Corte Suprema di Cassazione – Penale Sezione IV Sentenza n. 3371 del 2006 deposito del 27 gennaio 2006

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Fatto e Diritto

R.P., S.A., P.F., Z. C. venivano imputati nelle rispettive vesti di amministratore delegato del gruppo C. s.p.a., di responsabile dei Servizi tecnici a livello centrale con specifica delega in materia di prevenzione della prevenzione infortuni, igiene e sicurezza del lavoro, di responsabile centrale della gestione dei magazzini S. e di direttore della figliale S. sita in Via S. di Genova, del reato di lesioni colpose in danno di L.S. perché questi il giorno ? riportava la frattura delle dita del piede sinistro nell’utilizzare la scala mobile del predetto magazzino, a causa dell’eccessivo "gioco" orizzontale esistente tra gradini ed inserti. I predetti venivano imputati di detto reato anche per la violazione delle norme antinfortunistiche per avere mantenuto una scala mobile costruita alla fine degli anni 50 caratterizzata da "giochi" orizzontali tra le parti in movimento e tra queste e lo zoccolo di dimensioni superiori a quelle previste per legge, fino a mm 14 a fronte di un massimo consentito di mm. 6 per il gioco tra due gradini e fino a mm. 8 per il gioco tra segmento e zoccolo a fronte di un massimo consentito di mm. 7, tali da costituire zone pericolose permanenti per gli utilizzatoli della scala mobile e ciò nonostante si fossero già verificati numerosi incidenti ad altre persone che avevano utilizzato la scala.

Il Tribunale di Genova, verificato preliminarmente all’udienza dell’? che vi era stata remissione di querela accettata dagli imputati, con sentenza predibattimentale proscioglieva i medesimi per estinzione del reato per intervenuta remissione della querela, ritenendo che si dovesse escludere la contestata aggravante relativa alla violazione delle norme antinfortunistiche, pur riconoscendo per acclarato che il fatto era avvenuto in un posto di lavoro, tale dovendosi ritenere un emporio commerciale al quale erano addetti numerosi dipendenti con svariate mansioni, ed altrettanto pacifico che la scala mobile in questione non corrispondevano ai requisiti stabiliti per legge.

Il Tribunale riteneva che gli obblighi del datore di lavoro e dei suoi preposti di rispettare i canoni della sicurezza erano diretti alla salvaguardia delle persone che sono addette al lavoro, non anche degli utenti dell’emporio, ravvisando nella maggiore severità della legge che statuiva una aggravante del reato e la sua procedibilità d’ufficio fosse diretta a tutelare il lavoratore, soggetto più debole nel rapporto con il datore di lavoro, onde sottrarlo, richiedendo la querela, a possibili condizionamenti o ritorsioni.

Tale tipo di soggezione noi interviene, invece, rispetto al cliente, per cui nei suoi confronti non si vedrebbe la necessità di imporre la procedibilità d’ufficio, mentre la tutela penale sarebbe in ogni caso assicurata perché i vizi sul piano della sicurezza integrerebbero senz’altro un aspetto della colpa di chi è tenuto per legge a garantirla.

Il Tribunale richiamava anche una giurisprudenza di questa Corte che aveva escluso l’applicazione dell’aggravante e riteneva che ammetterne sempre la sussistenza comporterebbe una discriminazione inaccettabile rispetto ad altre modalità del fatto reato, avvenuto al di fuori dell’ambiente di lavoro.

Avverso detta sentenza il Procuratore della Repubblica di Genova ha proposto ricorso per cassazione denunciando violazione di legge nell’esclusione dell’aggravante operata dal Tribunale assumendo che l’applicabilità della stessa non è in funzione della qualifica ricoperta dal soggetto che ha riportato le lesioni, bensì dell’esposizione al rischio di tutti coloro che si trovano a frequentare un luogo di lavoro, siano essi lavoratori dipendenti, oppure terzi che si sono introdotti nel luogo di lavoro "per qualsiasi ragione purchè a questo connessa", con la sola esclusione di chi "si trovi sul luogo ove si svolge l’attività lavorativa magari per curiosità o addirittura abusivamente". Il Procuratore suddetto richiamava la copiosa giurisprudenza che aveva continuato in questo orientamento interpretativo della norma e concludeva chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con trasmissione degli atti al medesimo giudice per il giudizio.

Più volte questa Suprema Corte ha affermato che per ritenere aggravato il reato di lesioni o di omicidio colposo dalla violazione delle norme antinfortunistiche è sufficiente che esista un legame causale tra la violazione e l’evento dannoso, legame che non può ritenersi escluso solo perché il soggetto colpito da tale evento non sia un lavoratore o un equiparato dell’impresa obbligata al rispetto di dette norme, ma ricorre tutte le volte in cui il fatto sia ricollegabile ai principi dettati dagli artt. 40 e 41 c.p.

Quindi sussiste l’aggravante ed il requisito della procedibilità d’ufficio anche quando il soggetto passivo è estraneo all’attività dell’ambiente di lavoro, purchè la sua presenza nel luogo e nel momento dell’infortunio non abbia i caratteri dell’anormalità, atipicità ed eccezionalità da far ritenere interrotto il nesso eziologico tra l’evento e la condotta inosservante e purchè la norma violata miri a prevenire incidenti come quello in effetti verificatosi (Cass. 03/10/1984, n. 7036; 08/11/1984, n. 9638; 09/06/1982, n. 5751; 10/10/1985 imp. Zonca; 14/12/1985, n. 12193; 06/02/1989, n. 264; 28/12/1995, n. 12599; 18/06/1999, n. 7924).

Le norme antinfortunistiche si limitano a delineare l’ambito di applicazione della misure, assoggettando ad esse "tutte le attività alle quali siano addetti lavoratori subordinati o equiparati, il che non significa che la normativa miri a tutelare esclusivamente tali soggetti e lasci fuori tutti gli altri (Cass. sent. n. 264 del 06/02/1989), ma esclude solo chi si trovi sul posto di lavoro abusivamente, come si legge nelle sentenze richiamate dal Tribunale di Genova, non anche le persone estranee che si trovano legittimamente sul posto di lavoro nei cui confronti si impone la copertura del rischio ambientale come per i lavoratori.

Un emporio commerciale è un luogo di lavoro che necessita proprio per l’espletamento dello stesso della presenza dell’utenza e non vi è ragione di escludere dalla tutela antinfortunistica i soggetti che si pongono come indispensabili fruitori dell’ambiente, delle attrezzature e del lavoro stesso dei commessi.

Il fatto in esame avvenne in danno di un bambino accompagnato dai suoi nonni che usava lecitamente la scala mobile priva dei requisiti di legge e che quindi era presente sul posto per poter instaurare un rapporto sinallagmatico con i lavoratori addetti allo stesso. Pensare che la mancanza di sicurezza di tale luogo abbia effetti diversi rispetto al cliente significa travisare il contenuto delle norme che intendono creare un luogo sicuro per tutti i possibili utenti: certamente i lavoratori, ma anche chi è in necessario rapporto diretto con i medesimi e ne sono l’indispensabile soggetto di riferimento, essendo la vendita al minuto un’attività a servizio della clientela. Ciò premesso, la sentenza va annullata per avere errato nel ritenere l’esclusione della citata aggravante e gli atti vanno rimessi al Tribunale perché proceda nel merito.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Genova per il giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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