Corte Costituzionale, Sentenza n. 73 del 2004, In materia di poteri sostitutivi delle Regioni nei confronti degli enti locali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 18 febbraio, e depositato il 27 febbraio 2003 e iscritto al n. 13 del registro ricorsi 2003, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, ha impugnato gli articoli 7 e 22 della legge della Regione Emilia-Romagna 19 dicembre 2002, n. 37 (Disposizioni regionali in materia di espropri) per violazione dell’art. 120, secondo comma, della Costituzione e dell’art. 117, secondo comma, lettere l) e m), e terzo comma, della Costituzione.

Il ricorrente premette che la legge regionale impugnata, al fine di armonizzare la legislazione regionale in materia di pianificazione territoriale e urbanistica con la disciplina di cui al d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), ha dettato un complesso di norme volte a regolare le procedure per l’acquisizione di immobili o di diritti relativi ad immobili per l’esecuzione, nel territorio regionale, di opere ed interventi pubblici o di pubblica utilità.

La legge regionale, dopo aver conferito ai Comuni le funzioni amministrative per i procedimenti di espropriazione per la realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilità di competenza regionale (art. 6), dispone, all’art. 7, che in caso di inerzia dei Comuni nel compimento di un atto loro spettante, la Giunta assegna all’ente un termine per provvedere, non inferiore a 15 giorni e che, trascorso inutilmente tale termine, “la Giunta assume i provvedimenti necessari per il compimento dell’atto, ivi compresa la nomina di un commissario ad acta”.

Tale previsione, secondo la difesa erariale, contrasterebbe con l’art. 120 Cost., che riserva al Governo il potere sostitutivo, secondo procedure definite con legge che salvaguardi i principi di sussidiarietà e di leale collaborazione. Ad avviso dell’Avvocatura, se la titolarità del potere sostitutivo è del Governo, la legge cui l’art. 120 Cost. demanda la disciplina delle modalità di esercizio di tale potere non potrebbe che essere una legge statale. Il potere sostitutivo della Regione nei confronti del Comune, pur teoricamente ammissibile, necessiterebbe, dunque, della mediazione di un atto normativo dello Stato. L’art. 7 della legge regionale impugnata, nell’attribuire alla Regione il potere di sostituirsi al Comune, violerebbe la riserva di legge statale posta dalla Costituzione.

2. – L’Avvocatura dello Stato censura inoltre l’art. 22 della legge regionale n. 37 del 2002, la quale – sotto la rubrica “edificabilità di fatto” – dispone che, salva la necessità della edificabilità legale, un’area possiede anche i caratteri della edificabilità di fatto quando sono già presenti o in corso di realizzazione, nell’ambito territoriale cui l’area stessa inerisce, le dotazioni territoriali richieste dalla legge o dagli strumenti urbanistici.

Premette la difesa erariale che l’espropriazione per pubblica utilità e il relativo indennizzo atterrebbero al regime costituzionale della proprietà, quale delineato dall’art. 42 Cost., dunque alla materia dell’ordinamento civile, la cui disciplina è riservata alla legislazione esclusiva statale.

L’art. 22 sarebbe volto a dare rilevanza, ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio, anche alla edificabilità di fatto, in contrasto con il diritto vivente formatosi sull’art. 5-bis del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), che riconosce alla edificabilità di fatto valore meramente sussidiario, cioè solo in assenza dello strumento urbanistico.

Anche laddove l’art. 22 dovesse intendersi nel senso di richiedere la compresenza della edificabilità legale e della edificabilità di fatto, esso contrasterebbe con il diritto vivente che ritiene sufficiente la sola edificabilità legale per conferire ad un’area il carattere della edificabilità.

Sotto tale profilo la norma censurata, riconoscendo valore anche alla edificabilità di fatto e dunque introducendo un “tertium genus” nel regime dei suoli, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettere l) e m), della Costituzione, che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva a disciplinare l’ordinamento civile (nel cui ambito rientrano la proprietà privata e la qualificazione giuridica dei beni che ne sono oggetto) e le prestazioni concernenti i diritti civili, tra cui rientrerebbe l’uniforme applicazione dei criteri per la determinazione dell’indennità di esproprio.

