fatto non costituisce reato, e condannava N? S?, concesse le attenuanti generiche, riconosciuto l’aumento per la continuazione, ritenuto più grave il reato di cui all’art. 481 c.p., alla pena di mesi tre di reclusione ed Euro 500,00 di multa convertendo la pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria di Euro 3420,00 di multa per una pena finale e complessiva di Euro 3920,00 di multa.

P? P? e C? D?, previa concessione delle attenuanti generiche al solo P?, con l’aumento per la continuazione, ritenuto più grave il reato sub A), venivano condannati, invece, rispettivamente – il P? – alla pena di giorni quaranta di arresto ed Euro 10.000,00 di ammenda e – il C? D? – alla pena di giorni sessanta di arresto e Euro 15.000,00 di ammenda. Veniva altresì concesso al solo P? P? il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Successivamente la Corte di Appello di Firenze, investita del gravame dai tre imputati, in parziale riforma della sentenza resa dal Tribunale di Prato dichiarava non doversi procedere nei confronti degli stessi in relazione al capo B) essendo il reato estinto per intervenuta prescrizione ed assolveva anche N? S? dal reato di cui al capo C) perché il fatto non sussiste. Per l’effetto riduceva la pena inflitta a P? P? a mesi uno di arresto ed Euro 8.000,00 di ammenda; a N? S? a mesi due e giorni venti di reclusione ed Euro 1.220,00 di multa, pena detentiva sostituita ai sensi del L. n. 689 del 1981, art. 53, nella corrispondente pena pecuniaria di Euro 3.040,00 di multa (e, pertanto, complessivamente, alla pena di Euro 4.240,00 di multa);

– a C? D?, infine, alla pena di mesi uno e giorni venti di arresto ed Euro 12.000,00 di ammenda.

Avverso la citata sentenza propongono ricorso per Cassazione C? e N? i quali eccepiscono: entrambi: 1) inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche (art. 606 c.p.p., comma 1., lett. b), omessa e/o carente motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), relativamente al capo A) di imputazione.

Essi rilevano, infatti, che: A) Dall’esame degli atti emerge come la quasi totalità degli interventi descritti nel capo di imputazione (salvo lo spostamento di alcune luci e finestre, attività pacificamente esclusa dal novero delle penalmente rilevanti) sia rappresentata da "opere interne", categoria prevista dalla L. n. 47 del 1985, art. 26 (implicitamente abrogato e sostituito dalla D.L. n. 398/1993, art. 4, comma 7, lett. e), convertito con modificazioni dalla L. n. 493 del 1993, come sostituito dalla L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 60). Peraltro, rispetto alla vecchia definizione della L. n. 47 del 1985, art. 26, si è eliminato ogni riferimento all’aumento di unità immobiliari. Tali opere quindi non necessitano, per essere poste in essere, di concessione edilizia, e la condotta posta in essere sarebbe penalmente irrilevante.

B) La categoria della "ristrutturazione" – L. n. 431 del 1978, art. 31, lett. d) – comprende un insieme sistematico di opere che incidono sulla totalità o gran parte dell’edificio, trasformandolo radicalmente sotto l’aspetto strutturale, formale o tipologico (mutamento radicale).

Riguardo agli interventi in esame – ove qualificati come ristrutturazione – osservano i ricorrenti che: B1) L.R. Toscana n. 52 del 1999, art. 4, comma 2, lett. d), sottopone ad attestazione di conformità – e quindi sottrae alle sanzioni penali – gli interventi di ristrutturazione edilizia. Recentemente, inoltre, la Regione Toscana ha nuovamente legiferato in materia, introducendo con la L. n. 43 del 2003 modifiche alla L. n. 52. All’art. 4, comma 2, lett. d) n. 1) e 2) ricomprende tra gli interventi sottoposti a D.I.A.: "le demolizioni con fedele ricostruzione degli edifici, intendendo per fedele ricostruzione quella realizzata con gli stessi materiali o con materiali analoghi prescritti dagli strumenti urbanistici comunali, nonché nella stessa collocazione, ?La demolizione di volumi secondari, facenti parte di un medesimo organismo edilizio, e la loro ricostruzione nella stessa quantità ? ancorché in diversa collocazione sul lotto di pertinenza." B2) La L. n. 443 del 2001, art. 1, comma 6, prevede che possono essere realizzate in base a semplice D.I.A. ai sensi del D.L. n. 398 del 1993, art. 4, convertito con modificazioni dalla L. n. 493 del 1993, come sostituito dalla L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 69 e successive modificazioni; "b) le ristrutturazioni edilizie, comprensive delle demolizioni e ricostruzioni con la stessa volumetria e sagoma"; Nel caso di specie, si rientrerebbe, dunque, – ove demolizione ci sia stata – nelle ipotesi di omogeneità di materiali, di sagoma e di volumetria previste dalle norme.

