Corte Suprema di Cassazione – Penale Sezione III Sentenza n. 6766 del 2006 deposito del 22 febbraio 2006

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Osserva

Con sentenza in data 12.07.2003 il Tribunale di Perugia, modificata l’originaria imputazione di cui agli art. 27 e 51, comma 3, d. lgs. n. 22/1997, condannava C? G?, C? R?, C? G? e C? R? alla pena dell’ammenda per avere, quali legali rappresentanti della ditta Edilizia C? di C? R? & C., smaltito, in assenza di autorizzazione, rifiuti non pericolosi misti consistenti in rocce da scavo, in materiali provenienti da demolizione di fabbricati [CER 170701] e da fresatura d’asfalto [CER 170302] depositandoli su un’area di loro proprietà interamente recintata.

Rilevava il Tribunale che il deposito derivava materiale proveniente da vari cantieri della ditta C? accumulato alla rinfusa e che, nella specie, non era ravvisabile un’ipotesi di deposito temporaneo di rifiuti.

Proponevano ricorso per cassazione gli imputati denunciando -mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza del fatto ricostruito su congetture e supposizioni. L’accusa era basata su fotografie del sito su cui erano stati trovati i materiali e sulla narrazione di chi le aveva scattate, ma non erano state accertate la tipologia, la provenienza, la quantificazione dei rifiuti e la consistenza di quelli giacenti sotto lo strato di superficie, né la dinamica concernente il materiale rinvenuto che veniva lavorato con una pala meccanica per separare il materiale da scartare da quello da destinare al reimpiego, a suo tempo acquistato presso una cava [terre e rocce da cava]. Apoditticamente era stato escluso che i materiali fossero quelli della demolizione di un capannone sito a monte dell’area ed asserito che gli stessi provenissero dai vari cantieri della ditta; -violazione di legge in ordine alla configurabilità del reato di attività non autorizzata di gestione di rifiuti perché, nella specie, non si era trattato di abbandono di rifiuti, ma di raccolta momentanea e occasionale. Poiché non era stata ravvisata discarica in senso normativa, doveva ritenersi consentito e non sanzionabile lo stoccaggio di rifiuti nell’attesa dello smaltimento purché la sosta non oltrepassi l’anno; -violazione dell’art. 521 c.p.p. per mancanza di correlazione tra accusa [realizzazione di una discarica abusiva di rifiuti non pericolosi] e fatto ritenuto in sentenza [stoccaggio di rifiuti in luogo diverso da quello di produzione] perché essi si erano difesi in ordine alla discarica e non si erano interessati agli elementi indicanti il luogo di produzione, la provenienza e le modalità di trasporto del materiale e cioè del fatto diverso ravvisato, consistente nel trasporto dei materiali.

Chiedevano l’annullamento della sentenza.

Va, anzitutto, esaminato – per ragioni sistematiche – il terzo motivo. 1. Hanno affermato le S.U. di questa Corte che "con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, si da pervenire ad un ‘incertezza sull’ oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare le violazioni del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto letterale tra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso d ‘iter del processo, sia pervenuto a trovarsi nella condizione concerta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione" [Cassazione S.U. n. 16,19.06.1996, Di Francesco, Rv. 205619].

Quindi il suddetto principio può ritenersi violato solo in caso di assoluta incompatibilità di dati, quando cioè la sentenza riguardi un fatto del tutto nuovo rispetto all’ipotesi di accusa, mentre non ricorre violazione se i fatti siano omogenei ovvero in rapporto di specificazione.

Nella specie, nella contestazione, considerata nella sua interezza, anche in riferimento alla disposizione violata, (costituzione di una discarica di rifiuti non pericolosi), sono contenuti gli elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza che ha legittimamente utilizzato i dati, acquisiti in contraddittorio nel dibattimento, di specificazione del fatto in riferimento al deposito non autorizzato di rifiuti prodotti in luogo diverso.

Tra la discarica abusiva, che presuppone un’attività sistematica e organizzata, e il deposito [e non trasporto] di rifiuti, come ritenuto in sentenza vi è rapporto di continenza con la conseguenza che la contestazione della prima lascia ampio margine per la qualificazione giuridica del fatto, in sede di decisione, senza che venga compromesso il principio di correlazione, di cui all’art. 521 c.p.p., tra accusa e sentenza.