Tali parametri, ed in particolare l’art. 117, secondo comma, lettera m), sarebbero violati anche per il fatto che l’art. 22 individua i requisiti per la edificabilità di fatto. In base alla normativa vigente – art. 5-bis del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333 e art. 37, commi 5 e 6, del d.P.R. n. 327 del 2001 – la definizione di tali criteri sarebbe rimessa ad un decreto del Ministro delle infrastrutture, da emanarsi ai sensi dell’art. 17 della legge n. 400 del 1988 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), per esigenze di unificazione della disciplina in tema di determinazione dell’indennità di esproprio.

Sostiene infine l’Avvocatura che, anche a voler ritenere che la individuazione dei criteri per la definizione dell’edificabilità di fatto rientri nella materia del “governo del territorio”, l’art. 22 violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto darebbe rilievo alle previsioni degli strumenti urbanistici in dispregio dei principi fondamentali dettati o da desumersi da un atto di normazione statale.

3. – Si è costituita in giudizio la Regione Emilia-Romagna, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e infondato.

Nella successiva memoria depositata in data 29 ottobre 2003, la Regione dà preliminarmente atto che l’art. 7, il quale disponeva che “in caso di persistente inerzia nel compimento di un atto spettante ai soggetti di cui all’articolo 6, comma 1, nell’esercizio delle funzioni conferite, la Giunta regionale assegna all’ente medesimo un termine per provvedere, comunque non inferiore a quindici giorni” e che “trascorso inutilmente tale termine, la Giunta assume i provvedimenti necessari per il compimento dell’atto, ivi compresa la nomina di un commissario ad acta”, è stato modificato dall’art. 21 della legge regionale 3 giugno 2003, n. 10 (Modifiche alle leggi regionali 24 marzo 2000, n. 20, 8 agosto 2001, n. 24, 25 novembre 2002, n. 31 e 19 dicembre 2002, n. 37 in materia di governo del territorio e politiche abitative). A seguito di tale modifica, la norma risulta adesso così formulata: “Per le opere pubbliche regionali, in caso di persistente inerzia del Comune o del soggetto attuatore nel compimento degli atti del procedimento espropriativi ad esso spettanti ai sensi degli articoli 6 e 6-bis, la Giunta regionale assegna all’ente medesimo un termine per provvedere, comunque non inferiore a quindici giorni. Trascorso inutilmente tale termine, la Giunta assume i provvedimenti necessari per il compimento dell’atto, ivi compresa la nomina di un commissario ad acta”.

In merito alle censure formulate nel ricorso e concernenti l’art. 7 della legge regionale n. 37 del 2002, la Regione osserva come la soluzione del dubbio di costituzionalità dipenda dalla interpretazione che si ritenga di dare all’art. 120 della Costituzione, invocato quale parametro nel ricorso introduttivo, e in particolare, “se essa esaurisca le possibilità di interventi sostitutivi nei confronti degli enti locali oppure se, accanto ai poteri sostitutivi esercitabili dal Governo a garanzia degli speciali valori costituzionali indicati nella disposizione, altri ve ne possano essere, in particolare a garanzia dell’effettivo esercizio delle funzioni pubbliche affidate agli enti locali”. La difesa regionale ritiene preferibile la seconda delle soluzioni appena citate, e ciò in quanto “la possibilità di una sostituzione di organi regionali in caso di non esercizio di una funzione che la stessa legge regionale affida all’ente locale o che essa comunque disciplina, non solo non contraddirebbe alcuna disposizione costituzionale, ma sarebbe coerente con il complessivo sistema del decentramento”.

