Cass. pen., sez. IV 03-02-2006 (14-12-2005), n. 4462 REATO – ELEMENTO SOGGETTIVO – COLPA – IN GENERE – Attività sportive – Impianto di piscina – Posizione di garanzia del gestore della piscina

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Fatto e diritto

Il Tribunale di Catania, Sez. distaccata di Mascalucia, con sentenza in data 26 novembre 2003 dichiarava B.E. colpevole del reato di omicidio colposo e concessegli le attenuanti generiche lo condannava alla pena di anni uno di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Il B. era stato chiamato a rispondere del reato in questione in qualità di legale rappresentante dell’Associazione sportiva XXXX, avente in gestione la piscina sita all’interno del YYYYY, nella quale in data ZZZZZ, era deceduto il minore CG, "per asfissia da sincope da idrocuzione", a causa, come argomentato nell’imputazione, "di una violenta perfrigerazione dei centri vagali con quasi immediato arresto cardiocircolatorio e perdita di conoscenza, in mancanza delle manovre respiratorie necessarie (respirazione artificiale e massaggio cardiaco)".

In punto di fatto, l’istruttoria aveva evidenziato che: 1) il minore si era immerso nella piscina insieme ad un compagno, il quale, al momento di uscire dall’acqua, si avvide della sua scomparsa, riuscendolo ad individuare, sul fondo della piscina, dopo trecinque minuti, su indicazione di una ragazza, rimasta ignota; 2) erano intervenute delle persone per aiutare il ragazzo ad estrarre il corpo dall’acqua ed uno di questi, che si trovava occasionalmente sul posto per aver accompagnato il figlio in piscina, aveva praticato la respirazione bocca a bocca ed il massaggio cardiaco; 3) all’arrivodell’autoambulanza, circa dieci minuti dopo, il ragazzo era già in coma e decedeva in ospedale alle ore 11,55 di quello stesso giorno.

A carico del B. era stato formulato l’addebito di omicidio colposo, sul rilievo che, in violazione degli obblighi gravanti in virtù della sua posizione di garanzia, avesse omesso di assicurare la presenza di personale adeguato (bagnino) nella predetta piscina, così da cagionare la morte del C.G?

Risulta dalla sentenza di secondo grado il rinvio a giudizio anche di tale Leone, nella qualità di bagnino addetto all’assistenza dei bagnanti, e la sua assoluzione, essendo stato accertato che lo stesso era stato assunto per svolgere compiti diversi.

La Corte di appello di Catania, con la sentenza impugnata, in riforma della sentenza di primo grado, assolveva il B. dal reato contestatogli per insussistenza del fatto.

La Corte di appello territoriale, pur concordando sulla ricostruzione della causa della morte operata dal primo giudice (sincope da idrocuzione conseguente ad uno spasmo laringeo), escludeva la sussistenza del nesso causale tra la condotta omissiva contestata all’imputato (il non essersi dotato di personale di salvataggio adeguato) ed il tragico evento.

Partendo dal presupposto che in tale tipo di patologia i tempi per l’intervento utile a salvare la vita e l’integrità neurologica del soggetto colpitone, sono assai ristretti (da 3 a 5 minuti), i giudici di secondo grado affermavano che il Ca. era rimasto vittima di un evento assolutamente imprevedibile, caratterizzato dall’assoluta mancanza di segnali premonitori e, sul rilievo della ristrettezza dei tempi per porre in essere le manovre necessarie di soccorso, sostenevano che l’opera di un bagnino, ritenuto peraltro operante nella struttura, nulla avrebbe potuto aggiungere alle pronte manovre praticate dall’occasionale soccorritore, soggetto munito del brevetto di ispettore di nuoto ed in possesso delle nozioni di primo soccorso per la rianimazione cardiopolmonare.

Avverso la predetta decisione propongono ricorso per Cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Catania e le parti civili.

Il Procuratore generale lamenta l’erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 40,42 e 589 c.p. e la manifesta illogicità della motivazione, censurando le conclusioni dei giudici di appello in relazione alla ritenuta insussistenza del rapporto di causalità materiale tra la condotta dell’imputato e l’evento letale.

Dopo aver dettagliatamente descritto le circostanze di tempo e di luogo nelle quali si era verificato l’evento, il ricorrente sostiene che la Corte Territoriale aveva omesso di considerare che la presenza ai bordi della piscina di personale abilitato all’assistenza dei bagnanti avrebbe consentito un pronto ed adeguato intervento e ciò fin dal momento in cui il ragazzo era scomparso sottacqua e, quindi, in un tempo precedente al soccorso prestato dall’inesperto compagno della vittima.

