Corte Costituzionale, Sentenza n. 14 del 2004, In materia di concorrenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

1. ¾ Le Regioni Marche, Toscana, Campania, Emilia-Romagna e Umbria hanno proposto, con distinti ricorsi, questione di legittimità costituzionale in via principale, in riferimento agli articoli 117, 118, 119 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, di numerose disposizioni della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002) e, tra queste, delle disposizioni di cui agli articoli 52, comma 83, 59, 60, comma 1, lettera d), e 67.

2. ¾ Le Regioni Marche ed Umbria censurano l’articolo 52, comma 83, nella parte in cui attribuisce al Ministro delle politiche agricole e forestali il potere di emanare un decreto per la disciplina delle modalità operative e gestionali del fondo di cui all’art. 127, comma 2, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001). Esso darebbe luogo all’attribuzione di un potere regolamentare in materia estranea alla competenza esclusiva dello Stato, con violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost. Inoltre la medesima disposizione, nella parte in cui prevede che il Ministero delle politiche agricole e forestali determini annualmente la quota di stanziamento per la copertura dei rischi agricoli da destinare alle azioni di mutualità e di solidarietà, attribuirebbe allo Stato funzioni amministrative senza che ricorrano le esigenze di esercizio unitario che l’art. 118 Cost. richiede siano a fondamento della competenza statale.

3. ¾ La Regione Emilia-Romagna denuncia l’art. 59, il quale prevede la concessione di contributi in conto capitale nei limiti degli aiuti de minimis per il settore produttivo tessile, dell’abbigliamento e calzaturiero, con particolare riferimento a progetti, anche di enti pubblici, per la formazione e valorizzazione degli stilisti.

Preliminarmente la Regione osserva che, pur avendo lo Stato una riserva di competenza in materia di sistema tributario e finanziario, l’inserimento nella legge finanziaria di disposizioni che sono estranee al contenuto tipico della legge non può costituire un modo per sfuggire al rigido riparto delle potestà legislative definito dall’art. 117 Cost., il quale impone allo Stato di esibire sempre un titolo di competenza quando eserciti la sua funzione legislativa.

Nello specifico, la ricorrente sostiene che l’art. 59 denunciato violerebbe l’art. 117 Cost., in quanto gli interventi da esso disposti sarebbero riconducibili alle materie “industria” e “formazione professionale”, entrambe estranee all’elenco delle competenze legislative statali esclusive e concorrenti.

Pur volendo ricondurre la disciplina statale nell’ambito della materia, di potestà concorrente, del “sostegno all’innovazione per i settori produttivi”, la disposizione censurata sarebbe comunque incostituzionale, non essendosi limitata alla determinazione dei principî fondamentali della materia, ma avendo, al contrario, posto una disciplina di minuto dettaglio.

Risulterebbe violato anche l’art. 119 Cost., dal momento che lo stanziamento previsto dall’articolo in discorso sarebbe «sottratto al trasferimento alle Regioni, a copertura delle loro funzioni ordinarie».

4. ¾ Le Regioni Marche, Toscana, Campania ed Umbria impugnano l’art. 60, comma 1, lettera d), il quale, nel prevedere che spetti al Ministro delle politiche agricole e forestali, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, individuare le tipologie di investimenti che possono essere ammesse al finanziamento attraverso gli aiuti comunitari di cui al regolamento CE n. 1257/1999, occuperebbe un ambito materiale riservato alla legislazione residuale delle Regioni. Inoltre la determinazione delle tipologie di investimento, in quanto esercizio di un’attività di regolamentazione a carattere generale e astratto, si risolverebbe nella manifestazione di un potere regolamentare, e ciò renderebbe evidente la lesione dell’art. 117, sesto comma, Cost., che espressamente esclude la potestà regolamentare dello Stato nelle materie assegnate alla potestà legislativa concorrente o residuale delle Regioni; non basterebbe infatti a superare il vizio di competenza la previsione di un’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, né l’esigenza che la disciplina si svolga in osservanza di quanto previsto in sede comunitaria. Si aggiunge che un decreto ministeriale sarebbe inidoneo a dettare norme che interferiscono con le attribuzioni costituzionali delle Regioni. Inoltre, quand’anche si volesse ritenere che la funzione attribuita al Ministro non sia normativa, sarebbe comunque violato l’art. 118 Cost., dal momento che essa non potrebbe essere fondata su esigenze di esercizio unitario, né di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Le istanze unitarie, si prosegue, sarebbero infatti ampiamente soddisfatte, in materia di agricoltura, dalla normativa comunitaria, che le Regioni sono ormai abilitate ad attuare in via diretta.

5. ¾ Le Regioni Marche, Toscana, Emilia-Romagna ed Umbria denunciano infine l’art. 67, il quale, nel prevedere che i finanziamenti revocati dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) ad iniziative nel settore agroalimentare e nella pesca siano assegnati al finanziamento di nuovi patti territoriali e contratti di programma nel settore agricolo, regolerebbe una materia assegnata alla potestà legislativa residuale della Regione. Inoltre, nella parte in cui disciplina un’attività di programmazione negoziata in agricoltura che fa capo all’amministrazione statale, la disposizione censurata disattenderebbe, secondo la Regione Marche, il criterio di riparto delle funzioni amministrative previsto dall’art. 118 Cost. Si aggiunge nei ricorsi delle Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Umbria che, in una materia di competenza regionale, qual è l’agricoltura, il rispetto delle competenze regionali avrebbe imposto il trasferimento delle risorse finanziarie disponibili alle Regioni, alle quali sarebbe poi spettato disciplinare la procedura per l’erogazione delle risorse agli aventi diritto.