Peraltro – sostiene la Regione – la stessa Avvocatura dello Stato ritiene, in linea di principio, ammissibile un intervento sostitutivo nei confronti degli enti locali operato dalla Regione: solo che sarebbe necessaria – in virtù della riserva di legge di cui all’art. 120 della Costituzione – la interpositio della legge statale. Secondo la difesa regionale però, sarebbe contraddittorio ritenere che l’art. 120, che concerne il potere sostitutivo del Governo in presenza di determinati presupposti, possa legittimare lo Stato a regolare il differente fenomeno dei poteri sostitutivi della Regione nei confronti degli enti locali, da attivarsi in ipotesi ulteriori. A sostegno di tali affermazioni la Regione Emilia-Romagna cita la recente decisione della Corte costituzionale n. 313 del 2003, nella parte in cui afferma che, ove dovesse ritenersi costituzionalmente ammissibile un potere sostitutivo delle Regioni nei confronti degli enti locali, “occorrerebbe un procedimento definito dalla legge, adottata secondo l’ordine delle competenze rispettivamente statali e regionali fissato dalla Costituzione” ed individua i presupposti in presenza dei quali una legge regionale può legittimamente prevedere un potere sostitutivo nei confronti degli enti locali. La legge regionale censurata, secondo la resistente, rispetterebbe ante litteram tali requisiti, in quanto attribuirebbe l’esercizio del potere sostitutivo regionale alla competenza della Giunta regionale, e lo subordinerebbe alla sussistenza di una “persistente inerzia” ed alla previa diffida dell’ente locale.

In relazione all’art. 22 della legge regionale impugnata, la Regione ritiene che, contrariamente a quanto affermato nel ricorso dalla difesa erariale, la disposizione non “renderebbe sufficiente l’edificabilità di fatto” ai fini della determinazione della indennità di esproprio in quanto essa sarebbe “chiarissima nel mantener ferma la necessità dell’edificabilità legale”. Anzi, la norma regionale sarebbe volta proprio a “prevenire quei dubbi interpretativi che sono sorti in relazione alla disposizione statale, come testimoniano le numerose sentenze con cui la Cassazione è dovuta intervenire ad affermare la necessità dell’edificabilità legale per l’applicazione dell’art. 5-bis, comma 1, del d.l. n. 333 del 1992”.

L’art. 22 non potrebbe essere interpretato neppure nel senso di ritenere necessaria la compresenza della edificabilità legale e dell’edificabilità di fatto. La norma, infatti, non si pronuncerebbe “né sulla necessaria presenza di entrambi gli elementi né sulla sufficienza dell’edificabilità legale, come del resto non si pronuncia su ciò la legge statale”. Peraltro, sostiene la Regione, l’interpretazione dell’art. 5-bis più sopra citato non sarebbe affatto univoca nel ritenere sufficiente la sussistenza dell’edificabilità legale, esistendo viceversa numerose decisioni che richiedono anche la compresenza dell’edificabilità di fatto. In ogni caso, la stessa normativa statale – sia l’art. 5-bis del d.l. n. 333 del 1992, sia l’art. 37 del d.P.R. n. 327 del 2001 – prescriverebbero di valutare le possibilità sia legali sia effettive di edificare.

Sarebbe necessario allora, ad avviso della difesa regionale, valutare i requisiti relativi alla edificabilità di fatto individuati dalla normativa statale. L’art. 37, comma 5, del d.P.R. n. 327 del 2001 rinvia tale individuazione ad un regolamento ministeriale; e secondo l’Avvocatura dello Stato tale norma risponderebbe alla esigenza di uniformità della disciplina concernente il punto de quo: e a ciò corrisponderebbe la violazione, causata dalla legge regionale impugnata, dell’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Al riguardo, la Regione anzitutto osserva come il regolamento ministeriale non risulti ancora adottato; in secondo luogo, evidenzia come – a seguito della modifica del Titolo V della Parte II della Costituzione – la previsione di un regolamento ministeriale in materia di competenza regionale sia del tutto inammissibile. Conseguentemente, l’art. 37, comma 5, del d.P.R. n. 327 del 2001 dovrebbe ritenersi abrogato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 (in quanto la norma era comunque già esistente al momento dell’entrata in vigore di quest’ultima); e nel caso in cui non lo si volesse considerare abrogato, sarebbe senz’altro da reputare incostituzionale.

Quanto poi all’asserito contrasto della norma regionale con i principi fondamentali della legge dello Stato, la censura sarebbe inammissibile perché generica, mancando l’indicazione dei principi che si assumono violati.