Inoltre, illogicamente la Corte aveva equiparato l’intervento di un improvvisato soccorritore – del quale si ignorava la competenza specifica nelle operazioni di salvataggio da eseguirsi in piscina e la capacità di usare il prescritto strumentario, di cui peraltro non sarebbe emersa alcuna traccia – all’assistenza tecnica di personale specializzato.

Anche le parti civili lamentano la violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla ritenuta insussistenza del nesso eziologico tra il comportamento del B. ed il tragico evento.

A tal fine evidenziano due circostanze di fatto emerse dall’istruttoria: 1) la struttura sportiva in questione risultava provvista solo formalmente di personale addetto al salvataggio, attesa la mancanza di titolo idoneo in capo al soggetto preposto al salvataggio, tanto che l’originario coimputato era stato assolto, essendo stato accertato che il suo ruolo era solo volto alla cura e manutenzione della struttura sportiva; 2) mancava qualsiasi strumentazione tecnica adeguata agli interventi di primo soccorso in casi di annegamento.

Tali circostanze evidenziano, secondo le ricorrenti parti civili, che il B. si era sottratto agli obblighi gravanti su di lui in virtù della posizione di garanzia ricoperta, che lo avrebbe dovuto indurre ad adottare tutte le misure necessarie ad impedire eventi quali quello verificatosi, facilmente prevedibili in base ad una valutazione ex ante delle situazioni di rischio.

Inoltre, si sottolinea l’illogicità della motivazione, anche laddove veniva ricondotta la causa del decesso ad un evento di tipo irreversibile, pur emergendo dagli atti la sua compatibilità con l’acclarato spasmo laringeo, neutralizzabile ove tempestivamente soccorso.

La sentenza, oltre a non tener conto che la presenza di personale specializzato avrebbe consentito un rapido intervento dei soccorsi, sarebbe incorsa, sempre secondo le ricorrenti parti civili, anche in un errore di valutazione, allorquando, per escludere l’alternatività di esiti più favorevoli, aveva finito con il sostenere che il soccorritore risultava dotato di brevetto di istruttore di nuoto, mentre lo stesso aveva dichiarato di aver frequentato un corso di primo soccorso, certamente non equivalente al primo, in merito alla conoscenza delle tecniche di intervento in caso di annegamento.

In conclusione, i giudici dell’appello non avrebbero effettuato correttamente quel giudizio controfattuale, normativamente richiesto, in ordine all’evento verificatosi ed alle cause che lo avevano determinato, che avrebbe invece dovuto portare alla conferma della dichiarazione di responsabilità del prevenuto.

I ricorsi meritano accoglimento.

In proposito, non è però inutile ricordare i rigorosi limiti del controllo di legittimità sulla sentenza di merito.

Ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lettera e), il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne nè la ricostruzione dei fatti nè l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: 1)l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Con l’ulteriore precisazione che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciarle, deve essere evidente ("manifesta illogicità"), cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento (Cass., Sez. 1^, 26 settembre 2003, Castellana ed altri).

In altri termini, l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lettera e), è solo quella "evidente", cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Cass., Sez. 4^, 4 dicembre 2003, Cozzolino ed altri).

Con l’ulteriore precisazione che il vizio della "manifesta illogicità" della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica "rispetto a sè stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati nellastessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica (Cass., Sez. 4^, 2 dicembre 2004, Grado ed altri).

In questa prospettiva, per apprezzare l’eventuale illogicità manifesta della decisione gravata, occorre partire dalla ricostruzione della vicenda come operata dal giudice e spiegata in parte motiva.

Il giudicante è partito dalla ricostruzione della causa della morte del ragazzo, ricondotta, con il supporto degli apporti concordi dei consulenti tecnici, ad una sindrome da idrocuzione rispetto alla quale ha ritenuto di determinare in un arco temporale di 3/5 minuti quello entro il quale poteva procedersi ad effettuare un intervento di soccorso utile per salvare la vita dell’infortunato.

Ne ha fatto poi discendere un giudizio negativo sulla sussistenza delnesso eziologico tra la condotta omissiva addebitata all’imputato (e riconosciuta come sussistente dal giudice di primo grado) sull’assorbente rilievo che i tempi utili per salvare la vita del ragazzo non avrebbe consentito neppure ad un bagnino di intervenire con successo.

Tale giudizio è stato ulteriormente supportato con il rilievo che anche l’intervento del bagnino (che si indica come comunque presente nella struttura e nell’episodio) non avrebbe potuto aggiungere nulla di più significativo ed utile per la salvezza del ragazzo di quanto offerto dalle manovre che ebbe a praticare un soggetto (tale G.) presente occasionalmente in loco e indicato come munito del brevetto di istruttore di nuoto ed in possesso delle nozioni di primo soccorso per la rianimazione cardiopolmonare.

