Cass. pen., sez. V 23-01-2006 (30-11-2005), n. 2711 IMPUGNAZIONI – APPELLO – DECISIONI IN CAMERA DI CONSIGLIO – CASI – RICHIESTA DELLE PARTI – Imputato ritualmente citato e rimasto contumace

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A. F., D. S. F. F., P. R., P. L., E. L., P. N., C. M. A., P. S. F., S. M., I. M., C. M., P. A., R. F. ed altri erano chiamati a rispondere, innanzi al Tribunale di Milano, dei reati loro rispettivamente ascritti, come di seguito specificati.

1) A. F.:

A) del reato di cui agli arti. 81, 110, 321 in relazione all’art. 319 c.p. poiché, in qualità di titolare dell’omonima autoscuola, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso con i beneficiari dei falsi duplicati di patente sottoindicati, consegnava al pubblico ufficiale U. P., dipendente della M.C.T.C. di Milano, indebite somme di denaro al fine di indurlo a compiere atti contrari ai doveri d’ufficio ed in particolare per fargli inserire nell’archivio nazionale patenti del Ministero dei trasporti i dati anagrafici di persone cui poi venivano intestate le patenti ideologicamente false in quanto emesse in favore di soggetti non abilitati ovvero per fargli inserire nelle posizioni di determinati titolari di patente l’indicazione di categorie superiori rispetto a quelle effettivamente conseguite, così da consentire il rilascio di duplicati ideologicamente falsi; ottenendo le somme indicate dalle persone pur esse nominativamente specificate.

B) del reato di cui agli artt. 81 cpv., 110 e 483 c.p. per aver concorso con le persone indicate al capo che precede, istigandole a denunciare falsamente lo smarrimento della patente.

C) del reato di cui agli artt. 81 cpv., 110 e., 491 bis, 48 e 480 c.p. poiché, in concorso con U. P., dipendente della M.C.T.C. di Milano abilitato all’accesso all’archivio nazionale patenti del ministero dei trasporti e quindi pubblico ufficiale, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, forniva a quest’ultimo i nominativi di cui al capo A) per effettuare variazioni nell’archivio meccanografico della M.C.T.C. di Milano, in particolare facendovi inserire nelle posizioni relative a patenti già annullate per errori formali i dati anagrafici dei suddetti aspiranti ovvero nelle posizioni di determinati titolari di patente l’indicazione di categorie superiori rispetto a quelle effettivamente conseguite, così da consentire ai predetti di ottenere un duplicato falso in quanto emesso in favore di persone non abilitate, così traendo in errore il Prefetto di Milano che formalmente rilasciava i documenti in questione.

In Milano fino all’inverno 1996.

2) C. M.:

A) del reato di cui agli artt. 321 in relazione al 319 c.p. per avere corrisposto, tramite A. F., la somma di lire 3.500.000 a U. P. dipendente della M.C.T.C. di Milano, al fine di indurlo a compiere atti contrari ai doveri d’ufficio ed in particolare per fargli inserire nell’archivio meccanografico i dati anagrafici del richiedente allo scopo di consentire la successiva emissione di un duplicato di patente in suo favore.

B) del reato di cui agli artt. 61 n. 2, 110 e 483 c.p. poiché, in concorso con U. P., dipendente della M.C.T.C. e A. F., denunciava falsamente agli organi di Polizia lo smarrimento della patente – in realtà mai posseduta – al fine di commettere il reato di cui al capo che precede.

C) del reato di cui agli artt. 110, 491 bis in relazione agli arti. 476,48 e 480 c.p. per essere concorso con U. P., dipendente della M.C.T.C. e A. F., nella falsificazione dell’archivio informatico della M.C.T.C., inserendovi nelle posizioni relative a patenti già annullate per errori formali i dati anagrafici del richiedente che, dopo aver fittiziamente denunciato lo smarrimento della patente recante il numero seriale di quella annullata, otteneva il documento da considerarsi ideologicamente falso in quanto emesso in favore di persona non abilitata e comunque in sostituzione di altro intestato a soggetto diverso, tosi traendo in errore il Prefetto di Milano che formalmente rilasciava il documento in questione.

In Milano fino alla primavera del 1996.

3) C. M. A.:

A) del reato di cui agli artt. 81, 110, 321 in relazione al 319 c.p. poiché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso con T. E., consegnava a dipendente della M.C.T.C. di Milano non identificato, la somma di lire 3.000.000, al fine di indurlo a compiere atti contrari ai doveri d’ufficio ed in particolare per fargli inserire nell’archivio nazionale patenti del Ministero dei Trasporti i dati anagrafici del predetto T. E., persona a cui poi veniva intestata la patente ideologicamente falsa in quanto emessa in favore di soggetto non abilitato, così da consentire il rilascio di un duplicato ideologicamente falso.

B) del reato di cui agli artt. 61 n. 2, 110 e 483 c.p. per aver concorso con le persone indicate al capo che precede, istigando T. E. a denunciare falsamente lo smarrimento della patente.

C) del reato di cui agli artt. 81, comma 1, 110, 491 bis? 48 e 480 c.p. poiché, in concorso con un dipendente della M.C.T.C non identificato, abilitato all’accesso all’archivio nazionali patenti del Ministero dei Trasporti e quindi pubblico ufficiale, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, forniva il nominativo di T. E. per effettuare la variazione nell’archivio meccanografico della M.C.T.C. di Milano, in particolare, inserendovi nelle posizioni relative a patenti già annullate per errori formali i dati anagrafici del predetto T. E., così da consentire allo stesso di ottenere un duplicato falso in quanto emesso in favore di persona non abilitata, così traendo in errore il Prefetto di Milano che formalmente rilasciava il documento in questione.

In Milano fino alla primavera del 1996.

4) D. S. F. F.:

A) del reato di cui agli artt. 81, 110, 321 in relazione all’art. 319 c.p. poiché, in qualità di titolare dell’omonima autoscuola, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso con i sottoelencati beneficiari dei falsi duplicati di patente, consegnava al pubblico ufficiale U. P., dipendente della M.C.T.C. di Milano, indebite somme di denaro al fine di indurlo a compiere atti contrari ai doveri d’ufficio ed in particolare per fargli inserire nell’archivio nazionale patenti del Ministero dei trasporti i dati anagrafici di persone cui poi venivano intestate le patenti ideologicamente false in quanto emesse in favore di soggetti non abilitati ovvero per fargli inserire nelle posizioni di determinati titolari di patente l’indicazione di categorie superiori rispetto a quelle effettivamente conseguite, così da consentire il rilascio di duplicati ideologicamente falsi; ottenendo le somme indicate dalle persone pur esse nominativamente specificate.

B) del reato di cui agli artt. 81 cpv., 110 e 483 c.p. per aver concorso con le persone indicate al capo che precede, istigandole a denunciare falsamente lo smarrimento della patente.

C) del reato di cui agli artt. 81 cpv, 110, 491 bis, 48 e 480 c.p. poiché, in concorso con U. P., dipendente della M.C.T.C. di Milano abilitato all’accesso all’archivio nazionale patenti del Ministero dei Trasporti e quindi pubblico ufficiale, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, forniva i nominativi di cui al capo A) per effettuare variazioni nell’archivio meccanografico della M.C.T.C. di Milano, in particolare facendo inserire nelle posizioni relative a patenti già annullate per errori formali i dati anagrafici dei suddetti aspiranti ovvero nelle posizioni di determinati titolari di patente l’indicazione di categorie superiori rispetto a quelle effettivamente conseguite, così da consentire ai predetti di ottenere un duplicato falso in quanto emesso in favore di persone non abilitate, così traendo in errore il Prefetto di Milano che formalmente rilasciava i documenti in questione.

In Milano fino all’inverno 1996.

5) I. M.:

A) del reato di cui agli arti. 321 in relazione al 319 c.p. per avere corrisposto, tramite M. G., la somma di lire 3.000.000 a U. P. dipendente della M.C.T.C. di Milano, al fine di indurlo a compiere atti contrari ai doveri d’ufficio ed in particolare per fargli inserire nell’archivio meccanografico i dati anagrafici del richiedente allo scopo di consentire la successiva emissione di un duplicato di patente in suo favore.