In ogni caso, conclude la Regione, la definizione della edificabilità di fatto contenuta nell’art. 22 non contrasterebbe né con l’art. 5-bis del d.l. n. 333 del 1992, che non specifica tale nozione, né con la definizione contenuta nell’art. 37, comma 6, del d.P.R. n. 327 del 2001. In definitiva la norma regionale impugnata non solo non sarebbe illegittima, ma anzi contribuirebbe a chiarire e a dare maggiore certezza giuridica alle norme statali.

4. – Anche l’Avvocatura generale dello Stato, in prossimità dell’udienza, ha depositato una memoria nella quale si ribadiscono le argomentazioni già esposte in sede di ricorso introduttivo a sostegno della incostituzionalità della norma regionale impugnata.

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge regionale dell’Emilia-Romagna 19 dicembre 2002, n. 37 (Disposizioni regionali in materia di espropri), per violazione dell’art. 120, secondo comma, della Costituzione.

La difesa erariale ritiene che l’art. 7 della legge regionale – il quale prevede un intervento sostitutivo della Regione nei confronti dei Comuni per il caso di persistente inerzia nel compimento di un atto loro spettante – violi l’art. 120, secondo comma, della Costituzione, il quale conferisce la titolarità del potere sostitutivo al Governo, e demanda la disciplina delle modalità di esercizio di tale potere ad una legge statale.

Nel ricorso si censura inoltre l’art. 22 della legge regionale n. 37 del 2002, in relazione all’art. 117, secondo comma, lettere l) e m), della Costituzione. Sostiene l’Avvocatura che la norma regionale, nel disciplinare l’edificabilità di fatto di un’area, riconoscerebbe a tale carattere un valore non meramente sussidiario ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione. In tal modo la norma inciderebbe sul regime della proprietà e della qualificazione giuridica dei terreni, la cui disciplina è riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, nonché sulla uniforme applicazione dei criteri di determinazione dell’indennizzo espropriativo, anch’essa riservata alla potestà statale, attenendo alla materia delle prestazioni concernenti i diritti civili che devono essere garantiti uniformemente su tutto il territorio nazionale.

L’art. 22, inoltre, contrasterebbe con l’art. 117, secondo comma, lettera m), anche nella parte in cui individua i requisiti della edificabilità di fatto, dal momento che sarebbe compito esclusivo della legislazione statale salvaguardare le esigenze di uniformità di disciplina degli effetti sulla determinazione dell’indennità di esproprio.

Infine, la disposizione impugnata contrasterebbe con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto assegnerebbe rilevanza alle previsioni degli strumenti di pianificazione urbanistica in dispregio dei principi fondamentali “dettati o da desumersi” da un atto di legislazione statale ai fini della determinazione dell’edificabilità di fatto delle aree.

2. – Prima di affrontare nel merito le censure mosse dal ricorrente avverso l’art. 7 della legge regionale dell’Emilia – Romagna n. 37 del 2002, è necessario richiamare l’assetto costituzionale dei poteri sostitutivi, sui quali questa Corte ha di recente avuto modo di soffermarsi nella sentenza n. 43 del 2004

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Come si è messo in luce in tale decisione, i poteri che comportano la sostituzione nel compimento di atti di organi di un ente rappresentativo ordinariamente competente da parte di organi di un altro ente, ovvero la nomina da parte di questi ultimi di organi straordinari dell’ente “sostituito” per il compimento degli stessi atti, concorrono a configurare e a limitare l’autonomia dell’ente nei cui confronti opera la sostituzione, e devono quindi trovare fondamento esplicito o implicito nelle norme o nei principi costituzionali che tale autonomia prevedono e disciplinano.

