Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 12-05-2011) 21-10-2011, n. 38127 Responsabilità del medico e dell’esercente professioni sanitarie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 6/4/2009 il Tribunale di Cagliari condannava G.I. alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione per il reato di cui all’art. 589 cod. pen., omicidio colposo in danno del paziente D.F.D. (decesso in (OMISSIS)). All’imputato veniva addebitato che, in qualità di anestesista presso l’Ospedale (OMISSIS), non aveva preveduto le difficoltà di intubazione tracheale del D. F., il quale doveva essere sottoposto ad un intervento di chirurgia laringea; inoltre, dopo avere praticato l’anestesia, a fronte della constatata non intubabilità del paziente, ometteva di adottare tempestivi ed idonei presidi alternativi per assicurare la ventilazione e l’ossigenazione del paziente, quali la maschera laringea e l’agocannula per la puntura crico-tiroidea ed il set per la cricotidotomia cutanea, così determinando una grave ipossia al paziente che ne determinava il decesso dopo cinque giorni di coma.

Osservava il Tribunale che la condotta del G., come pure quella del chirurgo A.C., che aveva ritardato la tracheotomia d’urgenza, era stata connotata da grave colpa professionale. Invero:

– il paziente, di anni 63, era stato ricoverato in data 7/1/2004 presso il nosocomio per essere sottoposto ad un intervento di rimozione di una cisti laringea che gli provocava un persistente disfonia;

– nel 2003 gli accertamenti svolti avevano accertato che il D. F. pativa una faringite cronica con sospetto laringocele con ingravescenza; pertanto era stato fissato intervento di rimozione per il 7/l/2004;

– i dott. G. aveva effettuato la visita pre-anestesiologica lo stesso giorno dell’intervanto, senza rilevare difficoltà all’intubazione;

– alle ore 11.00 il paziente era stato portato in sala operatoria e sottoposto ad anestesia alle ore 11.15;

– dopo la somministrazione dei farmaci, la dott.ssa F. aveva rilevato difficoltà di intubazione tracheale (in paziente sovrappeso e con glottide non perfettamente visibile);

– quindi senza nemmeno tentare di inserire la cannula, aveva invitato il G. ad effettuare la manovra. Questi aveva cercato di ventilare con la maschera ed il pallone "va e vieni", ma senza utile risultato, tanto vero che la saturazione dell’ossigeno scendeva progressivamente;

– il G. aveva tentato vanamente di intubare il D.F. cambiando le cannule e le maschere da apporre sul viso, ma la situazione andava sempre peggiorando; inoltre, ritenendo di trovarsi di fronte ad un broncospasmo, aveva somministro del Ventolin;

– chiesto l’intervento del chirurgo A. per una immediata tracheotomia, questi aveva risposto negativamente, invitando gli anestesisti a svegliare il paziente;

– a fronte dell’impossibilità del risveglio, per la massiccia dose di curaro iniettata, alle ore 11.45 veniva effettuato l’intervento chirurgico ad opera di altro chirurgo, il dott. P.Z., che evitava il decesso del paziente che però rimaneva in coma;

– il progressivo deterioramento delle condizioni derivanti dalla prolungata ipossia lo conduceva a morte, per arresto cardiocircolatorio, alle ore 22.30 del 13/1/2004. Sulla base di tale ricostruzione dei fatti e valutata la gravità della negligente condotta del G., il Tribunale pronunciava la sua condanna.

L’imputato ed il Responsabile Civile A.S.L. n. (OMISSIS), venivano inoltre condannati al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili ed al pagamento di provvisionali immediatamente esecutive.

Con sentenza del 26/10/2010 la Corte di Appello di Cagliari confermava la pronuncia di condanna. Osservava la Corte che effettivamente la condotta del G., sia prima dell’intervento che nel suo corso, era stata connotata da grave negligenza ed imperizia ed era legata eziologicamente alla morte del paziente.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, nonchè il responsabile civile. L’imputato G. ha lamentato:

2.1. la violazione del principio di correlazione, in quanto chiamato a giudizio per un fatto commesso con condotta colposa indipendente, si era trovato condannato per cooperazione colposa ed in particolare per colpa di equipe, venendo così posta a suo carico anche la colpa dell’otorino;

2.2. la erronea applicazione della legge penale e la insufficiente motivazione in relazione alla affermata sussistenza del nesso causale. Invero la corte di merito non aveva tenuto conto delle emergenze istruttorie da cui poteva rilevarsi che la mancata intubazione non era dipesa da malformazioni fisiche, nè dalle caratteristiche della patologia in atto, tanto vero che la cisti venne riscontrata essere di dimensioni invariate rispetto a quella evidenziatasi nel giugno 2003; inoltre già ad oltre 24 ore dall’anestesia, il lume laringeo si presentava ancora ostruito.