B) del reato di cui agli artt. 61 n. 2, 110 e 483 c.p. poiché, in concorso con U. P., dipendente della M.C.T.C. e M. G., denunciava falsamente agli organi di Polizia lo smarrimento della patente – in realtà mai posseduta – al fine di commettere il reato di cui al capo che precede.

C) del reato di cui agli artt. 110, 491 bis in relazione agli artt. 476,48 e 480 c.p. per essere concorso con U. P., dipendente della M.C.T.C. e M. G., nella falsificazione dell’archivio informatico della M.C.T.C, inserendovi nelle posizioni relative a patenti già annullate per errori formali i dati anagrafici del richiedente che, dopo aver fittiziamente denunciato lo smarrimento della patente recante il numero seriale di quella annullata, otteneva il documento da considerarsi ideologicamente falso in quanto emesso in favore di persona non abilitata e comunque in sostituzione di altro intestato a soggetto diverso, così traendo in errore il Prefetto di Milano che formalmente rilasciava il documento in questione.

In Milano fino alla primavera del 1996.

6) P. S.:

A) del reato di cui agli artt. 110, 491 bis in relazione agli artt. 476,48 e 480 c.p. per essere concorso con M. G. e U. P., dipendente della M.C T.C., nella falsificazione dell’archivio informatico del citato ufficio, facendo inserire nella posizione relativa alla sua patente di guida cat. "B" la dicitura cat. "CE" e dopo aver fittiziamente denunciato lo smarrimento di tale, mai ottenuta, patente "CE", otteneva un duplicato da considerarsi ideologicamente falso in quanto emesso in favore di persona non abilitata per tale categoria di patente, così traendo in errore il Prefetto di Milano che formalmente rilasciava il documento in questione.

B) del reato di cui agli artt. 61 n. 2, 110 e 483 c.p. poiché, in concorso con M. G. e U. P. dipendente della M.C.T.C., denunciava falsamente agli organi di Polizia lo smarrimento della patente cat. "CE" – in realtà mai posseduta – al fine di commettere il reato di cui al capo che precede (48 e 480 c.p.).

C) del reato di cui agli artt. 321 in relazione al 319 c.p. per avere corrisposto, tramite M. G. a U. P. funzionario M.C.T.C., una indebita somma di denaro corrispondente a lire 3.000.000, al fine di indurlo a compiere atti contrari ai doveri d’ufficio ed in particolare a compiere l’attività descritta ai capi che precedono.

In Milano fino all’inverno del 1996.

7) P. L.:

A) del reato di cui agli artt. 110, 491 bis in relazione agli artt. 476,48 e 480 c.p. per essere concorso con A. F. titolare di autoscuola e U. P., dipendente della M. C. T. C, nella falsificazione dell’archivio informatico del citato ufficio, facendo inserire nella posizione relativa alla sua patente di guida cat. "CE" la dicitura cot. "DE" e dopo aver fittiziamente denunciato lo smarrimento di tale, mai ottenuta, patente "DE", otteneva un duplicato da considerarsi ideologicamente falso in quanto emesso in favore di persona non abilitata per tale categoria di patente, tosi traendo in errore il Prefetto di Milano che formalmente rilasciava il documento in questione.

B) del reato di cui agli arti 61 n. 2, 110 e 483 c.p. poiché, in concorso con U. P. dipendente della M.C.T.C. e A. F., denunciava falsamente agli organi di Polizia lo smarrimento della patente cot. "DE" – in realtà mai posseduta – al fine di commettere il reato di cui al capo che precede (48 e 480 c.p.).

C) del reato di cui agli artt. 321 in relazione al 319 c.p. per avere corrisposto, tramite A. F. a U. P. funzionario M.C.T.C., una indebita somma di denaro corrispondente a lire 1.500.000, al fine di indurlo a compiere atti contrari ai doveri d’ufficio ed in particolare a compiere l’attività descritta ai capi che precedono.

In Milano fino all’inverno del 1996.

8) P. A.:

A) del reato di cui agli artt. 81, 110, 321 in relazione al 319 c.p. poiché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso con i beneficiari dei falsi duplicati di patente sottoindicati, consegnava al pubblico ufficiale non indicato, dipendente della M. T. C. di Milano, indebite somme di denaro al fine di indurlo a compiere atti contrari ai doveri d’ufficio ed in particolare per fargli inserire nell’archivio nazionale patenti del Ministero dei Trasporti i dati anagrafici di persone cui poi venivano intestate le patenti ideologicamente false in quanto emesse in favore di soggetti che non avevano conseguito alcuna abilitazione ovvero per far inserire nelle posizioni di determinati titolari di patente l’indicazione di categorie superiori rispetto a quelle effettivamente conseguite, così da consentire il rilascio di duplicati ideologicamente falsi. Somme ottenute dalle persone nominativamente indicate e per gli importi specificati.

B) del reato di cui agli artt. 61 n. 2, 110 e 483 c.p. per aver concorso con le persone indicate al capo che precede, istigandole a denunciare falsamente lo smarrimento della patente.

C) del reato di cui agli artt. 81, comma l, 110, 491 bis, 48 e 480 c.p. poiché, in concorso con un dipendente della M.C.T.C. non identificato, abilitato all’accesso all’archivio nazionali patenti del Ministero dei Trasporti e quindi pubblico ufficiale, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, forniva i nominativi di cui al capo A) per effettuare variazioni nell’archivio meccanografico della M C. T C. di Milano, in particolare inserendovi nelle posizioni relative a patenti già annullate per errori formali i dati anagrafici dei suddetti aspiranti ovvero nelle posizioni di determinati titolari di patente l’indicazione di categorie superiori rispetto a quelle effettivamente conseguite, così da consentire ai predetti di ottenere un duplicato falso in quanto emesso in favore di persone che non avevano conseguito alcuna abilitazione, tosi traendo in errore il Prefetto di Milano che formalmente rilasciava il documento in questione.

In Milano fino all’inverno del 1996.

9) R. F.:

A) del reato di cui agli artt. 110, 491 bis in relazione agli artt. 476,48 e 480 c.p. per essere concorso con dipendente della M.C.T.C. non identificato, nella falsificazione dell’archivio informatico del citato ufficio, facendo inserire nella posizione relativa alla patente di guida intestata a G. F. di cat. "B " la dicitura cat. "C’ e quest’ultimo dopo aver fittiziamente denunciato lo smarrimento di tale, mai ottenuta, patente "C’, otteneva un duplicato da considerarsi ideologicamente falso in quanto emesso in favore di persona non abilitata per tale categoria di patente, così traendo in errore il Prefetto di Milano che formalmente rilasciava il documento in questione.

B) del reato di cui agli artt. 61 n. 2, 110 e 483 c.p. poiché, in concorso con dipendente della M.C.T.C. non identificato, istigava G. F. a denunciare falsamente agli organi di Polizia lo smarrimento della patente cat. "C’ -.in realtà mai posseduta – al fine di commettere il reato di cui al capo che precede (48 e 480 c. p.).

C) del reato di cui agli artt. 321 in relazione al 319 c.p. per avere corrisposto a funzionario M. C. T. C. non identificato, una indebita somma di denaro corrispondente a lire 2.500.000, al fine di indurlo a compiere atti contrari ai doveri d’ufficio ed in particolare a compiere l’attività descritta ai capi che precedono.

In Milano fino all’inverno del 1996.

10) S. M.:

A) del reato di cui agli artt. 81, 110, 321 in relazione all’art. 319 c.p. poiché, in qualità di titolare dell’autoscuola "P.", con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso con i beneficiari dei falsi duplicati di patente sottoindicati, consegnava ai pp. uu. U. P. e P. N., dipendenti della M. G T. C. di Milano, indebite somme di denaro al fine di indurlo a compiere atti contrariai doveri d’ufficio ed in particolare per far inserire nell’archivio nazionale patenti del Ministero dei trasporti i dati anagrafici di persone cui poi venivano intestate le patenti ideologicamente false in quanto emesse in favore di soggetti non abilitati ovvero per fargli inserire nelle posizioni di determinati titolari di patente l’indicazione di categorie superiori rispetto a quelle effettivamente conseguite, tosi da consentire il rilascio di duplicati ideologicamente falsi; ottenendo le somme indicate dalle persone pur esse nominativamente specificate.