Tali affermazioni erano sottese anche alla giurisprudenza formatasi prima della riforma del Titolo V della Costituzione operata dalla legge cost. n. 3 del 2001, sia pure con prevalente riferimento ad ipotesi di sostituzione dello Stato nei confronti delle Regioni, previste per la tutela di interessi unitari allora affidati alla finale responsabilità dello Stato. In quel contesto, come è noto, spettavano alle Regioni le funzioni amministrative nelle materie di cui all’art. 117, primo comma, della Costituzione, mentre le funzioni degli enti locali territoriali erano determinate in termini di principio dalle leggi generali della Repubblica di cui all’art. 128 della Costituzione, e la puntuale individuazione delle stesse era demandata alle leggi dello Stato per le materie di competenza statale e per le funzioni di “interesse esclusivamente locale” pur inerenti alle materie di competenza regionale. La eventualità della sostituzione di organi regionali agli enti locali, esclusa nelle materie in cui la Regione non aveva competenze legislative e amministrative (sentenza n. 104 del 1973), poteva invece fondarsi sulle leggi regionali di delega o di “conferimento” di funzioni per le materie in cui, in base agli articoli 117 e 118 della Costituzione, le Regioni erano costituzionalmente titolari delle competenze amministrative, oltre che legislative.

Nel sistema del nuovo Titolo V, invece, l’art. 117, secondo comma, lettera p), comprende nella competenza legislativa esclusiva dello Stato la determinazione delle sole “funzioni fondamentali” di Comuni, Province e Città metropolitane, mentre l’art. 118, primo comma, attribuisce in via di principio ai Comuni, in tutte le materie, “le funzioni amministrative”, salva la possibilità che esse, al fine di assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. Pertanto, in virtù dell’art. 118 Cost., sarà sempre la legge, statale o regionale, in relazione al riparto delle competenze legislative, ad operare la concreta allocazione delle funzioni, in conformità alla generale attribuzione costituzionale ai Comuni o in deroga ad essa per esigenze di “esercizio unitario”, a livello sovracomunale, delle funzioni medesime.

In questo quadro, anche l’eventuale previsione di eccezionali sostituzioni di un livello di governo ad un altro per il compimento di specifici atti o attività, considerati dalla legge necessari per il perseguimento degli interessi di livello superiore coinvolti, e non posti in essere tempestivamente dall’ente competente, non può che rientrare, in via di principio e salvi i limiti e le condizioni di cui si dirà, nello stesso schema logico, affidato nella sua attuazione al legislatore competente per materia, sia esso quello statale o quello regionale. Ragionando altrimenti, infatti, si giungerebbe all’assurda conseguenza che, per evitare la compromissione di interessi di livello superiore che richiedono il compimento di determinati atti o attività, derivante dall’inerzia anche solo di uno degli enti competenti, il legislatore (statale o regionale) non avrebbe altro mezzo se non allocare la funzione ad un livello di governo più comprensivo: conseguenza evidentemente sproporzionata e contraria al criterio generale insito nel principio di sussidiarietà (si veda ancora, al riguardo, la sentenza n. 43 del 2004).

3. – Il nuovo art. 120 della Costituzione – il quale non può che essere letto in tale contesto – deriva invece dalla preoccupazione di assicurare comunque, in un sistema di più largo decentramento di funzioni quale quello delineato dalla riforma, la possibilità di tutelare, anche al di là degli specifici ambiti delle materie coinvolte e del riparto costituzionale delle funzioni amministrative, taluni interessi essenziali che il sistema costituzionale attribuisce alla responsabilità dello Stato, quali sono il rispetto degli obblighi internazionali e comunitari, il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica, la tutela in tutto il territorio nazionale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, nonché il mantenimento dell’unità giuridica ed economica del complessivo ordinamento repubblicano.

Gli interventi governativi contemplati dall’art. 120, terzo comma, hanno dunque carattere “straordinario” ed “aggiuntivo”, come risulta sia dal fatto che esso allude alle emergenze istituzionali di particolare gravità, che comportano rischi di compromissione relativi ad interessi essenziali della Repubblica, sia dalla circostanza che nulla, nella norma, lascia pensare che si sia inteso con essa smentire la consolidata tradizione legislativa che ammetteva pacificamente interventi sostitutivi, nei confronti degli enti locali, ad opera di organi regionali.