Del resto, sulla reale demolizione e ricostruzione perimetrale niente di preciso avrebbero saputo dire nemmeno gli Organi Accertatori.

C) Alcune o tutte le opere descritte nei vari punti del capo A) di imputazione possono essere considerate quali "varianti in corso d’opera", previste dalla L. n. 47 del 1985, art. 15, ovverosia quegli interventi edilizi in lieve difformità dal progetto che si rendono necessari per ragioni tecniche non previste e non prevedibili al momento della redazione dello stesso, e che non modificano sagoma, superfici utili e destinazione d’uso. Per costante Giurisprudenza, qualora l’approvazione delle varianti non sia richiesta prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori, si verte comunque in ipotesi non penalmente rilevanti.

Pertanto privo di valore ovvero illogico potrebbe essere il ragionamento della Corte di Appello, ove dice che la variante in corso d’opera non è rilevante in quanto "tale procedura non è stata attivata".

D) I testi escussi avrebbero confermato la natura pertinenziale delle opere realizzate.

Peraltro, come ammesso dalla stessa teste dell’Ufficio tecnico comunale, il Comune aveva dato inizialmente parere favorevole alla realizzazione del porticato, parere bloccato dalla Sovrintendenza per l’erronea convinzione della presenza di un vincolo. E) La L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. "b" della prevede la sanzione penale solamente nei casi di "esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza della concessione o di prosecuzione degli stessi nonostante l’ordine di sospensione".

Nei tre casi (tassativi) contemplati dalla suddetta norma penale non è menzionata l’esecuzione dei lavori "in parziale difformità" ovvero "con variazioni essenziali" per cui, stante il principio di tassatività della norma penale, le fattispecie giuridiche in esame non appaiono penalmente rilevanti, se non residualmente sub lett. a) L. n. 47 del 1985.

E) La corposa istruttoria dibattimentale (escussione dei testi, dichiarazioni orali e scritte degli imputati e rilievi del CTP) avrebbe, infine, evidenziato una assoluta mancanza di prova relativamente al periodo di commissione dei reati contestati.

C?, eccepisce inoltre:

2) inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), omessa e/o carente motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Relativamente alla mancata sostituzione della pena nella corrispondente pena pecuniaria la Corte di Appello di Firenze riteneva "motivo nuovo" la richiesta avanzata dal difensore del ricorrente di sostituire la pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria (stante la cancellazione delle esclusioni oggettive previste dalla L. n. 689 del 1981). In realtà tale richiesta non sarebbe sanzionata da decadenza, ove non proposta precedentemente nei motivi di appello, stante anche il potere autonomo della Corte di Appello di applicarla di ufficio ove ne ricorrano i presupposti.

N?, eccepisce inoltre:

3) inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), omessa e/o carente motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Relativamente al capo D) di imputazione, richiamate le argomentazioni svolte relativamente al tempus commissi delicti, rappresenta l’insussistenza dell’elemento materiale e psicologico del reato di cui all’art. 481 c.p..

4) inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), omessa e/o carente motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Relativamente alla quantificazione della pena si duole la ricorrente, infine, che, nonostante abbia pronunciato sentenza assolutoria per due dei reati originariamente contestati, la Corte di appello, in violazione del divieto di reformatio inpejus, sia pervenuta ad una nuova determinazione della pena, ai sensi della L. n. 689 del 1981, di Euro 4.240,00 di multa, laddove il giudice di primo grado aveva comminato la pena complessiva di Euro 3920.00 di multa.

Motivi della decisione

Appare certamente fondato il ricorso della N? in ordine alla errata determinazione della pena da parte dei giudici di appello. Non era evidentemente possibile per i giudici di secondo grado, a seguito di ricorso dell’imputato, irrogare una pena addirittura superiore a quella inflitta in primo grado e, ciò, dopo avere anche dichiarato prescritto il reato di cui al capo B) – L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. a) – e l’insussistenza del reato di cui all’art. 481 c.p. contestato al capo C).

Di conseguenza la sentenza va sul punto annullata con rinvio per consentire una nuova determinazione della pena.