B) del reato di cui agli artt. 81 cpv., 110 e 483 c.p, per aver concorso con le persone indicate al capo che precede, istigandole a denunciare falsamente lo smarrimento della patente.

C) del reato di cui agli artt. 81 cpv., 110, 491 bis, 48 e 480 c.p. poiché, in concorso con U. P., dipendente della M.C.T.C. di Milano abilitato all’accesso all’archivio nazionale patenti del ministero dei trasporti e quindi pubblico ufficiale, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, forniva i nominativi di cui al capo A) per effettuare variazioni nell’archivio meccanografico della M.C.T.C. di Milano, in particolare inserendovi nelle posizioni relative a patenti già annullate per errori formali i dati anagrafici dei suddetti aspiranti ovvero nelle posizioni di determinati titolari di patente l’indicazione di categorie superiori rispetto a quelle effettivamente conseguite, così da consentire ai predetti di ottenere un duplicato falso in quanto emesso in favore di persone che non avevano conseguito alcuna abilitazione, così traendo in errore il Prefetto di Milano che formalmente rilasciava i documenti in questione.

In Milano fino all’inverno 1996.

11) P. R.:

A) del reato di cui agli artt. 110, 491 bis in relazione agli artt. 476,48 e 480 c.p. per essere concorso con A. F. titolare di autoscuola e U. P., dipendente della M. C T C, nella falsificazione dell’archivio informatica del citato ufficio, facendo inserire nella posizione relativa alla sua patente di guida cat. "B" la dicitura cat. "CE" e dopo aver fittiziamente denunciato lo smarrimento di tale, mai ottenuta, patente "CE, otteneva un duplicato da considerarsi ideologicamente falso in quanto emesso in favore di persona non abilitata per tale categoria di patente, così traendo in errore il Prefetto di Milano che formalmente rilasciava il documento in questione.

B) del reato di cui agli artt. 61 n. 2, 110 e 483 c.p. poiché, in concorso con U. P. dipendente della M.C.T.C. e A. F., denunciava falsamente agli organi di Polizia lo smarrimento della patente cat. "CE" – in realtà mai posseduta – al fine di commettere il reato di cui al capo che precede (48 e 480 c .p.).

C) del reato di cui agli artt. 321 in relazione al 319 c.p. per avere corrisposto, tramite A. F. a U. P. funzionario M.C.T.C., una indebita somma di denaro corrispondente a lire 3.000.000, al fine di indurlo a compiere atti contrari ai doveri d’ufficio ed in particolare a compiere l’attività descritta ai capi che precedono.

In Milano fino all’inverno del 1996.

12) P. N.:

174. A) del reato di cui agli artt. 81 cpv 110 e 319 c.p. poiché, in qualità di funzionario della M.C.T.C. di Milano, in concorso con i colleghi U. P. e Z. P., con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di compiere atti contrari ai doveri d’ufficio ed in particolare di inserire nell’archivio nazionale patenti del Ministero dei trasporti ed in specie nelle posizioni di determinati titolari di patente l’indicazione di categorie superiori rispetto a quelle effettivamente conseguite, così da consentire il rilascio di duplicati ideologicamente falsi, riceveva da diverse persone, alcune delle quali sotto indicate, le somme di denaro specificamente indicate.

174.B) del reato di cui agli artt. 81, 110, 491 bis in relazione al 479 e 480 c.p. poiché, nella qualità anzidetta e in concorso con U. P., Z. P. e con beneficiari del falso duplicato di patente, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, faceva inserire, tramite U. P. e Z. P., nell’archivio nazionale patenti ed in specie nelle posizioni di determinati titolari di patente l’indicazione di una categoria superiore rispetto a quella effettivamente conseguita, così da consentire a questi ultimi di ottenere un duplicato da considerarsi ideologicamente falso, tanto da trarre in errore il Prefetto di Milano che formalmente rilasciava i documenti in questione.

174.C) del reato di cui agli artt. 81, 110 e 483 c.p. poiché, nella qualità e in concorso come sopra, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, concorreva, mediante istigazione, con G? G?, S. M. e gli altri soggetti indicati al capo 174.A) nel far denunciare falsamente lo smarrimento della patente effettivamente conseguita, al fine di ottenere un duplicato di categoria superiore.

In Milano fino alla primavere 1996.

13) E. L.:

A) del reato di cui agli artt. 110, 491 bis in relazione agli arti. 476,48 e 480 c.p. per essere concorso con A. K. A. M. e U. P., dipendente della M.C.T.C., nella falsificazione dell’archivio informatico del citato ufficio, facendo inserire nella posizione relativa alla sua patente di guida cat. "C" la dicitura cat. "CE" e dopo aver fittiziamente denunciato lo smarrimento di tale, mai ottenuta, patente "CE", otteneva un duplicato da considerarsi ideologicamente falso in quanto emesso in favore di persona non abilitata per tale categoria di patente, così traendo in errore il Prefetto di Milano che formalmente rilasciava il documento in questione.

B) del reato di cui agli artt. 61 n. 2, 110 e 483 c.p. poiché, in concorso con U. P. dipendente della M.C.T.C. e A. K. A. M., denunciava falsamente agli organi di Polizia lo smarrimento della patente cat. "CE" – in realtà mai posseduta al fine di commettere il reato di cui al capo che precede (48 e 480 c.p.).

C) del reato di cui agli artt. 321 in relazione al 319 c.p. per avere corrisposto, tramite A. K. A. M. a U. P. funzionario M.C.T.C., una indebita somma di denaro corrispondente a lire 3.000.000, al fine di indurlo a compiere atti contrari ai doveri d’ufficio ed in particolare a compiere l’attività descritta ai capi che precedono.

In Milano fino all’inverno del 1996.

I fatti in contestazione riguardavano un complesso sistema fraudolento volto ad ottenere, con la corruzione di funzionari della Motorizzazione Civile di Milano, false patenti ovvero patenti di categoria superiore a quella dovuta, senza l’espletamento dei prescritti esami di guida. II sistema consisteva nell’individuazione dei numeri di patenti in precedenza annullate per errori di stampa, che venivano quindi rivelati ai titolari delle autoscuole, che, a loro volta, li comunicavano agli utenti-corruttori. Questi ultimi, poi, si attivavano sporgendo falsa denuncia di smarrimento di patente con il numero identificativo loro comunicato e, mediante esibizione di tale falsa denuncia agli uffici della Motorizzazione, riuscivano ad ottenere un duplicato emesso con la numerazione anzidetta, previa manipolazione dell’archivio informatico.

I numerosi imputati chiamati a rispondere dei fatti anzidetti erano, quindi, raggruppabili in tre distinte categorie:

– i funzionari corrotti, tra cui U. P., giudicato separatamente, e P. N.;

– i titolari di autoscuole, come A. F., D. S. F. F. Felice, S. M.; i beneficiari delle falsi patenti e corruttori, come P. L., P. R., E. L., Stefano, I. M., C. M.;

– i c.d. intermediari, titolari di agenzie di pratiche automobilistiche, come R. F., che facevano da trait d’union tra i privati interessati ad avere le falsi patenti verso esborso di danaro, ed i titolari di autoscuola che curavano i rapporti illeciti con i funzionari della motorizzazione.

Con sentenza del 18 aprile 2002, il Tribunale dichiarava gli imputati anzidetti (a parte il P. S. F.) colpevoli dei reati loro rispettivamente ascritti, unificato con il vincolo della continuazione; dichiarava, altresì, lo stesso P. S. F. responsabile del reato di cui agli artt. 110, 491 bis c.p. in relazione all’art. 476 c.p. e per l’effetto li condannava alle pene di seguito indicate:

A. F. ad anni quattro e mesi tre di reclusione; D. S. F. F. Felice ad anni quattro e mesi tre di reclusione; P. N., previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di anni due, mesi dieci e giorni quindi di reclusione;

P. A., previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di anni due e mesi tre di reclusione;

S. M. alla pena di anni due e mesi dieci di reclusione;

C. M., C. M. A. (?), E. L., I. M., P. L., P. R., R. F., previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ciascuno.