6. ¾ Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che tutte le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili o infondate.

Secondo la difesa erariale, gli interventi previsti nell’art. 59 rientrano nella materia, di competenza concorrente dello Stato, del “sostegno all’innovazione nei settori produttivi” e ciò renderebbe la disposizione denunciata immune dalle censure ad essa rivolte.

Quanto agli artt. 52, comma 83, 60, comma 1, e 67, commi 1 e 2, si tratterebbe, ad avviso dell’Avvocatura, di norme finalizzate alla diretta applicazione di normative comunitarie, che sarebbero espressione della potestà legislativa esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost. Inoltre si osserva che il Consiglio di Stato, con parere dell’Adunanza generale del 25 febbraio 2002, n. 2/02, ha ritenuto legittime le disposizioni in oggetto, pur riconoscendone il carattere cedevole nei confronti della successiva eventuale normativa regionale. Le funzioni conferite con le norme impugnate, inoltre, devono essere esercitate d’intesa con la Regione, ciò che varrebbe ad escludere che possa determinarsi una lesione delle competenze regionali in materia.

Con particolare riguardo all’art. 60, comma 1, lettera d), la difesa erariale sostiene che si tratterebbe di una norma statale emanata in diretta applicazione di obblighi comunitari, in quanto disciplinerebbe effetti del regolamento CE 1257/99 in tema di aiuti di Stato all’impresa agricola. Infine, in relazione all’impugnazione dell’art. 67, l’Avvocatura osserva che tale disposizione si limita a prevedere i criteri di ripartizione dei finanziamenti revocati dal CIPE, sottratti, in quanto tali, alla competenza delle Regioni, le quali non potrebbero dunque avanzare alcuna pretesa nella definizione della loro successiva utilizzazione.

7. ¾ In prossimità dell’udienza pubblica del 17 giugno 2003, tutte le ricorrenti hanno depositato memorie difensive, nelle quali si insiste nelle conclusioni già rassegnate nei rispettivi ricorsi e si argomenta ulteriormente anche in replica agli scritti dell’Avvocatura generale dello Stato.

Con riguardo all’art. 52, comma 83, nel contestare l’assunto della difesa erariale secondo cui la disposizione si collocherebbe nell’ambito dei rapporti (senza intermediazione) dello Stato con l’Unione europea e come tale sarebbe riconducibile alla competenza statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost., la Regione Umbria osserva che non vi è alcuna indicazione di quali siano le norme alle quali la disciplina di fonte statale darebbe attuazione e, comunque, sostiene che le Regioni sono competenti a dare diretta attuazione alle norme comunitarie, mentre lo Stato conserverebbe solo la possibilità di intervenire per evitare inadempimenti.

Quanto all’art. 59, la Regione Emilia-Romagna contesta che la materia oggetto dell’art. 59 possa rientrare in quella, di competenza concorrente, del “sostegno all’innovazione per i settori produttivi”, collocandosi invece a metà tra quella del “sostegno di un particolare settore industriale” e quella della “attività di formazione professionale”, entrambe di potestà residuale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. Ribadisce in ogni caso la ricorrente che la disposizione denunciata non conterrebbe alcun principio fondamentale, violando così l’art. 117, terzo comma, Cost.

Quanto all’art. 60, primo comma, lettera d), della legge n. 448 del 2001, la Regione Marche osserva che, anche riconoscendo natura di atto amministrativo non regolamentare al decreto ministeriale che specifica la tipologia degli investimenti ai quali possono essere destinati i contributi, l’attribuzione della relativa potestà violerebbe l’art. 118 Cost., in quanto non troverebbe giustificazione nei principî che devono guidare l’allocazione delle funzioni amministrative. Le Regioni Umbria e Campania contestano poi l’assunto della difesa erariale secondo il quale la materia rientrerebbe nella competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost., in tal modo osservando che, oltre a confondersi impropriamente due piani (i rapporti Stato-Unione europea e l’attuazione del diritto comunitario), non si considera che le Regioni – ai sensi dell’art. 117, quinto comma, Cost. – sono abilitate a dare applicazione agli atti dell’Unione nelle materie di loro competenza, mentre lo Stato può intervenire solo in caso di inadempienza.

In ordine all’art. 67, le Regioni Marche, Emilia-Romagna e Umbria contestano che la norma tocchi la disciplina dei rapporti tra Stato ed Unione – come sostenuto dalla difesa erariale – e osservano, da un lato, che non è indicato a quali norme comunitarie verrebbe data diretta applicazione e, dall’altro, che tale attuazione spetta alle Regioni nelle materie di loro competenza. La Regione Umbria nega, infine, che la competenza statale derivi dal fatto che la disposizione prevede la destinazione di fondi statali amministrati dal CIPE, in quanto le relative risorse spetterebbero, dopo la riforma del Titolo V, alle Regioni medesime.

7.1. ¾ Ulteriori memorie ha depositato anche l’Avvocatura dello Stato, la quale premette che la legge finanziaria, oggetto di impugnazione, «rappresenta lo strumento di decisione unitaria per il coordinamento della finanza pubblica anche – e oggi soprattutto – in relazione alla necessità di rispettare i vincoli concordati a livello europeo con il patto di stabilità».

L’Avvocatura osserva, riguardo alla censura relativa agli artt. 52, comma 83, 60, comma 1, lettera d), e 67, che la materia “agricoltura”, non più enunciata nel testo costituzionale, sarebbe confluita sotto molti aspetti nelle materie “alimentazione” (di competenza concorrente) e “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” (di competenza statale esclusiva); in secondo luogo, trattandosi in tutti questi casi di materia “coperta” dagli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato, si verterebbe nelle materie “rapporti dello Stato con l’Unione Europea” e di “perequazione delle risorse”, oggetto di legislazione statale esclusiva.

