Cass. pen., sez. III 03-02-2006 (26-10-2005), n. 4495 BELLEZZE NATURALI – Condono ambientale – Applicabilità in fase esecutiva

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del procedimento

1 – Con decreto del 12.1.2005 il g.i.p. del tribunale di Como, quale giudice della esecuzione, dichiarava inammissibile ex art. 666, comma 2, c.p.p. una istanza presentata il 7.1.2005 da U? Z?, volta ad ottenere la sospensione o la revoca dell’ordine di demolizione di un hangar abusivo, contenuto nel decreto penale di condanna per reato urbanistico e paesaggistico, emesso il 16.9.2004 e già irrevocabile. Osservava il giudice che si trattava di un ordine ormai coperto da giudicato e quindi non rivalutabile o modificabile in sede esecutiva.

2 – Avverso il decreto lo Z? ha presentato personalmente ricorso per cassazione in data 11.2.2005, deducendo: a) esercizio da parte del giudice di una potestà riservata a organi amministrativi; b) erronea applicazione della legge 15.12.2004 n. 308, già approvata dal parlamento e pubblicata nella Gazz. Uff. del 27.12.2004, e in particolare dell’art. 37 (recte art. 1 comma 37), che ha previsto un nuovo condono per i manufatti abusivi costruiti entro il 30.9.2004; c) vizio della motivazione, laddove il giudice ha ritenuto irrevocabile l’ordine di demolizione anche in presenza di una legge di condono sopravvenuta. In data 21.3.2005 lo Z? ha presentato una memoria integrativa, nella quale fa presente che il 4.2.2005 lo stesso giudice dell’esecuzione aveva dichiarato inammissibile una sua seconda istanza volta alla sospensione o revoca del predetto ordine di demolizione, nonostante egli avesse tempestivamente presentato domanda di compatibilità ambientale, come previsto dalla nuova legge 308/2004, debitamente prodotta al giudice. Insiste perciò nel ricorso chiedendo l’annullamento di entrambi i provvedimenti del giudice del tribunale di Como.

3 – Il procuratore generale in sede ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato, osservando che, considerata la sua natura di sanzione amministrativa, l’ordine giudiziale di demolizione può essere revocato o sospeso in sede esecutiva qualora risulti incompatibile con atti legislativi o amministrativi intervenuti successivamente alla formazione del titolo esecutivo, e che, pertanto, il giudice dell’esecuzione doveva effettuare questa verifica di compatibilità.

Motivi della decisione

4 – Va anzitutto chiarito che la memoria del 21.3.2005, nonostante il petitum finale, con cui si chiede l’annullamento anche del secondo decreto reso il 4.2.2005, non può essere considerata come ricorso avverso quest’ultimo provvedimento, perché è stata presentata oltre il termine perentorio previsto dalla legge per il ricorso medesimo (posto che il decreto è stato notificato all’interessato il 25.2.2005). Va pertanto considerata come "integrazione del ricorso dell’ 11.2.2005, così come del resto la qualifica letteralmente lo stesso ricorrente.

5 – Nel merito il ricorso non può essere accolto. A impedirne l’accoglimento non è la singolarità di un incidente di esecuzione (presentato il 7.1.2005) che invoca l’applicazione di una legge non ancora entrata in vigore (la legge 15.12.2004 n. 308, pubblicata il 27.12.2004, è entrata in vigore l’11.1.2005). Infatti, nella fattispecie, l’istante chiedeva la sospensione o la revoca di un ordine di demolizione che, per la sua natura sostanziale di sanzione amministrativa, la giurisprudenza costante ritiene doversi revocare quando diventa incompatibile con un atto amministrativo sopravvenuto dell’autorità competente, o doversi sospendere quando un tale atto amministrativo si annuncia oggettivamente come imminente (v. da ultimo Cass. Sez. III, n. 11051 dell’11.3.2003, P.G. in proc. Ciavarella, Rv. 224346; Cass. Sez. III, n. 23992 del 26.5.2004, Cena, Rv. 228691; Cass. Sez. III, n. 1104 del 19.1.2005, P.G. in proc. Calabrese, Rv. 230815). Ed è chiaro che questa imminente incompatibilità può essere almeno astrattamente ravvisata per effetto di una legge già pubblicata che preveda la possibilità di emanare atti amministrativi incompatibili con l’ordine di demolizione. A ostacolare l’accoglimento del ricorso è invece la considerazione che la menzionata legge 308/2004 (contenente delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione) non contiene norme che consentano nel caso di specie la caducazione della sanzione amministrativa della demolizione o della riduzione in pristino dello stato dei luoghi interessati dall’abuso edilizio e paesaggistico per cui il ricorrente è stato definitivamente condannato con decreto penale.