Dichiarava non doversi procedere a carico di P. S. in relazione ai reati di cui agli artt. 61 n. 2, 110 e 483 c.p., agli artt. 48 e 480 c.p. nonché, previa concessione delle attenuanti generiche, al reato di cui all’art. 321 c.p. in relazione all’art. 319 c.p., perché gli stessi sono estinti per intervenuta prescrizione. Condannava, infine, A. F., D. S. F. F., Russo e S. M., tutti titolari di autoscuole, al risarcimento dei danni nei confronti della Provincia di Milano, costituitasi parte civile, da liquidarsi in separata sede, con concessione di provvisionale a carico dei predetti, diversamente quantificata, in relazione al diverso grado di responsabilità a loro carico.

Pronunciando sugli appelli proposti dagli imputati, la Corte d’Appello di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma della pronuncia impugnata, dichiarava non doversi procedere contro A. F. e D. S. F. F. per le imputazioni di cui all’art. 483 c.p. e all’ari. 480 c.p., essendo i reati estinti per prescrizione; per l’effetto, riduceva la pena per A. F. e D. S. F. F. ad anni tre e mesi otto di reclusione per ciascuno;

dichiarava non doversi procedere nei confronti di S. M. per le imputazioni di cui all’art. 483 c.p. ed all’art. 480 c.p., essendo i reati estinti per prescrizione e, di conseguenza, riduceva la pena ad anni due e mesi due di reclusione;

dichiarava non doversi procedere contro C. M., C. M. A., E. L., I. M., P. L., P. R., P. A., P. N. e R. F. per le imputazioni di cui agli artt. 319/321 c.p., all’art. 483 c.p. ed all’art. 480 c.p., essendo i reati estinti per prescrizione, con conseguente riduzione di pena, nei termini seguenti:

per P. N. ad anni uno e mesi dieci di reclusione; per Profeta ad anni uno e mesi nove di reclusione; per C. M. A. ad anni uno e mesi quattro di reclusione; per C. M., E. L., I. M., P. L., P. R. e R. F. ad un anno e due mesi di reclusione.

Condannava inoltre gli appellanti A. F., D. S. F. F., Russo e S. M. a rifondere, in solido tra loro, alla parte civile Provincia di Milano le spese di costituzione in giudizio.

Avverso l’anzidetta pronuncia C. M. ed E. L., personalmente, ed i difensori degli altri imputati hanno proposto ricorso per cassazione, ciascuno per i motivi specificamente indicati in parte motiva.

Motivi della decisione

1. – Con il ricorso proposto nell’interesse di A. F., viene eccepita la nullità della sentenza impugnata per violazione del principio del contraddittorio. Si deduce, al riguardo, che già nei motivi di gravame era stata, preliminarmente, eccepita la nullità della notifica del decreto di fissazione dell’udienza preliminare, in quanto effettuata al domicilio precedentemente eletto presso il difensore, anziché a quello successivamente eletto all’atto della dichiarazione di cui all’art. 161, comma 3. Contesta, in proposito, l’assunto della Corte di merito secondo cui l’elezione di domicilio effettuata presso il difensore prevarrebbe su quella di cui al menzionato art. 161, comma 3, presupponendo un rapporto fiduciario. Infatti, con la dichiarazione anzidetta l’A. F. aveva indicato per le notificazioni non il luogo della sua residenza o abitazione, bensì la sede dell’autoscuola, sicché si trattava di vera e propria modifica di elezione di domicilio e non già di mera dichiarazione del luogo di ordinaria reperibilità. 11 principio della prevalenza dell’elezione di domicilio presso il difensore rispetto alla dichiarazione ex art. 161, comma 3, in virtù del rapporto fiduciario con lo stesso difensore non si attagliava al caso di specie, posto che, comunque, quel rapporto era venuto meno a seguito della rinuncia al mandato da parte del difensore (con raccomandata del 14 ottobre 1997), in data anteriore alla notifica del decreto di fissazione dell’udienza preliminare (il 16 novembre 1997). D’altronde, a riprova del fatto che l’autorità procedente aveva ritenuto valida la nuova elezione di domicilio era data dal fatto che la richiesta di proroga delle indagini preliminari era stata notificata al nuovo domicilio eletto, ben un anno ed otto mesi prima della notifica del decreto di fissazione dell’udienza preliminare.

2. – Il ricorso proposto da C. M. denuncia inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità in relazione all’art. 606 lett. c) c.p.p., in particolare violazione degli artt. 161 c.p.p. con conseguente nullità ai sensi dell’art. 179 c.p.p. Deduce, in proposito, che esso istante aveva inizialmente eletto domicilio presso l’avv. S. S., difensore diverso da quello che aveva proposto l’appello, avv. D? P?. In particolare, in uno con la nuova nomina esso istante aveva modificato l’elezione di domicilio, indicandola nella propria abitazione in via L. 7 in Milano, come da atto depositato tempestivamente nella cancelleria del primo giudice. Nondimeno, la Corte di merito non aveva notificato l’avviso d’udienza al domicilio eletto, ma in altro luogo ed a persona diversa, e cioè presso il vecchio domicilio in data 23.1.2004. Tutto ciò integrava nullità assoluta ed insanabile del procedimento e della sentenza conclusiva.

3. – Il ricorso proposto nell’interesse di C. M. A. denuncia violazione dell’art. 521, comma 2, c.p.p., in riferimento agli arti. 476 e 482 c.p., sul rilievo che, in sede d’interrogatorio, al ricorrente era stato contestato il reato di cui agli artt. 81, 110, 321 in relazione al 319 c.p. per il capo a); 81, 110, 483 c.p. per il capo b); 81, 110, 491 bis, 48 e 480 per i reati di cui al capo c). Invece, la sentenza di primo grado aveva condannato l’imputato per il reato di cui all’art. 476 c.p., ritenendo che la mancata contestazione fosse frutto di mera dimenticanza. Sbrigativamente la Corte di merito aveva liquidato l’eccezione con poche proposizioni, sul rilievo che si trattava di nullità relativa che andava incontro al limite dell’effetto devolutivo del gravame, siccome non dedotta nei motivi di appello. Tale assunto doveva ritenersi erroneo posto che le norme sulla contestazione e sulla correlazione hanno carattere assoluto, essendo rilevabili in ogni stato e grado del procedimento.

Quanto, poi, al profilo della responsabilità, parte ricorrente denuncia violazione dell’art. 192 c.p.p., sul rilievo che erano state ritenute attendibili le mere dichiarazioni del coimputato benché prive di elementi di riscontro che ne confermassero l’attendibilità, avendo il giudice di merito indebitamente sostituito ai necessari riscontri meri dati congetturali, come il fatto che, non essendosi il T. E. ed il C. M. A. mai conosciuti, la visita del primo in casa del secondo non poteva avere altra giustificazione che non l’attuazione dell’accordo corruttivo, per attivare la procedura che avrebbe portato al rilascio della patente falsa.

4. – Il ricorso proposto in favore di D. S. F. F. si articola su distinti motivi.

Il primo denuncia violazione, falsa applicazione degli artt. 25 Cost., 178 lett. a) c., con riferimento all’ordinanza dibattimentale del Tribunale di Milano del 10.5.2000.