Diversamente da quanto sostenuto dalle ricorrenti, l’Avvocatura ritiene che l’art. 52, comma 83, attribuisca allo Stato il potere regolamentare limitatamente alla disciplina di aspetti che attengono alla perequazione delle risorse finanziarie [art. 117, secondo comma, lettera e)], in relazione a quanto previsto dall’art. 117 (recte: 119), quinto comma, Cost. Lo Stato, nelle aree svantaggiate dal punto di vista climatico, destinerebbe risorse aggiuntive per il concorso nel pagamento dei premi assicurativi delle produzioni e per la compartecipazione ai fondi rischi di mutualità e solidarietà. L’istituzione di fondi di mutualità e solidarietà, in quanto funzionale a tutelare l’ambiente attraverso il mantenimento delle attività agricole, sarebbe comunque riconducibile nell’ambito della materia “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, anch’essa attribuita alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.

In relazione all’art. 59, l’Avvocatura ribadisce che le previsioni in esso contenute rientrano nella materia, di competenza concorrente dello Stato, del “sostegno all’innovazione nei settori produttivi”.

Con riferimento, infine, alle censure mosse all’art. 60, comma 1, lettera d), la difesa erariale sostiene che la norma censurata rientra nelle materie oggetto di legislazione concorrente “rapporti con l’Unione europea delle Regioni” e “coordinamento della finanza pubblica e del settore tributario” (si tratta infatti di crediti di imposta ai beneficiari), in ordine alle quali lo Stato, anche in forza della propria responsabilità per l’attuazione del diritto comunitario, sarebbe abilitato a disporre norme di dettaglio cedevoli sino all’esercizio della potestà legislativa regionale e a svolgere funzioni amministrative, in via suppletiva e sussidiaria.

Considerato in diritto

1. ¾ Le Regioni Marche, Toscana, Campania, Emilia-Romagna e Umbria hanno proposto questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, di numerose disposizioni della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002).

2. ¾ Le impugnazioni relative agli artt. 52, comma 83, 59, 60, comma 1, lettera d), e 67 vengono qui trattate separatamente rispetto alle altre questioni proposte negli stessi ricorsi e, per omogeneità di materia, possono essere decise con la medesima sentenza.

3. ¾ Tutte le impugnazioni pongono, sia pure senza evocarla espressamente, la questione cruciale del rapporto tra le politiche statali di sostegno del mercato e le competenze legislative delle Regioni nel nuovo Titolo V, Parte II, della Costituzione. Specificamente, il tema su cui occorre soffermarsi in via preliminare può essere ridotto all’interrogativo se lo Stato, nell’orientare la propria azione allo sviluppo economico, disponga ancora di strumenti di intervento diretto sul mercato, o se, al contrario, le sue funzioni in materia si esauriscano nel promuovere e assecondare l’attività delle autonomie. Vera questa seconda ipotesi lo Stato dovrebbe limitarsi ad erogare fondi o disporre interventi speciali in favore di Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni, i quali sarebbero quindi da considerare come gli effettivi titolari di una delle leve più importanti della politica economica.

Per sciogliere il dilemma è necessario collocare gli interventi pubblici in un più ampio contesto sistematico. Tali interventi, quale che ne sia l’entità e quale che sia la natura delle imprese che ne beneficiano, sono qualificati nel diritto comunitario “aiuti di Stato”; coinvolgono pertanto i rapporti con l’Unione europea e incidono sulla concorrenza, la cui disciplina si articola, nell’attuale fase di integrazione sovranazionale, su due livelli: comunitario e statale.

Quanto alla Comunità, è suo principio ordinatore quello di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza (art. 4, comma 1, del Trattato CE). In conformità a tale principio la Comunità è vincolata a perseguire i fini che le sono assegnati dall’art. 2, secondo comma, dello stesso Trattato: uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche e dei sistemi di protezione sociale, la parità tra uomini e donne, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un alto grado di competitività e di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di protezione e di miglioramento della qualità dell’ambiente, del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri. I principî comunitari del mercato e della concorrenza, quindi, non sono svincolati da un’idea di sviluppo economico-sociale e sarebbe errato affermare che siano estranei alle istituzioni pubbliche compiti di intervento sul mercato. Se è vero che sono incompatibili con il mercato comune gli aiuti pubblici, sotto qualsiasi forma concessi, che falsino o minaccino di falsare la concorrenza, è altrettanto vero che le deroghe ai divieti di aiuti, regolate in principio dall’art. 87, paragrafi 2 e 3, del Trattato CE, sono a loro volta funzionali alla promozione di un mercato competitivo. Esse sono guardate con favore ed anzi propiziate dalla stessa Comunità quando appaiono orientate ad assecondare lo sviluppo economico e a promuovere la coesione sociale. Nel diritto comunitario, le regole della concorrenza non sono quindi limitate all’attività sanzionatoria della trasgressione della normativa antitrust, ma comprendono anche il regime di aiuti, riguardanti sia il campo agricolo sia gli altri settori produttivi, sui quali l’azione della Comunità è sinora in larga parte intessuta. Non è priva di valore interpretativo la sistematica del Trattato, che inserisce la disciplina degli aiuti di Stato all’interno del Titolo VI, al Capo I, rubricato “Regole di concorrenza”. Di tali regole sono anche espressione la disciplina generale di cui al regolamento CE n. 1260/99 del Consiglio del 21 giugno 1999 sui fondi strutturali, il reg. CE n. 994/98 del Consiglio del 7 maggio 1998 e il reg. CE n. 70/2001 della Commissione del 12 gennaio 2001, sugli aiuti alle piccole e medie imprese, le quali, per il ruolo determinante nella creazione di posti di lavoro, sono considerate, in sede comunitaria, fattori di stabilità sociale e di dinamismo economico e possono essere destinatarie di aiuti senza l’onere della previa notificazione alla Commissione. Similmente il reg. CE della Commissione n. 69/2001 del 12 gennaio 2001, sugli aiuti de minimis, non si discosta da una visione della concorrenza come obiettivo da promuovere: consentiti in via generale in sede comunitaria, tali aiuti sono concepiti come fattore di sviluppo da favorire anche mediante la rimozione delle procedure di autorizzazione per singoli interventi, le quali sono addirittura valutate come un inutile intralcio alla realizzazione di una più equilibrata competizione nei diversi settori produttivi.