4. – Come più ampiamente evidenziato nella già citata sentenza n. 43 del 2004, l’art. 120 Cost., quindi, non esaurisce, concentrandole tutte in capo allo Stato, le possibilità di esercizio di poteri sostitutivi, ma si limita a prevedere un potere sostitutivo straordinario, da esercitarsi da parte del Governo nei casi e per la tutela degli interessi ivi indicati; viceversa, tale norma lascia impregiudicata l’ammissibilità di altri casi di interventi sostitutivi, configurabili dalla legislazione di settore, statale o regionale, in capo ad organi dello Stato o delle Regioni, o di altri enti territoriali. Poiché però, come si è detto, tali interventi sostitutivi costituiscono una eccezione rispetto al normale svolgimento di attribuzioni degli enti locali, soggetti rappresentativi dotati di autonomia politica, attribuzioni definite dalla legge sulla base di criteri oggi assistiti da garanzia costituzionale, debbono valere nei confronti di essi condizioni e limiti non diversi da quelli elaborati nella ricordata giurisprudenza di questa Corte in relazione ai poteri sostitutivi dello Stato nei confronti delle Regioni.

In primo luogo, dunque, le ipotesi di esercizio di poteri sostitutivi devono essere previste e disciplinate dalla legge (sentenza n. 338 del 1989), che deve altresì definirne i presupposti sostanziali e procedurali; in secondo luogo, la sostituzione può essere prevista solo per il compimento di atti o attività “prive di discrezionalità nell’an (anche se non necessariamente nel quid o nel quomodo)” (sentenza n. 177 del 1988), la cui obbligatorietà sia il riflesso degli interessi di livello superiore alla cui salvaguardia provvede l’intervento sostitutivo; ancora, il potere sostitutivo deve essere esercitato da un organo di governo della Regione o sulla base di una decisione di questo, a causa dell’attitudine dell’intervento ad incidere sull’autonomia costituzionale dell’ente sostituito (sentenze n. 460 del 1989 e n. 313 del 2003); da ultimo, è necessario che la legge predisponga congrue garanzie procedimentali per l’esercizio del potere sostitutivo, in conformità al principio di leale collaborazione: dovrà dunque essere previsto un procedimento nel quale l’ente sostituito sia messo in grado di interloquire e di evitare la sostituzione attraverso l’autonomo adempimento (sentenza n. 416 del 1995 e ordinanza n. 53 del 2003)

5. – Alla luce delle considerazioni svolte le censure prospettate avverso l’art. 7 della legge regionale n. 37 del 2002 non sono fondate.

Il capo II della legge, nel quale è inserita la norma impugnata, disciplina le procedure espropriative per la realizzazione di opere di competenza regionale e per le opere di difesa del suolo e di bonifica.

L’art. 6 conferisce ai Comuni le funzioni amministrative relative ai procedimenti di espropriazione per la realizzazione di opere pubbliche regionali, disponendo che gli enti locali le esercitino secondo le disposizioni contenute nella legge stessa. L’art. 6-bis, introdotto dalla legge regionale dell’Emilia-Romagna 3 giugno 2003, n. 10 (Modifiche alle leggi regionali 24 marzo 2000, n. 20, 8 agosto 2001, n. 24, 25 novembre 2002, n. 31 e 19 dicembre 2002, n. 37 in materia di governo del territorio e politiche abitative), riserva alla Regione lo svolgimento delle procedure espropriative concernenti le opere di difesa del suolo da essa realizzate e attribuisce ai Consorzi di bonifica la competenza allo svolgimento delle procedure espropriative per tutte le opere di bonifica da essi realizzate.

L’art. 7, nella sua formulazione originaria, disponeva che “in caso di persistente inerzia nel compimento di un atto spettante ai soggetti di cui all’articolo 6, comma 1, nell’esercizio delle funzioni conferite, la Giunta regionale assegna all’ente medesimo un termine per provvedere, comunque non inferiore a quindici giorni” e che “trascorso inutilmente tale termine, la Giunta assume i provvedimenti necessari per il compimento dell’atto, ivi compresa la nomina di un commissario ad acta”.

A seguito delle modifiche introdotte dalla legge regionale n. 10 del 2003, la norma stabilisce che “per le opere pubbliche regionali, in caso di persistente inerzia del Comune o del soggetto attuatore nel compimento degli atti del procedimento espropriativo ad esso spettanti ai sensi degli articoli 6 e 6-bis, la Giunta regionale assegna all’ente medesimo un termine per provvedere, comunque non inferiore a quindici giorni. Trascorso inutilmente tale termine, la Giunta assume i provvedimenti necessari per il compimento dell’atto, ivi compresa la nomina di un commissario ad acta”.