La mancata indicazione degli aumenti di pena in relazione ai singoli reati ritenuti nella continuazione nelle precedenti sentenze non consente, infatti, di procedere alla semplice decurtazione di quanto erroneamente conteggiato.

Sono, invece, infondati i restanti motivi di ricorso. Per quanto concerne il reato di cui agli art. 110 c.p., art. 81 cpv. c.p., art. 20, lett. B) L. n. 47 del 1985, contestato ad entrambi i ricorrenti, la motivazione della corte di merito – che richiama anche tutte le argomentazioni già sviluppate, sul punto, dal giudice di prima istanza – si sottrae certamente a censure in sede di legittimità.

Al riguardo osserva il Collegio che i giudici di appello hanno anzitutto sottolineato la natura esterna della maggioranza delle opere abusive realizzate rilevando che, in effetti, esse si sostanziano nella costruzione di una scala, nella modifica dei tetti, nella costruzione di un porticato, nella chiusura di una porta e nella realizzazione in sua vece di una finestra, nella costruzione di quattro finestre ex novo.

Inoltre, con valutazione logica e congruente, hanno evidenziato la ricaduta diretta delle stesse sulla sagoma volumetrica e sulla visione prospettica dei manufatti e, di conseguenza, la sussistenza di palesi difformità rispetto alla concessione.

Appaiono, dunque, prive di fondamento le doglianze dei ricorrenti circa la natura "interna" dei lavori realizzati.

Parimenti è da escludere che nella specie le opere stesse possano essere considerate varianti in corso d’opera, penalmente irrilevanti. Analogamente a quanto già previsto nella L. n. 47 del 1985, art. 15 e L. n. 662 del 1999, art. 2, comma 60, art. 7, lett. g), anche il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 2, continua a prevedere l’assoggettabilità a DIA unicamente per le varianti che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ciò posto questa Corte ha già affermato che la sagoma di una costruzione concerne il contorno che viene ad assumere l’edificio ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti, sicché solo le aperture che non prevedano superfici sporgenti non rientrano nella nozione di sagoma e sono sottoposte al regime c.d. varianti in corso d’opera. Di conseguenza, si è escluso, ad esempio, che possano rientrare nella categoria delle c.d. varianti di opera, la realizzazione di una scala esterna di accesso al primo piano, di una mensola su entrambi i lati con riguardo ai solai di calpestio, di sottotetto del primo piano, di uno sporto al solaio del sottotetto, (Sez. 3^, Sentenza n. 3849 del 09/02/1998 Rv. 210647).

Procedendo oltre occorre ora affrontare le tematiche poste dai ricorrenti in merito alla eventualità che i lavori effettuati possano essere inquadrati nella attività di ristrutturazione edilizia.

Si sostiene, come detto, da parte di entrambi, che, sia con riferimento alla normativa statale che regionale, la ritenuta – da parte della corte di appello – attività di demolizione e ricostruzione dei manufatti sarebbe inquadrabile nel concetto di ristrutturazione edilizia, che, in quanto tale, necessita unicamente di DIA e non assume, conseguentemente, rilievo sotto il profilo penale. Ciò posto si impongono anzitutto alcune puntualizzazioni. Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, lett. d), come modificato dal D.Lgs. n. 301 del 2002, ribadisce che sono ricompresi nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione (di un edificio) con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica. In questo caso è, quindi, certamente sufficiente la DIA. La Corte di merito assume, tuttavia, con valutazione di merito evidentemente insindacabile in questa sede, in quanto adeguatamente e logicamente motivata, che l’edificio denominato "Limonaia" sarebbe stato non solo demolito ed edificato di nuovo ma, all’esito della ricostruzione, per ampiezza, portata, quantità e qualità delle modifiche apportate, il nuovo edificio realizzato avrebbe comportato un organismo sostanzialmente diverso da quello originario, dando luogo, in realtà, ad una nuova struttura.

Occorre anche aggiungere, richiamando quanto detto in precedenza, che la motivazione del provvedimento impugnato specificamente sottolinea l’incidenza delle modifiche sulla sagoma dell’edificio. E, dunque, non appare configurarle nella specie l’invocata ristrutturazione edilizia che, si ribadisce, implica la demolizione e la ricostruzione dell’edificio senza variazioni volumetriche o di sagoma.