Ed invero, già nei motivi di gravame parte ricorrente aveva denunciato la nullità/abnormità della menzionata ordinanza del Tribunale sez. II che si era spogliato del processo rimettendolo allo stesso Tribunale sez. X, in violazione degli artt. 25 Cost. e 178 lett. a), nonostante che nel decreto di citazione a giudizio proprio la seconda sezione fosse indicata come giudice competente. Il richiamato provvedimento tabellare del Presidente, in base alla ripartizione degli affari penali in base alla materia, era del febbraio 1999, e dunque successiva alla citazione in giudizio, e non avrebbe potuto comunque avere valore vincolante con riferimento ai giudizi già assegnati alle Sezioni. Infondatamente, la Corte di merito aveva rigettato l’eccezione proposta sul rilievo che l’irregolare distribuzione degli affari all’interno di un medesimo ufficio giudiziario non costituirebbe la nullità eccepita alla luce di quanto disposto dell’art. 33, comma 2, del codice di rito. Infatti, costituiva ragione di anomalia non tanto l’assegnazione del procedimento ad altro giudice sulla base di criteri tabulari successivamente emanati dal Presidente, quanto il fatto che l’assegnazione era stata disposta direttamente dal giudice del dibattimento, senza trasmissione degli atti al presidente del Tribunale. Insomma, un procedimento già regolarmente incardinato e pendente innanzi al giudice previamente designato sulla base del decreto di citazione a giudizio non avrebbe potuto essere assegnato ad altro giudice, in quanto ciò costituiva violazione del principio costituzionale della precostituzione del giudice naturale. L’ordinanza di trasmissione del Tribunale, sulla base, peraltro, di altro provvedimento ignoto alle parti e non inserito neppure nel fascicolo per il dibattimento, era da ritenersi abnorme. Inoltre, era stato adottato da soggetto carente del necessario potere, funzionalmente incompetente, alla luce della norma di cui all’art. 7 RD 30.1.1941, come modificato dell’art. 4 d.p.r. n. 449 del 22.9.1999, a sostegno dell’assunto che solo un provvedimento del presidente del Tribunale poteva legittimare l’assegnazione di un procedimento all’una o all’altra sezione dello stesso ufficio giudiziario. Ininfluente era il richiamo effettuato dalla Corte alla norma di cui all’art. 33, comma secondo, posto che, nel caso di specie, non ci si doleva del mancato rispetto dei criteri tabellari stabiliti dal Presidente del tribunale nell’assegnazione del procedimento al giudice del dibattimento che, sulla base degli anzidetti criteri, risulterebbe incompetente; quanto, piuttosto, dell’irritualità con la quale lo stesso giudice era stato investito del processo.

Il secondo motivo denuncia violazione, falsa interpretazione dell’art. 321 c.p., ed omessa motivazione della sentenza. Deduce, in proposito, che l’esistenza del contributo causale del ricorrente alla corruzione del pubblico ufficiale ed all’inserimento di dati falsi nei registri informatici della p.a. non avrebbe potuto desumersi dalla mera ammissione del D. S. F. F. di aver trattato con P. N. e U. P., senza che risultasse in atti un preciso collegamento tra la generica promessa o dazione di compenso al pubblico ufficiale e l’atto pubblico a cui la condotta era finalizzata. Non v’era la prova, insomma, di un accordo avente ad oggetto uno o più atti conformi o contrari ai doveri d’ufficio da porsi in essere in virtù del prospettato od accordato vantaggio economico. Occorreva, invece, la precisa prospettazione da parte del corruttore del reato nel quale concorreva con il p.u. (art. 318 -319 c.p.), sicché la conoscenza delle modalità di rilascio del documento e la natura stessa dell’atto sul quale il p.u. effettuava la falsificazione era circostanza decisiva nella rappresentazione del reato da parte del corruttore e, di conseguenza, del suo concorso in una o nell’altra ipotesi di corruzione. Non avrebbe potuto ritenersi, all’uopo, sufficiente la circostanza che sia stato U. P. ad inventare il meccanismo e che egli ne fosse il gestore.

5. – Il ricorso proposto in favore di I. M. denuncia inosservanza c/o erronea applicazione degli artt. 110 c.p. e 491 bis c.p., ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p.; illogicità manifesta, anche per contraddittorietà, della motivazione della corte territoriale in ordine alla ritenuta sussistenza dei reati di cui agli artt. 110 e 491 bis in relazione agli artt. 476,48 e 480 c. (capo C della rubrica d’imputazione), ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p.); violazione e mancata applicazione dell’art. 530, comma 2, c.p.p., ai sensi dello stesso art. 606, comma l, lett. c) del codice di rito. Contesta, in proposito, l’assunto del giudice di merito, che in ordine alla residua imputazione di cui al capo C), dopo la declaratoria di estinzione dei reati sub A) e B) per prescrizione, aveva ritenuto irrilevante la circostanza che l’imputato non conoscesse il nome del pubblico ufficiale e le esatte modalità della falsificazione, essendo sufficiente ad integrare l’elemento psicologico del reato la generica volontà di concorrere con un pubblico ufficiale alla formazione di un atto falso. Era evidente, però, la violazione dell’art. 110 c.p., posto che l’elemento soggettivo nella partecipazione criminosa consiste nella coscienza di concorrere con altri alla perpetrazione del crimine, e ciò era dato solo dalla consapevolezza delle condotte che gli altri concorrenti hanno posto in essere o porranno in essere. La mancata coscienza delle modalità di realizzazione faceva sì che non avrebbe potuto imputarsi a chi pensava di porre in essere un reato minore, cioè un reato attuato con le modalità di cui agli artt. 3212 -319 c.p. ed arti. 483 – 480 c.p., un reato più grave, cioè quello con le modalità di cui all’art. 491 bis. L’imputato intendeva solo ottenere una patente falsa per scopo di lavoro, ma non aveva mai pensato alla falsificazione dell’archivio informatico di cui nemmeno aveva conoscenza prima delle indagini del presente procedimento. Mancava, dunque, il necessario supporto psicologico per la ritenuta contestazione e, comunque, l’incertezza al riguardo avrebbero dovuto imporre un giudizio favorevole, quanto meno ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.

Con atto d’integrazione del ricorso, il difensore ha poi dedotto l’omessa motivazione in ordine al motivo di gravame riguardante la mancata specificazione del tempo di commissione del reato di cui al capo C), genericamente indicato sino alla primavera del 1996, che non aveva consentito di ritenere prescritti i fatti -reato relativi a tale imputazione. Denuncia, altresì, la mancanza di motivazione e l’omesso esame del motivo di appello con il quale era stata denunciata la violazione dell’art. 48 c.p., in quanto l’imputato era stato indotto in errore circa la c.d. tecnica del rilascio della patente di guida mediante falsificazione del c.d. archivio informatico, convinto da altri che la patente di guida falsa gli sarebbe stata rilasciata esclusivamente in violazione dei fatti contestati ai capi A) e B) della rubrica. Insiste, dunque, nell’annullamento della sentenza e, comunque, nella dichiarazione di prescrizione del reato.

6. – Il ricorso in favore di P. S. F. denuncia la nullità della sentenza impugnata per mancanza di motivazione sul punto relativo alla mancata concessione delle attenuanti generiche, sul rilievo dell’incensuratezza e della giovane età dell’imputato all’epoca dei fatti.

7. – Il ricorso proposto nell’interesse di P. R. e P. L. si articola in distinti motivi.

Con il primo motivo viene eccepita la nullità della sentenza per difetto di motivazione, ai sensi dell’art. 606 lett. e), in ordine al secondo motivo di appello. Con tale motivo, era stata chiesta la derubricazione del reato di cui al capo a) dell’imputazione, di cui agli artt. 491 bis in relazione all’art. 476 c.p., in quella di cui agli artt. 491 bis in relazione all’art. 482 c.p., con conseguente riduzione della pena inflitta, rilevandosi l’insufficienza della prova in ordine al fatto che l’impiegato della motorizzazione, in concorso con il quale i patentati avrebbero agito, avesse compiuto la falsificazione nell’esercizio delle sue funzioni. Mancava, comunque, l’esame della questione sollevata dal difensore.

Con il secondo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 606 lett. e) c.p.p. per inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità ed in particolare in quanto la Corte di merito aveva utilizzato per la decisione gli interrogatori resi dagli imputati nella fase delle indagini preliminari, privi dell’avviso oggi previsto dell’art. 64, comma 3, lett. a) c.p.p. Alla stregua della normativa transitoria dell’art. 26 della l. n. 63/2001, gli interrogatori resi nella fase delle indagini preliminari, privi dell’avviso di cui all’art. 64, comma 3, lett. a) non avrebbero, pertanto, potuto essere utilizzati. Donde la necessità di una sentenza di assoluzione degli stessi imputati per non aver commesso il fatto, quanto meno ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p.