Le modificazioni apportate alla norma impugnata non sono tali da incidere in modo sostanziale sul contenuto dell’art. 7 per il profilo per il quale esso è stato impugnato.

La difesa erariale censura la norma in esame innanzitutto sotto il profilo per cui una norma regionale non potrebbe disciplinare i casi di esercizio di potere sostitutivo da parte delle Regioni, essendo tale disciplina riservata alla legge statale. Tale censura appare infondata alla luce della considerazione secondo la quale l’art. 120 Cost. si limita a disciplinare una specifica ipotesi di carattere straordinario, ma nulla dispone in ordine ad ulteriori ipotesi di poteri sostitutivi, i quali dunque dovranno essere regolati dalla legge statale ovvero dalla legge regionale “secondo l’ordine delle competenze rispettivamente (…) fissato dalla Costituzione” (sent. n. 313 del 2003). Nel caso in esame lo Stato non ha contestato la competenza della Regione a disciplinare la materia regolata dalla normativa in esame.

La norma impugnata inoltre soddisfa i requisiti più sopra individuati affinché possano considerarsi rispettate le prescrizioni costituzionali.

Innanzitutto, il potere sostitutivo della Regione è previsto e disciplinato da una legge che regola i presupposti e le procedure per il suo esercizio.

In secondo luogo, lo svolgimento di tale potere è connesso all’esercizio delle funzioni amministrative conferite dalla Regione ai Comuni relativamente alle procedure espropriative finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche regionali.

Al riguardo, deve essere evidenziato come nulla nella lettera di tale disposizione autorizzi a ritenere che essa regoli anche ipotesi di sostituzione nei confronti di atti o attività cui gli enti sostituendi non siano giuridicamente vincolati quanto meno nell’an; viceversa, la necessità di procedere ad una interpretazione conforme ai precetti costituzionali porta alla conclusione che la norma oggetto del presente giudizio è applicabile soltanto a casi di mancato o irregolare compimento di quegli atti o attività che siano configurati dalla legge regionale n. 37 del 2002 come veri e propri obblighi giuridici – se non nel quando e nel quomodo, almeno nell’an – a carico degli enti nei cui confronti può essere disposta la sostituzione.

L’art. 7 inoltre attribuisce l’esercizio del potere ad un organo di governo della Regione, individuato nella Giunta regionale, disponendo che essa assuma i provvedimenti necessari al compimento dell’atto ovvero nomini un commissario ad acta.

La norma impugnata, infine, subordina l’esercizio del potere sostitutivo alla previa diffida del Comune inadempiente al quale deve essere assegnato un termine, non inferiore a quindici giorni, entro il quale l’ente locale può provvedere al compimento dell’atto.

La congruità del termine assegnato all’ente inadempiente e di cui la legge regionale fissa solo la durata minima dovrà essere valutata sulla base del principio di leale cooperazione, in relazione ai singoli atti (o attività) ed alla loro complessità, con la conseguenza che nel caso in cui – alla luce del principio richiamato – tale termine appaia in concreto inadeguato, in quanto troppo breve, l’ente diffidato potrà attivare gli ordinari rimedi previsti dall’ordinamento.

6. – È impugnato anche l’art. 22 della legge regionale dell’Emilia-Romagna che disciplina l’edificabilità di fatto delle aree, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere l) ed m), nonché terzo comma, della Costituzione.

L’art. 22 dispone che “ferma restando la necessità dell’edificabilità legale di cui all’art. 20, un’area possiede anche il carattere della edificabilità di fatto quando sono già presenti o in corso di realizzazione, nell’ambito territoriale in cui l’area stessa si inserisce, le dotazioni territoriali richieste dalla legge ovvero dagli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica”. Il secondo comma della norma, poi, consente alla Regione di integrare e specificare, con apposita direttiva, “i criteri ed i requisiti per valutare l’edificabilità di fatto delle aree”.