Nè sembra utilmente invocabile al riguardo la normativa regionale. La L.R. Toscana n. 52 del 1999, art. 4, comma 2, come successivamente modificata dalla L. n. 43 del 2003, ricomprende, infatti, nella nozione di ristrutturazione edilizia separatamente le demolizioni con fedele ricostruzione degli edifici, intendendo per fedele ricostruzione quella realizzata con identici materiali e con medesimo ingombro planovolumetrico, fatte salve esclusivamente le innovazioni per la normativa antisismica (lett. d 1) e le demolizioni dei volumi secondari e la loro ricostruzione in diversa collocazione sul lotto di pertinenza (lett. d 2).

Essa appare, pertanto, semmai più restrittiva rispetto alla normativa statale che, per effetto delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 301 del 2002, ha eliminato proprio il riferimento alla "fedele" ricostruzione – originariamente incluso nella formulazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, lett. d) del limitandosi, come visto, a richiedere la coincidenza di volumetria e sagoma del nuovo edificio.

Ciò posto, va aggiunto che nella nozione di ristrutturazione rientrano ora non solo gli interventi di demolizione e ricostruzione – a condizione che, come detto, siano rispettati i limiti di volumetria e sagoma – ma anche gli interventi che – prescindendo dalla demolizione del pregresso manufatto – comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici "se portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente".

Mette conto in questa sede esaminare anche questo profilo contestando, comunque, i ricorrenti che nella specie vi sia stata preventiva demolizione del manufatto esistente come sostenuto dalla corte d’appello.

Il D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 301, ha, come noto, modificato sia il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10 comma 1 lett. c), che l’art. 22, che al comma 3 richiama ora l’art. 10 citato.

Si prevede ora, per questi interventi, la possibilità di procedere con DIA, in alternativa al permesso di costruire.

Ciononostante, questa tipologia di interventi continua evidentemente ad avere rilevanza sul piano penale in presenza di difformità dai titoli abilitativi. Contestualmente alle modiche citate, il D.Lgs. ha provveduto, infatti, a modificare anche il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 che, come noto, prevede le sanzioni penali, inserendo il comma 2 bis che recita: "Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi suscettibili di realizzazione mediante denuncia di inizio di attività ai sensi dell’art. 22, comma 3, eseguiti in assenza o in totale difformità della stessa". E, dunque, neanche sotto questo profilo possono i ricorrenti sostenere l’irrilevanza penale dei fatti contestati i quali, comunque, va ribadito, attengono a difformità riscontrate rispetto ai provvedimenti concessori. Corretta, in quanto in linea con i principi più volte affermati da questa Corte, ed adeguatamente supportata sul piano della logica e della completezza motivazionale è anche la valutazione negativa espressa dal giudice di appello sulla natura pertinenziale delle opere in esame.

Sottolinea, infatti, al riguardo la corte di merito che, nella specie "è stato del tutto interrotto quel vincolo di funzionalità con l’edificio principale che salvaguarderebbe il concetto di pertinenza. In altre parole è venuta a mancare la prova che le opere in questione siano state preordinate ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede. Anzi l’istruttoria svolta ha comprovato la frattura di questa funzionalità e la sussistenza di una valenza autonoma ditali edifici anche in termini di valore di mercato il che configge apertamente con il concetto sovraesteso di pertinenza". Certamente adeguata appare anche la motivazione del provvedimento impugnato in relazione alla determinazione del tempus commissi delicti facendosi carico il giudice di merito, ancora una volta, di evidenziare con motivazione logica e congruente, gli elementi di prova al riguardo.

Peraltro, a fronte dei rilievi dei ricorrenti, incentrati sulla diversa valutazione degli elementi probatori, va in questa sede ribadito che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. (Sez. 2^, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997 Rv. 207944).

Per quanto concerne il capo D) relativo alla contestazione dell’art. 481 c.p. alla N?, questa Corte ha già affermato, in tema del reato di falsità ideologica in certificato commesso da persona esercente in servizio di pubblica necessità, che, l’ingegnere e, comunque, il tecnico tenuto a disporre gli atti necessari per il rilascio di una concessione edilizia, devono considerarsi esercenti. Un servizio di pubblica necessità. Infatti sia il progetto quanto la relazione sono atti professionali che per legge richiedono un titolo di abilitazione e che sono vietati a chi non sia autorizzato allo esercizio della professione specifica (sez. 5^, sentenza n. 9821 del 07/05/1986 Rv. 173807). Avuto riguardo alla tipologia degli atti si è talora esclusa la natura di "certificato" nel caso della relazione tecnica allegata alla comunicazione prevista dalla Legge 28 febbraio 1985 n. 47, art. 26, sul rilievo che la sua funzione è quella di rendere nota alla P.A. l’intenzione di realizzare le opere in essa descritta, al momento ancora inesistenti. (Sez. 5^, Sentenza n. 24562 del 03/05/2005 Rv. 231505; Sez. 5^, Sentenza n. 23668 del 26/04/2005 Rv. 231906).