4. ¾ Dal punto di vista del diritto interno, la nozione di concorrenza non può non riflettere quella operante in ambito comunitario, che comprende interventi regolativi, la disciplina antitrust e misure destinate a promuovere un mercato aperto e in libera concorrenza. Quando l’art. 117, secondo comma, lettera e), affida alla potestà legislativa esclusiva statale la tutela della concorrenza, non intende certo limitarne la portata ad una sola delle sue declinazioni di significato. Al contrario, proprio l’aver accorpato, nel medesimo titolo di competenza, la moneta, la tutela del risparmio e dei mercati finanziari, il sistema valutario, i sistemi tributario e contabile dello Stato, la perequazione delle risorse finanziarie e, appunto, la tutela della concorrenza, rende palese che quest’ultima costituisce una delle leve della politica economica statale e pertanto non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell’accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali.

Una volta riconosciuto che la nozione di tutela della concorrenza abbraccia nel loro complesso i rapporti concorrenziali sul mercato e non esclude interventi promozionali dello Stato, si deve tuttavia precisare che una dilatazione massima di tale competenza, che non presenta i caratteri di una materia di estensione certa, ma quelli di una funzione esercitabile sui più diversi oggetti, rischierebbe di vanificare lo schema di riparto dell’art. 117 Cost., che vede attribuite alla potestà legislativa residuale e concorrente delle Regioni materie la cui disciplina incide innegabilmente sullo sviluppo economico. Si tratta allora di stabilire fino a qual punto la riserva allo Stato della predetta competenza trasversale sia in sintonia con l’ampliamento delle attribuzioni regionali disposto dalla revisione del Titolo V. E’ il criterio sistematico che occorre utilizzare al fine di tracciare la linea di confine tra il principio autonomistico e quello della riserva allo Stato della tutela della concorrenza.

In tale prospettiva, proprio l’inclusione di questa competenza statale nella lettera e) dell’art. 117, secondo comma, Cost., evidenzia l’intendimento del legislatore costituzionale del 2001 di unificare in capo allo Stato strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell’intero Paese; strumenti che, in definitiva, esprimono un carattere unitario e, interpretati gli uni per mezzo degli altri, risultano tutti finalizzati ad equilibrare il volume di risorse finanziarie inserite nel circuito economico. L’intervento statale si giustifica, dunque, per la sua rilevanza macroeconomica: solo in tale quadro è mantenuta allo Stato la facoltà di adottare sia specifiche misure di rilevante entità, sia regimi di aiuto ammessi dall’ordinamento comunitario (fra i quali gli aiuti de minimis), purché siano in ogni caso idonei, quanto ad accessibilità a tutti gli operatori ed impatto complessivo, ad incidere sull’equilibrio economico generale.

Appartengono, invece, alla competenza legislativa concorrente o residuale delle Regioni gli interventi sintonizzati sulla realtà produttiva regionale tali comunque da non creare ostacolo alla libera circolazione delle persone e delle cose fra le Regioni e da non limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale (art. 120, primo comma, Cost.). Non può essere trascurato che sullo sfondo degli aiuti pubblici alle imprese vi è la figura dell’imprenditore con le relative situazioni di libertà di iniziativa economica, che postulano eguali chances di accesso al mercato e, nell’ipotesi di aiuti pubblici, standard minimi di sostegno.

Ad un riparto di funzioni non dissimile da quello appena delineato è ispirata, del resto, la disciplina attualmente vigente sull’amministrazione del patrimonio e contabilità dello Stato (legge 5 agosto 1978, n. 468 “Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio”). L’art. 3 di tale legge, sotto la rubrica “documento di programmazione economico-finanziaria”, configura come interventi propri dello Stato solo quelli che riguardano obiettivi macroeconomici, con particolare riferimento allo sviluppo del reddito e dell’occupazione, giacché solo a livello statale i grandi aggregati dell’economia nazionale possono essere orientati verso la stabilità e insieme la crescita. La lettera i-ter) dell’art. 11, terzo comma, introdotta dalla legge 25 giugno 1999, n. 208, nel confermare che nella legge finanziaria possono essere contenute norme che comportano aumenti di spesa o riduzioni di entrata finalizzate direttamente al sostegno o al rilancio dell’economia, esclude, invece, che riguardino la programmazione economico-finanziaria dello Stato interventi di carattere localistico o microsettoriale e quindi non qualificabili come macroeconomici.