Nessun errore diagnostico quindi vi era stato, considerato che il paziente non era obeso, il collo non era corto e l’indice Mallampati era normale e quindi la difficoltà di intubazione non era prevedibile.

La scelta della tecnica operatoria è dell’otorino, pertanto se questi opta di operare in laringoscopia mediante accesso sovraglottico, l’anestesia non può che essere totale. L’anestesista non poteva contestare la scelta, ma fare affidamento su di essa.

Quanto alle conseguenze della mancata intubazione, determinata da cause tuttora non indagate, la corte non aveva rilevato che nonostante ciò il paziente era stato sufficientemente ventilato, tanto vero che al momento dell’affidamento all’otorino per la tracheotomia, l’indice di saturazione dell’ossigeno era ancora all’ 80%; solo la sopravvenuta non prevedibile impossibilità di ventilare a sufficienza il paziente, aveva determinato il degenerare della situazione. Il G. aveva fatto una tempestiva richiesta di accesso tracheale rapido al chirurgo, l’utilizzo di altre tecniche sarebbe stato insufficiente. In sostanza la causa dell’exitus andava ricercata nella condotta dell’otorino che aveva effettuato l’intervento con ritardo.

2.3. La mancata assunzione di una prova decisiva, ossia una perizia medica al fine di accertare le effettive cause del decesso e l’eziologia della ostruzione del lume laringeo. 3. Per il responsabile civile, USL n. 8 di Cagliari :

3.1. la erronea applicazione della legge penale ed il difetto di motivazione in ordine alla riconosciuta sussistenza della colpa professione, del nesso causale ed all’omesso riconoscimento della sussistenza di un fattore causale sopravvenuto eccezionale che aveva determinato l’evento. In particolare: A) la corte di merito non aveva valutato adeguatamente che nessun elemento probatorio consentiva di sostenere che il laringocele diagnosticato nel giugno 2003 fosse aumentato di dimensioni nel gennaio 2004; infatti sul paziente non era stata espletata alcuna autopsia e la TAC eseguita sul il 9/1/2004, giorno successivo all’intervento, aveva rivelato solo un lieve incremento della tumefazione, che secondo le parole del C.T. del P.M., non era possibile attribuire alla evoluzione della malattia, piuttosto che ai falliti tentativi di intubazione. Peraltro l’otorino che aveva visitato il paziente in fase preoperatoria aveva tracciato un quadro clinico tranquillizzante. B) Nessuna attribuzione di negligenza poteva, inoltre, essere formulata sulla base della presenza di un indice di Mallampati con parametro 2-3. Infatti tale indice non identifica uno stato di intubazione difficoltosa, in quanto è un indice a bassa specificità. C) quanto alla possibilità di una condotta anestesiologica differente, la erogazione di curaro depolarizzante non avrebbe escluso la insorgenza della ipossiemia come esposto dai periti. L’efficienza di altri presidi alternativi quali la maschera laringea, l’agocannula e la puntura della membrana crico-tiroidea per cutanea con set specifico, per stessa ammissione dei C.T. e del perito sarebbero stati insufficienti, in quanto l’unico rimedio idoneo era l’accesso sottoglottico. D) Anche a voler ritenere presenti profili di colpa a carico del G., in ogni caso non sussisteva alcun nesso causale tra la condotta del G. e l’evento, in quanto la causa della morte del paziente era da ricercare nella esclusiva condotta del chirurgo otorino A., che aveva serbato un atteggiamento particolarmente ingannevole. Infatti sebbene sollecitato alla tracheotomia, egli non si era rifiutato di compierla, ma aveva temporeggiato, inducendo a far credere che l’intervento fosse imminente, mentre invece con ritardo aveva fatto effettuare l’intervento al primario del reparto. Nel momento in cui il G. aveva affidato il paziente al chirurgo, quest’ultimo aveva preso in carico la correlata posizione di garanzia; pertanto la sua negligente condotta doveva ritenersi unica causa della morte del D. F..