Con il terzo motivo viene dedotta l’illogicità della motivazione in ordine al rigetto della richiesta di dichiarazione di inutilizzabilità degli interrogatori degli imputati, ai sensi dell’art. 513 c.p.p. Censura, al riguardo, l’affermazione della Corte di merito che, a sostegno dell’utilizzabilità degli anzidetti interrogatori, aveva ritenuto l’equipollenza tra l’avviso in precedenza previsto della facoltà di non rispondere e quello poi previsto dalla nuova formulazione dell’art. 64, comma 3, lett. a) e b). A dire di parte ricorrente, tale assimilazione non era possibile non potendo ritenersi implicito in un avviso diverso, ossia quello relativo alla facoltà di non rispondere, un altro avviso, peraltro aggiunto da una norma successiva, ossia quello relativo alla circostanza che, in caso di mancato esercizio di quella facoltà, le dichiarazioni rese avrebbero potuto essere utilizzate a carico del dichiarante. Di guisa che, illegittimamente gli interrogatori degli imputati erano stati letti ai sensi dell’ari. 513 c.p.p.

Con il quarto motivo viene dedotta la mancanza od illogicità manifesta della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza, in capo agli imputati, dell’elemento soggettivo del dolo richiesto dal reato contestato al capo a) dell’imputazione, e cioè del concorso nel falso con i funzionari della Motorizzazione. In particolare, gli istanti potevano prefigurarsi un’attività di corruzione di pubblici funzionari, ma non certamente la falsificazione degli archivi informatici della Motorizzazione.

8. – Il ricorso proposto nell’interesse di P. A. denuncia il difetto di motivazione ovvero la manifesta illogicità della stessa, sul rilievo che la Corte distrettuale non aveva tenuto conto delle osservazioni difensive, omettendo un’adeguata motivazione sulle stesse. In particolare, nessuna motivazione era stata resa in ordine alla personalità dell’imputato ed al ruolo da lui svolto nei fatti di causa.

9. – Il ricorso in favore di R. F. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 110, 476 e 491 bis c.p., in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b). Si duole, in proposito, che la Corte di merito non abbia tenuto conto della specificità della posizione dell’imputato, che non era titolare di autoscuola, ma semplice titolare di agenzia di pratiche automobilistiche, rispetto a quella degli altri presunti concorrenti.

Al ricorrente era stato solo addebitato di aver messo in contatto il G. F. con l’A. F., ignorando però le modalità con le quali l’A. F. avrebbe fatto conseguire al primo la patente falsa. Significativo, rispetto ad altre fattispecie esaminate dai giudici di merito, era il fatto che non fosse stato lui a fornire al G. F. il numero di patente di cui denunciare lo smarrimento. Mancava, dunque, la prova del dolo nel reato di falso, e più precisamente la prova della coscienza e volontà di commettere quello specifico reato di falso materiale attraverso la falsificazione della banca -dati della M.C.T.C.. D’altro canto, era pure significativo che solo rispetto alla pratica G. F., a differenza di altre, non era stato possibile individuare pubblici ufficiali della M.C.T.C. con i quali esso ricorrente avrebbe avuto a che fare.

10. – Il ricorso proposto in favore di S. M. riproduce le stesse censure espresse nell’impugnazione presentata nell’interesse del D. S. F. F..

11. – Il ricorso proposto nell’interesse di P. N. eccepisce, innanzitutto, l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, con riferimento a quanto prescritto dell’art – 178, comma 1, lett. c) c.p.p. ed eccepisce, inoltre, la nullità della sentenza ai sensi degli artt. 178 comma 1, lett. c), 179 e 185, comma l, c.p.p. Lamenta, in proposito, che non sia stata mai notificato all’imputata il decreto che dispone il giudizio datato 21.4.1999 presso il di lei domicilio eletto in Rho, via G. n. 13, sicché irritualmente era stata dichiarata contumace. Peraltro, all’imputata era stata notificato il 26.1.2000 altro e differente decreto dispositivo del giudizio, emesso da diverso GUP presso il Tribunale di Milano, in esito a diversa udienza preliminare svoltasi il 2.2.1999 (proc. N. 5400/95 rg. gip.) Tale notifica doveva ritenersi tamquam non esset, in quanto inidonea a perfezionare la vocatio in iudicium e la valida costituzione del rapporto processuale.

Altro motivo di ricorso riguarda la mancanza di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma l, lett. e) c.p.p. con riferimento a quanto previsto dagli artt. 132 e 133 c.p. Si duole in proposito che la Corte di merito non abbia adeguatamente risposto alla deduzione difensiva che faceva riferimento all’evidente sproporzione della pena base determinata dal primo giudice, in misura di gran lunga superiore al minimo edittale.

Un ultimo motivo denuncia la mancanza di motivazione, a norma dell’art. 606 comma l, lett. e) c.p.p. ed inosservanza della legge penale, ai sensi dello stesso art. 606 comma 1, lett. b), con riferimento a quanto previsto dagli artt. 81 cpv. e 132 c.p., sul riflesso che non risultava affatto giustificato l’aumento di mena di mesi due per il reato di cui all’ari. 491 bis c.p.

12. – Il ricorso proposto in favore di E. L. denuncia violazione o inosservanza di legge processuale, ai sensi dell’art. 606 comma l, lett. e) c.p.p., con particolare riferimento al disposto dell’art. 599, punto 5) del codice di rito. Infatti, la Corte di merito, nel respingere la richiesta di pena patteggiata, ai sensi del menzionato art. 599, comma 4, avrebbe dovuto contestualmente rinviare il procedimento, con citazione a comparire al dibattimento. Un tale rinvio, invece, non era stato disposto e nella stessa udienza il giudice di appello aveva estemporaneamente deciso con sentenza il procedimento in questione. La denunciata violazione comportava la nullità assoluta della sentenza impugnata, con le conseguenze di legge.

13. – Ovvie ragioni di ordine logico e di economia espositiva impongono l’esame preliminare e contestuale delle questioni di rito e di quelle di merito comuni i tutti gli imputati, anche al fine di evitare inutili ripetizioni.

13.1 – Orbene, per quanto riguarda l’eccezione proposta in favore di P. N., gli atti di causa non consentono di provvedere in proposito, mancando in particolare il decreto che dispone in giudizio del 21.4.1999, di cui si assume la mancata o irrituale notificazione. Da qui la necessità di provvedere come da dispositivo, ordinando la separazione della posizione riguardante la stessa ricorrente.

13.2 – La questione di rito proposta in favore di A. F. ripropone l’eccezione di difetto di contraddittorio, già agitata in sede di merito, sul riflesso della nullità della notifica del decreto di fissazione dell’udienza preliminare, in quanto effettuata al domicilio precedentemente eletto presso il difensore, anziché a quello successivamente indicato, all’atto della dichiarazione resa ai sensi dell’art. 161, comma 3.

Risulta, infatti, giuridicamente ineccepibile l’argomentazione della Corte di merito che, richiamando pacifico insegnamento di questo Giudice di legittimità, ha ritenuto che, nella successione tra elezione e dichiarazione di domicilio debba prevalere la prima. Ed infatti, l’elezione di domicilio consiste in una scelta negoziale (e, dunque, in una manifestazione di volontà), mentre la dichiarazione è atto meramente ricognitivo del domicilio reale, sicché la prima – in mancanza di espressa revoca – prevale sulla seconda, anche se quest’ultima è posteriore. Ed infatti, con la elezione, l’imputato non indica solo il luogo nel quale ricevere le notifiche, ma anche la persona, presso la quale le stesse devono essere effettuate, in forza di un rapporto fiduciario con il domiciliatario, cui egli si affida per la ricezione e la tempestiva comunicazione degli atti notificatigli (cfr., in tali termini, Cass. Sez. 5,30.6.1999, n. 12044, A. A., Rv. 214874). 11 giudice di appello ha escluso che la successiva dichiarazione di domicilio comportasse revoca della precedente elezione che, dunque, esattamente è stata ritenuta prevalente per le anzidette ragioni, senza che, sulla persistente validità dell’elezione presso il difensore, potesse poi incidere l’intervenuta rinuncia al mandato da parte dello stesso, stante l’autonomia negoziale del mandato difensivo rispetto all’elezione di domicilio, aventi oggetto e finalità diverse. Di talché, l’elezione di domicilio rimane valida fintantoché non sia revocata con le stesse forme con le quali è avvenuta (cfr. Cass. Sez, 5,27.10.1999, n. 5198, Castro, Rv. 215252).