4.1. ¾ Non rientra nelle competenze di questa Corte la valutazione della correttezza economica delle scelte del legislatore, stabilire cioè se un intervento abbia effetti così rilevanti sull’economia da trascendere l’ambito regionale. Tali scelte, tuttavia, non possono sottrarsi ad un controllo di costituzionalità diretto a verificare che i loro presupposti non siano manifestamente irrazionali e che gli strumenti di intervento siano disposti in una relazione ragionevole e proporzionata rispetto agli obiettivi attesi. Quando venga in considerazione il titolo di competenza funzionale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che non definisce ambiti oggettivamente delimitabili, ma interferisce con molteplici attribuzioni delle Regioni, è la stessa conformità dell’intervento statale al riparto costituzionale delle competenze a dipendere strettamente dalla ragionevolezza della previsione legislativa. Ove sia dimostrabile la congruità dello strumento utilizzato rispetto al fine di rendere attivi i fattori determinanti dell’equilibrio economico generale, la competenza legislativa dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), non potrà essere negata.

E’ sulla base di questo criterio di giudizio che si deve procedere all’esame delle singole questioni.

5. ¾ Le Regioni Marche e Umbria hanno proposto ricorso, in riferimento agli artt. 117, sesto comma, e 118 Cost., avverso l’art. 52, comma 83, della legge n. 448 del 2001, il quale, nel modificare l’ultimo periodo dell’art. 127, comma 2, della legge 22 dicembre 2000, n. 388, prevede il concorso dello Stato nella costituzione e nella dotazione annuale del fondo di mutualità e solidarietà per i rischi in agricoltura; dispone che le modalità operative e gestionali del fondo sono stabilite con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni e che entro il 31 maggio di ogni anno il Ministro, sempre d’intesa con la Conferenza, con proprio decreto stabilisce la quota di stanziamento per la copertura dei rischi agricoli da destinare alle azioni di mutualità e solidarietà. Le ricorrenti lamentano l’attribuzione al Ministro di un potere regolamentare in una materia che non sarebbe qualificabile come di competenza esclusiva dello Stato, con violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost. Sotto un diverso profilo si censura il fatto che verrebbero attribuite allo Stato funzioni amministrative senza che ricorrano le esigenze di esercizio unitario di cui all’art. 118 Cost.

5.1. ¾ La questione non è fondata.

In base alla disposizione in esame lo Stato destina risorse per il concorso nel pagamento dei premi assicurativi delle produzioni e per la compartecipazione ai fondi rischi di mutualità e solidarietà che i consorzi di difesa, le cooperative agricole ed i consorzi di cooperative agricole possono istituire per il risarcimento dei danni da avversità atmosferiche sulle produzioni agricole degli associati. Si tratta di una disciplina che, in coerenza con orientamenti comunitari di politica agricola (Trattato CE, artt. 32-38; orientamento 1/2/2000, paragrafo 4), favorisce la costituzione di consorzi di coassicurazione (o di co-riassicurazione) destinati a fare fronte a rischi che possono essere difficilmente garantiti per la loro dimensione, rarità o novità e pertanto è diretta a sostenere il livello degli investimenti nel settore agricolo e la sua competitività, attraverso la riduzione dei costi relativi ad eventi calamitosi occorsi su qualunque parte del territorio nazionale. Proprio la destinazione della misura a tutte le imprese operanti a livello nazionale, e insieme la finalità evidente di stimolare la propensione agli investimenti e l’espansione del mercato di settore, rappresentano indici dell’attinenza dell’intervento alla funzione di stabilizzazione macroeconomica propria dello Stato e della sua riconducibilità alla materia “tutela della concorrenza”, nel suo profilo dinamico e promozionale.

Chiarito che si versa in materia di competenza legislativa esclusiva statale, l’attribuzione al Ministro delle politiche agricole e forestali della potestà regolamentare al fine di disciplinare le modalità operative e gestionali del fondo risulta conforme al riparto delineato nel sesto comma dell’articolo 117 Cost. e si sottrae pertanto alle censure regionali.

Anche la questione sollevata in riferimento all’art. 118 Cost. non può trovare accoglimento. L’affidamento al Ministro delle politiche agricole del potere di determinare annualmente le quote di stanziamento del fondo di mutualità trova giustificazione, infatti, proprio nella necessità di riservare allo Stato la gestione concreta della misura affinché possa corrispondere efficacemente agli obiettivi di politica economica che la legge statale assegna ad essa.

6. ¾ La Regione Emilia-Romagna ha denunciato, in riferimento agli artt. 117 e 119 Cost., l’art. 59 della legge n. 448 del 2001, il quale dispone un aumento, pari a 1,50 milioni di euro per l’anno 2002 e ad 1 milione di euro per l’anno 2003, dello stanziamento (di lire 110 miliardi) già previsto dall’art. 103, comma 6, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, per la concessione di contributi in conto capitale nei limiti degli aiuti de minimis per il settore produttivo tessile, dell’abbigliamento e calzaturiero, finalizzando tali somme alla realizzazione di progetti consortili adottati da enti pubblici o da soggetti privati per la formazione e la valorizzazione degli stilisti.

Secondo la ricorrente l’intervento previsto dalla disposizione impugnata contrasterebbe con l’art. 117 Cost. in quanto riconducibile a materie, quali “industria” e “formazione professionale”, estranee all’elenco delle competenze legislative statali e delle competenze concorrenti. Ma anche se si volesse ascrivere la disciplina statale alla materia, di potestà concorrente, del “sostegno all’innovazione per i settori produttivi”, l’art. 59 sarebbe comunque incostituzionale, non essendosi limitato alla determinazione dei principî fondamentali della materia, ma avendo, al contrario, posto una disciplina di minuto dettaglio. Risulterebbe violato anche l’art. 119 Cost., dal momento che lo stanziamento previsto dalla norma censurata sarebbe «sottratto al trasferimento alle Regioni, a copertura delle loro funzioni ordinarie».