4. Con memoria depositata il 12/4/2011 le parti civili hanno chiesto il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

5. Il ricorso è inammissibile in quanto le censure formulate sono in parte manifestamente infondate e, per altra parte, di merito, in quanto invitano ad una alternativa ricostruzione della vicenda, a fronte di un motivazione della sentenza di appello connotata da coerenza e non manifesta illogicità. 5.1. In ordine alla lamentata violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, va premesso che questa Corte di legittimità ha precisato che "per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione" (Cass. Sez. Un. Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010 Ud. (dep. 13/10/2010), Carelli, Rv. 248051; conf., Cass. Sez. 4, Sentenza n. 10103 del 15/01/2007 Ud. (dep. 09/03/2007), Granata, Rv. 236099; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 41663 del 25/10/2005 Ud. (dep. 21/11/2005), Cannizzo, Rv. 232423; Sez. 6, Sentenza n. 36003 del 14/06/2004 Ud. (dep. 07/09/2004), Di Bartolo, Rv. 229756).

Nel caso di specie, però, nessun mutamento si è realizzato; ha osservato correttamente il giudice di merito che le due condotte, dell’anestesista e dell’otorino, erano state valutate separatamente in ragione delle differenti omissioni commesse e dei diversi profili di colpa, anche se, tenuto conto del contesto della vicenda, esse si erano consumate in immediata successione temporanea ed, in parte sovrapponendosi. Ne consegue da quanto detto che l’imputato è stato giudicato per la contestazione elevatagli ed in ogni caso ha avuto tutta la possibilità di difendersi su una tematica (il concorso di cause indipendenti relativa a sanitari che dovevano occuparsi del medesimo paziente) che si è delineata nel corso dello sviluppo del dibattimento. Ne consegue che la censura formulata è manifestamente infondata.

5.2. In ordine alla affermazione della penale responsabilità dell’imputato, la Corte di merito ha individuato la violazione delle regole cautelari e dell’arte medica che avevano determinato l’evento.

In particolare:

– il G. si era limitato ad effettuare una visita pre anestesiologica del D.F. solo la mattina dell’intervento, senza alcun approfondimento;

– invece le condizioni generali del paziente, ed in particolare la sua patologia, l’obesità, la disfonia, l’asma ed le altre carenze respiratorie dovevano indurre a ritenere prevedibile una difficoltà di intubazione (Mallapati 2-3);

– il D.F. era stato sottoposto nel giugno 2003 ad accertamenti diagnostici che avevano evidenziato un laringocele;

poichè tale patologia è ingravescente e destinata a far aumentare il suo volume, l’anestesista non si sarebbe dovuto limitare ad un mero esame obiettivo, ma avrebbe dovuto effettuare un rivalutazione anestesiologica più approfondita, con eventuale TAC;

– tali accertamenti preventivi si imponevano, soprattutto tenendo conto del fatto che tutti gli altri sintomi deponevano per un aumento del laringocele con conseguente prevedibilità di una impossibilità o difficoltà di intubazione;

– della difficoltà avrebbe consigliato di effettuare l’anestesia con altri farmaci, come ad es. la succinilcolina, curaro depolarizzante, idoneo a consentire una ripresa più rapida del tono muscolare, così da evitare l’ipossiemia; oppure effettuare una anestesia locale;

– quanto alla sua condotta nel corso dell’intervento, il G., a fronte della difficoltà di intubazione, aveva omesso di adottare presidi per un accesso rapido alle vie aeree, come il passaggio dalla maschera facciale a quella laringea, oppure la ventilazione trans tracheale, attuabile con un puntura della membrana cricotiroidea o tracheotomia;

– il ritardo di oltre venti minuti, con il paziente non ossigenato, della richiesta di tracheotomia e la sua inerzia anche a fronte delle resistenze del chirurgo A. ad eseguire l’intervento (poi eseguito dal dott. P.Z.), avevano creato le condizioni irreversibili per il successivo decesso del paziente.

Ne ha dedotto la Corte di merito che le condotte negligenti erano state causa dell’evento unitamente alla condotta attendista del chirurgo A. (condannato in via definitiva con rito abbreviato).