6 – La legge 308/2004, pur intervenendo solo pochi mesi dopo il codice dei beni culturali e del paesaggio approvato con D. Lgs. 22.1.2004 n. 42 (c.d. codice Urbani), attraverso l’art. I, comma 36, lett. c), ha modificato incisivamente il reato ambientale previsto dall’art. 181 dello stesso "codice", prevedendo: a) oltre a quella contravvenzionale, una ipotesi di delitto ambientale, quando i lavori abusivi sono eseguiti su aree o immobili dichiarati in via amministrativa di notevole interesse pubblico, ovvero sono eseguiti su aree tutelate per legge e hanno comportato volumetrie superiori a determinate soglie (comma 1 bis del nuovo art. 181 D.Lgs. 42/2004); b) la non punibilità dell’ipotesi contravvenzionale, ferma restando l’applicazione della sanzione amministrativa ripristinatoria o pecuniaria di cui all’art. 167 del D.Lgs. 42/2004, quando l’autorità amministrativa, su richiesta dell’interessato, accerta la compatibilità paesaggistica dell’intervento, sempre che si tratti di interventi abusivi: y) che non comportano aumento di superfici utili o di volumi; ovvero x) consistono nell’impiego di materiali difformi da quelli autorizzati; oppure z) sono configurabili come manutenzione ordinaria o straordinaria (comma 1 ter del nuovo art. 181). L’innovazione è importante, perché configura una sorta di autorizzazione postuma dell’autorità tutoria, mentre il codice c.d. Urbani aveva espressamente vietato il rilascio di autorizzazione in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, dell’intervento abusivo (art. 146, comma 10, lett. c) D.Lgs. 42/2004). Da notare che la domanda per l’accertamento della compatibilità paesaggistica deve essere presentata dal proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi; e deve essere indirizzata all’autorità preposta alla gestione del vincolo, la quale si pronuncia entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni (comma 1 quater del nuovo art. 181). c) la estinzione del reato contravvenzionale quando il trasgressore provvede alla rimessione in pristino delle aree o degli immobili vincolati, prima che sia disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa e comunque prima che intervenga la condanna (comma 1 quinquies del nuovo art. 181).

7 – Nessuna di queste modifiche, però, incide sulla fattispecie di cui trattasi. Non, ovviamente, la prima, perché, introducendo una nuova e più grave figura di reato, non può avere effetto retroattivo in forza dell’art. 25. comma 2, Cost. e dell’art. 2, comma 1, c.p.. Ma neppure la seconda, giacché essa, configurando una abolitio criminis parziale, potrebbe in astratto imporre al giudice dell’esecuzione di revocare ex art. 673 c.p.p. la sentenza di condanna penale, e tuttavia non è in concreto applicabile perché nel caso di specie mancano pacificamente i menzionati presupposti materiali della depenalizzazione (l’intervento non era di semplice manutenzione e creava nuovi volumi e superfici). Peraltro, si può anche aggiungere che, qualora ricorressero i presupposti fattuali per la non punibilità della contravvenzione, il provvedimento del giudice dell’esecuzione a nonna dell’art. 673 c.p.p. dovrebbe revocare la condanna penale, ma non la sanzione amministrativa ripristinatoria, che è espressamente fatta salva dalla novella legislativa. Né, infine, incide la terza modifica, che prevede l’estinzione del reato, ma solo quando il trasgressore abbia provveduto spontaneamente alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi prima della condanna.

8 – La legge 308/2004, inoltre, ha introdotto, con i commi 37,38 e 39 dell’art. 1, il c.d. condono o minicondono ambientale. Secondo queste norme, infatti, per gli interventi abusivi compiuti in zona sottoposta a vincolo paesaggistico entro e non oltre il 30.9.2004, l’accertamento di compatibilità paesaggistica da parte dell’autorità tutoria comporta l’estinzione del reato ambientale (ovviamente solo della figura contravvenzionale, mancando in relazione a quel periodo la previsione della figura delittuosa) a condizione che: a) le tipologie edilizie realizzate e i materiali utilizzati rientrino tra quelli previsti e assentiti dagli strumenti di pianificazione paesaggistica, ove vigenti, o altrimenti siano giudicati compatibili con il contesto paesaggistico; h) i trasgressori abbiano previamente pagato una sanzione amministrativa pecuniaria, in parte predeterminata dalla legge e in parte stabilita dall’autorità amministrativa competente. Da notare che ai fini del condono la domanda del proprietario, possessore o detentore dell’immobile deve essere presentata all’autorità preposta alla gestione del vincolo entro il termine perentorio del 31.1.2005; e che l’autorità competente si pronuncia senza limiti di tempo, previo parere della soprintendenza (comma 39). Cambia così la procedura rispetto a quella prevista per l’accertamento postumo di compatibilità paesaggistica sugli abusi ambientali "a regime", di cui al comma 1 quater del rinnovato art. 181 del D.Lgs. 42/2004: ai fini del condono la domanda deve essere presentata entro un termine perentorio, ma la pronuncia non è soggetta a termini di decadenza e il parere della soprintendenza è solo consultivo, cioè obbligatorio ma non vincolante; mentre per gli abusi "a regime" la domanda non è soggetta a termini di decadenza (salvo – sembra doversi intendere – il limite temporale di una condanna penale passata in giudicato), la pronuncia deve essere emessa entro il termine di decadenza di centottanta giorni, e il parere della soprintendenza, da rilasciarsi entro il termine perentorio di novanta giorni, ha carattere vincolante.