2. Il primo motivo non è puntuale perché censura in punto di fatto ed apoditticamente la decisione fondata, invece, su congrue argomentazioni esenti da vizi logico-giuridici, dato che sono stati menzionati gli elementi probatori emersi a carico dell’imputato ed è stata confutata ogni obiezione difensiva, con logica motivazione che non può essere censurata.

La sentenza, infatti, ha correttamente ritenuto ricorrenti le condizioni che integrano il concetto normativo di smaltimento di rifiuti [art. 6, comma 1, lettera g del decreto n. 22/97] non pericolosi, nella specie costituiti da materiali da demolizione di costruzioni, da fresatura d’asfalto, da terre e rocce da scavo accumulati alla rinfusa su un’area recintata estesa 40/50 metri quadrati ed alta 4 metri, riconducibili ai CER sopraindicati.

Non assume alcuna significativa rilevanza l’omessa verifica ponderale, essendo desumibile la consistenza dei materiali dagli eseguiti rilievi secondo cui per tutta l’estensione del deposito erano visibili, ammassati alla rinfusa, pezzi d’intonaco, mattoni e asfalto.

Modesto era il quantitativo delle rocce da scavo, che, essendo confuse tra gli inerti, sicuramente non erano destinate al reimpiego, mentre è certo che non sono stati prodotti nel sito recintato i materiali provenienti dalla demolizione di edifici [gli imputati hanno asserito trattarsi di materiali provenienti da recenti lavori di demolizione di un capannone esistente a circa 50/100 metri dal deposito, ma l’assunto è smentito dal fatto che la concessione per la ricostruzione del capannone era stata rilasciata nel 1998].

Inoltre, la lavorazione dei materiali con una pala meccanica non è indicativo della finalità di separare il materiale da scartare da quello da destinare al reimpiego, operazione assolutamente irrazionale ed antieconomica.

3. L’art. 51 del d. lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 prevede e punisce, al primo comma, lo smaltimento non autorizzato di rifiuti. L’incriminata attività di stoccaggio e smaltimento di rifiuti certamente rientra nella disciplina del d. lgs. n. 22 del 1977, dovendosi considerare tali i materiali ammassati nell’area di proprietà degli imputati, donde la configurabilità del reato di cui all’art. 51 n. 1 d. lgs. n. 22/1997, mentre le incongrue doglianze sulla qualificazione loro attribuita in sentenza sono irrilevanti ai fini del sindacato di legittimità.

Le modalità di conservazione denotano, infatti, che l’area dell’accumulo è stata trasformata di fatto in deposito degli stessi, mediante una condotta, consistente nell’abbandono – per un tempo apprezzabile anche se non determinato – di una notevole quantità, che occupava uno spazio cospicuo.

La provvisorietà e lo stoccaggio in attesa di un trasferimento, da attuare in tempi prevedibilmente non brevi, non escludono la sussistenza dell’illecito.

Esattamente il Tribunale non ha ravvisato l’istituzione di un deposito temporaneo (art. 6 lett. m decreto citato).

Nel concetto di attività di gestione di rifiuti sono comprese tutte le fasi dell’impiego degli stessi consistenti in: operazioni preliminari (conferimento, spazzamento, cernita, raccolta e trasporto); operazioni di trattamento (trasformazione, recupero, riciclo, innocuizzazione) ed operazioni di deposito (temporaneo e permanente nel suolo o sottosuolo).

Qualsiasi attività volta all’eliminazione dei rifiuti, comprendente tutte le fasi che vanno dalla raccolta alla discarica, sono soggette all’autorizzazione regionale, sicché per il loro smaltimento degli stessi è indispensabile ottenere la prescritta autorizzazione.

Premesso che "il deposito temporaneo di rifiuti ai sensi dell’art. 6, punto m), del d. lgs 5 febbraio 1997 n. 22 è legittimo soltanto ove sussistano alcune precise condizioni temporanee quantitative e qualitative; in assenza di tali condizioni, il deposito di rifiuti nel luogo in cui sono stati prodotti è equiparabile giuridicamente all’attività di gestione di rifiuti non autorizzata, prevista come reato dall’art. 51 del d. lgs. 22/1997" (Cass., Sez. III n. 7140,21.03.2000, Eterno, Rv. 216977), va, infine, rilevato che correttamente è stata esclusa la ricorrenza delle condizioni che integrano il concetto normativa di deposito temporaneo di rifiuti poiché risulta che non sono state rispettate le condizioni di cui alla lettera m) n. 4 dell’art. 6 del decreto n. 22/1997.

Il rigetto del ricorso comporta condanna al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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