In particolare ha considerato la Corte che: a) il G. era sicuramente titolare di una posizione di garanzia e che questa non era venuta meno con la richiesta di tracheotomia rivolta al chirurgo, in quanto per la rianimazione del paziente egli era il primo garante e non poteva fare affidamento sulle vantazioni del chirurgo, avendo questi minore specializzazione in materia; b) dagli atti processuali non emergeva alcuna causa sopravvenuta idonea da sola a determinare l’evento, considerato che le condotte dei sanitari, diversi dall’anestesista e del chirurgo A., erano state valutate e ritenute irreprensibili; d) la colpa dell’imputato era stata correttamente individuata nella negligenza con cui erano stati effettuati gli accertamenti pre anestesiologici e la grave imperizia mostrata nel corso dell’intervento, tutto ciò a fronte di una difficoltà di intubazione prevedibile in concreto; la tenuta del comportamento alterativo lecito avrebbe evitato l’evento con alto grado di probabilità statistica e logica.

5.3. Nei motivi di ricorso dell’imputato e del responsabile civile, sostanzialmente sovrapponibili, i ricorrenti contestano la motivazione sulla sussistenza del nesso causale, evidenziando varie circostanze : la cisti aveva dimensioni invariate; l’indice "Mallampati" era normale; al momento di affidare il paziente all’otorino, la saturazione dell’ossigeno era ancora attorno al 80%.

Le censure espressi dalle difese sul punto, esprimono solo un dissenso rispetto ad una ricostruzione del fatto (condotta omissiva colposa) che regge al sindacato di legittimità, non apprezzandosi nelle argomentazioni proposte quei profili di macroscopica illogicità, che soli, in sede di legittimità e di fronte ad una doppia conforme, potrebbero avere rilievo.

Peraltro, le censure proposte si muovono su un piano di valutazione atomistica delle circostanze emerse nel corso dell’istruzione e non invece, secondo la valutazione complessiva svolta dal giudice di merito.

Infatti, valutata complessivamente la condizione generale del paziente, la concomitante presenza (in soggetto obeso e con collo corto) di una faringite cronica, di una cisti, dell’indice "Mallampati" 2-3, il giudice di merito è stato indotto a ritenere in modo logico che l’intubazione avrebbe potuto creare difficoltà.

Invero, premesso che l’indice "Mallampati" indica la visibilità delle strutture orofaringee a bocca aperta e lingua estroflessa, la sua identificazione prossima al 3 (il massimo è 4), era predittiva di una intubazione difficile, soprattutto se connessa alle altre patologie del paziente, lo si ripete, riguardate in una prospettiva non parcellizzata.

Pertanto a fronte di tale situazione, il G. avrebbe dovuto tentare un’altra modalità di anestesia ovvero modulare in modo diverso l’erogazione di farmaci miorilassanti in paziente che avrebbe potuto palesare difficoltà di spontanea respirazione.

Peraltro, come emerso dalle consulenze svolte, anche in corso di intervento la condotta omissiva dell’imputato è stata gravemente negligente ed imperita; infatti, la saturazione dell’ossigeno prossima all’80%, era una dato assolutamente preoccupante, tenuto conto che se la prossimità della percentuale al 90% è indice di pericolo, la prossimità all’80% è indice di ipossiemia in atto.

A fronte di tutto ciò la condotta del G. è stata superficiale nella visita pre-anestesiologica e grevemente omissiva nel corso dell’intervento, per non avere attuato tutti i presidi alternativi possibili indicati dal giudice di merito, i quali avrebbero con alta probabilità statistica e logica evitato l’evento, come peraltro rilevato dai periti, i quali hanno evidenziato come un idoneo trattamento etiologico era rappresentato dal non praticato accesso sottoglottico: ebbene, l’omessa pratica della cricotomia d’urgenza (accesso sottoglottico) è proprio una delle omissioni contestate al G..

5.4. Quanto alla interferenza della condotta dell’otorino A. con quella dell’imputato, non può dirsi nè che il comportamento omissivo del chirurgo sia stato un fattore sopravvenuto da solo idoneo a cagionare l’evento, nè che una volta segnalata all’ A. la difficoltà del paziente, sia venuta meno in capo al G. la sua posizione di garanzia. Quanto al primo aspetto, la condotta dell’imputato ha posto in essere una condizione essenziale dell’evento rispetto alla quale la condotta omissiva dell’ A. si pone come mera concausa.