9 – Ma anche il nuovo condono ambientale, benché la costruzione abusiva sia stata realizzata prima del 30.9.2004, non è applicabile alla fattispecie de qua, per due ordini di ragioni. Anzitutto, allo stato degli atti, mancano le due condizioni richieste dalla legge per l’efficacia estintiva dell’accertamento di compatibilità paesaggistica, atteso che l’interessato, pur avendo presentato tempestivamente la relativa domanda, non ha dimostrato al giudice dell’esecuzione che la tipologia edilizia realizzata e i materiali utilizzati erano corrispondenti a quelli previsti e assentiti dagli strumenti di pianificazione urbanistica vigenti o comunque erano stati giudicati compatibili con il contesto paesaggistico. Per conseguenza in giudice dell’esecuzione non poteva ritenere imminente l’accertamento di compatibilità paesaggistica, e per conseguenza non poteva, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (v. le succitate sentenze Ciaravella, Cena e Calabrese) sospendere l’esecuzione delle misure ripristinatorie.

10 – In secondo luogo – e la considerazione è pregiudiziale e dirimente – il condono ambientale in quanto tale è una causa di estinzione del reato che può naturalmente applicarsi solo nell’ambito del processo di cognizione, prima che sia intervenuta una sentenza definitiva. Infatti, per il condono ambientale (invero caratterizzato da una disciplina molto scarna e lacunosa) non è stata riprodotta una normativa analoga a quella prevista per il condono edilizio nell’art. 38, commi 3 e 4, della legge 47/1985 (richiamata dall’art. 32, comma 25, del D.L. 30.9.2003, convertito in legge 24.11.2003 n. 326), secondo cui la concessione in sanatoria, ove intervenuta dopo sentenza definitiva di condanna, estingue (non i reati, ma solo) gli effetti penali della condanna ai fini della recidiva e del beneficio della sospensione condizionale della pena, e rende inoltre inapplicabili le sanzioni amministrative, sia pecuniarie che ripristinatorie. Ciò significa che per il condono ambientale, a differenza che per il condono edilizio, vale il principio desumibile dagli artt. 2, comma 2, c.p. e 30, comma 4, legge 11.3.1953 n. 87 e dal citato art. 673 c.p.p., secondo cui solo l’abrogazione o la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice (e secondo alcuni anche la mancata conversione del decreto legge contenente una norma incriminatrice: v. Cass. Sez. I, n. 3209 del 15.6.1999, P.M. in proc. Litim, Rv. 213715) fa cessare l’esecuzione della condanna e gli effetti penali e obbliga il giudice dell’esecuzione a revocare la stessa sentenza di condanna. In altri termini, dopo il passaggio in giudicato della condanna penale, ha rilevanza in executivis solo la sopravvenuta caducazione della norma incriminatrice, non già una causa sopravvenuta di estinzione del reato. Perciò, il condono ambientale, se interviene dopo la sentenza definitiva di condanna, non solo non estingue il reato, ma neppure fa cessare gli effetti penali della condanna o l’esecuzione della sanzioni amministrative accessorie (in particolare quelle ripristinatorie), proprio perché manca al riguardo una norma simile a quella di cui ai commi 3 e 4 del citato art. 38. Insomma, in mancanza di una specifica disciplina derogatoria, il condono ambientale soggiace al limite sistemico del giudicato formale.

11 – Non è inutile osservare, infine, che nel caso di specie, la condanna penale riguardava sia il reato ambientale che quello edilizio; sicché, anche prescindendo dalle considerazioni precedenti, – a causa del mancato coordinamento tra la disciplina dei due recenti condoni, oltre tutto sfalsati sul piano temporale, giacché quello edilizio scadeva il 10.12.2004, mentre quello ambientale, varato successivamente, scadeva il 31.1.2005 – un eventuale condono ambientale avrebbe potuto estinguere solo il reato paesaggistico e la relativa misura ripristinatoria, ma non avrebbe potuto estinguere il reato urbanistico e soprattutto, paradossalmente, non avrebbe potuto rendere inefficace l’ordine di demolizione del manufatto abusivo.

12 – Per queste ragioni non può essere accolta la richiesta del procuratore generale in sede. E’ ben vero, infatti, come egli ha osservato, che il giudice dell’esecuzione deve verificare la compatibilità delle sanzioni amministrative di tipo ripristinatorio rispetto ad atti legislativi o amministrativi sopravvenuti al giudicato penale (o alla prevedibile imminenza di atti amministrativi). Ma è anche vero che nella fattispecie concreta questa verifica non poteva che essere positiva, nel senso che la sopravvenuta disciplina legislativa sul condono ambientale non può avere alcun effetto sulla esecuzione di un ordine di demolizione disposto dal giudice penale con provvedimento passato in giudicato. In questo senso va rettificata, o comunque integrata, la motivazione della impugnata ordinanza; e va pertanto respinto il ricorso. Consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Considerato il contenuto dell’impugnazione, non si ritiene di irrogare anche la sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

la corte suprema di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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