6.1. ¾ La questione non è fondata.

Per comprendere appieno la portata della disposizione è necessario richiamare il contenuto dell’art. 103 della legge n. 388 del 2000 (legge finanziaria per il 2001), collocato nel Capo XVI sotto la rubrica “Disposizioni per agevolare l’innovazione“. Esso prevede, al comma 5, che “per il settore produttivo tessile, dell’abbigliamento e calzaturiero, il Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato adotta specifiche misure per la concessione di contributi in conto capitale nei limiti degli aiuti de minimis”. La disciplina quadro di tale finanziamento è dettata dal comma 6 dello stesso art. 103, secondo cui “alla selezione delle iniziative finanziabili ai sensi del comma 5 si provvede tramite bandi pubblici, nei quali sono indicate le tipologie dei soggetti destinatari degli interventi, con priorità verso forme associative e consortili tra piccole e medie imprese, mirando a favorire iniziative comuni delle stesse, nonché le spese ammissibili e le misure delle agevolazioni”. La gestione dei suddetti interventi, dispone ancora il comma 6, è attribuita al Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato, il quale a tal fine “può avvalersi, sulla base di apposite convenzioni, di enti pubblici, ovvero di altri soggetti individuati con le procedure di cui all’art. 3, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123”. Infine, la disposizione in esame prevede appunto che per gli “interventi di cui al comma 5 è conferita al fondo di cui all’art. 14 della legge 17 febbraio 1982, n. 46, la somma di lire 110 miliardi per ciascuno degli anni 2002 e 2003, di cui lire 80 miliardi per la concessione di crediti di imposta e lire 30 miliardi per contributi in conto capitale”.

La normativa appena illustrata è connessa alla disciplina comunitaria in tema di aiuti de minimis e, segnatamente, al reg. CE n. 69/2001 della Commissione, del 12 gennaio 2001. Sono aiuti che ogni Stato membro può concedere ad imprese di qualsiasi settore [ad eccezione di talune specifiche ipotesi previste dalle lettere a), b) e c), dell’art. 1 del reg. n. 69/2001] che non possono superare, su un periodo di tre anni, l’importo complessivo di 100.000 euro per ciascuna impresa (art. 2 del citato regolamento). Se contenuto entro questi limiti, l’aiuto è considerato, con valutazione generale, non lesivo del divieto di cui all’art. 87, paragrafo 1, del Trattato CE e, come tale, non soggetto all’obbligo di notifica previsto dal successivo art. 88, paragrafo 3.

6.2. ¾ L’art. 59 della legge n. 448 del 2001 è censurato dunque sul presupposto che allo Stato non sarebbe consentito alcun intervento diretto a sostegno delle imprese e della produzione, in quanto materia riservata alla potestà legislativa regionale residuale o, tutt’al più, rientrante nella competenza concorrente del “sostegno all’innovazione per i settori produttivi”.

L’assunto della Regione, nella sua assolutezza, non può essere condiviso, poiché lo Stato, lungi dall’essere privo della potestà di intervenire sul mercato con proprie misure, è titolare, in astratto, nei termini ed entro i limiti sopra precisati, di una specifica competenza in materia di aiuti che risulta dal congiunto operare delle lettere a) ed e) del secondo comma dell’art. 117 Cost.

Misure di sostegno alle imprese che, singolarmente considerate, possono apparire di entità tale da non trascendere l’ambito regionale, viste nel loro insieme sono suscettibili di assumere rilevanza sul piano macroeconomico e di superare lo scrutinio di costituzionalità. Nella fattispecie, a parte il rilievo che assumono, nel sistema produttivo nazionale, i settori di riferimento (calzaturiero, abbigliamento e tessile), ciò che di per sé non esclude la competenza regionale, è possibile riconoscere indici della dimensione macroeconomica dell’intervento sia nel fatto che gli aiuti sono estesi all’intero territorio nazionale ed accessibili, su base concorsuale, a tutti gli operatori dei settori interessati, quindi non limitati a questa o quella particolare zona di produzione; sia nella circostanza che le misure medesime sono destinate ad agire simultaneamente, senza che tra un aiuto e l’altro vi siano discontinuità temporali e territoriali che ne attenuino l’impatto sull’economia nazionale.

Corrobora l’esito di siffatta verifica anche la considerazione che l’intervento statale previsto dalla disposizione censurata viene a realizzarsi a carico del “Fondo speciale rotativo per l’innovazione tecnologica”, di cui all’art. 14 della legge n. 46 del 1982 e cioè di quel fondo con la cui istituzione e riserva di gestione allo Stato il legislatore, come questa Corte ha avuto modo di rilevare, si è prefisso “obiettivi di politica economica che, inquadrando gli specifici interventi in una cornice complessivamente unitaria, garantiscano l’eguaglianza delle condizioni a tutte le piccole imprese, con una manovra di sostegno mirata ad uno sviluppo equilibrato del sistema produttivo nazionale, per assicurargli competitività in vista della realizzazione del mercato unico europeo”; senza peraltro disconoscere alle Regioni la possibilità di effettuare interventi finanziari aggiuntivi a sostegno delle imprese operanti nel loro territorio (sentenza n. 427 del 1992).