Si è ritenuta, per contro, la sussistenza del reato in esame nei casi in cui le relazioni dei tecnici riguardavano, invece, opere già eseguite (così Sez. 5^, Sentenza n. 21639 del 24/02/2004 Rv. 229184 che ha ravvisato il reato in relazione alla presentazione di DIA, pur essendo le opere previste già materialmente eseguite). Ciò posto, osserva il Collegio che, nel caso di specie, la contestazione attiene alla attestazione di conformità alla concessione di opere già eseguite e che appare indiscutibile la natura di certificato dell’atto, tenuto conto che esso assolve alla funzione di fornire alla pubblica amministrazione una esatta informazione dello stato dei luoghi per le determinazioni che le competono (ad esempio in tema di agibilità dell’edificio). Quanto all’elemento psicologico del reato è costante l’affermazione secondo cui l’art. 481 c.p. richiede il dolo generico. Per quanto concerne, infine, l’ultimo motivo di ricorso proposto dal C?, prevale nettamente nella giurisprudenza della Corte l’orientamento per cui, in tema di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, il Giudice di appello, non investito con i motivi di impugnazione della censura relativa alla mancata applicazione della pena sostitutiva, non può concedere d’ufficio la pena sostitutiva, pur se richiesta dalla parte in sede di giudizio d’appello; a nulla rileva il fatto che trattasi di un beneficio meno consistente della sospensione condizionale della pena che, ai sensi dell’art. 597 c.p.p., comma 5, il giudice di appello può concedere d’ufficio in quanto l’espressa previsione delle facoltà attribuite tassativamente ex officio al giudice di appello preclude un’applicazione estensiva o analogica della norma in questione e, quindi, un ampliamento, tramite l’interpretazione giurisprudenziale, dei poteri discrezionali specificamente conferiti al medesimo giudice. A ciò si aggiunge la natura eccezionale della disposizione in esame, costituente deroga al principio generale dell’effetto devolutivo dell’appello stabilito dall’art. 597 c.p.p., comma 1, con conseguente sua inapplicabilità, ai sensi dell’art. 14 preleggi, al di fuori dei casi espressamente consentiti (Sez. 4^, Ord. n. 31024 del 10/01/2002 Rv. 222313). Nella specie non vi sono ragioni per discostarsi da tale orientamento. Vero è, infatti, che la L. n. 689 del 1981, art. 60, è stato abrogato dalla L. 2 giugno 2003, n. 134, art. 4, lett. c).

Tuttavia, quest’ultima, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 136 del 14/06/2003, è entrata in vigore, secondo le regole generali, ben prima della presentazione dei motivi di appello avvenuta nei primi giorni di gennaio 2004.

Nè appare utilmente richiamabile per il ricorrente la recente sentenza di questa Sezione con la quale si è ritenuto che nel caso in cui l’appello sia stato proposto unicamente dal P.M., il giudice, benché non investito della censura relativa alla mancata concessione della sanzione sostitutiva, può ugualmente procedere d’ufficio alla sua applicazione (n. 9496 del 08/02/2005 Rv. 231122). Nella specie, infatti, la questione affrontata dalla Corte era circoscritta alla possibilità per il giudice di appello, in sede di rinvio, di esaminare la richiesta formulata all’atto delle conclusioni da parte dell’imputato di applicazione delle nuove disposizioni in materia di sanzioni sostitutive intervenute in epoca successiva alla decisione della Cassazione.

E, dunque, nel caso citato l’elemento fondante della decisione era rinvenibile, evidentemente, unicamente nell’intento di consentire, in linea con i principi enunciati dalla norma transitoria, l’applicazione del beneficio nei casi in cui l’imputato – a differenza del caso di specie – si era trovato nell’impossibilità di formulare la richiesta con i motivi di ricorso non essendo in quel momento ancora intervenuta la nuova disciplina.

Appare, pertanto, ineccepibile la motivazione della Corte di merito che ha rigettato sul punto il ricorso ritenendo l’inammissibilità della richiesta formulata per tardività.

P.Q.M.

LA CORTE DI SUPREMA DI CASSAZIONE

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di N? S? limitatamente alla determinazione della pena con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze.

Rigetta nel resto il ricorso della N?. Rigetta il ricorso di C? D? che condanna al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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