Questa Corte di legittimità ha già avuto modo di statuire che "In tema di colpa medica, in presenza di una condotta colposa posta in essere da un determinato soggetto, non può ritenersi interruttiva del nesso di causalità una successiva condotta parimenti colposa posta in essere da altro soggetto, quando essa non abbia le caratteristiche dell’assoluta imprevedibilità e inopinabilità;

condizione, questa, che non può, in particolare configurarsi quando, nel caso di colpa medica, tale condotta sia consistita nell’inosservanza, da parte di soggetto successivamente intervenuto, di regole dell’arte medica già disattese da quello che lo aveva preceduto" (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 6215 del 10/12/2009 Ud. (dep. 16/02/2010), Pappadà, Rv. 246421).

Quanto alla persistente posizione di garanzia del G. pur dopo il coinvolgimento dell’otorino nella vicenda, va premesso che è noto che l’anestesista ha la funzione mantenere inalterate e regolare le funzioni vitali del paziente durante l’intervento chirurgico.

Pertanto ha il compito di intervenire rapidamente su qualunque problema medico sorga sia prima, che durante o dopo l’intervento chirurgico in circostanze che coinvolgano la sua professionalità.

Pertanto, se prima dell’intervento ha il compito di valutare il rischio anestesiologico e prendere le conseguenti decisioni; nel corso dell’intervento non solo deve "addormentare" il paziente evitando la percezione del dolore, ma deve anche garantire la sua sicurezza, verificando continuamente i parametri vitali tra cui la frequenza cardiaca e l’attività respiratoria.

Ebbene, se questi sono i compiti dell’anestesista connessi alla sua specifica professionalità, come coerentemente osservato dal giudice di merito, in presenza della evidente caduta dei parametri vitali del D.F., determinati dalla sua difficoltà respiratoria e, quindi, da complicanza che chiamava in causa direttamente la professionalità dell’anestesista, correttamente è stata ritenuta presente in capo all’imputato una posizione di garanzia che gli avrebbe imposto di agire per evitare l’evento.

5.5. La difesa del G. ha, infine lamentato la mancata assunzione di una prova decisiva, in particolare una perizia medica. Anche tale doglianza è infondata. Va ricordato che questa Corte di legittimità ha ripetutamente affermato che "per prova decisiva sia da intendere unicamente quella che, non incidendo soltanto su aspetti secondari della motivazione (quali, ad esempio, quelli attinenti alla vantazione di testimonianze non costituenti fondamento della decisione) risulti determinante per un esito diverso del processo, nel senso che essa, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove fosse stata esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia" (ex plurimis, Cass. 2^, 16354/06, Maio); questa Corte ha anche precisato che "non sussiste il vizio di mancata ammissione di prova decisiva quando si tratti di prova che debba essere valutata unitamente agli altri elementi di prova processualmente acquisiti, non per eliderne l’efficacia probatoria, ma per effettuare un confronto dialettico che in ipotesi potrebbe condurre a diverse conclusioni argomentative" (Cass. 2^, 2827/05, Russo).

In particolare, con riferimento alla perizia, essa "per il suo carattere "neutro" sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva: ne consegue che il relativo provvedimento di diniego non è sanzionabile ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. d) in quanto giudizio di fatto che se sorretto da adeguata motivazione è insindacabile in cassazione" (Cass. 4^, 14l30/07, Pastorelli).

Nel caso di specie il giudice di merito, nel negare ingresso alla perizia, ha evidenziato con argomenti coerenti e privi di vizi logici, come dagli atti già acquisiti emergesse la penale responsabilità dell’imputato.

Alla luce di quanto esposto, valutato che le doglianza formulate sono in parte manifestamente infondate e, per altro verso, invitano ad una alternativa ricostruzione dei fatti, inammissibile in sede di legittimità a fronte di una motivazione della sentenza coerente e priva di manifeste illogicità, doveroso è dichiarare la inammissibilità dei ricorsi.

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducitele alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000), ciascuno, al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00 (mille).

Vanno inoltre condannati in solido alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, a quello della somma di Euro 1.000,00= in favore della cassa delle ammende, nonchè, in solido tra loro, alla rifusione in favore delle costituite parti civili delle spese di questo giudizio che, unitariamente e complessivamente, liquida in Euro 2.200,00= oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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