L’art. 117 Cost. e il tipo di riparto di funzioni fra Stato e Regioni sopra delineato si pone, del resto, in linea di continuità con quanto era già previsto dal d.lgs. n. 112 del 1998. Chiamato dalla legge 15 marzo 1997, n. 59 a realizzare l’ampliamento delle autonomie nella misura massima consentita dalle norme costituzionali allora vigenti, il legislatore delegato del 1998, impiegando la versatile figura organizzativa del conferimento, che può combinare trasferimento di funzioni e delega (sentenza n. 408 del 1998), ha ridotto l’ambito delle funzioni statali fino al minimo ipotizzabile, conferendo alle Regioni tutte le funzioni amministrative statali concernenti la materia dell’industria e in particolare quelle “inerenti alla concessione di agevolazioni, contributi, sovvenzioni, incentivi e benefici di qualsiasi genere” (art. 19, comma 2). E’ stato tuttavia mantenuto in capo allo Stato il potere di adottare misure in taluni settori rilevanti o strategici dell’economia nazionale, e tra queste anche la gestione del predetto fondo (art. 18, lettera q), rendendo in tal modo evidente l’obiettivo di conservare allo Stato scelte fondamentali di politica economica.

Il processo avviato dal d.lgs. n. 112 del 1998 nel volgere di breve tempo ha propiziato la formulazione della lettera e) dell’art. 117, secondo comma, Cost., la quale è anch’essa il prodotto di quella medesima tendenza all’ampliamento delle autonomie, da cui non era però disgiunta la preoccupazione di preservare significativi ambiti di indirizzo statale in campo economico. Di tale indirizzo è espressione la disposizione censurata, la quale interseca le competenze regionali senza violarle. Nell’esercizio delle loro attribuzioni, infatti, le Regioni, come era ad esse già del resto consentito dall’art. 19 del d.lgs. n. 112 del 1998, ben potranno intervenire con misure (non esclusa la concessione di aiuti de minimis, secondo la normativa comunitaria) calibrate sul proprio ambito territoriale per incentivare lo sviluppo economico.

6.3. ¾ Alla luce delle argomentazioni che precedono appare chiaro, infine, che nessun vulnus è arrecato all’art. 119 Cost., giacché lo stanziamento previsto dall’art. 59 denunciato non viene sottratto al trasferimento alle Regioni, a copertura delle loro funzioni ordinarie, ma è attinto dalla finanza statale per l’esercizio di una competenza propria dello Stato.

7. ¾ Le Regioni Marche, Toscana, Campania ed Umbria hanno impugnato, in riferimento agli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost., l’art. 60, comma 1, lettera d), della medesima legge n. 448 del 2001, nella parte in cui prevede che spetti al Ministro delle politiche agricole e forestali, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, individuare le tipologie degli investimenti per le imprese agricole, nonché per quelle della prima trasformazione e commercializzazione ammesse agli aiuti, in osservanza dell’art. 17 del d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228 e di quanto previsto dal piano di sviluppo rurale di cui al reg. CE n. 1257/1999.

Secondo le ricorrenti la disposizione in oggetto occuperebbe un ambito materiale riservato alla legislazione residuale delle Regioni. Le Regioni Marche, Toscana ed Umbria lamentano inoltre che, in materia non ascrivibile alla potestà legislativa esclusiva statale, sarebbe stato attribuito al Ministro un potere regolamentare, con violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost. Quand’anche si volesse ritenere che il conferimento al Ministro del potere di determinare le tipologie di investimento costituisca manifestazione di una funzione amministrativa e non normativa, si argomenta infine nel ricorso della Regione Marche, sarebbe comunque violato l’art. 118 Cost., poiché tale conferimento non potrebbe essere fondato su esigenze di esercizio unitario, né di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

7.1. ¾ La questione non è fondata.

Per renderne ragione è sufficiente una sommaria ricognizione della cornice normativa entro la quale la disposizione impugnata, che aggiunge il comma 7-bis all’art. 8 della legge n. 388 del 2000, si inseriva al momento della sua entrata in vigore. Nell’art. 8, nel testo all’epoca vigente, sotto la rubrica “Agevolazione per gli investimenti nelle aree svantaggiate”, si stabiliva, al primo comma, che ai soggetti titolari di reddito di impresa, esclusi gli enti non commerciali i quali, a decorrere dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2000 e fino alla chiusura del periodo di imposta in corso alla data del 31 dicembre 2006, effettuano nuovi investimenti nelle aree territoriali individuate dalla Commissione CE come destinatarie di aiuti a finalità regionale di cui alle deroghe previste dall’art. 87, paragrafo 3, lettere a) e c), del Trattato CE, fosse attribuito un credito di imposta, entro la misura massima consentita, nel rispetto dei criteri e dei limiti di intensità di aiuto stabiliti dalla predetta Commissione. La disposizione impugnata include espressamente tra i beneficiari le imprese operanti nel settore agricolo e specificamente quelle di trasformazione e commercializzazione dei prodotti.

Beneficiari dell’aiuto non sono quindi le imprese che hanno stabilimento in determinate Regioni, ma tutti i soggetti titolari di reddito di impresa nell’ipotesi in cui si risolvano a trasferire o impiantare in determinate aree attività di trasformazione e commercializzazione dei prodotti. E’ chiaro l’intendimento di favorire, attraverso lo strumento fiscale del credito d’imposta, la riallocazione dei fattori produttivi sul territorio nazionale, così da renderne beneficiarie aree geografiche economicamente svantaggiate e meno produttive: finalità, questa, che presuppone una visione generale delle condizioni del mercato agricolo e la capacità di adottare misure la cui efficacia si estenda simultaneamente all’intero settore. Anche la considerevole entità degli aiuti (1.725 milioni di euro per il solo 2003) che, con le successive modifiche della legge n. 388 del 2000 (in particolare, decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 2002, n. 178) sono stati destinati al riequilibrio territoriale testimonia del non irragionevole intendimento del legislatore di agire sui grandi aggregati dell’economia.