7. – Deve innanzitutto essere esaminata la censura mossa a tale norma in relazione all’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

Sostiene l’Avvocatura che l’art. 22 contrasta con i principi fondamentali dettati o da desumersi dalla normazione statale in riferimento alla individuazione della edificabilità di fatto, senza specificare quali siano i principi che si assumono violati o da dove questi possano desumersi.

La censura, nei termini in cui è formulata, si rivela generica e deve, pertanto, essere dichiarata inammissibile.

8. – Nel ricorso si sostiene inoltre che l’art. 22, attribuendo rilevanza, ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio, “anche” alla edificabilità di fatto, ovvero richiedendo la “compresenza” sia della edificabilità legale che di quella di fatto, contrasta con il diritto vivente che ha riconosciuto alla caratteristica in esame valore meramente sussidiario rispetto alla possibilità legale di edificare. In tal modo, la norma regionale inciderebbe sul regime dei suoli in violazione della competenza esclusiva dello Stato a legiferare in materia di ordinamento civile, nonché di prestazioni concernenti i diritti civili da garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale.

Tale censura non è fondata.

Il tenore letterale della norma regionale risulta del tutto coerente con la norma statale contenuta nell’art. 37, comma 3, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), il quale stabilisce che, ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio, “si considerano le possibilità legali ed effettive di edificazione, esistenti al momento dell’emanazione del decreto di esproprio o dell’accordo di cessione”.

L’art. 22 della legge regionale impugnata stabilisce quando un terreno presenta i caratteri dell’edificabilità di fatto; nulla dice sul ruolo da riconoscere a tale elemento ai fini della determinazione dell’indennizzo, se non che il medesimo non può prescindere dalla sussistenza dell’edificabilità legale. L’inciso contenuto nella disposizione, “ferma restando la necessità dell’edificabilità legale di cui all’art. 20”, attesta infatti la volontà del legislatore regionale di non dare all’edificabilità di fatto una rilevanza autonoma rispetto alla edificabilità legale.

Il contenuto normativo dell’art. 22 deve dunque rinvenirsi soltanto nella individuazione degli elementi in presenza dei quali può riconoscersi ad un’area il carattere della edificabilità di fatto.

La formulazione della norma regionale ne consente una lettura conforme all’interpretazione che del requisito in esame ha fornito la più recente giurisprudenza di legittimità, la quale ha riconosciuto all’edificabilità di fatto un valore esclusivamente suppletivo – in carenza di strumenti urbanistici – ovvero complementare ed integrativo agli effetti della determinazione del concreto valore di mercato dell’area espropriata, incidente sul calcolo dell’indennizzo.

9. – Il ricorrente censura infine l’art. 22 per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, nella parte in cui prevede i requisiti che conferiscono ad un’area il carattere della edificabilità di fatto. Sostiene infatti l’Avvocatura che la loro individuazione è riservata allo Stato dall’art. 5-bis del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica) e dall’art. 37 del d.P.R. n. 327 del 2001, che rinviano ad un regolamento ministeriale, e ciò in ragione di esigenze di uniformità che è compito dello Stato assicurare.

Anche tale censura non è fondata.

L’art. 22 della legge regionale non regola le prestazioni concernenti diritti civili, né tale contenuto presenta la normativa statale di riferimento (tanto l’art. 5-bis del d.l. n. 333 del 1992, quanto l’art. 37 del d.P.R. n. 327 del 2001). Esso neppure incide sull’ esigenza di assicurare uniformità nella determinazione dell’indennità di esproprio. La disposizione censurata, infatti, non individua modalità o criteri di calcolo dell’indennizzo, né quantifica l’entità dello stesso (al cui proposito, semmai, potrebbe porsi un’esigenza di definizione uniforme), ma – come già osservato – si limita ad affermare la necessità che siano specificate le condizioni in presenza delle quali un’area possiede il carattere dell’edificabilità di fatto.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge regionale dell’Emilia-Romagna 19 dicembre 2002, n. 37 (Disposizioni regionali in materia di espropri), sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 120, secondo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 22 della medesima legge regionale n. 37 del 2002, sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 22 della medesima legge regionale n. 37 del 2002, sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere l) e m), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 2004.

Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2004.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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