13.3 – Per identiche ragioni deve essere rigettata analoga questione proposta da C. M., non risultando che, seguita la dichiarazione del domicilio (presso la sua abitazione in Milano, via L. E. n. 7) alla precedente elezione di domicilio presso lo studio dell’avv. S. S., alla dichiarazione anzidetta si accompagnasse anche la revoca espressa della precedente elezione, di talché correttamente l’avviso di udienza era stato notificato al domicilio precedentemente eletto, come riferito dallo stesso ricorrente.

13.4 – Infondata è anche l’eccezione proposta in favore di C. M. A., con riferimento alla pretesa violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza di primo grado. Ineccepibile, in proposito, è l’assunto della Corte di merito posto che la violazione anzidetta integra pacificamente nullità a regime intermedio che avrebbe dovuto essere eccepita nei motivi di gravame, donde la preclusione a farla valere nei successivi gradi di giudizio. D’altronde, lo stesso giudice ha rilevato che l’iniziale contestazione recava in sé tutti gli elementi del fatto -reato ritenuto in sentenza, di guisa che nessun pregiudizio per le esigenze di difesa dell’imputato si era di fatto verificato.

13.5 – Priva di pregio è l’eccezione proposta in favore del D. S. F. F. e del S. M. con riferimento alla dedotta violazione dei criteri tabellari di assegnazione degli affari penali alle sezioni ed alla pretesa illegittimità od abnormità dell’ordinanza con la quale la sezione del Tribunale tabellarmente incompetente aveva disposto l’assegnazione ad altra sezione competente, surrogandosi in tal guisa, indebitamente, al presidente dello stesso tribunale, il solo soggetto che avrebbe potuto provvedere nei termini anzidetti.

Si tratta di identica questione sollevata in sede di gravame, alla quale la Corte di merito ha dato risposta ineccepibile richiamando la disposizione di cui all’ari. 33, comma 2, c.p.p., secondo cui non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla destinazione degli giudice agli uffici giudiziari e alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici.

Non ricorreva, del resto, un’ipotesi di macroscopica violazione, e cioè di provvedimento realizzato extra ordinem, tale da configurare nullità assoluta siccome in irriducibile contrasto con gli artt. 25 e 111, comma 2, Cost., secondo il noto insegnamento di questa Corte regolatrice (cfr. Cass. sez. l, 30.3.2005, n. 13445, P. P., Rv. 231338; id., sez. 1, 7.5.2003, n. 27055, PM c. Solito ed altri, Rv. 227213). Ed infatti, non sussisteva alcuna violazione del principio del giudice naturale, posto che tale era, pacificamente, il Tribunale di Milano, e nessuna rilevanza, ai fili del rispetto del principio anzidetto, poteva assumere l’articolazione dello stesso ufficio in più sezioni, ai fini della distribuzione del carico di lavoro secondo i criteri tabellari.

Non sussiste, infine, il denunciato profilo di illegittimità dell’ordinanza con la quale la sezione inizialmente investita aveva disposto il rinvio ad altra sezione, anziché interessare il presidente ai fini dei provvedimenti di competenza. Trattasi, al più, di mera irregolarità, ampiamente sanata dal provvedimento confermativo emesso dallo stesso presidente con decreto del 16.6.2000, secondo quanto osservato dal giudice di appello.

13.6 – Pure infondata è la questione sollevata dai germani P. in ordine alla pretesa inutilizzabilità degli interrogatori dagli stessi resi, sotto il duplice riflesso della mancanza di consenso alla loro acquisizione ed all’omesso avvertimento di cui all’ari. 64, comma 3, lett. b) in ordine all’utilizzabilità delle dichiarazioni contra se in caso di mancato esercizio del diritto al silenzio. Ancora una volta si tratta di mera riproposizione di identica eccezione di rito rispetto alla quale la risposta della Corte di merito risulta giuridicamente corretta, nell’evidenziare, sotto il primo aspetto, che le dichiarazioni predibattimentali degli imputati erano state regolarmente acquisite, su richiesta del PM, ai sensi dell’art. 513, comma 1, trattandosi di imputati rimasti contumaci e non essendo necessario il loro consenso, richiesto soltanto ai fini dell’utilizzabilità di tali dichiarazioni contra alios; e, quanto al secondo profilo, è sicuramente sufficiente il rilievo pregiudiziale secondo cui gli interrogatori erano stati raccolti sotto il previgente regime e tale circostanza di tempo ne comportava la piena utilizzabilità anche in mancanza dello specifico avvertimento oggi richiesto dalla nuova formulazione normativa.

13.7 – Identico giudizio d’infondatezza va espresso in ordine alla questione di rito che compendia il ricorso dell’E. L.. Ed invero, dall’incartamento processuale, il cui esame è consentito dal tipo di censura dedotta, risulta che l’appello proposto nell’interesse dell’imputato riguardava l’entità della pena, ma sotto lo specifico riflesso della pretesa illegittimità della mancata ammissione al patteggiamento nel corso delle indagini preliminari. Regolarmente citato in giudizio in pubblica udienza (con decreto del 4.7.2003) e rimasto contumace, all’udienza fissata per il dibattimento, nei termini di legge, il difensore munito di procura speciale al patteggiamento in appello, ai sensi dell’art. 599, comma 4, ha ritualmente avanzato la relativa richiesta, che la Corte però rigettava, indicando poi in sentenza i motivi del diniego. ÿ evidente, allora, che non doveva applicarsi l’art. 599, comma 5, che si riferisce all’ipotesi in cui il procedimento, a seguito di tempestiva richiesta congiunta delle parti, si svolga nelle forme del rito camerale ed il giudice di appello, che non ritenga, poi, di accogliere l’accordo negoziale, non può pronunciare direttamente sentenza, ma è tenuto ad ordinare la citazione dell’imputato a comparire al dibattimento, in quanto l’eventuale omissione di tale citazione priva l’imputato appellante dell’esercizio del suo diritto di intervenire nel processo, facendosi assistere dal difensore, per discutere i motivi di appello e presentare conclusioni nel merito. E questo spiega perché la mancata citazione è causa di nullità di ordine generale ai sensi dell’art. 178 lett. c) c.p.p. (cfr. Cass. Sez. 3,15.10.1999, P. M. e. A. A., Rv. 214816). Diversamente, ove l’imputato sia stato regolarmente citato per il dibattimento e la richiesta di patteggiamento abbia luogo nella fase introduttiva del giudizio di appello (disciplinata dall’art. 601 con disposizioni comuni sia al giudizio di appello con dibattimento sia alle decisioni in camera di consiglio), il giudice, se ritenga di rigettare la stessa richiesta, non deve, ovviamente, ordinare una nuova citazione a comparire. Ed infatti, la norma di cui all’art. 599, comma 5, deve essere coordinata con quella di cui al successivo art. 602, comma 2, secondo cui, ove non accolga l’istanza di patteggiamento, il giudice dispone per la prosecuzione del dibattimento.

14. – Si può ora procedere all’esame di tutte le altre questioni proposte dagli odierni ricorrenti.

14.1 – In riferimento al secondo motivo del ricorso in favore del C. M. A., relativo all’uso asseritamente distorto della metodologia indiziaria, si osserva che si tratta di questione inammissibile, in quanto afferente alla valutazione delle risultanze di causa, che si sottrae al sindacato di legittimità in quanto adeguatamente e correttamente motivata. Ed infatti, la Corte di merito aveva già rigettato il rilievo difensivo secondo cui l’affermazione di responsabilità del C. M. A. era affidata solo a dichiarazioni di coimputati, prive di riscontro in violazione dell’ari. 192 c.p.p. Ha rilevato, in proposito, che non era affatto vero che il solo elemento accusatorio a carico dell’imputato fosse rappresentato dalle dichiarazioni d’accusa dei coimputati, in quanto il compendio probatorio era fondato su prove documentali, che, a loro volta, costituivano anche pregante conferma di quelle stesse dichiarazioni, ponendosi come idoneo elemento di conferma.