La disposizione denunciata si fonda quindi sulle competenze statali previste dalla lettera e) del secondo comma dell’art. 117 Cost., che, come si è già rilevato, non possono essere isolate una dall’altra ma sono unificate finalisticamente dalla ratio di mantenere in capo allo Stato un’ampia gamma di interventi capaci di incidere sulle principali variabili del sistema economico.

8. ¾ Le Regioni Marche, Toscana, Emilia-Romagna ed Umbria censurano infine, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 Cost., l’art. 67 della legge n. 448 del 2001. Secondo le ricorrenti, tale norma regola una materia assegnata alla potestà legislativa residuale delle Regioni. La Regione Marche lamenta, inoltre, che essa, nella parte in cui attribuisce all’amministrazione statale un’attività di programmazione negoziata in agricoltura, disattenderebbe il criterio di riparto delle funzioni amministrative previsto dall’art. 118 Cost. Si aggiunge nei ricorsi delle Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Umbria che, in una materia di competenza regionale qual è l’agricoltura, il rispetto delle competenze regionali avrebbe imposto il trasferimento delle risorse finanziarie disponibili alle Regioni, alle quali sarebbe poi spettato disciplinare la procedura per l’erogazione delle risorse agli aventi diritto.

8.1. ¾ La questione non è fondata.

La disposizione oggetto di impugnazione destina al finanziamento di nuovi patti territoriali e contratti di programma riguardanti il settore agroalimentare e della pesca i finanziamenti revocati dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) ad iniziative di programmazione negoziata nel settore medesimo. Nel comma 2 si chiarisce che con decreto del Ministro per le attività produttive, di concerto con il Ministro delle politiche agricole e forestali, sono predisposti contratti di programma ed emanati bandi di gara per patti territoriali, attivabili e finanziabili su tutto il territorio nazionale previa delibera del CIPE secondo gli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato per l’agricoltura, nei limiti delle risorse rese disponibili attraverso le revoche di cui al comma 1.

La peculiarità delle iniziative promosse dallo Stato è che i relativi contratti di programma e i patti territoriali si riferiscono all’intero territorio nazionale, nei limiti e nella misura in cui ciò sia reso possibile dalla disciplina comunitaria. Tali iniziative sono infatti inserite nel quadro complessivo della programmazione comunitaria degli aiuti con finalità di coesione economico-sociale, coinvolgono i rapporti dello Stato con l’Unione europea e richiedono una visione degli assetti del mercato nazionale, del quale sono intese a rafforzare l’efficienza. Con esse vengono poste in competizione, insieme alle imprese che sono coinvolte nell’attività programmatoria, le stesse Regioni e gli enti locali che se ne devono fare promotori. Consente di ascrivere l’intervento alle funzioni legislative statali di cui alla lettera e) dell’art. 117, secondo comma, Cost., e segnatamente alla tutela della concorrenza, nel senso dinamico di cui si è detto, e alla perequazione delle risorse finanziarie, proprio la non irragionevolezza dell’obiettivo di rendere attivi i fattori della produzione su scala nazionale e di accrescere in tal modo la competitività complessiva del sistema. Tale obiettivo è infatti perseguito dal legislatore attraverso una strumentazione programmatoria diretta a favorire una trama di processi localizzati di sviluppo, provvisti, in virtù del loro congiunto realizzarsi, di un plusvalore sistematico.

Non rileva ai fini della presente decisione il fatto che, successivamente, sotto la spinta di istanze autonomistiche, i finanziamenti revocati dal CIPE debbano essere utilizzati obbligatoriamente all’interno del territorio regionale e non più sull’intero territorio nazionale (delibera CIPE 25 luglio 2003, n. 26/2003, adottata sulla base degli artt. 60 e 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e a seguito di accordo in sede di Conferenza unificata del 15 aprile 2003 per il coordinamento della regionalizzazione degli strumenti di sviluppo locale). Con tale nuova disciplina lo Stato ha scelto di non più esercitare in questa materia quella funzione di riequilibrio generale di cui la disposizione censurata era espressione, senza che ciò comporti l’illegittimità della precedente opzione legislativa.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservate a separate decisioni le restanti questioni di legittimità costituzionale della legge 28 dicembre 2001, n. 448, sollevate dalle Regioni Marche, Toscana, Campania, Emilia-Romagna e Umbria con i ricorsi indicati in epigrafe;

riuniti i giudizi,

1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 52, comma 83, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002), sollevata, in riferimento agli articoli 117, quarto e sesto comma, e 118 della Costituzione, dalla Regione Marche e, in riferimento agli articoli 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Umbria, con i ricorsi indicati in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 59 della medesima legge n. 448 del 2001, sollevata, in riferimento agli articoli 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 60, comma 1, lettera d), della stessa legge n. 448 del 2001, sollevata, in riferimento agli articoli 117, quarto e sesto comma, della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Umbria, in riferimento agli articoli 117, quarto e sesto comma, e 118 della Costituzione, dalla Regione Marche, e, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, dalla Regione Campania, con i ricorsi indicati in epigrafe;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 67 della predetta legge n. 448 del 2001, sollevata, in riferimento agli articoli 117, quarto comma, e 118 della Costituzione, dalla Regione Marche e, in riferimento agli articoli 117 e 119 della Costituzione, dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Umbria, con i ricorsi indicati in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 2003.

Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2004.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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