Or bene, non rientra tra i compiti ed i poteri di questa Corte verificare, in fatto, se quest’ultimo soggetto fosse o meno inpossesso dei requisiti per prestare adeguata assistenza (circostanza contestata dai ricorrenti).

Così come non rientra tra i compiti e i poteri della Corte verificare la rispondenza agli atti della indicata circostanza della presenza sul posto di un bagnino (circostanza contestata nei ricorsi e che appare, in effetti, non spiegata in modo esaurientemente convincente dalla Corte di appello, a fronte di una contestazione che proprio sulla circostanza della mancata organizzazione di un servizio di salvataggio basava principalmente l’addebito colposo elevato a carico dell’imputato).

ÿ però evidente una grave illogicità motivazionale che vulnera assorbentemente l’impianto logico della sentenza impugnata.

Ciò deve dirsi in relazione all’affermata sussistenza di un arco temporale, pur ristretto, entro il quale un intervento di salvataggio, avrebbe potuto garantire adeguate probabilità di salvezza dell’infortunato.

ÿ un arco temporale che non poteva consentire di affermare, se non in termini evidentemente illogici, siccome apodittici ed assiomatici, che un servizio di salvataggio appositamente predisposto non avrebbe potuto garantire un’ assistenza satisfattiva tale da impedire l’evento letale.

Sotto questo profilo, laddove il prevenuto tale servizio avesse predisposto, ragionevolmente l’intervento di salvataggio avrebbe potuto essere attivato immediatamente, fin dal momento dell’insorgere dei primi sintomi della patologia, senza dover attendere l’occasionale allarme suscitato dal compagno di nuoto e il parimenti occasionale ausilio fornito da un frequentatore della piscina (dotato o no delle richieste cognizioni tecniche).

Cosicchè, proprio nel lasso temporale indicato in sentenza, potevano apprestarsi quei mezzi di assistenza che potevano salvare la vita all’infortunato.

ÿ un vizio logico che poggia anche su un evidente errore di diritto, laddove il giudicante, con la sua conclusione apoditticamente negatoria della sussistenza del nesso causale, trascura anche di considerare la posizione di garanzia che assume su di sè, nei confronti dei frequentatori, il titolare di una piscina.

Questi, come è noto, è titolare di una posizione di garanzia, ai sensi dell’articolo 40 c.p., comma 2, in forza della quale è tenuto a garantire l’incolumità fisica degli utenti mediante l’idonea organizzazione dell’attività, vigilando sul rispetto delle regole interne e di quelle emanate dalla Federazione italiana nuoto, le quali hanno valore di norme di comune prudenza, al fine di impedire che vengano superati i limiti del rischio connaturato alla normale pratica sportiva (Cass., Sez. 4^, 18 aprile 2005, parte civile C. ed altri in proc. M. ed altro; la quale, proprio da queste premesse, ha rigettato il ricorso avverso sentenza di condanna che aveva ravvisato la responsabilità, per la morte di un frequentatore di una piscina, nei confronti del responsabile della società che tale piscina gestiva, cui era stata contestato di avere consentito alla vittima di svolgere, nella piscina, attività subacquea pericolosa – con esercizio di apnea prolungata – pur in assenza di assistenti-bagnanti tenuti allo specifico controllo di detta attività; e ciò tenuto conto che la normativa sportiva suindicata imponeva, per lo svolgimento dell’attività de qua, la presenza di un assistente a bordo piscina e di altro in acqua, proprio in considerazione della difficoltà di controllare di un soggetto che si trovi in immersione in apnea prolungata).

ÿ una posizione di garanzia che imponeva la predisposizione di un idoneo servizio di assistenza dei frequentatori della piscina che, come tale, avrebbe potuto garantire, nei tempi pur ristretti indicati dal giudice d’appello, un tentativo di salvataggio foriero di ragionevoli possibilità di salvezza.

E in questa prospettiva l’illogicità e l’errore in cui è incorso il giudice di merito risiede proprio nel fatto di non avere considerato affatto tale situazione, limitandosi ad un giudizio astratto di impraticabilità di qualsivoglia intervento di salvezza, equiparando erroneamente il tentativo di salvataggio operato da chi, debitamente preposto, avrebbe potuto e dovuto intervenire, a quello occasionale prestato da altro frequentatore della piscina.

La sentenza va annullata con rinvio.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Catania, alla quale rimette anche la decisione inordine alle spese sostenute dalle parti civili in questo grado.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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