14.2 – Il secondo motivo dei ricorsi proposti nell’interesse del D. S. F. F. e del S. M., con il quale si dubita dell’esistenza del contributo causale dei ricorrenti alla corruzione del pubblico ufficiale e di un preciso accordo finalizzato alla commissione di molteplici atti contrari ai doveri d’ufficio si pone in area d’inammissibilità prospettando in questa sede improponibili questioni di merito. La censura si propone, infatti, di mettere in discussione profili di fatto, costituenti connotati precipui delle fattispecie di reato in contestazione, sui quali la Corte di merito, nell’esercizio di motivato apprezzamento di merito, ha fatto chiarezza. Con argomentare immune da vizi giuridici o da cadute sul versante della logica comune, il giudice di appello ha ripercorso i momenti qualificanti della vicenda sostanziale, sintetizzando efficacemente il quadro dello scellerato accordo intercorso tra i titolari delle autoscuole ed i funzionari corrotti, finalizzato alla falsificazione delle patenti di guida. Del resto, a sconfessare l’assunto difensivo dei ricorrenti è sufficiente la constatazione, offerta dalla sentenza impugnata, che l’illecito sistema aveva come elemento fondante ed imprescindibile la collaborazione dei privati interessati al conseguimento dell’abilitazione alla guida, dovendo essi presentare una falsa denuncia di smarrimento di una patente, dichiarando falsamente un numero identificativo esattamente corrispondente a quello che sarebbe stato apposto sul duplicato. Ed il trait d’union tra gli utenti ed i funzionari erano proprio i titolari delle autoscuole, senza dire poi della significativa affermazione contenuta in sentenza in ordine alla circostanza che il D. S. non aveva neppure contestato in appello l’accusa del funzionario U. P. secondo cui egli sarebbe stato uno degli ideatori del sistema di illecita fabbricazione di patenti.

14.3. – Anche le censure dedotte a sostegno del ricorso dell’I. M. attengono ad improponibili riflessi di merito, afferenti alla dinamica del patto scellerato intercorso, per il tramite dei titolari di autoscuola, con i funzionari della Motorizzazione. La ricostruzione della meccanica del piano fraudolento, che postulava la necessaria partecipazione del privato nei termini anzidetti, era tale da fare, in sé, giustizia delle rivendicazioni di estraneità e di incolpevole ignoranza dei termini della concordata falsificazione, sicché del tutto condivisibilmente è stata ritenuta l’irrilevanza dell’ipotetica mancata consapevolezza dell’imputato in ordine alla circostanza che la falsificazione delle patenti aveva luogo attraverso la falsificazione di documenti informatici di cui all’art. 491 bis c.p.

Va, poi, disattesa la doglianza espressa nei motivi aggiunti in ordine alla mancata motivazione sul motivo di gravame concernente la genericità dell’imputazione sub C) (il solo rimasto a carico dell’imputato), che, risolvendosi nella mera locuzione sino alla primavera del 1996, non aveva consentito di ritenere prescritti i fatti -reato relativi a tale imputazione. La genericità del rilievo, privo di specifica indicazione utile ai fini di una compiuta verifica dell’eccezione di prescrizione, esimeva il giudice di appello da una specifica motivazione sul punto, essendo di palmare evidenza che, localizzato – ancorché genericamente – l’epoca di commissione del reato in epoca immediatamente precedente alla primavera 1996, il lungo periodo di prescrizione, previsto per la residua contestazione, offriva ampia certezza in ordine al mancato decorso del relativo termine.

Infine, l’ampia motivazione resa dalla Corte sulle modalità del concerto delittuoso che postulava la necessaria partecipazione del privato comportava l’implicito rigetto del pur generico rilievo difensivo dell’I. M. in ordine ad un’asserita mancanza di consapevolezza da parte sua, per effetto di inganno, in ordine alle modalità della falsificazione. Si tratta, ad ogni buon conto, di questione di merito inammissibile in questa sede di legittimità.

14.4 – Il ricorso in favore del P. S. F., che riguarda il trattamento sanzionatorio, si colloca alle soglie dell’inammissibilità. Non può, infatti, ritenersi incongrua od insufficiente la motivazione che disattenda analoga richiesta in sede di appello, con riferimento alla gravità dei fatti ed al precedente penale a carico dell’imputato, pur se all’epoca dei fatti incensurato. Palesemente infondato è il rilievo riguardante la mancata concessione delle attenuanti generiche, considerato che il giudice di appello aveva dato atto che l’imputato aveva già ottenuto il beneficio anzidetto in primo grado.

14.5 – Il primo motivo dell’impugnazione proposta in favore dei germani P., afferente alla qualificazione giuridica del fatto loro ascritto, è destituito di fondamento, posto che, in piena aderenza alle risultanze processuali, la Corte di merito ha ritenuto esatto e pertinente il nomen iuris di cui all’imputazione. Ancora una volta, la descrizione della vicenda, come ritenuta in sede di merito, smentisce qualsiasi tentativo di difesa volto a minimizzare il coinvolgimento degli interessati. All’uopo, pare decisivo il rilievo del giudice di merito che, correttamente, ha sottolineato come, nel caso di specie, gli utenti ben disposti a versare somme non dovute, della cui destinazione erano ovviamente consapevoli, non potevano non essere avvertiti che quell’indebita dazione di danaro era volta al conseguimento dell’abilitazione alla guida in forme affatto diverse da quelle ordinarie, affidate al superamento degli esami prescritti. Ogni questione, al riguardo, doveva intendersi implicitamente risolta dall’impostazione complessiva della sentenza che, in più punti, ha messo in risalto tale significativa evenienza.

Va, infine, disatteso il quarto motivo, relativo alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato di cui al capo a) dell’imputazione, in riferimento al concorso nella falsificazione dell’archivio informatico, trattandosi di questione di merito in ordine alla quale la Corte territoriale, per quanto si è detto dianzi, ha reso ampia e corretta motivazione.

14.6 Il ricorso proposto nell’interesse di P. A., relativo al preteso difetto o manifesta illogicità della motivazione, si colloca pur esso alle soglie dell’inammissibilità, tanto più in considerazione del fatto che il gravame dallo stesso proposto verteva soltanto sul trattamento sanzionatorio. E in relazione a tale profilo la motivazione addotta dai giudici di appello non può in alcun modo dirsi manchevole, avendo compiutamente argomentato in ordine sia all’entità dei fatti che alla personalità del prevenuto ed al suo comportamento processuale, che gli erano valsi il riconoscimento delle attenuanti generiche.

14.7. – Il ricorso in favore di R. F. è destituito di fondamento, a parte i pur vistosi profili d’inammissibilità che lo connotano nella parte in cui tenta di offrire una chiave di lettura della vicenda in termini più favorevoli all’imputato. Tentativo destinato, però, a sicuro fallimento a fronte di una motivazione che, anche con riferimento alla posizione dell’imputato, non può in alcun modo essere tacciata di inadeguatezza od incompletezza. Non è neppure vero, del resto, che la Corte non abbia tenuto conto della particolare posizione del R., titolare non di autoscuola, ma di agenzia di pratiche automobilistiche, modellando sulla relativa specificità il regime sanzionatorio da applicare.

15. – Per tutto quanto precede, i ricorsi – ciascuno globalmente considerato – devono essere rigettati, con le consequenziali statuizioni di legge anche in ordine alla condanna degli imputati A. F., D. S. F. F., R. e S. M., in solido tra loro, alla rifusione delle spese in favore delle costituita parte civile, che appare congruo ed equo determinare come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE

Dispone la separazione del procedimento nei riguardi della ricorrente P. N. e rinvia la trattazione del relativo ricorso a nuovo ruolo, mandando alla Cancelleria di acquisire presso il Tribunale di Milano il decreto 26.4.1999 che dispone il giudizio con la relativa notifica nei confronti della nominata P. N.. Rigetta i ricorsi di tutti gli altri ricorrenti che condanna in solido al pagamento delle spese del procedimento. Condanna A. F., D. S. F. F., Russo e S. M., in solido, alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate in euro 2.870, di cui euro 2.500 per onorari di avvocato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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